• Non ci sono risultati.

Estensione e architettura del periodo

Nel documento La lingua della prosa sacra del Seicento (pagine 111-114)

Se nei paragrafi precedenti abbiamo potuto esaminare le tipicità dei periodi, i loro inizi e le distanze parentetiche che li inframezzano, analizzeremo ora la struttura del periodo. In altre parole, per stabilire una concreta adesione a uno stile di stampo manierista e, per lo più, esemplato dal Boccaccio bembizzato, pare lecito addentrarsi nel corpo del periodo e legittimare quanto detto finora. Si procederà, pertanto, attraverso due diversi tipologie d’esame: la prima caratterizzata dai soli dati esterni riferiti al periodo sintattico, cioè quante proposizioni formano un periodo; la seconda indirizzata, invece, su quelli interni di esso, cioè che tipo di proposizioni (se subordinate o coordinate). Si avrà perciò una ricostruzione delle scelte estensive del periodo. L’analisi principale verrà condotta sullo spoglio degli autori più influenti nel campo dell’oratoria sacra, e non sarà inutile ripetere le opere: Marino, DS e Sf; Aresi P. Arte e Ps.; Segneri Q e Ps. Per poi essere confrontata, così come avvenuto precedentemente, con il resto del corpus.

4.4.1 Estensione e simmetria del periodo

Si comincerà perciò dalla prima categoria di dati. Sovrapponendomi agli studi di Bozzola e ai più recenti di D’Angelo, tenterò di mostrare (in questo caso col dato esterno) un concreto accordo tra la prosa degli oratori o romanzieri di opere a carattere sacro con l’estensione adottata dalla linea di Bembo. Si è pensato di conteggiare il numero di periodi con le relative proposizioni e così tracciarne una media.

Nei casi della prosa dialogica cinquecentesca e della prosa dei romanzi di primo Seicento il quadro era abbastanza nitido: per la prima si aveva un andamento discendente della media che vedeva con un numero di sei/sette proposizioni per periodo Bembo; per la seconda ciò che si mostrava era uno spaccato il cui dato medio era ben al di sotto dell’artificiosità del periodo. Nel nostro caso si ha una perfetta aderenza al canone bembiano che abbiamo detto si aggirava tra le sei e le sette proposizioni per periodo. La media del totale di periodi e proposizioni dei nostri autori ne è il segno: 6,4.

Consapevole delle linee linguistiche tracciate dagli studi sull’infinito che indicano, da una parte l’infinito sostantivato come pura parte nominale,

dall’altra come parte verbale, durante il conteggio dei periodi ho considerato sempre l’infinito sostantivato inteso nella sua parte nominale. La semantica del verbo all’interno dei periodi del corpus mi porta, infatti, a considerare l’uso degli infiniti sostantivati come espressioni nominali, perché il più delle volte vengono usati in accumulazione, senza un’effettiva azione verbale139. Ovviamente, il criterio di divisione dei periodi è stato seguito secondo la più classica definizione di essi, vale a dire ogni periodo finisce quando incontra un punto fermo. Un solo problema si è presentato durante il nostro spoglio, e ha riguardato principalmente le DS di Marino. Trovandoci di fronte alla

princeps e alle due edizioni moderne, si è sentita l’esigenza di porli a

confronto per determinare un uso della punteggiatura che più si avvicini alla partizione reale del periodo. Ciò ha permesso di aggiornare, in parte, i dati mostrati da Irene Koban nel suo studio sulla Ricreazione del savio di Bartoli: il caso delle DS, che mostrava una media di circa 7 proposizioni per periodo, si è notevolmente abbassato, adeguandosi a un numero più conforme alla media proposta. Al fine di non essere accusato di poco scrupolo nei confronti di un dato, quale la punteggiatura, assai rischioso, ho fatto riferimento ai vari confronti, non considerando eccessivamente vero ciò che viene fuori dalla

princeps, poiché già il Marino la considerava scorretta e da rivedere140. Risulta anche ostico far affidamento solo su una delle due edizioni moderne, poiché la scelta interpuntiva alcune volte mira all’uso moderno: ci si trova davanti a casi in cui un periodo finisce col punto e virgola o la virgola e lo si distingue dall’uso della maiuscola che segue. Ovviamente, nelle situazioni appena descritte, sarà opportuno considerare fine di periodo, laddove il contesto lo permetta, anche frasi delimitate dai due punti con scopo né argomentativo, né presentativo.

