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L’EROICITÀ DI MARTÍN FIERRO

CAPITOLO 3. IL PERSONAGGIO MARTÍN FIERRO

3.7 L’EROICITÀ DI MARTÍN FIERRO

La figura di Fierro, poco a poco, è diventata un simbolo dell’argentinità grazie alla sua capacità di saper resistere, di affrontare il potere e di lottare per la giustizia sociale. A tal proposito Ángel Núñez83 ha creato uno schema, all’interno del quale sono racchiuse tutte le azioni (gli atti, gli atteggiamenti) compiute da Martín Fierro e ciò che ad essi è connesso; tale schema è il seguente:

I.1. Sequenza «A». Dall’ordine all’ingiustizia

La vita felice condotta da Martín Fierro, che conosciamo grazie al suo racconto possiede un antefatto, ovvero i momenti precedenti agli episodi che scatenano la sua disgrazia. Nel poema viene descritta inanzitutto una situazione di armonia sociale generale (II canto) e, successivamente, la condizione di Fierro (canto III), la quale coincideva con la prima in quanto al lavoro, alla vita familiare organizzata e alla situazione di serenità collettiva. La caratterizzazione generale si può riscontrare nei seguenti versi:

Yo he conocido esta tierra en que el paisano vivía y su ranchito tenía y sus hijos y mujer….

82 Raúl Dorra, Martín Fierro: la voz como forma de un destino nacional, in “La voz y la

letra”, Puebla, Plaza y Valdés Universidad de Puebla, 1997, pp. 125-126.

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Ángel Núñez, «La heroicidad de Martín Fierro y del pueblo gaucho», in Martín Fierro, a cura di Élida Lois e Ángel Núñez, Madrid, Colección Archivos, 2001.

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era una delicia el ver

cómo pasaba sus dias (I, 133-138).

Il singolare “el paisano” sostituisce, probabilmente, un plurale generico che verrà ripetuto nella strofa seguente. Tuttavia, questa descrizione generica, nella quale il gaucho ha una collocazione ben precisa, si riferisce a un momento di sererenità per il gaucho, dopo il quale si ha un brusco cambiamento:

Estaba el gaucho en su pago con toda seguridá;

pero aura… ¡barbaridá!, la cosa anda tan fruncida, que gasta el pobre la vida

en juir de la autoridá. (I, 253-258).

La situazione particolare nella quale si trovava Fierro era, effettivamente, quella del cambiamento, della perdita dell’armonia tra l’uomo-gaucho e la società.

Tuve en mi pago en un tiempo hijos, hacienda y mujer; pero empecé a padecer, me echaron a la frontera, ¡y qué iba a hallar al volver! Tan sólo hallé la tapera (I, 289-294).

Il rovesciamento di questo mondo ideale che circondava Fierro arrivò nel momento in cui questi venne inviato alla frontiera :

Cantando estaba una vez en una gran diversión, y aprovechó la ocasión como quiso el juez de paz: se presentó, y ay no más hizo una arriada en montón.

Juyeron los más matreros84 y lograron escapar:

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Yo no quise disparar:

soy manso y no habia por qué. Muy tranquilo me quedé

y ansí me dejé agarrar. (I, 307-318).

Certamente, Fierro sapeva che non era necessario fuggire dato che, non essendo un criminale, la leva militare non avrebbe dovuto riguardarlo. L’esercito, però, aveva bisogno di uomini che andassero a combattere nelle zone di confine e, data la mancanza di soldati, molti condannati al carcere scontavano la propria pena arruolandosi. I problemi seri però, si ebbero quando iniziò il reclutamento dei civili, prima attraverso l’applicazione del “delito de vagancia” ovvero il reato di vagabondaggine, e dopo, semplicemente, mediante l’incorporazione del maggior numero di persone. Il mantenimento delle truppe nella guerra della Triplice Alleanza contro il Paraguay, tra il 1865 e il 1869, esigé un maggiore numero di soldati; chi si occupava di reclutare gli uomini da inviare alla frontiera era il Giudice di Pace, rappresentante del governo che aveva la funzione di reclutare individui appartenenti alla comunità gaucha. Nei confronti di Fierro si era mal disposto poiché quest’ultimo non aveva votato per il governo (come ben sappiamo, quello del voto era uno dei tributi dovuti allo stato da parte dei gauchos). L’arruolamento avrebbe dovuto essere temporaneo, in realtà Fierro trascorse tre anni in quei luoghi, dopodiché decise di scappare; si unì ad altri gauchos ed entrò a far parte di un contingente. Successivamente si trovò ad affrontare varie prove: la prima delle prove superate fu quella del lavoro rurale obbligatorio. La seconda prova fu il litigio con un indio durante un “malón” (attacco degli indios). Queste prove erano molto importanti, poiché riflettevano anche problematiche sociali. Nella seconda prova vediamo rappresentato il confronto tra due mondi che il poema mostra come antagonisti ovvero quello militare e quello degli indios; difatti, nel Martín Fierro viene costantemente reiterato il disprezzo nei confronti degli indios. La terza prova, quella riguardante la tiratura delle pelli, ebbe origine da un episodio comico. Una notte, quando Fierro stava tornando al fortino,

