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Test di ripetizione di Non-Parole

4.4. Esistono correlazioni con l’inglese?

Finora si è illustrata la struttura fonologica dell’inglese e i cluster consonantici possibili, poi si è fatto un breve confronto con la fonologia italiana e si sono messe in evidenza le differenze. Infine, si è presentata l’analisi degli errori commessi dagli studenti con dislessia nella prova di ripetizione di non-parole, dalla quale sono emersi alcuni patterns che si sono verificati ripetutamente nell’esecuzione di tale compito. In questo paragrafo cerchiamo di capire se questi schemi ricorrenti possano essere in qualche modo confrontati con la struttura fonologica dell’inglese in modo da poter valutare se possano influire o meno sull’apprendimento del lessico straniero.

Nel paragrafo 4.3 si è osservato che alcuni fonemi vengono sostituiti più spesso di altri, tuttavia la struttura delle non-parole rimane comunque valida rispetto alle regole fonotattiche dell’italiano. Vediamo se, nei clusters consonantici riportati nel paragrafo 4.1, è possibile effettuare le stesse sostituzioni lasciando inalterata la struttura fonotattica dell’inglese. Nelle tabelle riportate di seguito, i clusters evidenziati in rosso sono quelli inaccettabili in inglese, mentre tutte le altre sostituzioni sono possibili.

 È possibile, in inglese, sostituire l’occlusiva bilabiale sonora /b/ con i fonemi /p/, /d/, /v/, /t/, /m/?

Tabella 4.4: Sostituzione dell’occlusiva labiale sonora

fonema sostituito /b/ /p/ /d/ /v/ /t/ /m/ /bd/ /pd/ /dd/ /vd/ /td/ /md/ /bz/ /pz/ /dz/ /vz/ /tz/ /mz/ /br/ /pr/ /dr/ /vr/ /tr/ /mr/ /bl/ /pl/ /dl/ /vl/ /tl/ /ml/ clu sters p ossi b il i i n in glese

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 È possibile sostituire l’occlusiva labiale sorda /p/ con i fonemi /k/, /b/, /t/?

Tabella 4.5: Sostituzione dell’occlusiva labiale sorda

 È possibile sostituire l’occlusiva velare sorda /k/ con i fonemi /g/ e /p/?

Tabella 4.6: Sostituzione dell’occlusiva velare sorda fonema sostituito /p/ /k/ /b/ /t/ /mp/ /mk/ /mb/ /mt/ /mps/ /mks/ /mbs/ /mts/ /mpt/ /mkt/ /mbt/ /mtt/ /mpts/ /mkts/ /mbts/ /mtts/ /pt/ /kt/ /bt/ /tt/ /ps/ /ks /bs/ /ts/ /pr/ /kr/ /br/ /tr/ /spr/ /skr/ /sbr/ /str/ /pl/ /kl/ /bl/ /tl/ /spl/ /skl/ /sbl/ /stl/

fonemi per la sostituzione

clu sters p ossi b il i i n in glese fonema sostituito /k/ /g/ /p/ /ŋk/ /ŋg/ /ŋp/ /ŋks/ /ŋgs/ /ŋps/ /kt/ /gt/ /pt/ /ks/ /gs/ /ps/ /kw/ /gw/ /pw/ /skw/ /sgw/ /spw/ /kr/ /gr/ /pr/ /skr/ /sgr/ /spr/ /kl/ /gl/ /pl/ /skl/ /sgl/ /spl/ fonemi per la sostituzione clu sters p ossi b il i i n in glese

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 È possibile sostituire l’occlusiva velare sonora /g/ con il fonema /k/?

Tabella 4.7: Sostituzione dell’occlusiva velare sonora

 È possibile sostituire la nasale labiale /m/ con il fonema /n/?

