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Comunicazione di massa e cultura « L ’École des Parents » dedica parte del fascicolo n. 7 ( luglio- agosto 1964) ai problemi della co­ municazione e della cultura di massa, con interventi di G. Fried- MANN, 0 . BURGELIN, C. BRÉMOND, E . MORIN.

Georges Fried m an n, Communica­ tions de masse et culture. L’A. a f­

fronta in questo breve intervento alcuni dei temi più scottanti e im­ portanti della comunicazione di massa e della cultura da essa

mediata.

Uno dei problemi centrali di tale discorso riguarda i rapporti fra cultura tradizionale e cultura di massa. Quale differenza — si do­ manda l’A. — corre fra queste due « culture » ? Dato il suo stretto rapporto di dipendenza con la ci­ viltà della tecnica, « la cultura di massa può essere definita come l’in­ sieme dei beni di consumo cultu­ rali, messi a disposizione del pub­ blico dalla comunicazione di mas­ sa ». La distinzione — secondo l’A. -— si basa sul concetto di

bene di consumo. Ciò significa, di­

fatti, che mentre gli oggetti della cultura tradizionale sono « oggetti culturali il cui valore si misura

dalla loro capacità di durare o di resistere all’invecchiamento », al centrario, gli oggetti o prodotti della comunicazione di massa sono, fin dal loro nascere, concepiti come beni di consumo, destinati qunidi ad essere consumati totalmente. Uno spettacolo televisivo, un gior­ nale sono costruiti per essere uti­ lizzati dal fruitore fino in fondo. Ma proprio questo suo carattere particolare porta ad una ambiva­ lenza della cultura di massa nei suoi rapporti con la società. Da una parte, rileva l’A., « le comu­ nicazioni di massa sono capaci di assicurare la diffusione di infor­ mazioni (...) di suscitare nuovi in­ teressi, di accrescere l’ istruzione, di allargare gli orizzonti ». « Giu­ stamente è stato spesso osservato che la televisione e la radio sono finestre aperte sul mondo », ca­ paci d’integrare su più larga scala l’individuo nel mondo o di modi­ ficarne i gusti. Al lato opposto, si può rilevare come alcuni ele­ menti della comunicazione di mas­ sa, si siano, col passare del tempo, rivelati nocivi. A parte i fattori sociali di disadattamento, di delin­ quenza, di passività sociale, troppo spesso addebitati alla comunica­ zione di massa, le cui responsa­ bilità ricadono invece su tutto il

sistema della civiltà industrializ­ zata, esistono realmente alcuni fenomeni connessi con l’uso della comunicazione di massa per i quali vale particolarmente una serie di domande. In quale misura, per esempio, le lunghe ore passate da­ vanti a un televisore possono con­ siderarsi una forma di intossica­ zione da cui è difficile liberarsi? E soprattutto, il tempo occupato di fronte al televisore non va a svantaggio del tempo che andreb­ be impiegato per le relazioni so­ ciali, lo sport, la lettura il tea­ tro, ecc.? Il problema, particolar­ mente studiato negli Stati Uniti, è da mettersi in relazione con l’aumento del tempo libero a di­ sposizione dell’ individuo proprio di questi anni. Negli Stati Uniti, per esempio, nel giro di pochi anni il tempo libero dal lavoro è pressoché raddoppiato. In questa situazione si può ipotizzare che « gli uomini e le donne di domani saranno sem­ pre più intensamente esposti, in ogni senso, durante periodi sem­ pre più lunghi, all’ influenza della stampa di diffusione, delle riviste, della televisione», ecc.

Il primo punto che l’autore è portato a concludere è quindi che « perché le comunicazioni di mas­ sa possano veramente servire una cultura di qualità, è necessario che i loro fruitori abbiano i mezzi per scegliere ». E questi mezzi possono essere dati loro soltanto da una educazione, una educazione rinnovata adattata a questo scopo.

Se cioè — sottolinea l’A. — l’in­

dividuo è col passar degli anni sempre più esposto all’ influenza totale della comunicazione di mas­ sa, egli deve essere educato a saper scegliere. E poiché contro ogni di­ scorso astrattamente moralistico, la televisione, la radio, ecc. non pos­ sono oggi non essere considerati una realtà del nostro tempo, è ne­ cessario che in certa misura pro­ prio le strutture tradizionali (la scuola e la cultura tradizionale di cui essa è veicolo) vengano a mo­ dificare questo stato di cose. In particolare, conclude l’A., « l’ela­ borazione dei criteri selettivi adat­ tati ai prodotti della cultura di massa » sono al centro del pro­ blema. I mezzi di comunicazione di massa, cioè, « devono essere in­ trodotti neH’ insegnamento, non co­ me mezzi pedagogici -— e sono utilizzati già oggi come mezzi audiovisivi — ma devono essere introdotti come oggetto di inse­ gnamento ».