66 un lavoratore italiano che era di guardia, mezzo ubriaco, non lo riconobbe e gli chiese «¿Quén vívore?» (I, 860) per «¿Quién vive?» e dopo «¡Ha garto!» (I, 862) per «haga alto», tali parole motivarono la risposta comica di Fierro: «¿Qué víboras» (I, 861), e dopo «Más lagarto serás vos» (I, 864). Il napoletano sparò contro Fierro sbagliando, per fortuna, e svegliando l’intero quartiere, anche se alla fine fu Fierro a pagare le conseguenze per l’accaduto, venendo, di fatto, torturato. In seguito a quest’episodio, a mio parere, si può leggere nelle parole di Fierro, dietro il quale si nasconde Hernández, una chiara protesta nei confronti dello Stato; l’autore è combattuto tra la sua devozione al progresso e il suo essere un creolo reticente. Un suo grande amico, il Colonello Álvaro Barros85 gli riferisce alcuni aneddoti di molti stranieri che erano stati reclutati per combattere alla frontiera. Ed è per questo che l’autore, a un certo punto del poema, si sdoppia, cedendo la parola a Martín Fierro:

Yo no sé por qué el Gobierno nos manda aquí a la frontera gringada que ni siquiera se sabe atracar a un pingo. ¡Si crerá al mandar un gringo que nos manda alguna fiera! No hacen más que dar trabajo, pues no saben ni ensillar, no sirven ni pa carniar86, y yo he visto muchas veces que ni voltiadas las reses

se les querían arrimar. (I, 889-900).

All’inizio dell’episodio, il protagonista si rivolse in modo sprezzante nei confronti dei “gringos” (stranieri) che facevano parte dell’esercito, «al

85 Il Colonello Álvaro Barros, sette anni più grande di Hernández, figlio di unitarios,

esiliato a Montevideo, combatte al fianco di Urquiza a Caseros, contro Lagos a Buenos Aires e contro Urquiza a Cepeda y Pavón. Esperto di guerre di confine, dice nel suo libro: «Los extranjeros son absolutamente inútiles en el servicio de la frontera y sin embargo allí son remitidos». Álvaro Barros, Fronteras y territorios federales de las Pampas del Sur, Buenos Aires, Hachette, 1957, p. 115.

67 fortín, un enganchao87 / que estaba medio mamao88 / allí me desconoció / Era un gringo tan bozal89, que nada se le entendía.». La questione o meglio la problematica dello straniero era molto sentita, in quel periodo storico, in Argentina; infatti, durante l’epoca in cui venne pubblicato il Martín Fierro, il paese fu soggetto a un forte aumento del numero degli immigrati, e la maggior parte di essi erano italiani, soprattutto del sud. Dopo il castigo subito, Martín Fierro decise di scappare dal fortino, nel quale aveva trascorso tre anni ma quando tornò a casa, dovette fronteggiare una situazione d’ingiustizia: il ranch, dove aveva vissuto serenamente e per molto tempo con la sua famiglia, era ormai un rudere, il piccolo campo che possedeva era stato venduto, la moglie era fuggita con un altro uomo per cercare di salvarsi dalla miseria e i figli erano sparsi in luoghi diversi e sconosciuti.

