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Le imprese legate da rapporti di gruppo

Nel documento Università degli Studi di Torino (pagine 146-150)

4. Le importazioni parallele

2.2. Le imprese legate da rapporti di gruppo

Un fenomeno ormai sempre più diffuso è quello dei c.d. marchi di gruppo e, cioè, dei marchi cousati da più imprese che, pur mantenendo la propria autonomia giuridica, operano sotto il controllo di una capogruppo non operativa, detta comunemente

holding, alla quale normalmente è attribuita la titolarità del marchio447.

In presenza di tali circostanze, com’è immaginabile, non è inconsueto che le imprese appartenenti al medesimo gruppo usino detto marchio ciascuna in un Paese membro diverso. Il quesito che occorre porsi a tale proposito è, dunque, se un’impresa, che usa il marchio in un determinato Stato membro, possa opporsi all’importazione in detto territorio di prodotti contraddistinti dallo stesso marchio e commercializzati in un altro Paese della comunità da un’altra società del gruppo o se, invece, il suo diritto di privativa debba ritenersi esaurito in seguito all’immissione del prodotto nel mercato UE ad opera della consociata.

A tale proposito la Corte di Giustizia ha espressamente statuito, nella sentenza “Ideal Standard”448

, che il principio dell’esaurimento comunitario si applica anche ai beni immessi in commercio per la prima volta nello Stato membro di esportazione da un soggetto giuridico distinto dal titolare del marchio nel Paese membro di importazione, ma a quest’ultimo collegato economicamente, come avviene, per esempio, nel caso delle imprese legate da rapporti di gruppo449.

446 Sul punto si veda SARTI D., Commento all’art. 30 TCE, cit., 146.

447 Si veda, a tale proposito, SENA G., Il diritto dei marchi: marchio nazionale e marchio comunitario, cit., 68.

448 CdG, 22 giugno 1994, c-9/93, (IHT International Heiztechnik GmbH v. Ideal Standard

GmbH), cit., 2383 ss.

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I giudici comunitari sono giunti a tale conclusione considerando il fatto che, in questi casi, l’uso del marchio è sottoposto ad una direzione unitaria e, dunque, la funzione distintiva del segno non rischia di essere pregiudicata. Tutti i prodotti contraddistinti da detto segno, infatti, anche se commercializzati da soggetti distinti ed in Paesi membri diversi, sono fabbricati sotto il controllo di un’unica impresa, alla quale può attribuirsi la responsabilità della loro qualità e, come rilevato dalla stessa Corte, la provenienza che il marchio è volto a garantire non è definita dal fabbricante, ma dal centro di gestione della produzione450.

I beni contraddistinti dal marchio di gruppo e commercializzati da una società facente parte di esso, quindi, sono riconducibili al titolare e si considerano, pertanto, immessi in commercio con il suo consenso ai sensi dell’art. 7.1 direttiva 89/104.

Il principio enunciato nella sentenza “Ideal Standard” in materia di marchi di gruppo, peraltro, è stato in seguito ribadito dalla Corte di giustizia nella pronuncia “Phyteron”451

. In tale decisione, infatti, i giudici comunitari, richiamandosi proprio a quanto da loro stabilito nella precedente sentenza, hanno escluso che il titolare di un marchio possa impedire le importazioni parallele, nello Stato membro in cui generalmente usa direttamente il segno, di beni di origine extracomunitaria, contraddistinti dal suo marchio ed introdotti sul mercato UE da una sua consociata: da tale commercializzazione, infatti, discenderebbe, secondo i giudici, anche l’esaurimento del suo diritto di privativa sul segno452

.

Occorre dunque constatare che un’impresa, autorizzata in virtù di una direttiva infragruppo ad usare il marchio in un Paese membro, non potrà opporsi all’importazione nel territorio affidatole di prodotti immessi in commercio altrove nella Comunità da una sua consociata: la commercializzazione dei beni ad opera di quest’ultima in uno Stato membro, infatti, comporterà l’esaurimento del diritto di

450 Punto 37 della decisione. Tali motivazioni, come già enunciato, valgono anche per i contratti di licenza: sul punto si rinvia al paragrafo 2.1.2. del presente capitolo.

451 CdG, 20 marzo 1997, c-352/95, (Phyteron International SA v. Jean Bourdon SA), cit., 352 ss.

452 Punti 21 e 24 della sentenza. Per l’analisi dei fatti che hanno generato la controversia si rinvia alla nota 319 del presente lavoro.

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privativa su tutto il territorio comunitario anche per le imprese a lei collegate da rapporti di gruppo.

Le imprese appartenenti al medesimo gruppo, tra l’altro, se assoggettate ad una direzione unitaria, vengono considerate come un’unica impresa anche ai fini dell’applicazione della normativa antitrust. Nel caso “Centrafarm c. Winthrop”453

, infatti, la Corte di Giustizia ha stabilito, a tale proposito, che le intese raggiunte all’interno del gruppo non ricadono nel divieto di cui all’art. 101 TFUE, qualora le società controllate non dispongano di effettiva autonomia nella determinazione del proprio comportamento sul mercato e gli accordi infragruppo siano esclusivamente volti a ripartire i compiti tra le consociate454.