Olivier Bu r g e lin, Culture das- sique et culture de masse. In re­

lazione allo studio di contenuti culturali, si può definire, secon­ do l’A., con il termine « cultura di massa », « l’insieme form ato dai generi più caratteristici delle co­ municazioni di massa ».

Sulla base di tale definizione, l’ intento dell’A . è volto ad elimi­ nare l’atteggiamento negativo, in alcuni casi addirittura di preven­ zione, nei riguardi della cultura di massa, derivanti fondamental­ mente da una falsa comprensione

dei problemi psicologici e didattici del nostro tempo.

Innanzi tutto ■— osserva l’A. — è facile osservare come i maggiori consumatori della cultura di mas­ sa siano i giovani; proprio loro, che maggiormente sono scoperti alla influenza negativa delle comu­ nicazioni di massa. Ciò significa pertanto che « l’insegnamento non può ignorare l’ esistenza di tale cultura di massa... ». La pedagogia, cioè, deve fare i conti con questo nuovo tipo di cultura, affinché la sua penetrazione nella società (il che oggi non si può negare che sia una realtà) avvenga senza danno.

A questo livello, dunque, si pone il problema. Alla reale e pressante necessità che i giovani siano pre­ parati scolasticamente alla fruizio­ ne delle comunicazioni di massa, non si trova una adeguata corri­ spondenza nel campo attivo della educazione dei giovani.

Al giorno d’oggi il giovane pas­ sa diverse ore al giorno ad edu­ carsi alla cultura tradizionale ■— tuttavia appena esce da scuola si trova di fronte ad un mondo del tutto diverso; si trova ad essere improvvisamente bombardato da una serie di prodotti culturali di massa (fumetti, manifesti pubbli­ citari, canzonette, ece.). Se la cul­ tura di massa e i suoi mezzi di diffusione sono nel nostro secolo uno dei problemi reali della vita, con i quali l’individuo deve fare i conti continuamente, e che quin­ di deve saper affrontare efficace­

mente, fin a che punto — si do­ manda l’A. -— quelle ore passate a scuola lo preparano ad affron­ tare 1’ « universo della comunica­ zione di massa » ? « Da una parte — sottolinea — l’universo della scuola, dall’altra quello della co­ municazione di massa, e fra i due poli non c’è niente ».

E ’ possibile che la scuola, pur restando ancorata alla cultura tra­ dizionale, « dia ai giovani le armi per lottare o anche semplicemente per vivere nel mondo moderno in cui la cultura di massa, per esem­ pio, è un dato di fatto essen­ ziale? ». Non sembra in effetti che ciò sia possibile.

La proposta dell’A. si svolge piuttosto in un’altra direzione. Se ben si guarda al mondo culturale del nostro secolo — osserva l’A. •— risulta evidente come la cultura di massa non sia l’unico fattore nuo­ vo che si sia verificato. Contem­ poraneamente alla nascita di essa, infatti, si operava un completo rinnovamento nel mondo della scienza e dell’arte. Di questo fatto sembra essere una delle cause più dirette il mutamento di rotta avve­ nuto negli studi psicologici. E quindi, se con la sopravvivenza fino a tutto l’Ottocento della psicologia razionalistica, l’uomo veniva pre­ sentato come un essere perfetta­ mente razionale che opera scelte e che si pone sempre con estrema chiarezza di fronte alle cose, la psicoanalisi (venuta con il nuovo secolo) invece, contrapponendosi a quella concezione, poneva al cen­

tro dei suoi interessi la conoscen­ za di livelli meno razionali della mente dell’uomo ; più che come psicologia della ragione, cioè, essa si precisava come psicologia del­ l’ inconscio.

E ovviamente la psicologia tra­ dizionale (cui il giovane viene conformato attraverso l’apprendi­ mento della cultura « classica ») quando si trova di fronte alla realtà della vita moderna, non può che determinare nel giovane un atteg­ giamento negativo e di resistenza. Al contrario ciò non accade per la psicoanalisi. Non che si voglia con ciò introdurre la psicoanalisi nell’insegnamento scolastico: ma è auspicabile per l’insegnamento la introduzione di elementi culturali originati in questo stesso clima culturale e scientifico del XX secolo.

Ma la situazione — osserva l’autore — della scuola oggi è ap­ punto quella di mancare totalmente quanto ai prodotti scientifici e cul­ turali del nostro tempo. « Il no­ stro proposito — conclude — non è quello di formulare un qualche progetto di programmi, ma sem­ plicemente di mostrare che nella cultura del XX secolo, e soltanto in essa, è possibile trovare gli elementi di una conoscenza e di una comprensione del mondo con­ temporaneo ».

C. Brém ond, Culture soolaire et télévision. Questo breve articolo

di Brémond prende spunto dai primi risultati di un’inchiesta svol­ ta dal « Centre d’Études des Com­

munications de Masse » presso gli educatori per determinare il loro atteggiamento di fronte alla te­ levisione.