I.2. Sequenza «B». Riconoscimento di Fierro come «eroe»

Fierro, come abbiamo potuto notare in più occasioni, era un uomo valoroso nel suo modo di agire. Il litigio con l’indio, per esempio, fu un evento in cui mostrò tutto il suo coraggio. Infatti, è proprio da quest’episodio che si può iniziare a parlare di Fierro come eroe. Continuarono i litigi, le lotte, spesso sciocche e inutili, indicative di un’aggressività e di una frustrazione molto grandi che portarono a critiche severe da parte degli studiosi. Un esempio eloquente di tale comportamento, impetuoso e violento, fu l’episodio in cui, ubriaco, Fierro insultò una nera, provocando, successivamente, il duello tra lui e il Moreno. Quest’ultimo venne poi ucciso dal protagonista nella lotta con i coltelli, modalità di combattimento abituale della campagna. Il nero riuscì a ferire Fierro in volto, procurandogli un taglio, l’atto di sfregiare l’avversario, in un duello tra creoli, era un’offesa gravissima per chi lo subiva, poiché tale ferita

87 Enganchao: soldato che si arruola volontariamente e che percepisce uno stipendio per il

suo lavoro.

88 Mamao: ubriaco. 89

Bozal: inetto, incolto, goffo, incapacità nel sapersi esprimere. Originariamente, questo appellativo veniva dato agli schiavi neri d’America.

68 l’avrebbe dovuta esibire a vita. La risposta di Fierro a questo affronto fu brutale, tanto è vero che sfociò nella morte del Moreno. Frustrato e perseguitato per aver disertato, l’aggressività era l’unica risposta plausibile per Fierro, ma non solo, anche la ricerca di una nuova identità lo era. L’unica maniera che conosceva per affermare la sua supremazia sugli altri era prendersela con esseri più deboli, che considerava inferiori a lui. L’eco del razzismo risuonava forte e chiaro nelle parole cantate alla Negra:

«A los blancos hizo Dios; a los mulatos, San Pedro; a los negros hizo el diablo

para tizón del infierno.» (I, 1167-1170)

Il gaucho, che si vantava delle sue caratteristiche fisiche e delle sue qualità da combattente, e che era protetto dal comandante militare, lo provocò chiaramente dicendogli «Beba, cuñao90» (I,1292), e Fierro, infastidito, reagì uccidendolo in duello. Il parossismo della violenza, del coraggio, della lotta, sfociò nel confronto tra Fierro e la squadra della polizia, che riuscì, infine, a catturarlo. Erano dodici o quindici soldati, ma solo sei vennero feriti o uccisi dal protagonista. Prima un indio, poi un nero, successivamente un gaucho sbruffone, insomma, quasi una squadra completa. Martín Fierro stava iniziando ad acquistare una certa fama, da quando il lemma fierro cominciò a essere utilizzato per indicare il coltello, strumento o meglio arma che il protagonista usava durante i suoi duelli: «Y le hice sentir el fierro» (I, 1552). L’eccezionalità di questo lottatore, l’esaltazione dello scontro, del combattimento coincidevano con il momento in cui il Sergente della squadra, Cruz, commosso, difese il valoroso e impavido Martín Fierro. Quest’ultimo si era guadagnato un alleato fondamentale, non solo per la difficilissima situazione nella quale s’incontrava in quel momento, ma anche per quanto riguardava le azioni che avrebbe compiuto in futuro. La caratterizzazione di Fierro come disertore,

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Cuñao: trattamento amichevole tra la gente di campagna, in questo caso, tuttavia, denota una familiarità inopportuna e offensiva.

69 malvivente e assassino, gli impedì ogni possibilità di inserimento nella società, con la conseguente emarginazione. Neanche Cruz, Sergente e traditore dei suoi subordinati, per di più ex malvivente, riuscì a integrarsi nella società. Presi dalla disperazione, i due si diressero verso alcune tende degli indios, ubicate nel bel mezzo della Pampa, nella speranza di correre meno rischi possibili e di essere più protetti in quelle zone. Un altro aspetto che rafforzava il legame tra queste due figure era il fatto che entrambi avessero vissuto esperienze, soprattutto negative, molto simili. Una volta raggiunti gli accampamenti degli indios, Cruz e Fierro vennero separati, a scopo precauzionale, poiché gli indios non si fidavano degli uomini bianchi:

Allí estaban vigilantes cuidándonos a porfía; cuando roncar parecían

«Huaincá»91, gritaba cualquiera, y toda la fila entera

«Huaincá», «Huaincá», repetía. (II, 301-306).

