• Non ci sono risultati.

Iperbato debole e iperbato forte

Nel documento La lingua della prosa sacra del Seicento (pagine 74-78)

Da sempre vivo nella lingua letteraria sin dalle origini, come dimostra Segre96 nei testi del Duecento, l’iperbato inizia connotarsi nella sua forma

volutamente esagerata nell’oratoria sacra e nelle zone ad essa limitrofe. Definendo già da ora l’iperbato come un fenomeno che assume una sfumatura diversa dall’inversio e che si ottiene mediante una separazione tra diversi membri del sintagma verbale, si adotteranno le classificazioni promosse da Bozzola – e accettate in larga parte da altri studi97 – di iperbato debole e

iperbato forte98. Si parlerà di iperbato debole quando a essere interposto tra i due segmenti verbali c’è una breve porzione testuale; dell’iperbato forte, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

94 Infatti l’incipit dell’esempio comincia con: «Voleva egli esser ammaestrato dalle parole

altrui […]».

95 Lettera di Muzio Vitelleschi al padre Giovanni Rho, 2 luglio 1622, ARSI, Rom. 18, I, f.

198v; citata anche in Zanardi 1982, pp. 40-41.

96 Cfr. Segre 1963, p. 164.

97 Ad esempio Matt 2015, D’Angelo 2015, Koban 2014b. 98 Si seguono le indicazioni di Mortara Garavelli 1988, p. 228.

invece, si farà riferimento quando a manifestarsi è l’interposizione frastica, tanto comune nel Boccaccio, quanto amplificata da autori cinquecenteschi del calibro di Bembo99.

3.7.1 Iperbato debole

Questa figura sintattica, che certamente non è associabile a un tratto stilisticamente marcato, è presente in modo uniforme in tutti i testi analizzati. Quasi nessuna delle opere presenta percentuali inferiori al 40% ed è degna di nota l’intera copertura del fenomeno durante tutto il secolo100 e per la gran

parte del secolo successivo101. A causare il fenomeno può essere l’intrusione di un elemento avverbiale «che è la varietà meno significativa dal punto di vista stilistico»102:

DS 65 che da questa le sono esteriormente somministrati; 141 Erasi lungamete affaticato un pittor goffo;

233 non sia naturalmente infusa qualche vaghezza; Ps. Ar. 108 Chi potrà ormai dubitare;

114 l’abbiamo a bastanza veduto; 126 fu particolarmente dato;

Q. Segn. 405 possiate maggiormente ancor’ animarvi; Ps. Segn. 75 potea largamente sperar;

89 fu miracolosamente scoperto;

o un complemento:

DS 183 ciò fu per singolar privilegio conceduto; 207 volse alla parte del sovrano avanzarsi;

210 affinchè la voce e la parola si potesse con facilità formare; Ps. Ar. 92 possono con la prima congiungersi;

101 al che dovemo noi con la musica de’ ringraziamenti rispondere; !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

99 Cfr. Bozzola 1999, p. 139.

100 Lo spoglio effettuato va dall’Arte di predicar bene di Aresi del 1611 al 1694, anno della

morte di Paolo Segneri. Nel 1693 vengono pubblicati per una terza volta con aggiunte i

Panegirici sacri del Segneri e per la prima volta Il Cielo domenicano di Giacomo Lubrano.

Cronologicamente datiamo av. 1694 perché alcune opere di Lubrano, che si esaminano, sono uscite postume (Prediche quaresimali 1702 e Panegirici 1703).

101 Cfr. Patota 1987, p. 229 ss. 102 Bozzola 1999, p. 139.

107 volle nella stessa maniera punirsi; Q. Segn. 180 volle con le sue gioie perire; Ps. Segn. 80 Debba per così dire averne; 86 non fu a piè d’Antonio veduto.

Rilevante è l’interposizione del complemento d’agente di facile individuazione nella prosa cinquecentesca e di difficile uso nella prosa – anche stilisticamente elevata – di inizio Seicento103.

DS 178 ti sei anche dalla morte lasciato soggiogare; 188 non fu da altrui operato;

211 sono dall’ira irritate;

Ps. Ar. 105 era da altri stato impresso; 107 sogliono dalle fiere custodirsi; 121 essendo da Dio favorito; Q. Segn. 180 possa da te staccarmi;

Ps. Segn. 80 sia stata da simili religiosi illustrata.

