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L’estinzione dell’usufrutto di credito

Com’è noto, l’art. 1014 c.c. elenca tre cause di estinzione dell’usufrutto: la pre- scrizione, la riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona e il perimento del bene. Occorre verificare se e in quale modo queste cause di estinzione siano tali an- che per l’usufrutto di credito.

Seguendo l’ordine del predetto articolo, e iniziando dunque dalla prescrizione, sorgono immediatamente due problemi: il primo è quello di determinare il termine con il quale matura detta prescrizione, il secondo è quello di individuare il momento a parti- re dal quale la stessa inizia a decorrere.

Il problema della determinazione del termine di prescrizione dell’usufrutto di crediti deriva dal fatto che l’usufrutto, come tutti i diritti reali in re aliena, si prescrive in venti anni, i diritti di credito invece si prescrivono di regola in dieci anni, il credito agli interessi poi in cinque anni ex art. 2948, n. 4, c.c. Quid iuris, dunque?

La soluzione è semplice e consiste nel distinguere la prescrizione dell’usufrutto, quella del credito che ne è oggetto e quella degli interessi, e nel ritenere che esse matu- rino rispettivamente in venti, dieci e cinque anni secondo le regole ordinarie42. L’autonomia di questi termini non può apparire strana, poiché in astratto è possibile che si verifichi la prescrizione di uno solo dei predetti diritti e che gli altri rimangano in vi-

prietà ed agli altri diritti reali, l’art. 619 cod. proc. civ., infatti, ha avuto riguardo al più rappresentativo esempio di diritto del terzo che prevale su quello vantato dal creditore procedente, ma si tratta di riferi- mento meramente esemplificativo (…). Si vuol dire che il terzo può addurre a sostegno dell’opposizione qualunque rapporto nel quale egli si trovi in una posizione attiva di prevalenza e spetterà al giudice con- trollare la configurazione di questa situazione attiva»; Cass. 27 agosto 1984, n. 4703; Trib. L’Aquila 2 agosto 2001, in Riv. esecuzione forzata 2003, p. 715, con nota di Bina.

41 Sui profili processuali dell’usufrutto di crediti v. amplius PUGLIESE, op. cit., p. 367 ss.

42 È singolare che PUGLIESE, op. cit., p. 670, benché attribuisca all’usufrutto di crediti la natura di diritto di credito, ritenga che esso si prescriverebbe in vent’anni: seguendo questa impostazione, l’usufrutto di crediti verrebbe pertanto a costituire l’unico caso di diritto di credito con termine di prescrizione venten- nale, il che costituisce un ulteriore motivo di perplessità nei confronti della premessa, già confutata nella sezione precedente, per la quale l’usufrutto di crediti sarebbe un diritto di credito.

ta; si tenga conto oltretutto che l’obbligazione degli interessi è accessoria rispetto all’obbligazione del capitale solo sul piano genetico, cosicché una volta sorta è dotata di autonomia. Così può verificarsi una prescrizione del credito agli interessi senza che si prescrivano il credito al capitale e l’usufrutto: se trascorrono cinque anni senza che l’usufruttuario riscuota gli interessi del credito, lo stesso usufruttuario potrà vedersi ec- cepire la prescrizione per gli interessi per i quali è compiuta, ma potrà pur sempre ri- scuotere gli interessi maturati successivamente e non ancora prescritti, e potrà altresì ri- scuotere il capitale con il concorso del creditore43. Si può verificare poi una prescrizione dell’usufrutto senza che maturi la prescrizione del credito al capitale: infatti se il credi- tore interrompe quest’ultima intimando per iscritto al debitore di adempiere, ciò non de- termina anche l’interruzione della prescrizione dell’usufrutto, cosicché si può verificare – in astratto – che l’usufrutto si estingua per l’inerzia dell’usufruttuario protratta per vent’anni, mentre il credito rimane ancora in vita. Infine può accadere che cada in pre- scrizione il credito al capitale senza che si prescrivano il credito agli interessi e l’usufrutto: questo avviene ad esempio se l’usufruttuario si cura solo di chiedere il pa- gamento degli interessi, interrompendo così sia la prescrizione di questi ultimi che quel- la dell’usufrutto, ma non chiede il pagamento del capitale e a ciò non provvede nemme- no il creditore. Tuttavia è opportuno precisare che la prescrizione del credito al capitale impedisce che maturino interessi per l’avvenire e determina altresì l’estinzione dell’usufrutto per il perimento dell’oggetto, con la conseguenza che l’usufruttuario potrà ottenere il pagamento degli interessi maturati anteriormente alla prescrizione del capita- le e per i quali abbia avuto cura di non far maturare la prescrizione quinquennale, ma non potrà ottenere più nulla dal debitore per il periodo successivo.