Tabella 4.8: Sostituzione della nasale labiale fonema per la sostituzione fonema sostituito /g/ /k/ /gd/ /kd/ /gz/ /kz/ /gw/ /kw/ /gr/ /kr/ /gl/ /kl/ clu sters p ossi b il i in in glese fonema per la sostituzione fonema sostituito /m/ /n/ /mp/ /np/ /mt/ /nt/ /md/ /nd/ /mz/ /nz/ /mps/ /nps/ /mpt/ /npt/ /mpts/ /npts/ clu sters p ossi b il i i n in glese

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 È possibile sostituire l’occlusiva alveolare sonora /d/ con il fonema /b/?

Tabella 4.9: Sostituzione dell’occlusiva alveolare sonora

 È possibile sostituire la fricativa labio-dentale sorda /f/ con il fonema /t/?

Tabella 4.10: Sostituzione della fricativa labio-dentale sorda

Per quanto riguarda le omissioni che sono state fatte nella ripetizione di non- parole, bisogna escludere il fonema nasale palatale /ɲ/ in quanto non presente nel sistema fonologico inglese. Nel caso della laterale /l/ e della vibrante /ɾ/ se venissero

fonema per la sostituzione fonema sostituito /d/ /b/ /md/ /mb/ /nd/ /nb/ /ŋd/ /ŋb/ /bd/ /bb/ /gd/ /gb/ /vd/ /vb/ /dz/ /bz/ /dw/ /bw/ /dr/ /br/ /dl/ /bl/ clu sters p ossi b il i i n in glese fonema per la sostituzione fonema sostituito /f/ /t/ /ft/ /tt/ /fs/ /ts/ /sf/ /st/ /lf/ /lt/ clu sters p ossi b il i i n in glese

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omesse in gruppi di almeno tre consonanti darebbero luogo comunque a clusters accettabili nella lingua inglese.

Prendendo in considerazione gli errori di aggiunta, invece, non possiamo ipotizzare niente di certo in quanto non ci sono degli schemi regolari secondo i quali i fonemi /l/, /r/ e /g/ vengono associati. Lo stesso discorso vale per le anteposizioni e le post-posizioni di /l/ e /r/.

Per concludere, l’osservazione sul fatto che sono state proprio le non-parole più lunghe a creare maggiori problemi nella ripetizione non è un dato rilevante per la lingua inglese, il cui vocabolario è formato, perlopiù, da parole più brevi rispetto a quello italiano, sia per la diversa struttura sillabica sia per il diverso tipo di piede ritmico che presentano, oltre alla diversa natura delle famiglie linguistiche a cui appartengono.

Inoltre, dall’analisi appena presentata non sono emersi dati che ci permettono di stabilire con certezza che gli stessi patterns di errori individuati nella ripetizione di non-parole possano essere correlati a possibili difficoltà con la struttura fonologica della lingua straniera. Se nei cluster consonantici dell’inglese vengono fatte le stesse sostituzioni utilizzando i patterns di fonemi individuati nella ripetizione di non-parole, non risulta una regolarità nello scambio: ovvero c’è la possibilità che si vengano a creare sia gruppi consonantici accettabili, sia impossibili.

Per cui gli apprendenti italiani con dislessia, se commettessero gli stessi errori in inglese, realizzerebbero non solo parole che rispettano le regole fonotattiche dell’inglese ma anche stringhe fonetiche che le violano. In italiano, invece, si è osservato che la struttura fonotattica rimane inalterata. Non si può quindi ipotizzare che durante l’apprendimento del lessico inglese siano tali errori ad aumentare le difficoltà per la memorizzazione delle nuove parole.

Tuttavia, considerando che le difficoltà nell’apprendere nuove parole durante la lettura sarebbero dovute alla poca efficienza del Circuito Fonologico (Pickering et al., 2001) e che proprio gli errori che emergono nella ripetizione di non-parole inducono a ritenere che la consapevolezza fonologica sia strettamente associata alla memoria di lavoro, allora l’assenza di una correlazione potrebbe essere dovuta solo

