• Non ci sono risultati.

L’esaurimento solo comunitario: le ragioni della scelta con particolare riferimento alle

Nel documento Università degli Studi di Torino (pagine 43-50)

3. L’orientamento del legislatore europeo

3.2. L’esaurimento solo comunitario: le ragioni della scelta con particolare riferimento alle

modificò la Proposta di regolamento96 e, nel 1985, quella di direttiva97 inserendo negli articoli in esame la formula “nella Comunità” e sancendo, così, il principio dell’esaurimento solo comunitario. Questa formulazione venne poi mantenuta nella versione definitiva delle due norme, ovvero nell’art. 7 dir. 89/104 e nell’art. 13 reg. 40/9498: una grande differenza di significato con solo due piccole parole in più.

3.2. L’esaurimento solo comunitario: le ragioni della scelta con particolare riferimento

alle importazioni grigie

La scelta di limitare l’efficacia del principio dell’esaurimento al solo territorio europeo è da ricondurre ad una molteplicità di fattori.

Un ruolo fondamentale ebbero le pressioni dei rappresentanti dell’industria europea e di alcuni Stati membri contrari all’adozione dell’esaurimento internazionale99.

Venne poi tenuta in grande considerazione la possibile assenza di reciprocità, con riferimento all’esaurimento internazionale, nelle relazioni con i Paesi extraeuropei. Si riteneva, infatti, che, in caso di adozione del principio dell’esaurimento internazionale ad opera degli Stati membri, le imprese europee sarebbero state danneggiate dalla

96 La Proposta di regolamento, così come modificata nel 1984, è pubblicata in Riv. dir. ind., 1987, I, 296 ss.

97 Della modifica della Proposta di direttiva nel 1985 ci danno notizia RASMUSSEN J., The Principle of Exhaustion of Trade Mark Rights Pursuant to Directive 89/104 (and Regulation 40/94), in EIPR, 1995, 176 ss. e HAYS T., Parallel importation under European Union law, cit., 272.

98 In merito alle varie tappe che hanno portato all’adozione degli artt. 7 dir. 89/104 e 13 reg. 40/94 si vedano anche RASMUSSEN J., The Principle of Exhaustion of Trade Mark Rights Pursuant to Directive 89/104 (and Regulation 40/94), cit., 175 ss.; MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 167 ss.; HAYS T., Parallel importation under European Union law, cit., 268 ss. Per una lettura più sintetica sul tema si vedano, invece, CARBONI A., Cases Past the Post on Trade Mark Exhaustion: An English Perspective, in EIPR, 1997, 200 ss.;CORNISH W. R.,

Trade Marks: Portcullis for the EEA?, cit., 173 ss.; JEHORAM H. C., Prohibition of Parallel Imports Through Intellectual Property Rights, cit., 501 ss.; MANZO G., The interpretation of article 7 of council directive 89/104 (the trademark directive), in Dir. comm. internaz., 2000, 26 ss.

99 Cfr. CORNISH W. R., Trade Marks: Portcullis for the EEA?, cit., 174; JEHORAM H. C.,

Prohibition of Parallel Imports Through Intellectual Property Rights, cit., 501; CALBOLI I., Importazioni da Paesi terzi, principio di esaurimento e “consenso” del titolare del marchio: recenti sviluppi alla luce della Corte di giustizia delle comunità europee, in Riv. dir. ind., 2000, II, 71; HAYS T., Parallel importation under European Union law, cit., 271.

34

concorrenza internazionale, se i Paesi terzi, con i quali gli Stati membri intrattenevano relazioni commerciali, non l’avessero, invece, adottato100

. In questi casi, infatti, le imprese comunitarie non avrebbero potuto impedire l’importazione negli Stati membri di prodotti da loro commercializzati per la prima volta in Paesi terzi, cosa che, viceversa, avrebbero potuto fare le imprese extracomunitarie con riferimento ai prodotti da esse commercializzati per la prima volta nella Comunità.