Risolto il problema dell’individuazione dei termini di prescrizione dell’usufrutto, del credito al capitale e del credito agli interessi, resta da affrontare quello della decor- renza di tali termini. La prescrizione del credito agli interessi e di quello al capitale ini- zia a decorrere dal momento in cui tali crediti vengono a scadenza, momento che deve essere determinato secondo le regole dettate dalla disciplina generale delle obbligazioni. La prescrizione dell’usufrutto invece inizia a decorrere dal momento in cui il capitale o

43 Vale la pena di ricordare inoltre che secondo la giurisprudenza l’interruzione operata rispetto al credito avente ad oggetto il capitale non impedisce che continui a decorrere la prescrizione del credito agli inte- ressi (Cass. 2 ottobre 1980, n. 5343, e Cass. 30 marzo 2001, n. 4704).

gli interessi avrebbero potuto essere riscossi.

Passiamo ora all’esame della seconda causa di estinzione dell’usufrutto contem- plata dall’art. 1014, cioè la confusione tra usufruttuario e nudo proprietario. Se l’usufrutto ha per oggetto un credito, si possono verificare tre diverse ipotesi di confu- sione:

1) tra usufruttuario e creditore: in questo caso l’usufrutto si estingue e rimane un mero credito (al capitale e agli interessi), a meno che, avvenendo l’acquisto del credito da parte dell’usufruttuario per successione ereditaria, l’eredità sia stata accettata con be- neficio d’inventario, perché così si mantengono distinti il patrimonio dell’usufruttuario e quello ereditario in cui è compreso il credito;

2) tra usufruttuario e debitore: in questo caso l’usufrutto non si estingue, ma si crea una situazione particolare, per la quale il debitore dovrebbe corrispondere gli inte- ressi a sé medesimo e dunque non è tenuto a corrisponderli ad alcuno (almeno finché dura l’usufrutto), mentre il capitale dovrebbe essere pagato nelle mani del creditore e dello stesso debitore, e pertanto il debitore avrà solo l’obbligo di concordarne con il creditore l’impiego, avvenuto il quale l’usufrutto si trasferisce su ciò che è stato acqui- stato. Vale la pena di precisare che la confusione tra usufruttuario e creditore non si ve- rifica se il debitore era il de cuius e l’usufruttuario è l’erede, e quest’ultimo ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario;

3) tra creditore e debitore: siffatta ipotesi è espressamente regolata dall’art. 1254 c.c. il quale prevede che tale confusione non può pregiudicare chi aveva acquistato ante- riormente ad essa l’usufrutto sul credito: dunque il credito si estingue, ma si considera come se fosse ancora esistente solo nei riguardi dell’usufruttuario. Questo comporta che il debitore deve pagare gli interessi all’usufruttuario, che alla scadenza l’usufruttuario e il debitore devono concordare le modalità di investimento del capitale e che l’usufrutto si trasferisce sull’oggetto di tale investimento.

L’ultima causa di estinzione dell’usufrutto prevista dall’art. 1014 c.c. è il peri- mento del bene. È affermazione comune in dottrina che al perimento della cosa materia- le corrisponderebbe, nel caso in cui l’usufrutto gravi su un credito, l’estinzione del cre- dito stesso, avvenuta la quale dunque si estinguerebbe anche l’usufrutto44. Tuttavia l’affermazione nella sua assolutezza non appare corretta, perché a ben vedere alcune

cause di estinzione dell’obbligazione non determinano affatto l’estinzione dell’usufrutto sul credito.

