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L'estetica del performativo

Capitolo II - Gli sviluppi del performativo

2.4. L'estetica del performativo

vedremo che il panorama da lei tracciato è così complessivo e estensibile ad altre

arti che può illuminare molti quesiti riguardanti il testo.

Per la studiosa, tale svolta performativa consiste nel fatto che l'opera d'arte non è più considerata come un oggetto pronto, elaborato a priori e ricco di significati che l'osservatore/spettatore deve interpretare; è anzi vista come un processo che si consolida nel presente dell'interazione tra gli agenti coinvolti (artista e fruitore). Questo implica la prevalenza della materia sul segno, della realtà immediata legata al momento in cui le azioni avvengono rispetto alla costruzione del senso attraverso una loro lettura segnica. L'opera d'arte come evento è aperta alla possibilità di accogliere cambiamenti: anzi, è evento proprio perché esiste nel suo svolgersi, non è rappresentazione ma presenza, ed elimina la distinzione tra soggetto e oggetto. Questa "svolta performativa" non può essere compresa con le categorie estetiche tradizionali, per cui è necessario sviluppare una nuova estetica, che lei chiama "estetica del performativo".

Il termine "performativo" ha origine nella filosofia del linguaggio, in particolare nelle teorie di John Austin

200

. Fischer-Lichte fa notare che il filosofo

dell'azione e della performance. Le frontiere tra le diverse arti sono diventate più tenui, si è teso progressivamente verso la creazione non tanto di opere d'arte ma di eventi, che hanno cominciato ad avere luogo con spiccata frequenza, in forma di realizzazione scenica [Aufführung]. (...) Le arti visive, la musica, la letteratura o il teatro hanno la tendenza, da quel momento in poi, a compiersi in modo performativo. Anziché creare opere, gli artisti producono eventi in cui non sono coinvolti solo loro stessi ma anche gli spettatori. In questo modo si modificano le condizioni di produzione e ricezione artistica in un aspetto cruciale. La funzione essenziale di tali processi non è più data da un'opera d'arte d'arte liberata e indipendente dai suoi produttori e ricettori, la quale sorge come oggetto a partire dell'attività del soggetto artistico e viene affidata alla percezione e interpretazione di un soggetto ricettore. Al contrario, abbiamo a che fare con un evento che viene originato, sviluppato e concluso attraverso l'azione di diversi soggetti: l'artista e l'ascoltatore o spettatore. Si è modificata ugualmente la relazione fra status materiale e status segnico degli oggetti impiegati e delle azioni nella realizzazione scenica. Lo status materiale non esiste in funzione dell'aspetto segnico, ma si stacca da quest'ultimo aspirando a un'esistenza propria. Vale a dire, l'effetto immediato degli oggetti e delle azioni non dipende dai significati che si possono loro attribuire, ma accade del tutto indipendentemente da loro, a volte persino li precede, in ogni caso al di là di qualsiasi tentativo di attribuzione di significato. In qualità di eventi che presentano queste caratteristiche speciali, le realizzazioni sceniche delle diverse arti aprono la possibilità a tutti coloro che vi partecipano – sia artisti che spettatori - di sperimentare dei cambiamenti nel loro decorso, ovvero di trasformarsi essi stessi». E. FISCHER-LICHTE, Ästhetik des Performativen, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 2004, p. 20-29; abbiamo consultato a titolo comparativo anche l'edizione spagnola: E. FISCHER-LICHTE, Estética de lo performativo, trad. spa. D. Martín e D. Perucha, Madrid, Abada Editores, 2011.

200John L. Austin è stato un filosofo e linguista inglese che ha sviluppato la teoria degli atti linguistici nell'ambito nella filosofia del linguaggio. I suoi studi hanno avuto grande rilevanza: oltre che nell’ambito dell'estetica del teatro, anche in quelli della filosofia, della giurisprudenza e dell’Intelligenza Artificiale. All'inizio delle sua riflessione, propose la distinzione tra enunciati

inglese mette in luce il fatto che gli enunciati performativi condurrebbero alla destabilizzazione dell'idea di uno schema concettuale dicotomico

201

. E’ proprio questo nucleo a interessare la studiosa tedesca nella definizione di un'estetica del performativo applicata alle arti, visto che dagli anni Sessanta in poi «sono proprio le coppie concettuali dicotomiche come soggetto/oggetto o significante/significato a perdere la loro polarità e nitidezza dei limiti nell'essere messe in movimento e nell'iniziare a oscillare»