Sembra in conclusione opportuno sottolineare che, quanto finora detto a proposito delle imprese legate da rapporti di gruppo, non vale nel caso in cui lo stesso marchio sia usato nei diversi Stati membri da imprese indipendenti, non aventi legami economici. In tali ipotesi, infatti, l’immissione in commercio nell’UE dei beni contraddistinti da un determinato marchio da parte di una di dette imprese non determina l’esaurimento del diritto di privativa anche per le altre titolari del medesimo segno in Stati membri diversi: di conseguenza, ciascuna impresa titolare del marchio potrà opporsi all’importazione parallela nel suo territorio dei prodotti commercializzati dalle altre all’interno della Comunità. È evidente come ciò comporti un rischio di compartimentazione del mercato UE. Tuttavia, tale frazionamento è da ritenersi legittimo, in quanto dettato da motivi di tutela della proprietà industriale455: se il principio dell’esaurimento dovesse essere ritenuto applicabile a tali situazioni, infatti, la funzione di indicazione d’origine del marchio verrebbe pregiudicata, poiché

453 CdG, 31 ottobre 1974, c-16/74, (Centrafarm B.V., Adriaan De Peijper v. Winthrop B.V.), cit., 355 ss.

454 Punto 32 della decisione. Sull’argomento si veda anche MANSANI L., La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, cit., 80 ss.

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circolerebbero sul medesimo mercato prodotti contraddistinti dal medesimo segno, ma riconducibili ad imprese differenti e non aventi alcun collegamento economico456.

Quanto appena detto, tra l’altro, vale sia nell’ipotesi in cui i marchi siano sorti in modo reciprocamente indipendente nei vari Stati membri, in capo ad imprese diverse e non aventi fra loro legami di alcun tipo457, sia, in virtù di quanto affermato dalla Corte di Giustizia nelle sentenze “Hag II”458

e “Ideal Standard”459, nel caso in cui detti marchi, attualmente appartenenti ad imprese distinte ed autonome, abbiano un’origine comune e derivino, quindi, dal frazionamento, coattivo o volontario, di un unico segno, facente capo, inizialmente, ad una sola impresa nei diversi Paesi dell’UE460

.

456 A tale proposito si veda anche GUIDETTI B., Esaurimento comunitario contro esaurimento internazionale: un problema tuttora irrisolto, cit., 363.

457

Il fatto che il titolare del segno possa opporsi all’importazione parallela nel suo territorio di prodotti commercializzati col medesimo marchio, in un altro Stato della Comunità, dal titolare di detto segno in tale Paese è stato espressamente previsto dalla Corte di Giustizia nella sentenza “Terrapin c.

Terranova”, CdG, 22 giugno 1976, c-119/75, (Terrapin Ltd v. Terranova Industrie C.A. Kapferer & Co.),

in Riv. dir. ind., 1977, II, 3 ss., con nota di RAFFAELLI E. A. Si veda, in particolare, il punto 7 della decisione.

458 CdG, 17 ottobre 1990, c-10/89, (SA CNL-SUCAL NV v. HAG GF AG), cit.,121 ss.

459 CdG, 22 giugno 1994, c-9/93, (IHT International Heiztechnik GmbH v. Ideal Standard

GmbH), cit., 2383 ss.

460 Sembra interessante precisare che le sentenze “Hag II” e “Ideal Standard” costituiscono un

revirement di quanto in precedenza affermato dalla Corte di Giustizia nella pronuncia “Hag I”, CdG, 3

luglio 1974, c-192/73, cit., 3 ss. In tale sentenza, infatti, i giudici comunitari avevano enunciato la c.d. teoria dell’origine comune, in virtù della quale il titolare di un segno in uno Stato membro non si sarebbe potuto opporre all’importazione, in tale territorio, di prodotti contraddistinti dal medesimo marchio, ma commercializzati in un altro Paese membro da un’impresa, indipendente dalla sua, ivi titolare di detto segno, qualora quest’ultimo fosse appartenuto inizialmente ad un’unica impresa ed i due marchi analoghi, derivanti dal suo successivo frazionamento, avessero avuto, pertanto, un’origine comune. Ciò era poi stato ribadito in un obiter dictum della decisione “Terrapin c. Terranova”, CdG, 22 giugno 1976, c-119/75, (Terrapin Ltd v. Terranova Industrie C.A. Kapferer & Co.), cit., 3 ss., si veda, in particolare, il punto 6 di tale sentenza. Nelle sentenze “Hag II” e “Ideal Standard”, invece, la Corte ha affermato che il titolare di un diritto di marchio nello Stato membro di importazione può legittimamente opporsi all’introduzione, nel suo territorio, di prodotti contraddistinti da un segno analogo al suo e commercializzati in un altro Paese UE dall’impresa, non avente legami economici con la sua ed ivi titolare di detto segno, anche in caso di origine comune dei segni, ora appartenenti ad imprese distinte ed indipendenti a causa di una cessione coattiva (“Hag II”) o volontaria (“Ideal Standard”). Come statuito nella decisione “Ideal Standard”, cfr. punto 59, occorre tuttavia considerare che, in caso di cessioni volontarie del marchio tra imprese indipendenti l’una dall’altra, ove si dimostri che tali accordi siano volti alla ripartizione del mercato comunitario, resta comunque applicabile il divieto di intese anticoncorrenziali, sancito dall’allora art. 85 Trattato CEE, con la conseguente nullità di dette cessioni. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si vedano VANZETTI A., Sulla sentenza Hag 2, in Giur. comm., 1991, II, 536 ss.; AUTERI P., La cessione del marchio per Stati fra divieto delle intese e controllo delle concentrazioni: considerazioni in margine al caso “Ideal Standard”, in Riv. dir. ind., 1996, I, 5 ss.;

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