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CAPITOLO 4. GLI ALTRI PERSONAGGI DEL MARTÍN FIERRO

4.2 VIZCACHA

I personaggi Cruz e Fierro sono stati protagonisti, soprattutto, nella prima parte del poema, sebbene Martín abbia svolto un ruolo di primaria importanza anche nella seconda. Nella Vuelta vengono introdotti nuovi personaggi, uno di questi è Vizcacha. Tale personaggio è stato minuziosamente descritto da Hernández, il quale ha manifestato un forte interessamento nei suoi confronti; non si tratta di un interesse superficiale, bensì concreto, dovuto alla completezza del personaggio. È l’unico, nell’opera, il cui carattere viene tratteggiato e delineato mediate il resoconto di aneddoti. Difatti, viene introdotto nel poema dall’Hijo segundo di Fierro, in questo modo:

Me llevó consigo un viejo que pronto mostró la hilacha124: dejaba ver por la facha

que era medio cimarrón, muy renegao, muy ladrón,

y le llamaban Viscacha125. (II, 2157-2162).

Anche per lui, quindi, così come avveniva per Cruz, il nome era un fattore integrante della psicologia, anticipatore della sua personalità. Indipendentemente dalla descrizione che ci fornisce l’autore, Vizcacha apporta al poema una novità: l’introduzione di un settore umano molto vasto ovvero quello dell’anziano contadino, che aveva sempre vissuto in

123 J. B. Hughes, op. cit., pp. 140-148. 124

Mostró la hilacha: ebbe modo di far conoscere la sua personalità.

99 campagna e che in quest’opera ancora non figurava. Rimane impresso nella memoria del lettore, poiché caratterizzato da tratti più profondi e veritieri rispetto a quelli che contraddistinguevano lo stesso Fierro. Era la prima volta, nel poema, che l’autore cercava di attribuire una fisionomia a un personaggio, circondandolo dei suoi utensili e dei suoi effetti personali. Difatti, i cani, gli attrezzi e il ranch formavano un tutt’uno con il suo carattere e la sua indole. Ciò che diceva si armonizzava perfettamente con quello che pensava, ciò che pensava con quello che sentiva e quello che sentiva con quello che faceva. Grazie a questo personaggio l’autore cambia completamente strategia, utilizzando una nuova tecnica descrittiva, che non si limitava più a tratteggiare una figura e il suo carattere in poche e semplici parole, bensì si preoccupava di modellare il soggetto in questione, fornendo più dettagli e sfumature possibili. Il nostro protagonista Martín, molto più limitato nel suo raggio d’azione, svanisce di fronte a tale personaggio. Questa sua forte connotazione, paragonabile a quella dell’eroe centrale, diede origine alla creazione di un ambiente intorno a lui, nel quale si riconosceva e a una propria posizione filosofica dinanzi alla vita. Hernández è stato capace di raccontare la sua biografia in due parti distinte, una pittoresca e l’altra macabra. Il mondo riflesso dalla mente di Vizcacha era un inferno elaborato dall’uomo, dove una massa di rettili e lucertole umani stesi al sole si divoravano tra di loro, uno dopo l’altro. Vizcacha, in realtà, era un individuo socievole e affabile, che aveva un modo molto originale di intendere la società. Mentre Martín ci mostrava il suo mondo attraverso le sue reazioni, Vizcacha lo faceva attraverso l’adeguamento. Il suo raggio d’azione era molto limitato, infatti, per lui la caverna, era l’ombelico del pianeta, in essa mangiava, dormiva e pensava; quando usciva, invece, lo faceva, solo ed esclusivamente, per impossessarsi di oggetti o di beni altrui, utilizzando stratagemmi ingegnosi e astuti:

«Si ensartaba algún asao, ¡pobre!, ¡como si lo viese!: poco antes de que estubiese,

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primero lo maldecía, luego después lo escupía

para que naides comiese.» (II,2559-2564).

Egli possedeva una particolare e personale concezione della vita, infatti, amava i cani e disprezzava gli uomini:

Y me ha contado además el gaucho que hizo el entierro -al recordarlo me aterro, me da pavor este asunto- que la mano del dijunto

se la había comido un perro. (II, 2721-2726).

