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2. Fonologia e memoria

2.5. La struttura della memoria

2.5.4. L’ipotesi del deficit di memoria procedurale

Negli anni Novanta Nicolson e Fawcett hanno suggerito una correlazione tra deficit nella memoria procedurale e dislessia evolutiva. Inizialmente, come abbiamo già visto, avevano proposto l’ipotesi del deficit di automatizzazione e quella del deficit cerebellare, poi, dopo i lavori di Ullman (2001, 2004), hanno postulato dei problemi a livello dei sistemi neurali alla base del disturbo evolutivo, in cui si riscontrerebbe un deficit del sistema della memoria procedurale rispetto ad un sistema di memoria dichiarativa preservato (Nicolson e Fawcett, 2007).

Ullman e Pierpont (2005) hanno proposto l’ipotesi del deficit procedurale, la quale è basata su un approccio simile a quello usato poi da Nicolson e Fawcett (2007), e cerca di tenere conto di tutti i deficit linguistici, cognitivi e motori sotto forma di un malfunzionamento alla base del sistema della memoria procedurale. Si è detto che nel modello dichiarativo/procedurale del linguaggio di Ullman si presume che gli aspetti della lingua, idiosincratici e governati da regole, siano basati su sistemi cognitivi e linguistici distinti.

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Sia le supposizioni di Ullman e Pierpont che di Nicolson e Fawcett, seppur non identiche, hanno molto in comune. L’idea di base è che la dislessia evolutiva dipenderebbe da anomalie nelle strutture cerebrali della memoria procedurale, in particolare dei circuiti cortico-cerebellari, e/o dei tratti di materia bianca che connettono queste aree. In questo modo la teoria tiene conto dei danni delle funzioni sia linguistiche che non linguistiche che dipendono da queste strutture cerebrali.

Nel caso in cui l’ipotesi fosse corretta, i soggetti dislessici dovrebbero avere difficoltà nell’esecuzione di quelle abilità che dipendono dalla memoria procedurale, quindi nel processing delle rappresentazioni fonologiche, della morfologia regolare, delle rappresentazioni sintattiche e nell’esecuzione di esercizi motori. Mentre non dovrebbero avere problemi in quelle abilità che dipendono dalla memoria dichiarativa, ovvero nelle conoscenze di elementi lessicali semplici, nelle conoscenze delle rappresentazioni grammaticali lessicalizzate (come la struttura argomentale e le forme morfologiche irregolari).

Si pensa che nella dislessia evolutiva il malfunzionamento della memoria procedurale causi i problemi di lettura sia direttamente, attraverso danni nelle abilità di automatizzazione, sia indirettamente, per i problemi nel processing fonologico (Hedenius, 2013). Allo stesso tempo, si pensa che le funzioni che sono indipendenti dal sistema della memoria procedurale funzionino normalmente nella maggior parte dei casi. Un aspetto importante è l’idea che il sistema della memoria dichiarativa possa compensare quelle funzioni che normalmente sono gestite dal sistema procedurale. Nello specifico si ipotizza che gli individui dislessici possano compensare i loro problemi di codifica fonologica memorizzando le parole come una sorta di immagini o blocchi. Per questo si dovrebbe verificare una relazione tra un maggior utilizzo della memoria dichiarativa ed un miglioramento dell’abilità di lettura durante lo sviluppo. Al contrario, non ci si aspetta di trovare questa correlazione nei bambini con normale sviluppo. Infatti, alcuni studi condotti da Shaywitz (2008) forniscono le prove a favore proprio dell’ipotesi del ruolo compensatorio della memoria dichiarativa, dimostrando che i problemi persistenti di codifica fonologica nei soggetti dislessici possano essere associati ad un maggior affidamento sulla memorizzazione di blocchi e intere parole per la lettura.

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Oltretutto, è stato mostrato con studi di neuroimmagine funzionale che non ci sono solo miglioramenti comportamentali nella lettura, ma anche cambiamenti nell’ippocampo e in altre strutture del lobo temporale medio (Temple, 2002). Ad ogni modo, i risultati dei diversi studi non sono del tutto coerenti tra loro e a volte forniscono prove anche contraddittorie.

Dunque, l’ipotesi del deficit procedurale ipotizza che alla base dei problemi linguistici, cognitivi e motori osservati nei soggetti dislessici vi sia un danno nella memoria procedurale. Questo malfunzionamento sembra riguardare non solo l’acquisizione linguistica ma anche tutti gli aspetti non linguistici che dipendono dal sistema cerebrale della memoria procedurale.