Questo vale innanzi tutto per la normale causa di estinzione dell’obbligazione, cioè il pagamento, che non ha l’effetto di estinguere l’usufrutto, bensì di determinare il trasferimento dell’usufrutto stesso su ciò che è acquistato reimpiegando la somma ri- scossa, come previsto dall’art. 1000, comma 2, c.c., oppure il trasferimento sulla cosa che costituiva oggetto della prestazione eseguita.

Ma l’usufrutto non si estingue nemmeno se il credito che ne è oggetto si estingue per confusione (tra creditore e debitore) o per compensazione (sempre tra creditore e debitore), perché rispettivamente l’art. 1254 – del quale abbiamo già detto – e l’art. 1250 c.c. dispongono che tali cause estintive non hanno effetto in pregiudizio di chi ha acquistato l’usufrutto sul credito precedentemente al loro verificarsi45.

Cosa accade invece se si verifica uno degli altri modi di estinzione dell’obbligazione, diverso dall’adempimento, dalla compensazione e dalla confusione? L’usufrutto si estingue, oppure rimane in vita producendosi il fenomeno della surroga- zione reale?

Per rispondere a questi interrogativi occorre distinguere i residui modi di estin- zione dell’obbligazione tra quelli che hanno carattere negoziale (remissione, novazione, datio in solutum) e quelli che invece hanno carattere di mero accadimento materiale (impossibilità sopravvenuta della prestazione).

Riguardo ai primi è utile osservare quanto prevede il § 1071 BGB, il quale di- spone che un diritto soggetto ad usufrutto può essere estinto attraverso un negozio giu- ridico solo con il consenso dell’usufruttuario, e lo stesso vale per le modificazioni del predetto diritto che siano pregiudizievoli per l’usufrutto46. Il nostro codice non contiene l’enunciazione di una regola analoga, per cui ci si deve chiedere se essa si possa dedurre in via interpretativa. In dottrina si è affermato, affrontando il problema per la sola re- missione, che varrebbe nel nostro ordinamento un principio ancora più generale, in for-

44 BIGLIAZZI GERI, op. cit., p. 271; PUGLIESE, op. cit., p. 545. 45 Cfr. anche PÉREZ GONZÁLES-ALGUÉR, op. cit., p. 120 s.

46 § 1071: «Aufhebung oder Änderung des belasteten Rechts. 1. Ein dem Nießbrauch unterliegendes Recht kann durch Rechtsgeshäft nur mit Zustimmung des Nießbrauchers aufgehoben werden. Die Zustimmung ist demjenigen gegenüber zu erklären, zu dessen Gunsten sie erfolgt, sie ist unwiderruflich. Die Vorschrift des § 876 Satz 3 bleibt unberührt. 2. Das Gleiche gilt im Falle einer Änderung des Rechts, sofern sie den Nießbrauch beeinträchtig».

za del quale un soggetto non può, con un atto unilaterale di disposizione, incidere su di- ritti da lui precedentemente costituiti; di tale principio costituirebbe espressione anche l’art. 2814, 1° comma, c.c., il quale prevede che, in caso di ipoteca su un usufrutto, qua- lora quest’ultimo si estingua per rinunzia o per abuso o per acquisto della nuda proprietà da parte dell’usufruttuario, l’ipoteca non si estingue ma perdura fino a quando si verifi- chi l’evento che avrebbe altrimenti prodotto l’estinzione dell’usufrutto: pertanto anche l’usufrutto di un credito non si estinguerebbe con la remissione del debito da parte del creditore47. Senza giungere ad affermare l’esistenza di un principio così ampio come quello che la citata dottrina ritiene di ravvisare, ci sembra che sussistano elementi per sostenere con fondamento l’esistenza nel nostro ordinamento di un principio più limita- to, corrispondente a quello codificato in Germania dal § 1071 BGB, in forza del quale un diritto soggetto ad usufrutto non può essere estinto attraverso un negozio giuridico, salvo che intervenga il consenso dell’usufruttuario. I predetti elementi sono costituiti a mio avviso sia dal citato art. 2814, comma 1, c.c., sia dagli artt. 1250 e 1254 c.c., anch’esse già menzionate. In conclusione l’usufrutto di credito non si estingue se il cre- ditore rimette il debito o se stipula con il debitore una novazione o una datio in solutum, salvo che l’usufruttuario dia il proprio consenso a questi negozi.