202

. Inoltre, a somiglianza degli enunciati austiniani, esperienze performative come Lips of Thomas (Abramovich, 1975)

203

contengono

constativi e enunciati performativi. Questi ultimi implicano il fatto che dire è uguale a fare:

pronunciarli provoca un cambiamento nel mondo reale (come potrebbe essere, per esempio, la formula pronunciata in una cerimonia di matrimonio) nel caso in cui avvenga nelle circostanze adatte. Nello studio degli enunciati performativi, utilizza i criteri di "felicità" e "infelicità”, successo e insuccesso. Fischer-Lichte riprende l'idea lanciata da Austin che il performativo metta in atto una dinamica di destabilizzazione degli schemi concettuali dicotomici, caratteristica che la studiosa giudica presente nelle nuove forme d'arte e che fa sì che sia necessario un nuovo sguardo critico, non basato sulle opposizioni. J. AUSTIN, Come fare cose con le parole, trad. it. C. Penco e M. Sbisà, Genova-Milano, Marietti, 20122.

201 Il ragionamento dicotomico (dal greco διχοτομία, divisione di un elemento in due parti) ha permeato la filosofia occidentale lungo i secoli nelle sue diverse vertenti: soggetto/oggetto, corpo/anima, pubblico/privato, natura/cultura, individuo/società, immanenza/trascendenza. Nel Novecento la scienza della complessità, il cui maggiore riferimento è il filosofo e sociologo francese Edgar Morin, è stata un passo importante per il loro superamento. Infatti, si tratta di un riferimento importante per il pensiero di Fischer-Lichte. Morin si propone di realizzare una riforma paradigmatica del pensiero occidentale a partire degli anni Settanta, pensiero che lui chiama

"semplificatore". Il pensiero semplificatore è caratterizzato da quattro principi basilari: la disgiunzione (tendenza alla specializzazione e non alla connessione tra discipline), la riduzione (esplicazione della realtà secondo un solo punto di vista e uso di dicotomie e superazione delle stesse tramite la dialettica), l'astrazione (stabilimento di leggi generali) e la causalità (visione lineare del mondo). Il pensiero complesso, invece, è dialogico (i concetti apparentemente opposti coesistono), ricorsivo (i prodotti e gli effetti sono contemporaneamente causa e produttori di ciò che li produce) e retto dal principio ologramatico (si vede il tutto nelle parti e le parti nel tutto, contro ogni riduzionismo e olismo). Cfr. E. MORIN, Introduzione al pensiero complesso, trad. it. M. Corbani, Sperling & Kupfer, Milano, 1993.

202FISCHER-LICHTE, Ästhetik des..., cit., p. 50.

203In questa performance emblematica, la performer Marina Abramovich porta il suo corpo agli estremi mangiando un chilo di miele e un litro di vino, per poi incidere una stella a cinque punte sul suo ventre, fustigarsi e crocefiggersi su una croce di ghiaccio sanguinando. Inorriditi dalla violenza dei suoi gesti, gli spettatori intervengono per salvarla. In un'intervista, l'artista fa la seguente dichiarazione: «La verità nella performance è la verità della performance in sé. Se il performer non è presente a se stesso, e dunque non aderisce come un tutt’uno alla propria mente e al proprio corpo, in un determinato spazio e tempo, allora la performance non potrà essere valida. Il pubblico lo sentirà immediatamente, comincerà a perdere attenzione e poi ad andarsene. Il performer deve avere la forza necessaria della consapevolezza. Energia utile a far percepire una presenza che non può concedersi, né altrove né al di sotto di una totalità. Solo allora sarà possibile riportare l’attenzione del pubblico in un solo punto per forgiarla a quel preciso istante. Quando lo spettatore sarà, con la propria mente e con il proprio corpo, nello stesso luogo e nello stesso tempo del

azioni autoreferenziali e costitutive di realtà, esse stesse capaci di propugnare una trasformazione sia nell'artista che nello spettatore. Tuttavia, è necessario adattare il concetto per applicarlo in ambito estetico, perché mentre per Austin è indispensabile l'esito dell'enunciato, che può aver successo o no, negli eventi performativi questo non si applica. In ambito performativo è la realtà dell'esperienza condivisa a caratterizzarla come tale, nel suo esistere come evento.