2.6. Conclusioni

In questo capitolo sono state presentate altre teorie riguardo il disturbo della dislessia evolutiva ed è stato valutato l’aspetto linguistico, in particolare della consapevolezza fonologica, e l’aspetto cognitivo rispetto alla struttura della memoria. Abbiamo potuto osservare come, per quanto riguarda l’ambito della fonologia, vi siano innanzitutto differenze qualitative tra una lingua ad ortografia trasparente come l’italiano, e l’inglese, definita invece opaca, per la complicata correlazione tra grafemi e fonemi che presenta. Proprio per questa differenza di grain size, che abbiamo definito come la dimensione della relazione tra ortografia e fonologia, è stata introdotta l’ipotesi della profondità linguistica grazie alla quale, dopo i numerosi studi condotti nel corso degli anni, è stato possibile constatare che in lingue come l’inglese non solo lo sviluppo della consapevolezza fonologica avviene più tardi, ma è anche più probabile che si verifichino problemi di lettura. Tuttavia, il dato di fatto rimane che l’effetto del deficit fonologico, soprattutto nella velocità di lettura, rimane evidente anche nelle ortografie più regolari, seppur con errori meno severi. Per cui si può ritenere che, a prescindere dalla profondità linguistica, la scarsa fluenza nella lettura sia di parole che di non-parole rimane il primo indicatore comportamentale per notare il disturbo della dislessia.

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Abbiamo quindi parlato dell’ipotesi del deficit fonologico, il quale è stato confermato come il problema che manifesta il 100% degli individui dislessici. Tuttavia, è stato sottolineato come questa ipotesi, da sola, non riesca a tener conto della totalità delle problematiche presenti nel disturbo. Con l’introduzione della teoria del doppio deficit e successivamente del deficit di automatizzazione il quadro diventa più chiaro, seppur sempre molto complicato. Piuttosto che considerare le teorie proposte nella loro unicità, sarebbe forse più opportuno integrarne i diversi stimoli, dal momento che ognuna analizza il disturbo da punti di vista differenti. Le ultime teorie appena citate, insieme alle successive ipotesi riguardo i deficit a livello di memoria forniscono una visione più completa di tutte le variabili implicate nelle cause della dislessia evolutiva.

Sembra essere abbastanza chiaro il fatto che la fonologia abbia un ruolo centrale e causale nel disturbo, il che implica un legame diretto tra la difficoltà di acquisire, memorizzare e richiamare la rappresentazione fonologica dei segni grafici e una lettura poco fluente e accurata. Per cui, dal momento che il problema di base sta nell’accedere all’informazione fonologica, sono state introdotte entrambe le ipotesi che riguardano il deficit della memoria di lavoro e il deficit della memoria procedurale. Mentre la prima sostiene che il Circuito Fonologico abbia un ruolo cruciale nella cognizione umana e che supporti quindi anche l’acquisizione linguistica, per cui nei dislessici i danni sarebbero proprio in questa sottocomponente della memoria di lavoro, la seconda ipotizza uno sviluppo anomalo delle strutture cerebrali che costituiscono il sistema di memoria procedurale e che causerebbero quindi il disturbo. Inoltre, Ullman e Pierpont (2005) osservano che la memoria di lavoro è fortemente collegata con il sistema procedurale da un punto di vista neurologico, in quanto sembrano dipendere dalle stesse strutture cerebrali.

Per concludere, con il presente lavoro di tesi si intende discutere un’ipotesi sull’impatto del deficit fonologico di giovani adulti italiani con dislessia, testati nel corso della sperimentazione del Centro Linguistico dell’Ateneo pisano sull’apprendimento dell’inglese come lingua straniera. Per questo motivo si è presentata la più recente teoria della memoria procedurale, in quanto si ritiene che

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il suo malfunzionamento possa causare problemi di lettura sia per i danni nelle abilità di automatizzazione che nel processing fonologico, e che ostacolerebbero perciò l’apprendimento di una nuova lingua. È stata presa in considerazione l’ipotesi della memoria di lavoro, poiché un deficit in questo sistema si ritiene che possa avere conseguenze proprio nel processing del linguaggio e perciò induce a pensare anche che i dislessici non ricorrano a strategie di memoria fonologica per la ripetizione di parole e di non-parole. Nel caso di una lingua straniera, per chi la apprende, all’inizio qualsiasi parola, anche se semanticamente piena, risulta comunque priva di significato, che equivale ad imparare non-parole. In aggiunta, la problematicità della profondità ortografica della lingua inglese complica la buona riuscita dell’acquisizione, e quindi della memorizzazione del vocabolario, da parte di soggetti dislessici italiani.

