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CONTESTUALIZZAZIONE STORICA. 7.1 Reliquie sacre e reliquie laiche

9. I RESTI UMANI IN ITALIA. CASE STUDY

9.3 MUSEO DI ANTROPOLOGIA CRIMINALE CESARE LOMBROSO DI TORINO. IL CRANIO CONTESO

9.3.5 La mozione al Comune di Torino

L’ultimo colpo di scena ha riguardato il Comune di Torino. Il 10 gennaio 2013 è stata presentata in Comune una mozione del consigliere del Pd, Domenico Mangone, che afferma: "Non si può negare che le tesi di Lombroso abbiano dato il la a teorie razziste, creandone di fatto i presupposti, soprattutto nei confronti della gente del Sud. Insomma, hanno alimentato una cultura antimeridionalista che Torino deve respingere. Per questo chiedo che le spoglie esposte al museo, se richieste dagli eredi, vengano restituite alle famiglie".

Il direttore del museo ha nuovamente spiegato che l’allestimento non sostiene nessuna teoria: "Si tratta di un sistema scientifico superato e ai visitatori vengono evidenziati gli errori commessi da Lombroso, ma non per questo si deve cancellare un patrimonio, una collezione iniziata dallo stesso Lombroso e che ci viene richiesta anche dall'estero". Si tratta di reperti che appartengono al Ministero e all'Università e "non c'è mai stata nessuna famiglia che abbia fatto richiesta dei resti". Il direttore segnala come non solo il Comune di Motta Santa Lucia, ma diversi paesi del Sud vorrebbero aprire musei sul fenomeno del brigantaggio, insinuando il dubbio che la richiesta potrebbe anche avere un diverso obiettivo finale.

Nonostante le spiegazioni del direttore e in seguito a un’ampia discussione, con una parte della giunta astenuta (tra cui il sindaco), la mozione è stata approvata. A questa decisione ha fatto prontamente eco una mozione del Comune di Napoli, approvata all’unanimità, con cui la città il 14 marzo del 2013 si è resa disponibile ad accogliere nel cimitero delle Fontanelle tutti i resti umani non riconosciuti del Museo Lombroso, concludendo che “il consiglio comunale impegna il sindaco e tutta l’Amministrazione Comunale a promuovere ogni iniziativa che rientri nelle proprie competenze affinché si giunga alla restituzione delle spoglie trattenute nel Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” di Torino ai discendenti che ne facciano richiesta o all’Amministrazione Comunale di Napoli in assenza, ovvero per i resti incogniti, che nessuno può reclamare”. 151

9.3.6 Conclusioni

Questo Case Study, il più complesso tra quelli individuati, dimostra come l’Italia si stia trovando ad affrontare un problema “interno” di restituzione dei resti umani, in cui i contendenti sono rappresentanti della stessa nazione, ma con storie diverse, in cui le ferite per un’unificazione economica mai del tutto compiuta sono ancora aperte, in cui permangono elementi di conflittualità vivi, spesso acuiti dall’azione e dalla propaganda di partiti estremisti che cercano consenso basandosi sulla difesa della “regionalità” e della provenienza territoriale. La questione meridionale – come si può constatare quotidianamente - è rimasta aperta e in questi ultimi vent’anni la crescita di partiti settentrionalisti, come la Lega Nord, a cui fanno da contraltare i movimenti meridionalisti, non ha aiutato la riconciliazione. Torino, la città dei Savoia, la

151 Mozione del 14.03.2013 primo firmatario David Lebro, firmata da tutti i gruppi. Doc. on line 33.

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prima capitale d’Italia, fu meta di una forte emigrazione dal meridione e visse in prima linea i conflitti legati alla diversità delle due culture e i problemi di inclusione sociale e culturale; oggi, anche per questo, si trova ad essere il terreno di battaglia di una guerra di principio, di una contesa attorno a un simbolo che acquisisce maggior forza ogni giorno che passa.

I movimenti pro restituzione hanno messo in campo diverse azioni e strumenti per sostenere la propria causa: un’azione di comunicazione ben calibrata, che usa non solo la stampa tradizionale, ma anche il web e i social network potenti aggregatori di consenso; uno staff di professionisti competenti; un gruppo di politici favorevoli. Tutti elementi che sono stati in grado di attivare la polemica su più livelli.

Gli attori della protesta, come si ravvisa da alcuni commenti, sono documentati e aggiornati sulle evoluzioni in tema di gestione di resti umani a livello internazionale e acquistano sempre maggior consapevolezza delle loro potenzialità di successo. Hanno ormai chiaro che le legislazioni sul tema si possono cambiare e che è possibile trovare una soluzione politica al problema, così come avvenuto ad esempio in Gran Bretagna e Francia (cfr. cap.1).

Con il trascorrere del tempo il cranio di Villella e i resti dei meridionali conservati al Museo Lombroso, diventano l’emblema di una storia e di una comunità, acquistando un valore affettivo e simbolico per la comunità d’origine, facendo contestualmente scemare la percezione del valore che rivestono per la comunità scientifica. Crediamo quindi che diventerà sempre più difficile sostenere la prevalenza del secondo sul primo.