L'estetica del performativo s'impernia sul concetto di realizzazione scenica (Aufführung)

204

, non su quello di dramma

205

. Tale concetto deve però essere meglio precisato, visto che ha avuto una sua evoluzione storica: da trasposizione dell'opera letteraria a opera con valore artistico autonomo

206

. Per Fischer-Lichte, il fulcro del concetto sta nel rapporto tra attori e spettatori, che per la loro co-presenza fisica diventano co-soggetti

207

. Una prospettiva del genere implica che lo spettatore possa

performer, allora potrà avvenire una sorta di scambio di energie. E il tempo non esisterà più.

Nel presente il tempo non esiste. Il tempo vive nel passato e nel futuro perché è lì che lo possiamo pensare. Ma nel presente, quando sei completamente nell’hic et nunc, non c’è tempo. Appena sussiste la giusta energia, l’audience entra nello spazio senza tempo del performer e finalmente l’esperienza trasforma la vita in verità. È ugualmente difficile, semplice e immateriale arrivare a un punto in cui la vita diventa così vera da superare il reale». Disponibile su

http://www.artribune.com/2012/03/labramovic-secondo-marina-lintervista-vera/.

204 Abbiamo adottato la traduzione "realizzazione scenica" per la parola tedesca Aufführung, a somiglianza dell'edizione spagnola (realización escénica), per rimarcare chiaramente la differenza tra teatro come spettacolo, che sembra invocare ancora un'estetica della rappresentazione, e teatro come evento, territorio su cui ora ci muoviamo.

205 Qui si trova la differenza essenziale tra la teoria di Fischer-Lichte e quella di H.-T. Lehman:

quest'ultimo parte dalla riflessione sul dramma per fondare la nuova estetica, quella del post-drammatico, mentre Fischer-Lichte, provenendo già da consolidati studi semiotici sullo spettacolo, considera la questione da un altro punto di vista, partendo già dalla premessa che quest'ultimo non coincide con il dramma. Tuttavia, in realtà, in ambito tedesco la critica aveva già operato la distinzione tra Literarisches drama e Theaterstück (dramma letterario e pezzo teatrale) a partire dai contributi di Hans Doerry, attore, regista, dramaturg e studioso del teatro. Egli afferma l'autonomia della regia e identifica il parametro di maggiore o minore "rappresentabilità" dei testi, ovvero la loro

"capacità di esercitare un influsso sulla concezione d'insieme del fenomeno teatrale". Cfr. C.

GRAZIOLI, La Theaterwissenschaft e la nascita della regia nei paesi di lingua tedesca, in R. ALONGE, La regia teatrale: specchio delle brame della modernità, Bari, Edizioni di Pagina, 2007, p. 40.

206Abbiamo visto nel primo capitolo di questo lavoro il percorso della critica per l'affermazione dello spettacolo come oggetto di studio. In ambito tedesco, già all'inizio del Novecento è nata la disciplina degli studi teatrali (Theaterwissenschaft) staccata dagli studi letterari (Literaturwissenschaft), mentre in ambito italiano ciò è accaduto molto più tardi. Fischer-Lichte fa una breve storia dell'evoluzione del concetto di Aufführung, da spettacolo inteso come trasposizione del testo teatrale a evento scenico, totalmente indipendente. Ivi, pp. 33-65.

207 Fischer-Lichte si basa sulla teoria di Max Herrmann, padre fondatore della già menzionata Theaterwissenschaft, che nel 1920 definisce la relazione tra attori e spettatori in un modo storicamente nuovo: «(Der) Ur-sinn des Theaters (...) besteht darin, dass das Theater ein soziales

scegliere autonomamente le impressioni sensibili e convertirsi di fatto in co-creatore della realizzazione scenica. Analizzando la teoria di Max Herrmann, che per primo ha identificato questi elementi, si nota come questo critico abbia anche spostato il fuoco d'interesse dal "corpo come portatore di segni" al "corpo reale"

208

. Mentre il primo è attinente al territorio dell'espressività, il secondo appartiene alla performatività. L'espressività si oppone alla performatività perché parte dal presupposto che quello che si vede in scena deve essere "letto" e interpretato, ossia, deve avvenire la decodificazione dei segni presentati. Nell'ambito della performatività, invece, non c'è nulla da decodificare: il corpo dell'attore non si espone in quanto segno espressivo di una realtà altra, non rimanda a un messaggio, al significante; è invece corpo-presenza, richiede l'esperienza diretta e non l'ermeneutica. Il processo di ricezione dello spettatore non è dunque mentale ma corporeo: esso abbandona la posizione di osservatore per partecipare con il proprio corpo, attraverso le sue relazioni, parte attiva dello spettacolo

209

. L'approccio critico di Herrmann viene recuperato dalla studiosa perché implica che il concetto di

Spiel war, - ein Spiel Aller für Alle. Ein Spiel, in dem Alle Teilnehmer sind, - Teilnehmer und Zuschauer.