Un fenomeno che influì molto sulla formulazione degli artt. 7 dir. 89/104 e 13 reg. 40/94 fu, infine, quello delle c.d. “importazioni grigie”. Con tale locuzione si fa riferimento all’ipotesi in cui il prodotto contraddistinto dal marchio X e commercializzato nello Stato A presenta delle caratteristiche difformi rispetto al prodotto, appartenente alla stessa classe merceologica e contraddistinto dallo stesso marchio, commercializzato nello Stato B: di conseguenza, la merce importata nel Paese B dal Paese A non sarà esattamente uguale a quella già circolante nel Paese B101. Le importazioni grigie si differenziano, dunque, dalle importazioni parallele per il fatto che, in queste ultime, la merce presente nei due Stati e contraddistinta dallo stesso segno è identica. In entrambi i casi, comunque, i prodotti originano dallo stesso imprenditore, titolare del marchio apposto su di essi, e sono introdotti nel mercato per la prima volta da lui o con il suo consenso; l’importatore è invece un soggetto terzo, estraneo alla catena di distribuzione autorizzata dal titolare.

È chiaro che, se si fosse optato per un regime di esaurimento internazionale, si sarebbe liberalizzata l’introduzione negli Stati membri di prodotti aventi caratteristiche differenti rispetto a quelli già circolanti all’interno del territorio europeo: non è escluso, infatti, che il titolare del marchio diversifichi i prodotti destinati al mercato comunitario da quelli destinati ai Paesi terzi. Queste differenze, effettuate sulla base del mercato di destinazione dei prodotti, possono essere spiegate tenendo in considerazione le

100 Questa osservazione era stata utilizzata anche dal Comitato economico e sociale a sostegno della sua proposta di limitare il principio dell’esaurimento al solo territorio comunitario. A tal proposito si veda MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit.,

168 (in nota). Si veda anche quanto detto alla nota n. 88 del presente lavoro.

101 Per un approfondimento sul tema delle importazioni grigie si veda FRANZOSI M., Il mercato grigio, in Riv. dir. ind., 1988, I, 312 ss.

35

esigenze ed i gusti dei consumatori, le condizioni della produzione e le normative nei vari Stati102: tutti elementi, questi, che talvolta rendono necessaria l’attuazione, ad opera del titolare del marchio, di una politica commerciale ed industriale che vari in relazione al mercato in cui il bene verrà commercializzato.

Il fatto che il marchio venga usato da uno stesso imprenditore negli Stati membri e nei Paesi terzi non implica, pertanto, che i prodotti contraddistinti da tale segno siano qualitativamente identici.

Queste circostanze giustificano, dunque, l’adozione di un principio d’esaurimento solo comunitario del marchio?

Alcuni Autori di spicco hanno risposto negativamente al quesito103.

Se, infatti, non si può negare che il potere di vietare l’ingresso in un mercato nazionale di prodotti aventi caratteristiche differenti e destinati ad una clientela diversa potrebbe essere giustificato, nonostante non venga lesa la funzione distintiva del marchio, sia dall’esigenza del titolare del segno di non deludere le aspettative degli acquirenti dei suoi prodotti, sia dall’interesse dei consumatori, non si deve tralasciare, però, che, come è stato fatto notare in dottrina, il titolare del marchio, al fine di tutelare tali interessi, potrebbe adottare segni diversi per i prodotti qualitativamente diseguali oppure potrebbe aggiungere al marchio elementi idonei ad evidenziare le varianti dei beni104.

Il fatto che esistano differenze qualitative tra beni provenienti dalla stessa impresa, ma destinati a mercati diversi, non sembra, in definitiva, poter di per sé giustificare la mancata adozione del principio dell’esaurimento internazionale.

102 AUTERI P., Territorialità del diritto di marchio e circolazione dei prodotti originali, cit., 90. 103 Si vedano a tale proposito le tesi di AUTERI P., Territorialità del diritto di marchio e circolazione dei prodotti originali, cit., 89 ss. e 281 ss.; SARTI D., Diritti esclusivi e circolazione dei beni,

cit., 462; CORNISH W. R., Trade Marks: Portcullis for the EEA?, cit., 175 ss.

104 AUTERI P., Territorialità del diritto di marchio e circolazione dei prodotti originali, cit., 90 e

36

A sostegno di tale affermazione occorre tenere in considerazione anche il fatto che, come sottolineato da alcuni Autori, il fenomeno della diversificazione locale dei prodotti ad opera del titolare del marchio non è molto diffuso105.

Non deve poi passare in secondo piano che, grazie alla scelta di limitare gli effetti dell’esaurimento al solo territorio comunitario, il titolare del marchio può opporsi anche alle importazioni parallele negli Stati membri, quelle, cioè, aventi ad oggetto prodotti commercializzati per la prima volta in Stati terzi perfettamente identici a quelli già circolanti nell’UE e provenienti dalla stessa fonte. L’adozione di un principio d’esaurimento territorialmente limitato implica, quindi, che possano essere impedite anche importazioni che non ledono nessuna delle funzioni del segno.

