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Ripetizione lessicale pura

Nel documento La lingua della prosa sacra del Seicento (pagine 46-54)

2.2 Ipertrofia

2.2.1 Ripetizione lessicale pura

a) Epanalessi. Si tratta della figura che più avvicina a un discorso diretto

di tipo enfatico-esclamativo, che dovrebbe essere tipico di una prosa oratoria, ma che non riesce a far breccia nei nostri testi. Si trova, per lo più, sempre in posizione iniziale (/xx…/)56: DS 99 «Entra, entra, o uomo, ne’ penetrali di questo portico stupendo»; 143 «Ecco, ecco Satanasso, pittore […]»; 156 «Questo, questo, è il caro lenzuolo»; e raramente è presente in Aresi e Segneri in tale configurazione. Una forma di epanalessi strutturata come «répétition en contact interrompu»57 sembra, invece, avere più fortuna, a causa dell’effetto di ridondanza che va a creare: Q. Segn. 82 «Chi è costui (avreste voi domandato con ciglio attonito) chi è costui»; anche all’interno del periodo e non in posizione iniziale: Ar. pred. 854: «ma chi non dirà che molto più !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

55 Mi riferisco a Bozzola 1996, Mortara Garavelli 1962, Koban 2014a.

56 A proposito dell’epanalessi nella predicazione medievale si veda Colombo 2014, p. 48:

«Per distinguere un oratore dagli altri può valere, invece, l’uso insistito dell’epanalessi, che costituisce per esempio un ingrediente significativo dell’espressività linguistica di san Bernardino da Siena, mentre è impiegata parcamente da un predicatore meno popolareggiante come Giordano da Pisa». Cfr. anche Tesi 2001, p. 157; Delcorno 2009, p. 54; Arcangeli 2010, pp. 35-36.

forte fusse Tomaso, che dall’honestà solo armato, non fugge egli no, non

fugge». Anche il resto del corpus presenta le stesse caratteristiche: PR 331

«Tu solo, o Carlo, tu solo in tanta moltitudine di prelati, giugnesti a questo amore eccessivo di Paolo Santo».

b) Anafora. Filo conduttore di quasi tutte le opere di argomento sacro è

l’anafora che si trova nella sua purezza o accompagnata da altre figure. Solitamente, si presenta in concomitanza di lunghe sequenze simmetriche che diverranno un vero e proprio tratto distintivo dell’oratoria sacra.

Ps. Ar. 88

A)! all’uno de’ quali è superbo padiglione il petto; B)! all’altra altiera tenda il capo;

C)! a quello forte trinciera le viscere, e le coste; D)! a questa vallo, e bastione le labbra, e i denti; A)! dell’uno, l’armi i pensieri, gli concetti, l’amore; B)! dell’altra, le voci le parole, l’eloquenza; A’) Guerreggia l’uno,

X) hor amando, hor odiando, hor bramando, hor temendo; B’) Combatte l’altra,

X) hor minacciando, hor pregando, hor mal dicendo, hor adulando. E va gran pezza così del par la zuffa, che

C)! se quegli pensa, D)! questa parla; C)! se quegli ama, D)!questa lusinga; C)! se quegli desia, D)!questa chiede; C)! se quegli s’adira, D)!questa minaccia; C)! se quegli s’affligge, D)!questa si lagna, C)! se quegli ammira, D)!questa loda; C)! se quegli è frodeolente, D)!questa è mendace; C)! se quegli teme, D)!questa trema; C)! se quegli giubila, D)!questa canta,

C)! e se quegli resistendo si trasforma in iscudo. Dabis eis scutum cordis. D)!Questa impugnando diventa acutissima spada.

Lo schema che si presenta agli occhi del lettore crea un effetto circolare della prosa e arriva a virtuosismi decisamente parossistici accostabili, forse, solo al Marino. L’organizzazione della struttura comincia presentando i quattro elementi che si ripeteranno (A, B, C, D), continua così col riprendere A e B; Aresi complica il periodo inserendo tra i successivi A’ e B’ l’anafora X (composta da quattro membri e non da tre, come ci si aspetterebbe). A quel punto il terreno è preparato per inserire la ripetizione di C…D per ben dieci volte. Uno schema simile, dicevamo, si trova in Marino:

Ecco la Prudenza e la Fortezza. A)! L’una è parte dello ‘ntelletto, B)! l’altra è officio della mano: A)! l’una pertiene alle lettere, B)! l’altra si conviene alle armi: A)! l’una essercita il senno, B)! l’altra somministra il valore: A)! l’una è buona al consigliare, B)! l’altra all’esseguire:

A)! l’una specola, B)! l’altra opera: A)! l’una in pace, B)! l’altra in guerra: A)! l’una comanda, B)! l’altra ubbidisce:

A1) quella è una diritta ragione delle cose fattibili, B1) questa è intrepida resistenza alle terribili:

A1) quella indirizza a norma lodevole quanto pensa e quanto fa,

B1) questa alla morte si espone e non cede, i pericoli sostiene e non fugge: A1) quella prevede e provede il nocevole e il giovevole, e ciò che schifare e ciò che seguir si dee:

B1) questa regola gli smoderamenti della temenza e dell’audacia per lo

bene della Repubblica.

Che a differenza di Aresi, comincia subito con uno schema binario (A/B) per poi inserire il secondo, più ampliato (A1/B1): la caratteristica principale del

discorso è data, ovviamente, dalle opposizioni l’una…l’altra che trovano compimento con l’aggiunta di questa…quella, amplificando così i membri del periodo.

PR 170-171

Laonde se per nativo instinto dona la Magnificenza opere illustri alla luce, e la Modestia vi sparge sopra le tenebre;

A) quella aggrandisce le cose picciole, B) e questa appicciolisce le grandi; A) quella ama cose lodevoli, B) questa inodia la lode; A) quella stende la mano; B) questa l’asconde;

A) quella dona le trombe alla fama, B) e questa gliele toglie;

e ancora in PR 186:

A) Ma quanto più magnifico Anfiteatro è questo, Serenissima Altezza, quanto è più maestoso e divino il suo fine?

B) Non era quello più che un marmoreo serraglio di silvestri Leoni; A) questo è un delizioso Paradiso d’Angioli umani:

B) in quello si conciano le indomite fere; A) in questo si domani le feroci passioni: B) in quello schermiscono visibili lottatori; A) in questo si lotta con gl’invisibili Spiriti:

B) in quello trascorrono su longhe corde gli atteggianti funamboli;

A) in questo si librano sopra strette linee di santissime leggi i tortuosi appetiti:

B) quello dona spettacolo a Roma, A) e questo al Cielo.

Si può notare un perfetto equilibrio anaforico basato sull’antitesi di due membri del periodo (questo / quello), del tutto analogo alla struttura retorica adottata dalle DS che, in questo caso, formano una base emulativa per Tesauro.

Procedimenti di tal genere è difficile trovarli nella prosa segneriana, che però adotta, con un modello retorico simile, parallelismi prettamente sottolineati da anafore e altre ripetizioni più vicine alla retorica classica:

Q. Segn. 34

A) V’invita egli ora come amico ad udire quella Commedia profana, B) Signori sì;

C) ma poi stabit ex adverso,

D) e dirà che a ciò gli deste animo con l’affezione smoderata a’ trastulli da voi mostrata.

A) V’invita egli ora come amico ad accompagnarlo a quella casa nefanda, B) Signori sì;

C) ma poi stabit ex adverso,

D) e dirà che a ciò gli porgeste occasione con la licenza giovanilissima di amoreggiare in voi scorta.

A) V’invita egli ora come amico ad entrare in quel contratto proibito, B) Signori sì;

C) ma poi stabit ex adverso,

D) e dirà che a ciò gli somministraste argomento con l’amore insaziabile della robba in voi conosciuto.

Bisogna aggiungere, inoltre, che trovano ampio respiro periodi come il precedente e non periodi formati da parallelismi bimebri, come si è visto per Marino e Aresi.

Un rapido sguardo va anche al resto del corpus che, come vedremo, tende a seguire le strutture sintattiche simmetriche in eccesso o rispettoso della tradizione. In realtà, durante l’arco del secolo la retorica non smette mai di influenzare l’ordine stilistico della sintassi che anzi risente di larghe campate architettoniche. Non ci sarà bisogno di arrivare alle conosciute esagerazioni dell’Orchi per scorgere le ampie sequenze basate sulla ripetizione di alcuni membri che si protraggono anche per pagine intere; ci basterà un solo esempio tratto dalle OS di Mascardi:

109 Quella medesima Vergine, che Dio prima de’ tempi, ne’ suoi celati esemplari vide, amò, scelse e fè capace con misericordia sua propria di partorir quel Figlio […].