(...) Das Publikum ist als mitspielender Faktor beteiligt. Das Publikum ist sozusagen Schöpfer der Theaterkunst. Es bleiben so viel Teilvertreter übrig, die das Theater-Fest bilden, so dass der soziale Grundcharakter nicht verloren geht. Es ist beim Theater immer eine soziale Gemeinde vorhanden»

[Il senso originario del teatro (...) sta nel fatto che esso era un gioco sociale - un gioco di tutti per tutti. Un gioco in cui tutti partecipano - protagonisti e spettatori. (...) Il pubblico prende parte all'insieme in modo attivo. Il pubblico è, per così dire, creatore dell'arte del teatro. Ci sono così tante parti diverse implicate nella configurazione della festa del teatro che è impossibile che il suo carattere sociale vada perduto. Nel teatro esiste sempre una comunità sociale]. Cit. in FISCHER-LICHTE, Ästhetik des..., cit., p. 46.

208La concezione di Herrmann, fa notare Fischer-Lichte, si giustifica anche dal contesto artistico in cui viene forgiata. Erano gli anni del regista Max Reinhardt, che nel suo spettacolo Sumurun (1910) ha impiegato una passerella nel corridoio centrale del Kammerspiele del Deutsches Theater di Berlino per costringere gli spettatori a utilizzare selettivamente lo sguardo. Queste procedure registiche hanno sicuramente avuto un peso nel riconoscimento della materialità dello spettacolo (anziché sull'illusione mimetica). Per Herrmann, infatti, è attraverso il corpo reale dell'attore e lo spazio reale del teatro che lo spettacolo avviene. La studiosa tedesca vede qui l'origine del concetto di realizzazione scenica (Aufführung) come evento. Ivi, p. 66.

209La posizione dello spettatore come osservatore è messa in relazione anche con la questione dell'oscuramento della sala, che nella storia del teatro comincia a essere adottato nell'Ottocento da Richard Wagner, baluardo del teatro come meccanismo illusionistico. Lo spettatore, mentre osserva, si dimentica del proprio corpo. Un approccio alla realizzazione scenica come evento considera lo spettatore, così come l'attore, una mente incarnata (embodied mind). Fischer-Lichte usa spesso questo termine per richiamare la materialità dei corpi, adottando la prospettiva del nuovo cognitivismo.

realizzazione scenica passi dall’indicare l’opera all’indicare l’evento. Dal punto di vista teorico, il concetto di "opera" porta in sé l'idea di un insieme semiotico precostituito dall'artista, che deve poi essere interpretato secondo i diversi approcci estetici: l'estetica ermeneutica

210

, l'estetica dell'opera

211

, l'estetica della ricezione

212

. Lo spostamento dall'opera all'evento esige il superamento di questi territori che spesso si oppongono, per giungere a un paradigma conciliante.

210L'estetica ermeneutica parte dal presupposto che la fruizione dell'opera d'arte dipenda dalla sua interpretazione. Nel Novecento, l'estetica ermeneutica è stata problematizzata con Martin Heidegger, per il quale la descrizione fenomenologica è fondamentalmente ermeneutica, essendo l'interpretazione una caratteristica fondamentale dell'essere. H.-G. Gadamer ha approfondito questo aspetto, collocandolo in una prospettiva storica. Cfr. H.-G. GADAMER, L'attualità del bello:

studi di estetica ermeneutica, Genova, Marietti, 1986, ["Collana di Filosofia", n° 21]; cfr. lo studio approfondito di G. GREGORIO, Hans-Georg Gadamer e la declinazione ermeneutica della fenomenologia, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 20082, ["Variazioni", n° 10]; Più in generale sul rapporto tra estetica e ermeneutica, cfr. P. MONTANI, Estetica ed ermeneutica, Roma-Bari, Laterza, 1996 ["Biblioteca di Cultura Moderna", n° 1090].