Le uniche relazioni che Vizcacha aveva con suoi simili erano, semplicemente, corporali; la sua anima rimaneva, permanentemente, chiusa in se stessa, come fosse dentro una caverna. L’anziano uomo incarnava appieno la condizione della solitudine, che difficilmente riscontriamo in altri personaggi del poema, eccetto nel Hijo Mayor di Fierro, il quale la subì come castigo126. Dopo la morte di Vizcacha, il sindaco e alcuni vicini ricostruirono il suo carattere, la sua natura, attraverso gli aneddoti che ognuna di queste persone raccontava sull’anziano contadino. Le storie che lo riguardavano rafforzarono la visione della sua personalità, tracciata in un quadro di efficace espressionismo:

-«Ánima bendita –dijo un viejo medio ladiao-; que Dios lo haiga perdonao es todo cuanto deseo. Le conocí un pasoreo127 De terneritos robaos.» -«Ansina es –dijo el alcalde-. […]

«De mozo fue muy ginete, no lo bajaba un bajual; pa ensillar un animal sin necesitar de otro,

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Cfr. E. Martínez Estrada, op. cit., tomo I, 1948, pp. 86-90.

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se encerraba en el corral y allí golpiaba el potro.» «Se llevaba mal con todos; era su costumbre vieja el mesturar las ovejas, pues al hacer el aparte sacaba la mejor parte

y después venía con quejas.» (II, 2523-2546).

I dettagli “esperpentici” si accentuarono durante la descrizione del processo della sua agonia e per ciò che avvenne in seguito alla sua sepoltura, con la mano insepolta che fuoriusciva, divorata dal suo cane. Una volta morto, il problema era la sua misera eredità: «sacando mil chucherías / y guascas y trapos viejos» (II, 2603-2604). Hernández, come segnala Hughes, fa in modo che «le cose, gli oggetti dell’anziano Vizcacha abbiano una realtà propria e che il registro di tutti i suoi effetti accumulati, nel tempo, ci imprima, con un inchiostro incancellabile, la sua individualità grottesca»128. Le forme nominali, che predominano in maniera opprimente, anticipano tecniche surrealiste, attraverso l’elencazione di oggetti ostili:

Salieron varios cancerros, alesnas, lonjas129, cuchillos, unos cuantos coginillos130, un alto de gergas viejas, muchas botas desparejas y una infinidad de anillos. Había tarros de sardinas, unos cueros de venao, unos ponchos augeriaos. Y en tan tremendo entrevero apareció hasta un tintero

que se perdió en el juzgao. (II, 2619-2630).

Il ruolo più importante esercitato dall’anziano Vizcacha fu quello di tutore del Hijo Segundo di Fierro. In base a quanto affermato fin qua, Vizcacha possiamo caratterizzarlo come un personaggio astuto, ingannatore,

128 J. B. Hughes, op. cit., p. 155. 129 Lonjas: pezzi, strisce di cuoio. 130

Coginillos (cojinillo): una specie di coperta di lana che il fantino mette sulla sella per stare più comodo.

102 simulatore ma, anche, molto scettico e diffidente; queste erano tutte caratteristiche tipiche del picaro. L’essenza del suo carattere derivava anche dai suoi consigli:

«Hacéte amigo del juez, no le des de qué quejarse; y cuando quiera enojarse vos te debés encojer, pues siempre es güeno tener

palenque ande ir a rascarse.» (II, 2319-2324). «No andés cambiando de cueva,

hacé las que hace el ratón: conserváte en el rincón en que empesó tu esistencia: vaca que cambia querencia

se atrasa en la parición.» (II, 2337-2342).

I moniti di Vizcacha si oppongono ai consigli che nel finale dell’opera Martín Fierro dispenserà ai suoi figli. Attraverso questi suggerimenti l’autore ha voluto presentare al lettore l’immagine umana, terrena di Vizcacha, nonostante le sue debolezze e le parvenze caricaturali. Di lui sappiamo, per bocca del Hijo Segundo di Fierro, che era vedovo e che aveva ucciso sua moglie con un bastone, perché lei gli aveva servito un “mate” freddo:

Cuando mozo fue casao, aunque yo lo deconfío; y decía un amigo mío que, de arrebatao y malo, mató a su muger de un palo

porque le dio un mate frío131. (II, 2283-2288).