Nel prossimo capitolo vengono presentati i risultati ottenuti nei diversi test che sono stati somministrati a studenti universitari, dislessici e non dislessici, durante la sperimentazione sopra menzionata.

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3. Sperimentazione

Nei precedenti capitoli abbiamo introdotto la dislessia evolutiva e le sue caratteristiche, insieme alle maggiori teorie che sono state proposte finora per spiegare le cause scatenanti del disturbo. Abbiamo osservato che la situazione è molto complessa e che ancora non si è giunti ad una visione univoca per spiegare l’intera gamma di manifestazioni che tale disturbo provoca. Nel presente capitolo vengono riportati i risultati ottenuti durante il tirocinio svolto presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa nell’Anno Accademico 2015/2016 nell’ambito del progetto, condotto dalle dott.sse Gloria Cappelli e Sabrina Noccetti, dal titolo: “Competenza pragmatica e inglese lingua straniera in studenti adulti con dislessia evolutiva” in collaborazione con il Centro Linguistico di Ateneo. Lo studio, di portata ben più ampia rispetto a quella che presenterò nel presente lavoro di tesi, prevede una batteria di test molto vasta e variegata, ed è stato portato avanti con la collaborazione della IRCCS Fondazione Stella Maris. Lo scopo principale è quello di riuscire a creare una didattica adatta ed idonea a giovani adulti con dislessia in modo da permettergli di apprendere l’inglese come lingua straniera al pari dei loro coetanei. Questo appare tanto più necessario in considerazione del fatto che le università richiedono una conoscenza della lingua straniera almeno di livello B1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue.

Nel presente lavoro di tesi, invece, si presentano soltanto i risultati di una parte dei test somministrati sia a studenti universitari dislessici che normolettori. Nel secondo capitolo ci si è soffermati sulla fonologia e sulla struttura della memoria. I risultati discussi nel paragrafo 3.4 riguardano proprio la parte di sperimentazione volta ad indagare le competenze linguistiche, cognitive verbali, di memoria e processing fonologico.

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3.1. Partecipanti

L’intero studio ha coinvolto 29 studenti dislessici iscritti ai corsi dell’Università di Pisa, di età compresa tra i 19 e i 26 anni, di cui 13 maschi e 16 femmine. Tutti i soggetti sono di nazionalità italiana e, quelli dislessici, hanno presentato una certificazione di dislessia evolutiva presso lo sportello DSU dell’Università di Pisa. Non sono stati coinvolti studenti con dislessia acquisita, stranieri, minorenni o soggetti in trattamento farmacologico. Nel corso della sperimentazione, però, i dati relativi ad alcuni studenti sono stati esclusi a causa di comorbidità che potevano potenzialmente influenzare i risultati. In totale, si sono dunque inclusi nello studio 19 informanti dislessici, di cui 13 femmine e 6 maschi.

È stato selezionato anche un gruppo di controllo, sempre tra studenti universitari iscritti presso l’Università di Pisa, di età compresa tra i 19 e i 26 anni. Tra tutti i soggetti sani che hanno contribuito alla ricerca in modo del tutto volontario, ne sono stati scelti 19 per corrispondenza di sesso ed età, dopo aver escluso la presenza di deficit linguistici e cognitivi.

In totale si sono dunque ottenute 19 coppie di studenti formate da un soggetto dislessico e uno sano, la cui età media è di 21,37 anni (DS=1,57). Di queste 19 coppie, 13 sono formate da ragazze con età media di 21,54 anni (DS=1,50), e 6 coppie di ragazzi con età media di 21anni (DS=1,61)16.

3.2. Materiali

In questo paragrafo sono presentati soltanto i materiali scelti per il presente lavoro di tesi. Tutti i test sono stati somministrati individualmente all’intero campione ed ogni prova è stata registrata in forma anonima. Le prove prese in considerazione per il presente lavoro di tesi sono le seguenti:

16 La sigla DS indica la Deviazione Standard. Si tratta di una misura che rende conto di come i

dati si distribuiscono rispetto alla media. In altre parole, consente di sapere se la media è affidabile per dare una rappresentazione significativa dei dati. Più la Deviazione Standard si avvicina a 0 e più i dati sono coerenti, maggiore diventa la DS e meno significativa risulta la media.