211Il riferimento fondamentale qui è Adorno, che fa uno studio fenomenologico dell'opera d'arte distinguendo tra forma e contenuto. Nella Germania degli anni Sessanta, come culmine di una polemica annunciata dai primi scritti di Adorno negli anni Trenta, Heidegger appare come il suo grande avversario. Cfr. Teoria Estetica. Per un confronto con Heidegger, L. CORTELLA - M.

RUGGENINI - A. BELLAN (a cura di), Adorno e Heidegger. Soggettività, arte, esistenza, Roma, Donzelli editore, 2005.

212 L'estetica della ricezione deriva dal pensiero di Jauß, il quale ha posto l'enfasi sul ricettore all'interno del processo di fruizione artistica. Guerratana spiega in modo molto chiaro nel suo studio sul ruolo del lettore la differenza di prospettiva rispetto a Gadamer: «La concezione di Jauß si differenzia radicalmente da quella di Gadamer (19002002), secondo il quale una categoria di testi -i class-ic-i - cost-itu-isce una sorta d-i presente fuor-i dal tempo e parla a ogn-i -ind-iv-iduo facendogl-i un discorso a lui specificamente rivolto. In Wahreit und Methode (1960), Gadamer scrive che nel classico si realizza la mediazione tra passato e presente, posta alla base della comprensione; quest’ultima non è tanto un’azione della soggettività, quanto un processo di trasmissione storica nel quale passato e presente si sintetizzano continuamente. Secondo Gadamer, chi vuole comprendere un testo non può abbandonarsi alla casualità delle proprie supposizioni bensì deve ascoltare l’opinione del testo ed essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Il testo pone una domanda all’interprete:

l’interpretazione ha sempre un rapporto essenziale con la domanda che viene posta all’interprete.

Comprendere un testo significa, in quest’ottica, comprendere la domanda che esso pone. Secondo Jauß, non è invece l’opera a porre domande alle quali i lettori devono rispondere, bensì sono i lettori a porre a essa domande sempre nuove. Diversamente da Gadamer, che pone la domanda a partire dal testo, Jauß pone la domanda a partire dal lettore: egli afferma che il senso della domanda che la ricezione pone nell’appropriarsi del testo va dal lettore al testo stesso». A. GERRATANA, Il ruolo del lettore nell'estetica della ricezione e nelle teorie postmoderne, atti del Convegno Triennale dell'Associazione di Germanistica, La Lettura (Pisa, 20-22 giugno 2010), BAIG IV, gennaio 2011, pp.

25. Disponibile anche su http://aig.humnet.unipi.it/rivista_aig/baig4/(3)%20gerratana.pdf . Cfr.

anche l'efficace introduzione di Cadioli: A. CADIOLI, La ricezione, Roma-Bari, Laterza, 1998, [coll.

Alfabeto Letterario n° 5].

Caratteristica imprescindibile della realizzazione scenica come la concepisce l'estetica del performativo è la co-presenza fisica di attori e spettatori. In tale copresenza avviene quello che Fischer-Lichte chiama "circuito di retroalimentazione autopoietica"

213

. Le strategie di montaggio utilizzate nella messa in scena, tramite le quali ciò che deve avvenire è previsto, a partire degli anni Sessanta accolgono l'imprevedibilità delle contingenze al loro interno per stabilire un sistema autoreferenziale "non suscettibile d'interruzione o controllo" che produce risultati aperti e inaspettati

214

. Spiega la studiosa:

La svolta performativa degli anni Sessanta va mano nella mano con un nuovo atteggiamento verso la contingenza. Quest'ultima non solo è stata accettata in modo predominante come condizione di possibilità delle realizzazioni sceniche, ma è stata anche accolta in modo entusiastico. L'interesse è ricaduto espressamente sul circuito di retroalimentazione autopoietica [...]. In questo processo, l'interesse si è spostato da un possibile controllo del sistema al suo particolare modo di autopoiesi. In quale modo si influenzano reciprocamente le azioni e i comportamenti di attori e spettatori in una realizzazione scenica? Quali sono le condizioni specifiche soggiacenti a questa reciproca influenza? Quali sono i fattori che ne condizionano lo sviluppo e il risultato finale? Si tratta di un processo estetico oppure sociale?215

Alla luce di queste domande che si pongono gli artisti, la regia passa a fissare dei parametri che innanzitutto facciano funzionare questo circuito di