Il rimorso non lo lasciava dormire in pace, tant’è che sognava spesso sua moglie, che lo chiamava dall’inferno. Avaro, maniaco e geloso della sua tana, non lasciava che nessuno si avvicinasse, tanto meno il figlio di Fierro.

131 Mate frío: esiste un linguaggio particolare sul mate, conforme ai vari modi in cui questo

può essere servito. Il mate freddo rivela l’indifferenza da parte di chi lo offre verso quello che lo riceve.

103 Proprio per questo motivo, il povero ragazzo fu costretto a passare le notti a cielo aperto, mezzo nudo:

Yo tenía unas jergas viejas que habían sido más peludas; y con mis carnes desnudas, el Viejo, que era una fiera, me echaba a dormir ajuera

con unas heladas crudas. (II, 2277-2282).

Tornando a Vizcacha e ai suoi consigli, possiamo dire che, grazie a questi, l’anziano personaggio è arrivato a occupare, in più occasioni, il medesimo ruolo, in quanto a importanza, di Martín Fierro, divenendo una figura immortale anche al di fuori del poema132. A tal proposito, invece, Borges non era d’accordo, difatti, affermava: «È deplorevole che questi consigli rappresentino l’essenza del poema per molte persone, cancellando, invece, le tante pagine nobili che sono state scritte»133. Dal punto di vista tecnico e stilistico, l’autore, nel raccontare la figura di Vizcacha, si è divertito, giocando con vari tipi di elocuzione. In primo luogo, quella narrativa, in terza persona (quando parla el Hijo Segundo di Fierro) e, successivamente, in prima persona (in questo caso è sempre il figlio di Fierro che sta raccontando le pene passate insieme all’anziano Vizcacha, descrivendoci quindi il personaggio); infine, ci sono i consigli, sempre narrati in prima persona, però, questa volta, da Vizcacha:

ansí principiaba a hablar: -«Jamás llegués a parar a donde veas perros flacos. El primer cuidao del hombre

es defender el pellejo. (II, 2310-2314).

Vizcacha rappresenta la negazione, è un misogino, antisociale che s’isola dal mondo degli uomini e delle donne, preferendo la compagnia dei

132 José Hernández, Martín Fierro, Barcelona, Orbis, 1982, p109. 133

Jorge Luis Borges, El Martín Fierro, Col. Esquemas, Buenos Aires, Columba, 1953, p. 58.

104 suoi cani. È un maestro dell’astuzia spietata, dell’avarizia ostinata e della perversità. Come personaggio letterario si può definire una figura eroica al contrario, ammirevole per la sua malvagità illimitata. Nel Martín Fierro non c’è una parte più originale e intensa dei canti che vanno dal XIV al XVIII della seconda parte, nei quali viene delineata la figura del vecchio Vizcacha. In termini romanzeschi è il personaggio descritto e meglio rappresentato nel poema, e proprio in questo sta la differenza con le altre figure. Se Vizcacha fa la sua parte nel quadro completo del gaucho, l’interesse primordiale del personaggio risiede in se stesso, nella sua indole e non nella funzione che svolge. I temi fondamentali del poema come la solitudine, l’indipendenza dell’individuo, la consapevolezza che si apprende dall’esperienza e il valore, fanno parte di lui, come delle altre figure, ma in modo diverso, in una forma più caricaturale, grottesca e con un’impronta verbale originalissima. Infatti, nelle similitudini che ci propone ricorre sempre, per affinità naturale, a paragoni con gli animali più ignobili e abietti, come il topo, l’asino, il maiale, la formica, ecc. Il suo linguaggio stravagante e creativo appartiene solo a lui; le sue metafore e similitudini, come il famoso caso del cuore della donna, hanno una vivacità e un dinamismo organici:

«Es un vicho la mujer que yo aquí no lo destapo: siempre quiere el hombre guapo, mas fijáte en la elección, porque tiene el corazón

como barriga de sapo.» (II, 2397-2402).

La pancia del rospo è un’immagine molto significativa in quanto, essendo la sua superficie mobile e viscida, difficile da toccare, richiama alla donna, anch’ella, per natura, volubile e restia. Vizcacha si è adattato a un ambiente infernale, che per lui era l’universo e l’unica cosa che voleva fare era difendersi da ogni possibile contatto umano, isolandosi da tutto e da tutti. L’ermetismo di Vizcacha è quasi totale134.

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