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I resti umani sono entrati a far parte della collezione contro la volontà del proprietario o della persona che in origine aveva il diritto di disporne,

mediante violenza fisica, coercizione, furto, rapina o inganno.

Anche in questo caso valgono le eccezioni appena descritte (1). Se l'ingiustizia perpetrata in relazione ai resti umani è avvenuta in un passato remoto potrebbe non avere più effetto al giorno d’oggi. Va ricordato a questo proposito che in tutte le epoche vi sono state gravi profanazioni e rimozioni di oggetti dalle sepolture, talvolta anche per commercio di resti umani, che al momento dell'atto non era ritenuto illegittimo praticare. In alcuni casi, i valori dei rispettivi popoli o Stati d’origine sono cambiati nel tempo, con il risultato che alcuni di questi eventi verificatisi nel lontano passato oggi possono essere interpretati in modo completamente diverso.

La Raccomandazioni tedesche dedicano una particolare attenzione a questo tema, non solo per la sensibilizzazione derivata dalle richieste di restituzione dei popoli d’origine, ma anche perché è ancora viva nella storia recente del Paese la consapevolezza delle ingiustizie perpetrate negli anni Trenta del Novecento nei confronti degli Ebrei.

La Germania ha già messo in atto una riflessione su temi analoghi: non solo i resti umani possono essere inclusi nell’ambito di un contesto di ingiustizia, ma anche molte altre tipologie di beni culturali, quali opere d’arte o oggetti personali.

La Germania inoltre, così come molti altri Paesi europei, come gli Stati Uniti e Israele, possono annoverare tra le istituzioni museali i Musei della Memoria, in cui tutti i materiali conservati ed esposti dai documenti, alle fotografie, agli oggetti (vestiti, scarpe, effetti personali, mezzi di trasporto), sono stati parte di un contesto di ingiustizia e sono tutti catalogabili quali materiali particolarmente

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sensibili.

Per questo motivo il quadro etico nelle Raccomandazioni è particolarmente delineato e vale la pena riportarlo quasi integralmente per ampliare alcuni concetti, che aiutano a definire ulteriormente l’ambito teorico e filosofico della questione.

5.2 Resti umani: il rapporto tra etica e diritto.

L'etica è generalmente intesa come la riflessione sistematica sulle azioni umane, in particolare in relazione ad altre persone. Nel linguaggio filosofico l’etica comprende ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criterî per giudicare sulla moralità delle azioni umane. Nell’etica moderna l'azione è vista come il comportamento intenzionale di individui autonomi, che sono in linea di principio in grado di aderire ai principi normativi (etici) nel perseguimento dei loro obiettivi. Già nell'antichità era stata operata una distinzione di ethos da un lato nel senso di credenze e costumi tradizionali e, dall'altro, inteso come un insieme di riflessioni sistematiche sugli elementi che costituiscono la condotta umana.

Le considerazioni di ethos sono di particolare importanza in relazione alla gestione dei resti umani, se partiamo dal presupposto che essi debbano essere trattati in modo rispettoso e riverente.

In merito alla valutazione dei campioni umani nei musei, il problema che si pone è che spesso sono stati acquisiti seguendo la regolamentazione giuridica dell’epoca, che però risulta inaccettabile o insufficiente se letta in una prospettiva moderna. Non esiste al momento in Germania una legge che disciplini il trattamento dei resti umani nelle collezioni. In considerazione di alcuni casi paradigmatici, come il ritorno dei teschi Herero in Namibia dalla collezione Charité o il dibattito sulla provenienza degli scheletri degli aborigeni della collezione Amalie Dietrich, è evidente la necessità di formulare delle considerazioni etiche in relazione al trattamento dei resti umani nei musei e nelle collezioni che vadano oltre le disposizioni di legge vigenti.

È possibile cercare di rispondere a questa questione delicata solo mettendo insieme i vari rami della scienza e delle discipline umanistiche interessate (etnologia, medicina, storia, politica, diritto, etica, antropologia fisica e archeologia). Ciò è particolarmente vero se si considera che i criteri di valutazione decisivi, come la 'dignità umana' e i diritti post-mortem dell'individuo, non possono ricadere solo nella sfera giuridica, ma in quella più ampia dell’etica legale (legal ethics).

Criteri formali e giuridici, come per esempio la questione dei termini di prescrizione, non possono essere applicati senza tener conto dei principi etici: in Germania, quando vi sono dispute che riguardano i beni culturali persi durante le persecuzioni perpetrate tra il 1933 e il 1945, le istituzioni pubbliche sono invitate a rinunciare alla prescrizione. Così facendo, si tiene conto del fatto che lo Stato ha una responsabilità particolare e che per lungo tempo le vittime della persecuzione nazista ebbero solo limitate opportunità per cercare di recuperare le opere d'arte perdute.

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5.3 Manipolazione di resti umani ai fini della raccolta.