Un modulo ricorrente è anche l’inserzione dell’oggetto, fenomeno riscontrabile in una prosa dai toni cinquecenteschi:

DS 198 fu il corpo umano fabricato; 199 avea [Iddio] l’universo tutto edificato; 231 hanno molte infermità curate;

Ps. Ar. 90 non volle questa bella, e gran machina del mondo crear; 100 fu tutto ciò disprezzato;

e in Segneri frequentissima quella del soggetto: Q. Segn. 166 Non hanno i miseri havuta;

169 voglio io gridare;

170 c’habbia io fin’ora perduto.

Sporadicamente, si trova anche un tratto poco comune nella prosa letteraria del Cinque e Seicento: la concomitanza tra iperbato e anastrofe. Uno stilema che scandisce brevi porzioni di testo per enfatizzare gli elementi inseriti nel mezzo.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

103 Cfr. Bozzola 1999, p. 140 e Matt 2015, p. 195. Nelle lettere di Marino viene usato

3.7.2 Iperbato forte

Per quanto riguarda l’iperbato forte si devono prima spiegare le ragioni dell’utilizzo di tale costrutto. A una prima analisi si è rilevato il maggior tentativo di allontanamento nelle DS di Marino; però dopo aver confrontato gli altri autori si è potuto notare un buon livello d’uso, tanto da rendere unici i testi di oratoria sacra e di argomento religioso per il fenomeno della dilatazione sintattica che crea un livello di attesa nella lettura. Se il precedente si ritrova con una forte connotazione sintattica solo in Bembo, dobbiamo necessariamente supporre il grande effetto che quel tipo di prosa abbia avuto sui successivi testi del Seicento. L’iperbato forte si ritrova quasi sempre in maniera costante – con leggero andamento verso il basso – da Aresi a Segneri, e in tutti quegli scrittori che stanno nel mezzo (infra III § 3.9):

Ap. Ar. 850 Forse potrò ancor io, senza nota di presunzione, andar;

859 e ben potrei io, ascoltatori, di questa profondissima umiltò di Tomaso più di un esempio addurvi;

Ps. Ar. 90 non volle, questa bella, e gran machina del Mondo crear; Q. Segn. 170 son come appunto le sotterranee caverne da lor tenute;

174 e dopo havere con maggiori espressioni di tenera riverenza riconosciuto; 180 non vogliono mai da terra, come vili animali levare.

Solo in Marino si può trovare l’interposizione frastica, cioè la variante più marcata dell’iperbato forte e di gusto arcaizzante:

DS 90 dee l’egregio pittore, del continovo vigilano, sempre meglio tuttavia nella sua facoltà avanzarsi;

110 che fusse e con vittime e con incensi e con vini e con giuochi e con altri superstiziosi onori, al divino culto pertinenti, adorata;

249 avendone massimamente alcune, oltre le palesi, dentro il profondo delle vene, de’ nervi e dell’intime viscere occulte;

261 Furono infin da’ primi secoli della dilatata religione, ne’ templi de’ Cristiani, per risvegliare gli animi de’ fedeli alle divine lodi, messi;

con giochi retorici che creano effetti di spezzatura notevoli, come nel caso del doppio iperbato che si crea in questo passo:

98 E come potevano con più esquisito artificio o con più accurata sottilità esser dal suo diligente pennello organizate;

o amplificando in modo eccessivo l’allontanamento, creando così apertura e chiusura di un periodo:

112 Sogliono i pittori del mondo, per eccellenti et illustri che sieno e per bella e riguardevole che formino una imagine, quando l’hanno già di tutto punto finita in guisa ch’altro non sanno aggiugnervi, comeché loro paia non potersi l’arte più oltre distendere, sottoscrivendovi nondimeno (perché si sappia il maestro) il proprio nome, dire;

Tutti gli esempi citati fanno parte di un corpus ben più ampio che è spia di una prosa d’arte ottenuta tramite l’esasperazione dei canoni bembeschi.

Nel documento La lingua della prosa sacra del Seicento (pagine 74-78)