L’esperienza dell’esilio (così venne definita nel poema, destierro, II, 987) costituì una doppia sofferenza per Martín: l’allontanamento dalla propria terra e dalla famiglia con la conseguente perdita di entrambi; l’essere costretto a vivere in un luogo non solo straniero ma anche ostile. Tre furono le prove che dovette affrontare Martín nelle tende degli indios. La prima prova la affrontò insieme a Cruz, infatti, ebbe luogo nel momento in cui i due si rincontrarono, dopo che non si erano visti per due anni:

No pude tener con Cruz ninguna conversación; no nos daban ocasión. Nos trataban como agenos. Como dos años lo menos

91 Huaincá: Tiscornia afferma che si tratta di un’esclamazione utilizzata nelle tribù

araucane e pampeane la cui vera pronuncia è huinca. Con questa parola veniva designato l’uomo bianco. Questo critico ritiene che l’accentuazione acuta imiti il grido prolungato del selvaggio. Si veda Eleuterio Felipe Tiscornia, «La lengua de “Martín Fierro”», in José Hernández, Martín Fierro comentado y anotado, a cura di José Hernández ed Eleuterio Felipe Tiscornia Buenos Aires, Coni, 1930, p. 301. D’altra parte, era logico che il gaucho, che tergiversava e indugiava nel suo idioma, commettesse errori nel trascrivere parole straniere.

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duró esta separación. (II, 397-402).

Dal punto di vista narratologico, è interessante vedere come Hernández ci riassuma questo lasso di tempo della durata di due anni, che i due amici avevano trascorso lontani l’uno dall’altro, in maniera molto rapida e sbrigativa. In questo senso, è doveroso ricorrere sugli aspetti del racconto relativi alla temporalità, trattati ampiamente da Genette. Il critico francese suddivide il discorso narrativo in tre categorie fondamentali: il tempo, ossia le relazioni temporali fra racconto e storia (diegesi); il modo, cioè la forma e i gradi della rappresentazione narrativa; infine, la voce, ovvero la situazione dell’istanza narrativa. I versi sopra citati, però, riguardano lo studio del tempo, che a sua volta, concerne gli aspetti dell’ordine, della durata e della frequenza. Spesso il racconto dispone gli eventi in un ordine diverso dalla successione cronologica propria della storia, proprio in questo consiste la distinzione tra fabula e intreccio. Difatti, con il primo termine s’intende l’insieme degli elementi di una storia considerati nel loro ordine logico e cronologico, mentre l’intreccio è l’insieme degli eventi della storia nella successione in cui l’autore li ha voluti disporre, che può coincidere o no con la fabula. Il confronto fra l’ordine degli avvenimenti nel racconto-narrazione e l’ordine che gli stessi avvenimenti hanno nella storia mette in evidenza le anacronie, ossia distorsioni temporali che caratterizzano l’opera narrativa. Un classico tipo di distorsione è l’impiego del flash back, che Genette chiama analessi (in greco «prendere a fatti compiuti»), ossia qualsiasi evocazione di un evento anteriore al punto della storia in cui ci si trova92. Gli ultimi due versi della sestina sopra riportata chiariscono bene il concetto di analessi poc’anzi menzionato. Infatti, qualche passaggio più avanti leggiamo:

Nos retiramos con Cruz a la orilla de un pajal. Por no pasarlo tan mal en el desierto infinito,

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hicimos como un bendito

con dos cueros de bagual. (II, 409-414).

Qui gli avvenimenti sono già avvenuti ma il narratore della storia, che in questo momento è Fierro, ci racconta le sue avventure con lo scopo di informare il lettore su quanto è già successo, in modo che possa comprendere al meglio il prosieguo della storia. Difatti il narratore ci riferisce che i due gauchos arrivarono nelle tende degli indios quando questi stavano organizzando un malón (attacco a sorpresa degli indigeni) contro il governo. Infatti, non appena i selvaggi videro Cruz e Fierro, scambiandoli per spie, tentarono il linciaggio ma, fortunatamente per i due protagonisti uno dei capi indios, mostrando la propria benevolenza, riuscì a convincere i suoi subordinati che gli sarebbe convenuto tenerli come ostaggi piuttosto che ucciderli:

Vino al fin el lenguaraz93, como a trairnos el perdón. Nos dijo: -«La salvación se la deben a un cacique; me manda que les esplique que se trata de un malón. Les ha dicho a los demás que ustedes queden cautivos, por si cain algunos vivos en poder de los cristianos rescatar a sus hermanos

con estos dos fugitivos. (II, 247-258).

