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Dopo aver presentato i diversi studi e le conseguenti teorie che sono state sviluppate negli anni, cerchiamo di fare un punto della situazione per capire quali sono i limiti delle ipotesi esposte. Abbiamo infatti avuto modo di osservare l’eterogeneità delle varie proposte, che provengono da ambiti differenti, ovvero dalla sfera genetica, neuropsicologica e da quella di matrice neurofisiologica.

Per quanto riguarda la suddivisione della dislessia in tre sottotipi, sembra esserci coerenza nel tenere presente l’eterogeneità delle difficoltà che manifestano i soggetti dislessici durante la lettura. Ma in realtà non vengono esplicate delle vere e proprie cause alla base del disturbo, ma semplicemente si tratta di un modo per distinguere i diversi casi a seconda del tipo di sintomi che impediscono la buona riuscita di una lettura accurata e fluente. Ad ogni modo, questo risulta essere un buon punto di partenza per andare ad indagare più nel dettaglio le origini di questo disturbo che ha diverse sfaccettature.

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Dal punto di vista neurobiologico, come abbiamo avuto modo di vedere, sono state trovate simmetrie anomale tra gli emisferi che non risulterebbero invece nei soggetti sani, nonché delle minori attivazioni in determinate aree del cervello dedite all’elaborazione del linguaggio, come quelle situate nella parte temporo-parietale e occipito-temporale. Ma in ricerche recenti è stato dimostrato anche che nei soggetti dislessici sono presenti anormalità strutturali nel cervelletto, le quali comporterebbero un’ipoattivazione rispetto agli individui sani. La teoria cerebellare permette dunque di tenere conto anche dei movimenti oculari e del movimento fisico in generale dei soggetti dislessici, in quanto il cervelletto sarebbe la parte del cervello che controlla sia le abilità motorie che, come recentemente scoperto, anche quelle di tipo linguistico e cognitivo. Tuttavia, non è sufficiente per spiegare la totalità dei problemi che manifestano gli individui dislessici.

Per quanto riguarda le teorie sul deficit visivo e uditivo, entrambe non possono essere considerate valide per spiegare l’intera gamma di problematiche che manifestano le persone dislessiche, in quanto non sono in grado di spiegare le manifestazioni caratterizzanti del disturbo.

Oltre alle diversità dal punto di vista anatomico, sono state osservate anche anormalità nella trasmissione del segnale linguistico e quindi a livello del sistema visivo magnocellulare, il cui malfunzionamento sarebbe dovuto a delle anomalie che si verificherebbero durante lo sviluppo del cervello in fase fetale. Questa teoria è molto esaustiva in quanto spiega dove risiede la causa di una lettura confusa e poco accurata, che comporta la scarsa memorizzazione della forma visiva e di conseguenza impedisce l’acquisizione di una buona consapevolezza fonologica. Apparentemente sembra che questa proposta tenga conto dei molti aspetti del disturbo della dislessia. Tuttavia, è stata criticata, soprattutto da Hulme (1988), il quale ha notato che se le parole vengono presentate una alla volta non si può attribuire il danno al sistema magnocellulare, dal momento che i dislessici fanno errori anche quando devono leggere parole singole e non-parole. Vellutino afferma che potrebbe esservi una correlazione con i problemi di lettura piuttosto che essere la causa centrale del disturbo. Il limite della teoria magnocellulare consiste anche nel fatto che non è stato dimostrato che tutti i dislessici manifestano problemi nel

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sistema magnocellulare ma, anzi, anche pazienti non dislessici possono presentare questo deficit.

Da qui emerge una visione molto complessa della natura della dislessia, che al momento non può essere ricondotta ad un’area cerebrale ben precisa, data anche la complicatezza a livello strutturale del cervello stesso. Sebbene vi siano indizi convincenti per ritenere che alla base del disturbo siano presenti delle anomalie neuroanatomiche, con le quali è possibile spiegare in maniera plausibile l’origine della dislessia, gli studi neurologici hanno mostrato anche che una disfunzione sensomotoria generale non può essere ritenuta responsabile della dislessia. Il motivo risiede nel fatto che danni a livello di sistema visivo, uditivo e motorio non sono presenti in tutti i casi di dislessia, al contrario del deficit fonologico che invece è l’aspetto caratterizzante, seppur ancora non spiegabile con questo tipo di studi.