Come Michael Barilan ha affermato, 48 l'uso del cadavere senza il consenso della persona interessata o dei suoi parenti, per scopi diversi dalla sepoltura, di solito è considerata come una grave offesa contro la dignità umana. Tuttavia, contrariamente a tale regola generale, l'anatomia e la scienza godono di un certo grado di 'immunità' nel mondo occidentale che permette loro, potenzialmente anche senza il consenso, di usare i corpi di persone decedute a fini scientifici. Nella cultura Occidentale, le scienze dell’uomo (anatomia, antropologia e medicina) hanno cambiato il modo di trattare il corpo umano, un processo prima disciplinato dalla prassi e dalla tradizione religiosa. La rottura del tabù avvenne nel XVIII, l’Irish Giant Charles Byrne, il cui scheletro è ancora in mostra (contrariamente alla sua volontà dichiarata) nel Museo Hunter di Londra, è una testimonianza dei cambiamenti drastici nei confronti della gestione del cadavere. A quell’epoca il trattamento del corpo umano fondato sulle direttive religiose entrò in conflitto con la visione, eticamente motivata, che i resti umani potessero essere utilizzati per la sperimentazione scientifica al fine di far progredire le conoscenze per il bene di tutta la società. Si affermava allora la filosofia dell'utilitarismo che antepone gli interessi dei vivi nella conoscenza e nella ricerca ai sentimenti religiosi delle persone interessate e dei loro parenti europei o extraeuropei. Jeremy Bentham, il padre dell’utilitarismo, affermò la forza persuasiva di tale pensiero anche tramite la decisione di donare il suo corpo alla scienza per essere sezionato e studiato.49

Il punto di vista che il corpo dei defunti possa essere d’utilità ai vivi in seguito è stato ampiamente riconosciuto nel campo della scienza e della medicina, per esempio nella donazione post-mortem di organi e tessuti.

I cadaveri di coloro che donano i loro corpi oggi non solo sono utilizzati per l'insegnamento dell'anatomia nelle università, ma anche per scopi di ricerca. Tessuti debitamente preparati sono impiegati per esempio per la produzione di impianti per la terapia medica. Nell’etica e nel diritto moderni si è giunti ad accettare tali procedure previo consenso della persona interessata o dei suoi parenti.

Tuttavia tale soluzione normalmente non esiste in relazione alla gestione dei materiali umani conservati nelle collezioni storiche. I punti di vista etici in materia si devono confrontare con la difficoltà di adottare una posizione vincolante per la gestione dei resti umani, anche in assenza di una dichiarazione della persona a cui appartenevano e in considerazione del contesto culturale da cui provengono spesso assai lontano dal nostro.

5.4 Considerazioni etiche e giuridiche fondamentali.

5.4.1 I Resti umani sono considerati al pari di oggetti nella misura in cui essi non

48 Michael Y.Barilan, “The Biomedical Use of the Body: Lessons from the History of Human Rights and Dignity” in Cristhian Lenk et al (ed.), Human Tissue Research, A European

Perspective on the Ethical and Legal Challenges, Oxforf University Press, Oxford, 2011, pp. 3-14.

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possono detenere i diritti. Sono oggetti giuridici e non soggetti giuridici (persone) e, di conseguenza, a prescindere dall'origine legale della distinzione tra soggetti giuridici e oggetti giuridici non hanno diritti etici o diritti acquisiti. Sebbene i resti umani non siano soggetti giuridici, che godono di protezione sotto il concetto di dignità umana, in conformità con le sentenze della Corte costituzionale federale, un essere umano non perde il suo diritto alla dignità umana dopo la morte.

Risulta dalle affermazioni precedenti che se consideriamo il trattamento inadeguato dei defunti e dei resti umani come un'offesa alla dignità umana, dobbiamo riscontrare un reato contro la dignità umana inalienabile di tutti noi.50 La dignità dei morti, che prima erano esseri umani, è garantita dai vivi e deve essere garantita da loro. 51

5.4.2 Poiché la dignità umana è un valore etico fondamentale, da cui derivano gli altri valori, non può essere collocata alla pari con altri valori etici. Dal momento che la dignità umana deve essere garantita in modo assoluto, bisogna mettere in atto alti livelli di valutazione per evitare reati contro di essa.

5.4.3 In conformità con il dictum che risale a Kant e successivamente è venuto a far parte della discussione sul tema della dignità umana come “imperativo categorico”, un essere umano non può mai essere utilizzato semplicemente come un mezzo, ma deve sempre essere utilizzato allo stesso tempo come un fine e proprio in ciò sta la sua dignità.

Nonostante tutta la nebulosità associata all’“imperativo categorico”, si può almeno dedurre che i defunti e i resti umani non devono essere trattati come gli altri oggetti. Di conseguenza, una persona non può farne uso a sua discrezione, come potrebbe fare in linea di principio un proprietario (secondo il Codice Civile). Più in particolare, il trattamento rispettoso dei morti e dei resti umani di interesse archeologico (principalmente le mummie) è dovuto sulla base del concetto di dignità umana e deve essere osservato quando esponiamo i resti umani nei musei. Contrariamente all'approccio spesso adottato in passato, i resti umani di questo tipo non possono essere esclusi dalla garanzia del rispetto della dignità umana unicamente sulla base della loro età.