Quella Vergine, dico, che fu specchio di santità, modello di perfezione,

norma de’ costumi, esempio della religione […].

Quella, che fin nell’alvo materno, a guisa di perla in grembo a peregrina

conchiglia, lampeggiò senza macchia di colpa originale […].

Quella, che figlia di sollecite preghiere e di voti, quasi rosa infra le nevi

dell’età fredda de’ Padri aperta, fu prima Cittadina del Cielo con l’anima […]. Quella, che seppe con non più udita mischianza farsi Madre e figlia di Dio […].

Quella che in Cielo sovra distinto soglio di Maestà sedente è honorata dal

figlio [….].

Quella a cui rispondono le stelle […].

Quella che a pro de’ pericolanti mortali comanda al mare da fortunosi venti

Quella che in segno di Padronanza universale vede nascere alla gloria del

suo nome superbissimi tempi […].

Vede a’ suoi santi simolacri impor corone […]; vede offerirsi religiosi fuochi […];

vede di ricca drapperia ornar le mura delle sue Chiese […].

Un esempio di tale portata (ho omesso intere righe tra le varie ripetizioni) sembra richiamare i virtuosismi mariniani, ma senza ricorrere al gusto simmetrico della sintassi, ma di questo si parlerà più avanti (vd. infra 4.4.1). Per ora sarà bene concentrarsi solo sugli aspetti legati al rapporto tra retorica e sintassi: perciò il quadro che si vorrà offrire sarà rivolto non alla perfetta simmetria, ma all’utilizzo del parallelismo (che può non coincidere con la perfetta sequenza simmetrica). Meno marcato, ma sempre fedele alle lunghe sequenze è TE di Giuglaris:

4 Non vi è chi possa in esso aver pace,

A) non il Cielo, che senza mai potersi fermare è condannato a correre eternamente le poste;

A) non il Sole, che

B) ora per mal incontro s’ecclissa B) ora scorso dall’ombre si macchia, B) ora sepolto dall’onde si smorza;

A) non la Luna, che sta sempre su l’acquistare e sul perdere, B) rotta ora in corni,

B) fatta ora in quarto, B) torta ora in circoli;

A) non l’aria minacciata sì spesso con termini di risentimento da’ tuoni, flagellata co’ staffili di fuoco da’ fulmini, lapidata con pallotte di ghiaccio da’ nuvoli;

A) non il mare, B) ora rotto tra scogli, B) ora arrotato tra vortici, B) ora tutto ribevuto da Scilla,

B) ora stancato da fastidiosi Sirocchi, B) ora increspato da impetuosi Grecali, B) or arrabbiato da infuriati Lebecci. A) Non la terra

B1) quando

C) per l’arsure della State tutta fissure, C) per li freddi del Verno tutta tristezze,

B1) quando sotto l’aratro divisa in solchi, sotto il rastello rotta in minuzzoli,

B1) quando sviscerata da chi cerca oro; D) ne gl’arbori tribulata col ferro, D) ne’ metalli tormentata col fuoco, in ogni cosa sempre in discordia col tempo.

La struttura apparentemente estesa del periodo, che abbiamo visto essere conseguenza della gerarchia orizzontale, dilata il nucleo principale quasi ad

infinitum, adottando anch’essa una ripetizione simile alle tecniche di

enumerazione retorica. Si nota a un certo punto del secolo, un graduale abbandono della magnificenza secentesca adottata dalla ripetizione, per cui, in alcuni autori, non si troverà più l’accumulo anaforico, ma una sua variante meno invasiva:

OSLeng 15

Scegliesse almeno Teresa a’ suoi viaggi la più mite stagione di primavera, A) quando l’asprezza delle strade con le nascenti erbe s’ammorbidisce, A) quando il sole rinfresca i suoi raggi nelle verzure,

A) quando i passaggi de gli Usignuoli si allevano i passeggieri;

B) se il bisogno invita al cammino, il discorrimento de i rivoli lo consiglia, B) se la stanchezza necessita al riposo, i prati offeriscono letto, non che sedile,

C) dove il caldo assale, l’ombre diffendono,

C) dove il moto accende la sete, l’ammorzano le fontane […].