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 Prova di lettura di liste di parole, preso dalla batteria MT avanzate-2 di Cornoldi e colleghi, 2010, Firenze, Giunti O.S.;

 Prova di lettura di liste di non-parole, preso dalla batteria MT avanzate- 2 di Cornoldi e colleghi, 2010, Firenze, Giunti O.S.;

 Test di fluenza verbale fonemica, di Novelli e collaboratori, 1986;  Test di fluenza verbale semantica, di Novelli e collaboratori, 1986;  Test di spoonerismo, modificato dal Test CMF (Valutazione delle

competenze metafonologiche) di Marotta e collaboratori, 2008, Trento, Erickson;

 Test di ripetizione di non parole, adattato alla ripetizione di non-parole della VAUMelf di Bertelli e Bilancia, 2006, Firenze, Giunti O.S.;  Sub test di memoria di cifre (diretta, inversa, di riordinamento) della

batteria WAIS-IV, adattamento italiano a cura di A.Orsini e L.Pezzuti, 2013, Firenze, Giunti O.S..

3.3. Procedura

Lettura di parole: la prova consiste in un foglio sul quale sono riportate 112 parole isolate, suddivise in quattro colonne, per un totale di 281 sillabe. Ogni colonna è formata da parole con una diversa combinazione di valori, quali: concretezza, frequenza e lunghezza. La prima (a.a) contiene parole ad alta immaginabilità e alta frequenza, la seconda (a.b.) contiene parole ad alta immaginabilità e bassa frequenza, la terza (b.a.) parole a bassa immaginabilità e alta frequenza, la quarta (b.b.) parole a bassa immaginabilità e bassa frequenza. Allo studente vengono date le istruzioni di leggere ad alta voce, il più velocemente possibile, ma stando attento a non fare errori, tutte le parole, una alla volta, una colonna per volta. Le colonne sulla destra sono state coperte durante la lettura e scoperte singolarmente dopo il completamento della precedente, per evitare che lo studente dislessico potesse avere distrazioni grafiche durante la lettura. La valutazione complessiva avviene dividendo il numero di sillabe totale per il tempo totale di lettura e segnando gli errori commessi. Viene valutata perciò l’accuratezza nella lettura di parole, senza che il soggetto possa aiutarsi attraverso facilitazioni

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semantiche derivanti dal contesto, come avviene invece durante la lettura di un brano.

Lettura di non-parole: anche questa prova consiste in un foglio sul quale sono riportate 48 non-parole isolate, ovvero parole che non esistono nella lingua italiana, suddivise in tre colonne, per un totale di 127 sillabe. Le tre colonne sono di difficoltà crescente, nel senso che si va da parole più brevi e semplici a parole sempre più lunghe e difficili. Anche in questo caso allo studente vengono date le istruzioni di leggere ad alta voce, il più velocemente possibile, ma stando attento a non fare errori, tutte le non-parole, una alla volta, una colonna per volta. Anche in questa prova le colonne sono state scoperte una alla volta dopo il completamento della precedente, per evitare che lo studente dislessico potesse avere distrazioni grafiche durante la lettura. La valutazione complessiva avviene allo stesso modo della precedente, tenendo conto del tempo in sillabe al secondo. Viene valutata perciò l’accuratezza nella lettura di non-parole, che è inversamente proporzionale al numero di errori.

Fluenza verbale fonemica: questo test permette di valutare le capacità di evocazione di parole per indizio fonologico. Viene chiesto allo studente di dire il più rapidamente possibile tutte le parole che gli vengono in mente che iniziano con una determinata lettera dell’alfabeto, siano esse sostantivi, verbi, aggettivi. Non vengono considerati validi i nomi propri, i numeri e le parole che iniziano con lo stesso suffisso. Prima di iniziare, gli viene fornito un esempio. Le lettere previste dall’esercizio sono tre: F, P, L e lo studente ha un minuto di tempo per ognuna, durante il quale deve dire il maggior numero possibile di parole che gli vengono in mente per ognuna. Viene attribuito un punto per ogni parola corretta data entro i 60 secondi, il punteggio totale è la somma di tutte le parole prodotte per ciascuna lettera.