5.4.4 La vita umana è un fine in sé. Il concetto, espresso nell’imperativo categorico kantiano, è inconcepibile senza la libertà, poiché un essere umano sarebbe altrimenti considerato “semplicemente come mezzo" degli altri (principio di autonomia). Si può quindi concludere che la volontà espressa o presunta dell'essere umano in merito a come dovrebbe essere trattato il suo corpo dopo la sua morte – quando esistono informazioni affidabili su questo

50 Ved. E.Kant, La metafisica dei costumi, 1797, par.38.

51 ved. C.Thielecke, C.von Selle, M.Geissdorf, “A legal framework governing the work of museums/collections containings Human Remains” in Reccomandations, op. cit. p. 31.

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tema - deve, in linea di principio, essere rispettato. Tale desiderio dovrebbe costituire la ragione e il limite in materia di trattamento dei defunti e dei loro resti umani. In pratica, questo principio significa che, per esempio, gli archeologi devono definire con precisione lo scopo che sta alla base degli scavi che desiderano intraprendere, ed essere pienamente consapevoli del potenziale di interferenza con la dignità umana dei morti, per cui dovranno valutare anticipatamente i diritti tutelati dalla legge. Il riconoscimento giuridico del principio di autonomia – in campi anche molto diversi tra loro - come il diritto di successione, la medicina dei trapianti o la ricerca anatomica, testimonia la natura vincolante del principio come elemento di diritto naturale e, quindi, come una norma etica.

5.4.5 Le pretese culturali di dominanza sono incompatibili con l'applicazione universale del concetto di dignità umana. L'interesse europeo 'illuminato' nella conoscenza e nella scienza non ha automaticamente diritto a prevalere sulla storia o sulla cultura straniere. Tale interesse deve essere a sua volta piuttosto collocato in un contesto come possibile pratica culturale.52 In caso di conflitto, la pratica o le idee sulla cura dei morti della cultura da cui i resti provengono devono avere la precedenza. La scelta che si farà dipenderà dalla misura in cui tali credenze sopravvivono nel popolo di origine, cioè se è possibile dimostrare che siano una pratica culturalmente significativa ancora oggi. Questo perché, in più di un caso, l'interesse per la conoscenza e la scienza è soddisfatto a scapito di chi si sente in obbligo di prendersi cura dei propri defunti.

5.5 Il pluralismo dei valori.

La raccolta e l’esposizione di resti umani - con un significato culturale, religioso e spirituale - provenienti da differenti culture si presenta ai responsabili museali e alle istituzioni come un problema che è difficile da risolvere: trovare un equilibrio accettabile tra gli obiettivi e le missioni di musei e collezioni e le visioni del mondo dei popoli d’origine.

È al tempo stesso chiaro che una soluzione sul modello del 'minimo comune denominatore' in questo settore comporta ulteriori problemi e non può rendere giustizia agli interessi di tutte le parti coinvolte.

Tuttavia, tenuto conto dei problemi esistenti, non dovrebbero essere dimenticati i possibili punti di accordo: in primo luogo, vi è un consenso interculturale diffuso sul principio che i resti umani debbano essere trattati con rispetto e dignità e che è proibito il trattamento degradante nel corso della ricerca, della raccolta o dell’esposizione.53

In secondo luogo vi è una forte convergenza nel dibattito internazionale nel riconoscere che gruppi etnici hanno il diritto di vedersi restituire i resti umani in possesso di musei e collezioni, così come espresso dalle Nazioni Unite54 nella misura in cui permanga una stretta connessione culturale. Poiché l’ICOM nel

52 Ved. Ludwig Wittgenstein, “Bemerkungen uber Frazers Golden Bough”, in Synthese, vol 17(1), Springer, 1967.

53 Working Group on Human Remains in Collections, Recommendations, op.cit. , p. 379. 54 ONU, Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, op. cit. art.12 (2).

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Codice Etico55 sottolinea infine che nel caso di collezioni internazionali i valori e le esigenze degli altri gruppi etnici devono essere trattati con rispetto in ogni circostanza, i musei dovrebbero essere preparati ad avviare dialoghi per la restituzione dei beni culturali con i Paesi e le popolazioni d’origine.

55 ICOM, International Council of Museums, op.cit. Art. 6.2 Ritorno di beni culturali. I musei devono essere pronti ad aprire un dialogo per favorire il ritorno di beni culturali nel paese o presso il popolo di origine. La procedura sarà imparziale, basata su criteri scientifici, professionali e umanitari rispondenti alla legislazione locale, nazionale e internazionale. Tale modalità è preferibile a un’azione intrapresa a livello governativo o politico.

6.3 Restituzione di beni culturali

Qualora il paese o il popolo di origine richiedano la restituzione di un oggetto o di un esemplare, dimostrando fondatamente che esso è stato esportato o comunque trasferito in violazione dei principi stabiliti dai trattati internazionali e nazionali, e dimostrino che l’oggetto appartiene al patrimonio culturale o naturale di quel popolo o paese, il museo interessato, purché la legge gli consenta di agire in tal modo, deve prontamente e responsabilmente attivarsi per collaborare alla restituzione.

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