Dallo spoglio effettuato, e tenendo conto della varietà sintattica che distingue i tre capitoli delle DS, si giunge a una media di proposizioni per periodi che si aggira al 5,3%.

Altri oratori, quali Aresi, Della Lengueglia e Giuglaris, vanno da poco più di sei a poco meno di sette. Il dato pare parlare chiaro sul deciso avvicinamento a una prosa caratterizzata da un’estensione maggiore e calibrata sulle stesse lunghezze di Bembo che, a sua volta abbiamo visto, oscilla tra le sei e sette frasi per periodo. Il picco è però raggiunto da Agostino Mascardi che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

139 Una base essenziale sullo studio dell’infinito sostantivato in Vanvolsem 1983 e il decimo

capitolo di Skytte 1983, pp. 487-536.

140 Non riferito a questa particolare edizione, ma alle altre poetiche si veda Guglielminetti

raggiunge precisamente le sette proposizioni per periodo, omaggiando così lo stile cinquecentesco e opponendosi alla prosa di gusto moderno.

Un dato a parte, e che sembra uscito dal gusto orchiano della prosa estesa, appartiene a Cornelio Musso. Pur non movimentando la disposizione delle parole, il vescovo di Bitonto conquista la palma della vittoria con le sue 14,3 proposizioni per periodo. Una cifra così elevata e che non trova riscontro in altri autori già spogliati per il Cinque o Seicento, sembra primeggiare su ogni altro dato disponibile;

Compulsando ulteriormente le pagine degli autori di nostro interesse, è valsa la pena anche sottolineare il numero di proposizioni per periodo e, in effetti, sembra avere un posto di rilievo il largo uso di periodi con più di 10 frasi semplici. Prendendo come primo esempio Mascardi si nota addirittura una netta prevalenza di questo dato sugli altri (oltre il 20% di periodi con più di 10 frasi semplici e solo il 14% di essi formati da 1-2)141. Di norma, comunque la media percentuale si stabilisce poco più sopra della metà dei due estremi: perciò si avrà, in media, una tendenza a formare periodi strutturati da 5-6 o 6-7 frasi semplici. Tutti dati esterni questi che aprono la strada per il successivo passo che, vedremo, sarà determinante ai fini conclusivi dell’analisi sintattica. I punti percentuali in nostro possesso (che, si vedrà, saranno posti in un piccolo regesto a fine di capitolo) si direzionano dunque verso una prosa che guarda all’antico e si allontana dalla semplicità paratattica che dovrebbe essere propria dell’oratoria142, ma che comincerà a far capolino solo con Alfonso Maria de’ Liguori143.

4.4.2 Architettura del periodo

Ciò che è stato visto, e che ha evidenziato certamente una tendenza al periodo lungo e a uno sviluppo orizzontale di esso, ha bisogno di essere messo in stretta correlazione con il piano verticale della sintassi. In altre parole, non è detta che un’estensione maggiore comporti, a sua volta, una difficoltà di lettura equivalente144. Perciò, sulla scorta dei più recenti studi già citati, si è

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

141 Tali dati confermano la famosa polemica al laconismo malvezziano, di cui lo stesso

Mascardi fu tra i principali oppositori.

142 Pozzi 1998, p. 281 ss. 143 Cfr. Librandi 1988.

144 Bozzola 1999, p. 180 riflette su questi aspetti di complessità sottolineando che la maggiore

profondità sintattica dipende dal rapporto tra subordinate e indipendenti e non dall’ipotassi. Così conferma anche Zublena 2001, p. 349.

andata a sondare la costruzione interna per poter mostrare il tipo di frase dominante, al fine di poter determinare o no una concordanza tra estensione orizzontale e verticale.

Nel documento La lingua della prosa sacra del Seicento (pagine 111-114)