Fluenza verbale semantica: nella prova di fluenza per indizio semantico, invece, viene chiesto al soggetto di produrre quante più parole possibili appartenenti ad una

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delle categorie semantiche da esaminare, ovvero: frutti, animali, marche d’auto. Anche in questo test viene fornito un esempio prima di iniziare. Il tempo a disposizione è sempre un minuto per ciascuna categoria e la modalità di somministrazione del test e di registrazione dei punteggi sono analoghe a quelle della prova di fluenza per categorie fonemiche.

Spoonerismi: questo test nasce per valutare i disturbi del linguaggio, ma negli ultimi anni viene utilizzato anche per i disturbi dell’attenzione poiché il compito richiesto, uno scambio di lettere apparentemente banale, necessita di risorse attentive per poter attivare la rielaborazione nella memoria di lavoro e la capacità di rappresentazione della forma delle parole.

Il test consiste appunto nello scambio delle iniziali di due parole, in modo da crearne due nuove dotate di significato, per fare un esempio: Vasca e Tela diventano Tasca e Vela. Al soggetto viene chiesto di scambiare mentalmente le iniziali delle coppie di parole che gli vengono lette, ma prima gli vengono fatti vedere almeno tre esempi scritti, in maniera da accertarsi che abbia capito il corretto funzionamento dell’esercizio. Ciascuna coppia di parole viene presentata una sola volta e, prima di iniziare il test, viene sottolineato il fatto che non può essere ripetuta. In tutto sono 12 coppie di parole; in realtà il test ne prevede 18 in totale, ma ne abbiamo scartate alcune perché ritenute essere problematiche17. La valutazione avviene considerando il tempo complessivo, nel caso entrambe le risposte siano corrette, fino alla seconda risposta. Nel caso sia corretta solo la prima risposta viene considerato solo il tempo impiegato per questa. Nel caso invece sia corretta solo la seconda viene conteggiato il tempo totale. Alla fine si sommano tutti i tempi delle singole coppie e si divide per il numero totale di risposte corrette.

17 Ad esempio: Canto e Vento una volta invertite danno luogo a Vanto e Cento ma in questo caso

il passaggio da un’occlusiva velare sorda [k] ad una affricata palato-alveolare sorda [ʧ] avrebbe solo aumentato la difficoltà.

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Ripetizione di non-parole: questo test prevede la ripetizione di non-parole. Allo studente viene fatta ascoltare una lista di 40 non-parole registrate su CD audio. Prima di iniziare, però, vengono fatte ascoltare due non-parole come esempio. Il compito del soggetto consiste nell’ascoltare le singole non-parole una alla volta e cercare di ripeterle, tenendo conto del fatto che si tratta di parole prive di significato. Le 40 non-parole durante il test si susseguono con modalità random rispetto alla lunghezza e tra una non-parola e la successiva intercorrono 5 secondi durante i quali lo studente deve ripetere ciò che ha sentito. Ad ogni soggetto viene proposta l’intera lista di 40 items a prescindere dalla prestazione, e le ripetizioni fornite dallo studente vengono, oltre che registrate, trascritte sul protocollo di notazione.

Memoria di cifre: il test di memoria di cifre è composto da tre compiti:

- memoria diretta di cifre: al soggetto viene letta una serie di numeri che deve ripetere nello stesso ordine;

- memoria inversa di cifre: al soggetto viene letta una serie di numeri che deve ripetere in ordine inverso;

- riordinamento di cifre: al soggetto viene letta una serie di numeri che deve ripetere riordinando le cifre in ordine crescente.

Vengono somministrati tutti e tre i compiti in successione, e le istruzioni vengono fornite separatamente. Prima di iniziare, per ogni prova, vengono lette due serie di numeri come esempio per verificare che il soggetto abbia capito il funzionamento dell’esercizio. La prova è costituita da diversi items, per un totale di otto, costituiti da due serie ciascuno, che aumentano di difficoltà progressiva18. Nessuna sequenza può essere ripetuta, e la prova viene interrotta dopo due risposte sbagliate consecutive all’interno dello stesso item. Per la valutazione viene assegnato 1 punto per ogni risposta corretta. Dopo aver somministrato tutti e tre i compiti, si sommano tutte le risposte corrette per un massimo di 48 punti totali.