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alla differenza sostanziale che c’è tra le due lingue. L’italiano presenta un’ortografia trasparente che facilita le strategie sub-lessicali, ovvero fonologiche, data l’elevata corrispondenza tra grafema e fonema; l’ortografia opaca dell’inglese, al contrario, favorirebbe le strategie lessicali, ossia la lettura delle parole in blocco, poiché l’irregolarità della lingua non permette una corrispondenza univoca tra grafema e fonema. Quindi l’apprendimento dell’inglese come lingua straniera da parte di soggetti dislessici potrebbe dar luogo a nuovi patterns di errori che non sono prevedibili a partire dall’analisi di quelli commessi più frequentemente in italiano. È molto probabile che tali patterns siano dovuti alla profondità dell’ortografia inglese e quindi alla diversa strategia di lettura, tenendo conto del ruolo che svolgono il deficit mnesico e quindi fonologico.

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Conclusioni

Il presente lavoro di tesi è stato proposto al fine di esporre alcune riflessioni riguardo a possibili correlazioni tra il deficit fonologico e mnesico e le difficoltà nell’apprendimento dell’inglese come lingua straniera. Prima di rispondere alle domande di ricerca formulate nell’introduzione, è stata presentata la letteratura di riferimento riguardo alla dislessia evolutiva e sono state prese in considerazione le ipotesi più convincenti in modo da verificarle con i risultati ottenuti durante la sperimentazione discussa.

Nel primo capitolo si è avuto modo di comprendere che nel corso degli ultimi due secoli l’approccio metodologico allo studio del disturbo è stato abbastanza eterogeneo. Nonostante negli ultimi anni, grazie anche alle nuove tecnologie a disposizione (tecniche di neuroimmagine), sia stato possibile cercare le cause del disturbo nella struttura del sistema nervoso centrale, non si è ancora giunti all’individuazione di una precisa area cerebrale compromessa. Si è potuto vedere come la dislessia evolutiva e le sue manifestazioni siano di natura complessa e che le diverse teorie formulate in ambito genetico e neurofisiologico non forniscano ancora delle risposte del tutto esaurienti e concordanti tra loro. Tuttavia, è emerso un aspetto che sembra essere generalmente condiviso anche nella formulazione di una definizione esaustiva per descrivere il disturbo: le origini della dislessia evolutiva sono da ricercare a livello neurobiologico. Sarebbe proprio l’insieme delle diverse cause a provocare un malfunzionamento di tipo cognitivo, comportando quindi la non riuscita di una buona lettura e di tutte le manifestazioni ad essa associate.

Proprio nell’ambito della psicologia cognitiva sono state proposte le teorie più interessanti. Nel secondo capitolo si è parlato dell’ipotesi del deficit fonologico, il quale presuppone che alla base della dislessia evolutiva vi sia una ridotta abilità di codifica fonologica, definita come la capacità consapevole di analizzare, segmentare e manipolare i suoni del parlato. In questo modo la difficoltà di far corrispondere correttamente la rappresentazione fonologica ai segni grafici provocherebbe un rallentamento della lettura e la presenza di errori nel confondere

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i fonemi. Tuttavia, dagli anni Ottanta in poi, con i lavori di Baddeley e Hitch, si è potuto osservare che oltre al deficit fonologico riscontrato in tutti i soggetti con dislessia evolutiva, sono presenti anche problemi a livello mnesico. Infatti, si parla di deficit nella memoria di lavoro, considerata un sistema della memoria a breve termine formato da più componenti, la cui funzione non è solo quella di mantenere temporaneamente le informazioni ma anche di manipolarle. Nello specifico, viene ipotizzato che il malfunzionamento della parte dedita all’abilità di memoria fonologica, necessaria per la creazione delle regole di corrispondenza grafema- fonema e perciò per l’apprendimento e lo sviluppo della lettura, comporterebbe i problemi linguistici manifestati dai soggetti con dislessia evolutiva.