Forse sarebbe stato più coerente col sistema comunitario dei marchi, incentrato essenzialmente sulla tutela della funzione d’indicazione d’origine, estendere l’esaurimento anche ai prodotti commercializzati per la prima volta dal titolare o con il suo consenso in Paesi extraeuropei, prevedendo, però, dei motivi legittimi di opposizione a tali importazioni per il caso in cui altre funzioni del marchio fossero state lese106. Si sarebbe così seguito lo schema già previsto per l’esaurimento comunitario dagli artt. 7.2 dir. 89/104 e all’art. 13.2 reg. 40/94, i quali prevedono la sopravvivenza del diritto di privativa solo in presenza di motivi legittimi.

Tra le eccezioni all’esaurimento internazionale si sarebbe potuto annoverare proprio il fatto che i prodotti da importare nella Comunità fossero qualitativamente differenti rispetto a quelli contraddistinti dal medesimo marchio già circolanti in tale territorio107. A parere di alcuni Autori108, però, non tutte le differenze qualitative tra i

105 Cfr. AUTERI P., Territorialità del diritto di marchio e circolazione dei prodotti originali, cit.,

284, (in nota) e MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 180.

106

Tale soluzione viene, ad esempio, suggerita da CORNISH W. R., Trade Marks: Portcullis for the EEA?, cit., 175 ss. e anche SARTI D., Diritti esclusivi e circolazione dei beni, cit., 461 ss., il quale,

nell’ipotizzare che il legislatore europeo abbia optato per un regime d’esaurimento solo comunitario per evitare la presenza sul mercato di beni contraddistinti dallo stesso segno, ma dotati di qualità differenti, ritiene che, in tal caso, si sarebbe potuta estendere l’efficacia dell’esaurimento a livello internazionale e prevedere, poi, dei motivi legittimi di opposizione alle importazioni.

107 Un analogo motivo legittimo di opposizione all’importazione in uno Stato membro di prodotti commercializzati per la prima volta in un Paese terzo era stato previsto dal Comitato economico e sociale

37

prodotti destinati a mercati diversi dovrebbero essere considerate idonee a giustificare l’opposizione del titolare del marchio, altrimenti, al titolare basterebbe differenziare i beni a suo piacimento, senza che esista una reale necessità di diversificare i prodotti destinati ai vari Stati, per eliminare la concorrenza degli importatori paralleli. In presenza di difformità modeste, ad esempio, l’opposizione del titolare non dovrebbe considerarsi giustificata; anche l’esigenza di unificare i mercati, poi, dovrebbe indurre a non dare rilievo a certe differenze quando ciò potrebbe avere l’effetto di creare ripartizioni territoriali.

Il titolare dovrebbe essere legittimato ad opporsi, invece, sia nel caso in cui la differenziazione qualitativa dei suoi prodotti sia resa necessaria dalle particolari esigenze della clientela o dalle speciali condizioni di produzione nel mercato di destinazione, sia quando l’adozione di marchi diversi sarebbe un’operazione eccessivamente onerosa per l’imprenditore, o, comunque non sarebbe sufficiente a rendere note alla clientela le caratteristiche dei prodotti.

Un interessante spunto per risolvere la questione delle importazioni grigie, che conduce, tra l’altro, ad una soluzione molto simile a quella che si è fino ad ora prospettata, è dato da un principio elaborato negli USA: il principio della “materially

differing goods doctrine”109. In virtù di tale dottrina, nell’ordinamento statunitense, fra le ragioni che legittimano il titolare del marchio ad opporsi all’importazione di prodotti commercializzati da lui o con il suo consenso in Stati terzi vi è il fatto che i prodotti

nel suo parere del 1981. Contrario a tale previsione è, invece, ROVERATI F., Importazioni parallele da Paesi extracomunitari. “Esaurimento” del diritto di marchio e principio di “territorialità” alla luce della più recente giurisprudenza e della riforma della legge marchi, in Giur. it., 1994, I, 167. L’Autore,

infatti, ritiene incoerente distinguere tra importazioni parallele da Paesi terzi legittime ed illegittime, considerando illegittime quelle aventi ad oggetto prodotti qualitativamente differenti. Così facendo, infatti, si discriminerebbero gli imprenditori in grado di produrre articoli diversi per ciascun mercato e gli altri, dando, peraltro, solo ai primi la possibilità di far valere i loro diritti di proprietà industriale per ripartire i mercati e ridurre la concorrenza.