Forse la restituzione e la sostituzione con dei calchi sarà il solo atto in grado di riappacificare gli animi e di porre la parola fine alla contesa. È una storia in parte già vista, un processo già sperimentato, così come ha dimostrato l’evolversi delle richieste di restituzione della TAC nei confronti dei musei britannici (cfr. cap. 2).

L’autorità culturale del Museo non è più considerata sufficiente, anzi ne vengono messe in discussione le scelte di allestimento e le reali finalità scientifiche. In questo caso sarà più difficile dimostrare - come invece è palesemente evidente per il caso di Otzi – l’alto valore scientifico del reperto per attività di didattica e ricerca. Più semplice sembra invece sostenere il valore storico della collezione, anche se questa lettura è comunque passibile di critiche. Alla luce degli avvenimenti, il Museo Lombroso avrebbe dovuto mettere in atto una politica di mediazione con le comunità e le realtà che potevano essere coinvolte. Già prima dell’inaugurazione si poteva presupporre che il Museo sarebbe stato contestato o che comunque poneva delle problematiche importanti dal punto di vista etico, sia per il contenuto, sia per chi lo aveva raccolto. Una procedura prudente avrebbe richiesto la creazione di un comitato di consulenza etica che fosse in grado di valutare e di prevedere i punti critici dell’esposizione, di cui avrebbero dovuto far parte: museologi, medici, antropologi, bioeticisti, rappresentanti della comunità ebraica e cristiana, rappresentanti delle istituzioni e dei gruppi per “la difesa del Sud” o storici del Risorgimento e della questione meridionale. Ciò sarebbe servito a limitare la reazione e le polemiche.

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Il caso, interessante anche dal punto di vista della legislazione dei Beni Culturali, fa comunque emergere come sia sempre più urgente affrontare in modo professionale la questione etica all'interno dei musei, in particolar modo per quei reperti che sono sempre da includersi nella categoria materiali culturalmente sensibili. La dicitura “Bene Culturale” e la tutela che ne deriva dal Codice si sta dimostrando, anche in questo caso, insufficiente e non in grado di rispondere a tutte le domande.

Indubbiamente il cranio di Vilella presenta molte criticità, anche nell’ambito dei resti umani: è un resto relativamente recente (1870); è stato ottenuto a seguito di un’ingiustizia o comunque di un procedimento giudiziario; è il cranio che dimostra alcune teorie successivamente considerate razziste e infondate; è un cranio che appartiene a una persona conosciuta la cui storia e origine sono, almeno in parte, documentate.

Basandoci sulle raccomandazioni tedesche sarebbe stato necessario, in via preventiva, porvi una particolare attenzione poiché il cranio potrebbe inserirsi in quella categoria di resti ottenuti in un “contesto di ingiustizia” (cfr.cap.5.1). Villella è stato incarcerato in quanto brigante, forse ingiustamente, ma in qualunque caso al momento della morte si trovava in una situazione di trattenimento coatto. Anche per molti altri resti del museo Lombroso è necessario valutare le circostanze della morte e dell'acquisizione, in merito a considerazioni etiche e legali. Se tali circostanze dovessero sembrare particolarmente problematiche, le raccomandazioni consigliano di riservare maggiore sensibilità e offrire un trattamento speciale ai resti in questione. Il contesto di ingiustizia proposto va inteso in senso lato: non ne esiste una descrizione univoca, poiché i valori applicati da diverse culture o comunità possono essere opposti, come nel caso di cui stiamo trattando.

L’acquisizione del cranio nella collezione di Lombroso avvenne in seguito alla richiesta dello studioso, poiché il corpo non era stato reclamato dai famigliari (che si trovavano però a 1.500 km di distanza). Dal punto di vista legale la procedura all’epoca è stata corretta: più difficile considerarla tale, invece, sulla base della sensibilità e degli attuali criteri etici.

Certamente la tradizione e la fama del museo hanno portato i curatori ad aprirlo al pubblico per valorizzare una collezione universitaria nota e con una ricca bibliografia all’attivo. Aprirlo però in occasione del 150esimo dell’Unità d’Italia, forse, è stato - anche da un punto di vista della comunicazione – una scelta imprudente che ha fornito un ulteriore spunto per lo scoppio della polemica. Casi come questi alzano la soglia della sensibilità di tutti quei musei che conservano i resti umani; solo una corretta valutazione preventiva e una chiara, ragionata e pubblica politica, può garantire il riconoscimento della necessaria autorevolezza ai musei.

Si dovrebbero evitare le situazioni che possono scaturire in “over reaction”, ossia che vadano inutilmente a intaccare la conoscenza e la ricerca scientifica, in tutti quei settori dove lavorare con i resti umani è basilare.

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Fig. 21 - Museo Lombroso, Sala d’Ingresso, Torino

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Fig. 23 - Lo Studio di Cesare Lombroso, Museo Lombroso, Torino.

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9.4 LA MOSTRA BODY WORLDS: CORPI UMANI