È stata presentata anche l’ipotesi del deficit della memoria procedurale che rientra nei lavori di Ullman e Pierpont, Nicolson e Fawcett dagli anni Novanta in poi. In questo caso il deficit verrebbe attribuito ad una componente della memoria a lungo termine, quella procedurale, che sarebbe la causa non solo dei problemi linguistici ma anche di tutti gli altri aspetti che dipendono dallo stesso sistema, osservati nei soggetti dislessici. Tuttavia, viene ipotizzato anche un ruolo compensatorio da parte della memoria dichiarativa attraverso la quale i soggetti dislessici memorizzerebbero le parole come una sorta di immagini o blocchi. Sarebbe proprio questo bilanciamento a spiegare i problemi persistenti di codifica fonologica nei soggetti dislessici.

Prendendo in considerazione la presenza di deficit a livello fonologico e mnesico, nel terzo capitolo sono stati presentati i risultati raccolti attraverso diverse prove somministrate a 19 studenti universitari con dislessia evolutiva e confrontati con quelli del gruppo di controllo composto da 19 studenti universitari normolettori. La tipologia delle prove proposte è volta proprio a verificare la competenza fonologica e quella mnesica. L’insieme dei risultati ha fornito un quadro abbastanza chiaro: la prestazione dei soggetti con dislessia evolutiva è stata notevolmente inferiore rispetto a quella del gruppo di controllo. Questo vuol dire che è stata riscontrata un’effettiva presenza di scarse abilità fonologiche e mnesiche in giovani adulti con dislessia evolutiva.

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Questi esiti sono serviti come base per poter rispondere alle domande poste all’inizio del lavoro. Nell’ultimo capitolo, infatti, sono stati analizzati gli errori commessi dagli studenti con dislessia evolutiva durante la prova di ripetizione di non-parole. Questa è molto significativa in quanto consente di valutare la consapevolezza fonologica dei partecipanti. Ripetere sequenze di lettere prive di significato è possibile se si ha un’adeguata consapevolezza fonologica insieme ad una buona memoria di lavoro. È quest’ultima, infatti, che permette la manipolazione dei suoni appena ascoltati a livello di memoria fonologica e consente quindi la ripetizione corretta. I risultati hanno confermato ciò che ci si aspettava di trovare: i soggetti con dislessia hanno commesso molti errori durante lo svolgimento del compito, dovuti proprio alle loro difficoltà di processing fonologico e di memorizzazione.

Le analisi compiute hanno permesso di individuare dei patterns negli errori di ripetizione di non-parole. In particolare, si è osservato che ci sono diversi tipologie di errori che sono stati commessi più frequentemente: sostituzione di un fonema al posto di un altro; omissione e aggiunta di fonemi o intere sillabe; inversione di fonemi o sillabe all’interno della stessa stringa fonetica. Inoltre, come ci si aspettava, è stato notato anche che la maggior parte delle non-parole in cui si sono verificati più errori sono quelle composte da più sillabe.

Dopo aver identificato tali patterns, che hanno comunque lasciato inalterata la struttura delle non-parole rispetto alle regole fonotattiche dell’italiano, questi sono stati messi in relazione con il sistema fonologico dell’inglese. Ciò che è emerso da questa analisi è che non si può definire con certezza una correlazione tra i patterns di errori che si verificano in italiano e le difficoltà nella memorizzazione del lessico inglese da parte di soggetti con dislessia evolutiva. Ciò potrebbe esser dovuto alla differenza della profondità ortografica delle due lingue prese in esame: l’italiano con ortografia trasparente (elevata corrispondenza tra grafemi e fonemi) e l’inglese ad ortografia opaca (corrispondenza grafema-fonema quasi nulla), e quindi alla diversa strategia utilizzata nella lettura.

Sarebbe interessante creare un test volto proprio all’identificazione di schemi ricorrenti di errori, selezionando tutte le combinazioni possibili di fonemi

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dell’italiano al fine di ottenere risultati più consistenti. Inoltre, data la probabilità che le ridotte abilità fonologiche di studenti dislessici italiani possano dar luogo a nuovi patterns osservabili durante l’apprendimento dell’inglese, e quindi nella lettura e nella ripetizione del nuovo lessico, risulterebbe utile condurre una ricerca in questo ambito e confrontarla con i dati riportati nel presente lavoro di tesi e, in futuro, con risultati più ampi e generalizzabili.

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