108

Si vedano in particolare AUTERI P., Territorialità del diritto di marchio e circolazione dei prodotti originali, cit., 90 e 282 ss.; FRANZOSI M., Il mercato grigio, cit., 317 ss.

109 Sull’argomento si veda MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 199 ss.

38

importati presentino caratteristiche difformi rispetto a quelli già circolanti negli USA con il medesimo marchio.

Le decisioni in cui le Corti statunitensi hanno applicato questo principio sono numerose110: una delle più famose è quella riguardante il caso “Tic Tac”111. In tale decisione l’importazione negli USA di caramelle “Tic Tac” provenienti dalla Gran Bretagna e contenenti un quantitativo di zuccheri superiore rispetto a quello posseduto dalle identiche caramelline già circolanti nel mercato statunitense è stata ritenuta illegittima, poiché idonea a creare confusione nel pubblico dei consumatori.

È importante evidenziare, infatti, che il principio della “materially differing

goods doctrine” trova la sua giustificazione nella volontà di evitare che i consumatori

vengano tratti in errore circa le reali caratteristiche del prodotto e che ottengano, pertanto, dall’acquisto, una soddisfazione ridotta rispetto a quella che avrebbero ottenuto comprando il prodotto destinato al mercato statunitense: si vuole, in sostanza, impedire che il pubblico venga ingannato.

Il corollario che se ne trae è che l’importazione negli Stati Uniti di prodotti commercializzati per la prima volta all’estero, dotati di caratteristiche difformi rispetto ai prodotti circolanti nel mercato USA, cessa di essere illegittima, qualora l’importatore comunichi in maniera adeguata tali circostanze: segnali, cioè, che, benché siano originali, i prodotti provengono da uno Stato terzo e presentano qualità differenti, espressamente specificate, rispetto ai beni venduti sul territorio statunitense.

Il sistema adottato dagli Stati Uniti sembra realizzare, dunque, un equo contemperamento tra il principio di libera circolazione delle merci e le esigenze dei titolari dei marchi e dei consumatori: il legislatore europeo potrebbe trarre da tale soluzione l’ispirazione per risolvere in maniera più convincente il problema delle

110 Per una breve rassegna delle sentenze delle Corti americane più significative in materia si veda MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 200 ss. 111 Corte Distrettuale degli Stati Uniti, 2 gennaio 1991, (Ferrero USA Inc. v. Ozak Trading Inc.), citata e brevemente commentata da MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 201.

39

importazioni grigie e dell’esaurimento internazionale in generale112

, senza limitarsi a circoscrivere l’efficacia dell’esaurimento al solo territorio europeo.

Anche alcuni giudici europei, prima che la Corte di Giustizia emanasse la sentenza Silhouette, avevano adottato una soluzione analoga a quella statunitense con riferimento alle importazioni parallele di prodotti qualitativamente diversi rispetto a quelli già commercializzati nello Stato di importazione113. In Gran Bretagna, ad esempio, la Corte d’Appello ha riconosciuto al titolare del marchio “Colgate” di opporsi all’importazione, in tale Stato, di dentifrici commercializzati in Brasile da una consociata, proprio per il fatto che tali prodotti presentavano caratteristiche differenti rispetto ai prodotti contraddistinti dal medesimo marchio circolanti in Gran Bretagna114. Nel caso di specie, in particolare, i dentifrici provenienti dal Brasile contenevano una maggiore quantità di gesso, ed in assenza di un’adeguata informazione a riguardo i consumatori inglesi avrebbero potuto essere tratti in inganno circa la qualità dei prodotti.

Anche la Suprema Corte svizzera era giunta a conclusioni analoghe115.

Queste decisioni sembrano dimostrare che l’esigenza di tutelare la reputazione del marchio e le aspettative dei consumatori circa la qualità dei prodotti contraddistinti da un determinato segno non implica necessariamente un divieto generalizzato delle importazioni parallele da Paesi terzi.

112 Questo è ciò che auspica MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 209.

113 Per una breve rassegna delle decisioni delle Corti europee sul tema si veda MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 205 ss.

114 Colgate-Palmolive Ltd v. Markwell Finance Ltd, 1989, citata e brevemente commentata da MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 206;

CORNISH W. R., Trade Marks: Portcullis for the EEA?, cit., 176; CARBONI A., Cases Past the Post on Trade Mark Exhaustion: An English Perspective, cit., 200.

40

Nel documento Università degli Studi di Torino (pagine 43-50)