Resta da considerare l’ultima causa di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento, costituita dall’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Tale im- possibilità non può verificarsi se l’oggetto del credito è una prestazione di dare una somma di denaro, ma solo se la prestazione è differente (dare cose diverse dal denaro, fare, non fare: ma si tratta di ipotesi che hanno un rilievo pratico molto minore): in quest’ultimo caso la sopravvenuta impossibilità della prestazione determina l’estinzione del credito, la quale a sua volta fa sì che l’usufrutto segue la medesima sorte. Tuttavia, se in conseguenza del perimento della cosa il debitore ha diritto a un indennizzo o al ri- sarcimento del danno, il creditore subentra in tale diritto a norma dell’art. 1259 c.c., e l’usufrutto si trasferisce sul medesimo attraverso una surrogazione reale (cfr. art. 1017- 1018 c.c.); in questo modo un nuovo diritto di credito viene a costituire oggetto dell’usufrutto.

Alle cause di estinzione dell’usufrutto elencate nell’art. 1014, che abbiamo esa-

minato finora, se ne aggiunge un’altra, costituita dal provvedimento giudiziale di deca- denza dell’usufruttuario dal suo diritto in conseguenza di un grave abuso dallo stesso perpetrato, ai sensi dell’art. 1015 c.c. Principalmente si potrà dire integrato un grave a- buso dell’usufruttuario allorquando questi abbia riscosso il capitale senza il concorso del nudo proprietario.

Dopo avere passato in rassegna le cause di estinzione dell’usufrutto di credito, possiamo fare una considerazione di carattere generale: sopravvenuta tale estinzione, il creditore ha l’onere di mettere il debitore a conoscenza della medesima, al fine di evita- re il rischio che il debitore continui a pagare gli interessi all’usufruttuario con effetto li- beratorio.

Un ultimo profilo da prendere in esame in relazione all’estinzione dell’usufrutto di credito è quello della sorte che segue in conseguenza di essa il diritto di pegno che sia stato eventualmente costituito sul credito dal creditore oppure dall’usufruttuario. Questo profilo dev’essere disciplinato facendo applicazione in via analogica del disposto dell’art. 2814 c.c., che riguarda la sorte dell’ipoteca (mentre nel caso che stiamo esami- nando si tratta del pegno) in caso di immobile gravato da usufrutto (mentre nella fatti- specie che ci occupa è un credito ad essere gravato dall’usufrutto), e disciplina al primo comma, che abbiamo già avuto occasione di citare, la sorte delle ipoteche costituite dall’usufruttuario sull’usufrutto, al secondo comma la sorte delle ipoteche costituite dal nudo proprietario sull’immobile. Così il pegno costituito dal creditore si espande all’estinguersi dell’usufrutto, in forza dell’applicazione della regola dettata del 2° com- ma dell’art. 2814, mentre il pegno costituito dall’usufruttuario di regola si estingue con l’estinzione dell’usufrutto, salvo che quest’ultima derivi da rinunzia, abuso o acquisto del credito da parte dell’usufruttuario, nel quale caso il pegno perdura finché non si ve- rifichi l’evento che avrebbe comunque prodotto l’estinzione dell’usufrutto sul credito, in applicazione della regola di cui all’art. 2814, comma 148.

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APITOLO

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USUFRUTTO DI TITOLI DI CREDITO

SEZIONE I–OSSERVAZIONI GENERALI

1. Considerazioni introduttive. Usufrutto di titoli di credito e usufrutto di