213Il concetto di autopoiesi è coniato dal biologo e filosofo cileno Humberto Maturana negli anni Settanta. Partendo dal presupposto che la cognizione è un fenomeno prima di tutto biologico, l'osservatore è definito come "sistema vivente", ovvero "unità di interazioni" che hanno una natura circolare, un sistema auto-referente. Per Maturana "i sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e il vivere in quanto processo è un processo di cognizione". Con lo scopo di capire i sistemi viventi, arriva a delineare il concetto di macchina autopoietica: «Una macchina autopoietica è una macchina organizzata (definita come un'unità) come una rete di processi di produzione (trasformazione e distruzione) di componenti che produce i componenti che: I) attraverso le loro interazioni e trasformazioni continuamente rigenerano e realizzano la rete di processi (relazioni) che li producono; e II) la costituiscono (la macchina) come una unità concreta nello spazio nel quale essi (i componenti) esistono specificando il dominio topologico della sua realizzazione in quella rete. Ne consegue che una macchina autopoietica continuamente genera e specifica la propria organizzazione mediante il suo operare come sistema di produzione dei suoi propri componenti (...)». Questa concezione ha forti conseguenze per la teoria della conoscenza e l'ermeneutica, e Fischer-Lichte la accoglie. Cfr. H. MATURANA - F. VARELA, Autopoiesi e cognizione: La realizzazione del vivente, trad. it. A. Stragapede, Venezia, Marsilio, 1985.

214FISCHER-LICHTE, Ästhetik des..., cit., p. 81.

215Ibidem.

retroalimentazione basato sull'interazione tra attori e spettatori. Vale a dire, la regia mette a punto "regole di gioco" che contemplano, secondo Fischer-Lichte, principalmente tre elementi: lo scambio di ruoli tra attori e spettatori, la formazione di una comunità tra di loro, e infine i diversi modi di contatto reciproco, ossia, “la relazione tra prossimità e distanza, fra la sfera pubblica e quella intima, fra il contatto visivo e quello corporeo"

216

. Il primo abbraccia esperienze come quella già citata di Abramovic, quella di Schechner o quella di John Cage nella musica, in cui la distinzione tra soggetto e oggetto, osservatore e agente, vengono dissolte o rovesciate

217

. Nel presente dell'evento scenico, il suo svolgere è dato dall'interazione tra spettatore e platea in modo de-gerarchizzato e fluido. Questo stato di cose facilita la moltiplicazione delle possibilità di sviluppo piuttosto che un decorso predeterminato. Tale incertezza getta gli spettatori in una crisi, visto che sono costretti a prendere costantemente delle decisioni e a porsi domande come:

Was unterscheidet eine politische Versammlung von einer Theateraufführung? Was die Gründung einer Partei von einer Zirkusvorstellung? Handelt es sich nicht in allen diesen Fällen um Aufführungen, in denen die Beziehungen zwischen den Beteiligten ausgehandelt bzw. festgelegt und unterschiedlich Arten von "Kunststücken"

vorgeführt werden? Geht es nicht immer um das Verhältnis von Handeln und Zuschauen? Um die Frage, unter welchen Bedingungen und mit welchen Konsequenzen jemand zum Akteur oder zum Zuschauer wird? Wer ermächtigt ist, jemanden zum Akteur oder zum Zuschauer zu machen? Wer oder was agency verleiht? [...] Der Zuschauer erfuhr so zugleich seine Macht und seine Ohnmacht und musste sich zu dieser Erfahrung in irgendeiner Weise verhalten. Das Zufallsprinzip, dem der Verlauf der Aufführung folgte, vermochte er jedenfalls nicht außer Kraft zu setzen.218

216Ivi, p. 82.

217 Per quanto riguarda Schechner, il riferimento è allo spettacolo Dionysus 69 (1968) del Performance Group, in cui si cercò di stabilire un rapporto di uguaglianza partecipativa con gli spettatori. Schechner afferma che la partecipazione è avvenuta quando lo spettacolo ha smesso di essere spettacolo, diventando evento sociale. Cfr. SCHECHNER, Environmental..., cit., p. 44.

218[Cosa distingue un'assemblea politica da una realizzazione scenica teatrale? Cosa distingue la fondazione di un partito da uno spettacolo del circo? Non si tratta, in questi casi, comunque di realizzazioni sceniche in cui vengono negoziati i rapporti tra i partecipanti e nelle quali vengono eseguiti diversi tipi di "opere artistiche"? Non si tratta forse sempre della relazione fra attori e