L’esempio appena riportato poggia su un’impostazione classica dell’anafora, costruita con una terna all’inizio e con le ripetizioni doppie dopo che, però, si costruiscono con la formula oppositiva legata all’azione conseguente (se il

bisogno invita…il discorrimento […] lo consiglia ecc.).

L’uso di una determinata simmetria anaforica comporta a livello sintattico una distensione della sintassi (vd. infra cap. III) che abbraccia due orizzonti possibili: 1) la prosa viene dotata di procedimenti parallelistici che modificano la struttura verticale della sintassi (e fino a Segneri, credo si possa confermare tale ipotesi); 2) lo sviluppo anaforico consente di estendere la sintassi, ma solo sul piano orizzontale, permettendo agli scrittori di adottare uno stile nominale (vd. cap. IV, § 4.9.2).

Mi avvio a un ultimo esempio di uso anaforico che rispecchia tutti gli scrittori del corpus (ma per ragioni di sintesi procederò al solo passo mariniano):

DS 105 Sì per rispetto della bellezza, poiché se il fermamento, sicome è pieno di tante stelle, ricco fosse d’altrettanti soli, sol che un solo angiolo della infima schiera vi comparisse, sarebbe subito di tanti soli quel che suole il sole di tante stelle.

Mi sembra chiaro che il gioco anaforico si basi sul rapporto di ripetizione della stessa parola vòlta ad assumere ogni volta un significato diverso. Un rapido sguardo al corpus β permette di segnalare l’uso da parte del Marini di questo tipo di costruzione:

CnC 23-25

A) Quello nato di Contadino, è destinato alla zappa, B) quell’altro di stirpe Reale allo scettro.

A) Quel Cavaliere alle armi, B) quell’altro alle scienze. C) Chi alla Teologia, C) chi alle leggi,

C) chi alla medicina s’appiglia […]. D) Questi alla Religione

D1) per propagar la fede, 3)! quegli al Matrimonio,

D1) per propagar il genere umano, vengono chiamati. F) Quale ad una carica,

F) quale ad un’altra sono promossi. X) L’uno è il servo,

Y) l’altro è il padrone. D) Questi comanda, E) quegli ubbidisce.

Anche Marini perciò adatta la sua prosa inserendo larghe campate anaforiche che richiamano quei procedimenti già visti per Marino, Aresi, Segneri e altri autori del corpus a. Il brano in uno stretto giro di righe riporta addirittura nove diverse coppie bimembri, difficile da trovare in altro tipo di scritti.

Oltre ai testi dei corpora si è vista anche un’opera pressoché interessante: il

Davide perseguitato. Anche uno scrittore stilisticamente asciutto e privo di

ornamenti retorici quale Virgilio Malvezzi non è del tutto indifferente alle dinamiche della prosa sacra. Si veda, ad esempio, l’inizio del Davide:

Davide 1:

A) Coloro, che dubitano, se sia vero, che Iddio Sig. Nostro non parla più a gli Huomini, o pure, che gli Huomini non intendono più Iddio;

B) Credino fermamente; c) che egli parla,

d) ma troppo sono sordi quelli, che non odono il linguaggio. B) Credino fermamente,

c) che egli scrive,

d) ma troppo sono ciechi quelli che non vedono il carattere.

Chi vuole intendere la sua voce, o leggere la sua lettera, ricorra alla sacratissima Storia;

E) Ella è un Vocabulario,

c) che ci ha lasciato lo Spirito di Dio per dichiarare gli altissimi suoi linguaggi. E) Ella è una chiave,

c) che apre tutte le cisare, che si dispacciano dal Paradiso.

c) Anadiplosi. L’anadiplosi è ovviamente ben presente in molti scrittori di

cose sacre. L’eccessiva estensione sintattica obbliga, alle volte, ad allontanare e a replicare ciò che è stato detto in apertura e «in questi casi la funzione dell’anadiplosi è prevalentemente di ripresa e chiarificazione»58: Q. Segn. 76 «Ed egli fu sì cortese (udite, misere, udite qual sia poi l’esito di tanti vostri amorosi vaneggiamenti) ed egli fu sì cortese […]»; 651 «e poi (scusatemi, se vi par proprio ch’io voli in questi racconti, perché ho paura di farvi scoppiare il cuore, se non accelero) e poi dato d’accordo un grido fortissimo».

Nel documento La lingua della prosa sacra del Seicento (pagine 46-54)