Ma a complicare lo scenario si aggiunge la teoria genetica, che in realtà è stata una delle prime supposizioni fatte per spiegare le cause della dislessia. Ci sono elementi a favore della probabile ereditarietà del disturbo da genitore a figlio, tuttavia gli studi finora hanno solo individuato possibili combinazioni di un numero approssimativo di diversi geni che sarebbero implicati nella trasmissione genetica. Per cui il quadro generale risulta essere davvero complesso e variegato. Ogni ipotesi mostra dei limiti dal momento che riesce a spiegare un aspetto del disturbo ma poi non tiene conto degli altri sintomi associati alla dislessia. Finora non c’è una teoria migliore che riesca a dare una spiegazione di tutti gli aspetti di cui abbiamo parlato. Quindi quello che si evince è una doppia possibilità: esistono diversi tipi di dislessia, causati da fattori differenti, i quali mostrano manifestazioni simili ma che non hanno a che fare l’uno con l’altro; oppure in realtà la dislessia sarebbe causata da un singolo fattore, o meglio la causa risiederebbe in una sola delle teorie citate, e gli altri sintomi osservati sarebbero solo manifestazioni accessorie ma non causali. Il problema rimarrebbe comunque nell’identificazione del fattore scatenante.

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1.6. Conclusioni

Per ricapitolare, la dislessia consiste nella difficoltà di riuscire a leggere correttamente e fluentemente. Al contrario di come viene comunemente ritenuto, gli errori di lettura che una persona dislessica commette più frequentemente non riguardano solo confondere l’ordine dei grafemi, quindi invertire alcune lettere o intere parole. Piuttosto si verificano anche altri tipi di errori, i quali includono la riduzione dei suoni e l’incapacità di leggere fonologicamente, ossia di convertire correttamente un grafema in fonema. Un altro aspetto rilevante riguarda la problematicità del dislessico nel riuscire a pronunciare le parole correttamente, unire o dividere le sillabe.

In generale, nonostante siano state proposte molte teorie di natura diversa per spiegare le diverse manifestazioni della dislessia e per cercarne la causa scatenante, sembra esserci un consenso condiviso nel considerare le origini della dislessia di tipo neurobiologico, sia a riguardo della costruzione genetica che per quanto concerne le caratteristiche strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale. L’insieme delle diverse cause porta ad un malfunzionamento a livello cognitivo, il quale di conseguenza comporta la non riuscita di una buona lettura.

Per quanto riguarda la lettura, esistono tre aspetti irrelati che sono incorporati in questo processo, ovvero l’aspetto tecnico che consiste nel collegare le unità fonologiche ai simboli grafici, l’aspetto semantico, quindi di comprensione, e l’aspetto riflessivo di lettura critica. In altre parole, il carattere multifattoriale della lettura include l’identificazione di elementi fonologici e i loro simboli grafici corrispondenti, il riconoscimento del significato di questi simboli, così come la comprensione e la valutazione del valore del contenuto nel contesto dell’esperienza individuale.

Sempre a questo proposito, si possono trovare dei parallelismi tra il Dual-Route Model proposto da Coltheart e il modello di Frith sull’apprendimento della lettura, nonostante siano stati elaborati in periodi diversi e con differenti scopi. Per quanto riguarda la competenza che si acquisisce durante la fase alfabetica proposta da Frith, questa si fonda sulla stessa presupposizione su cui si basa il meccanismo della via sublessicale del modello del doppio accesso. In entrambi, infatti, è necessario

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acquisire una serie di regole di conversione grafema-fonema per leggere le parole irregolari e le non-parole. Inoltre, entrambi i modelli ipotizzano che questa abilità sia danneggiata nei soggetti dislessici. Tuttavia in entrambi i modelli viene postulata una strategia compensatoria. In aggiunta, in entrambe le teorie le abilità fonologiche sono cruciali per l’acquisizione delle regole di conversione e per riuscire ad acquisire buone competenze di lettura e di spelling.

Per concludere, i maggiori sintomi manifestati dai ragazzi dislessici si possono riassumere in problemi di lettura e di spelling, quindi scarsa consapevolezza fonologica, di conseguenza deficit grammaticali, di vocabolario e di denominazione rapida, ed infine deficit attentivi. Come abbiamo già potuto constatare nel paragrafo precedente, le teorie finora presentate non sono in grado di spiegare l’intera gamma di sintomi che caratterizzano la dislessia evolutiva. Nel prossimo capitolo, verranno proposte altre ipotesi di tipo cognitivista, le quali vengono poi riprese e verificate nel terzo capitolo con i risultati ottenuti durante la sperimentazione condotta all’interno del progetto delle dott.sse Gloria Cappelli e Sabrina Noccetti riguardo l’insegnamento e l’apprendimento della lingua inglese da parte di soggetti adulti con dislessia evolutiva, svolta presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa.

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