Questo stesso uomo, alcuni anni più tardi, regalò dei cavalli ai due gauchos, i quali gradirono il dono e ne fecero buon uso:

El tiempo sigue en su giro y nosotros solitarios. De los indios sanguinarios no teníamos qué esperar. El que nos salvó al llegar era el más hospitalario.

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Mostró doble corazón, cristiano anelaba ser. La justicia es un deber, y sus méritos no callo: nos regaló unos caballos

y a veces nos vino a ver. (II, 775-786).

I benefici ricevuti da parte di questo capo tribù degli indios condussero a conseguenze spiacevoli, quando nell’intera regione si diffuse un’epidemia di vaiolo e il cacique, amico dei due malviventi, si ammalò gravemente: «el que nos había salvado, / cayó también atacado / de la fiebre y la virgüela» (II, 874-876). I rimedi impiegati dagli indios per evitare il contagio erano terribili:

Allí soporta el paciente las terribles curaciones, pues a golpes y estrujones, son los remedios aquellos. Lo agarran de los cabellos

y le arrancan los mechones. (II, 817-822).

Poco più avanti leggiamo:

A otros le cuecen la boca Aunque de dolores cruja; lo agarran y allí lo estrujan; labios le queman y dientes con un güevo bien caliente

de alguna gallina bruja. (II, 835-840).

Queste descrizioni macabre, molto dettagliate, venivano utilizzate spesso da Hernández nel poema per raccontare scene di vita quotidiana o abitudini di un popolo, come potevano essere i gauchos o gli indios in questo caso. L’autore nel fare questo sta attento a misurare le parole ovvero narra impiegando una quantità di vocaboli ben specifica. Infatti, nella sua opera, il filo conduttore è l’azione e non le narrazioni superflue; ciò che fa l’autore, durante tutta l’opera, è fornire alcune chiavi di lettura, dare degli indizi, riguardanti una scena in particolare, e affidando all’immaginazione

73 del lettore il compito di riempire le lacune lasciate da Hernández. Quest’ultimo, infatti, rispetto ai poeti gaucheschi che l’hanno preceduto, adopera una forma e uno stile descrittivo molto diversi: elude le ripetizioni e le descrizioni non necessarie. Non cade negli eccessi descrittivi di Ascasubi, né nei gusti pittoreschi di Del Campo. Non vuole intrattenere con la pura conversazione o compiacersi delle sue straordinarie abilità descrittive ma vuole interagire con il lettore94. Tornando alla vicenda del cacique che si era ammalato di vaiolo, motivo per il quale gli indios volevano linciarlo, Fierro e Cruz, agendo in maniera molto coraggiosa, difesero il loro amico, che in più di una circostanza li aveva aiutati: «lo defendimos nosotros, / no lo dejamos lanciar.» (II, 887-888). In realtà, l’episodio centrale e maggiormente significativo di questa esperienza vissuta tra gli indios fu la morte di Cruz, causata proprio della diffusione dell’epidemia del vaiolo:

El recuerdo me atormenta, se renueva mi pesar, me dan ganas de llorar, nada a mis penas igualo. Cruz también cayó muy malo, ya para no levantar. (II, 895-900).

La sua perdita, oltre a procurare un forte dolore a Martín, comportò gravi conseguenze a livello strutturale. Difatti, la mancanza di Cruz si notò già nella seconda prova affrontata da Fierro, quella del combattimento con l’indio ingaggiato perché stava maltrattando una prigioniera. In quest’episodio Fierro rimpianse profondamente l’assenza di Cruz, per di più la mancanza di un aiutante, di una persona sulla quale poter contare nei momenti di maggiore difficoltà, mise a rischio la sua vita. La morte di Cruz, quindi, non solo fu una tragica perdita a livello emotivo ma costituì un ostacolo serio per l’incolumità e la sopravvivenza del protagonista, rimasto oramai solo:

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Rodolfo A. Borello, «Hernández: poesía y política», in José Hernández, Martín Fierro, a cura di Élida Lois e Ángel Núñez, Madrid, Colección Archivos, 2001. p. 1011.

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Un hombre junto con otro en valor y en juerza crece; el temor desaparece; escapa de cualquier trampa. Entre dos, no digo una pampa, a la tribu si se ofrece. (II, 1177-1182).

Continuando a seguire lo schema proposto da Ángel Núñez notiamo che se nella sotto sequenza «Alfa», Fierro era l’aggressivo e il lottatore (facendo riferimento al periodo che trascorse nel suo villaggio, dopo essere