In generale sembra — rileva su­ bito l’A. •— che nell’opinione comu­ ne i lati negativi della televisione pesino più di quelli positivi. A parte infatti una serie di accuse minori — essendo l’inchiesta volta a determinare in qual modo gli educatori si rendano conto della influenza subita dai giovani e come reagiscano, data la loro funzione •— nella maggior parte dei casi la televisione è accusata di determi­ nare una specie di assopimento delle facoltà critiche del bambino abituandolo a una ricezione del tutto passiva.

Ma se questa è una delle accuse fondamentali — rileva l’A. -— essa in realtà trova il suo fondamento nelle « teorie psicologiche del se­ colo scorso, secondo le quali la co­ scienza percettiva è un ricettacolo di immagini e di sensazioni tutte fatte, venute dal nostro interno, mentre l’attività intellettuale, la ragione organizzatrice delle idee, resta il privilegio del discorso verbale ». Nel caso del giovane di fronte alla televisione, si dice quindi che è soggiogato dallo schermo, privato della sua facoltà critica, che « beve le immagini » —- onde viene considerato « in pe­ ricolo ». Del giovane di fronte al discorso verbale, si dice invece, soltanto, che è « attento ».

Su un piano diverso, per lo più informativo, sono tuttavia rilevati

nell’inchiesta alcuni lati positivi, riguardo all’uso della televisione. Si sottolinea come gli studenti che possiedono un televisore in casa siano più vivaci nelle discussioni di storia, di geografia e di educa­ zione civica e come per altro acqui­ stino presto uno spirito critico e di contesa nei confronti dei grandi (cosa comunque che determina seri pericoli nei confronti dell’in­ segnante).

Nel caso deH’insegnante, d’al­ tronde, la televisione può diven­ tare una antagonista pericolosa, se questi si volesse porre in pole­ mica diretta, mentre — si rileva •— qualora egli riesca ad imporsi su un piano diverso, le sue possibilità di aver presa sugli allievi, aumen­ tano enormemente.

Sulla base di queste esperienze l’A. è portato a concludere che l’insegnamento tradizionale non deve sentirsi spodestato dalla cre­ scente influenza della televisione, deve piuttosto rimanere su un piano diverso. Pertanto il proble­ ma dei rapporti fra le due culture si stabilisce al livello degli inse­ gnanti.

E comunque — rileva l’A. — , si pensi che la m aggior parte degli insegnanti intervistati non pos­ siedono televisore e rifuggono dal­ l’idea di averne. In tal modo essi vengono a trovarsi isolati rispetto agli allievi. Uno dei più precisi ri­ sultati dell’ inchiesta è infatti come un denigramento sistematico nei confronti della televisione porti

immancabilmente a pessimi ri­ sultati.

Nel nuovo rapporto ch’è neces­ sario stabilire fra le due culture « l’educatore non dovrà più con­ siderarsi come l’unica e privile­ giata forma del sapere dei gio­ vani » e nel caso della scuola « l’insegnamento non deve più es­ sere il sovrano dispensatore del sapere, bensì ne dovrà essere l’agente regolatore». E poiché la cultura di massa •— conclude l’A. — « è al giorno d’oggi, con ciò che porta di buono e di cattivo, un fatto innegabile, una forza che impone brutalmente la sua legge, è alla cultura scolastica (...) che tocca di cercare un terreno di ri­ conciliazione ».

Edgard Morin, Sociologie du ci- néma. Due esigenze ben precise

che rispecchiano due necessità se­ condo le quali viene considerato il fenomeno cinematografico, hanno determinato la nascita della « so­ ciologia del cinema ». Da una parte cioè, le preoccupazioni degli edu­ catori per l’ influenza che il cinema esercita sui giovani, dall’altra quel­ le dell’ industria cinematografica tendente a conoscere meglio il « gu­ sto del pubblico ».

Le direttive di ricerca rispetto a tali esigenze, nella moderna so­ ciologia del cinema, si delineano nei riguardi di : d) l’aspetto indu­ striale del cinema; 6) gli aspetti psicologici ; c) gli aspetti socio­ logici.

Considerato dal punto di vista dell’ industria, il cinema è un pro­ dotto che nasce dal lavoro di più persone. Il film, in quanto prodotto di consumo industriale, deve ri­ spettare — rileva l’A. — una dop­ pia esigenza : « da una parte deve essere individualizzato; il che si­ gnifica che un film non deve ras­ somigliare ad alcun altro; ma d’al­ tra parte esso deve rispondere a certi gusti costanti del pubblico».

Riguardo invece all’aspetto psi­ cologico del film — secondo l’A. — la linea conduttrice dell’analisi sta nell’esame dei « sentimenti di par­ tecipazione dello spettatore » •—■ lo spettatore, infatti davanti allo schermo, si identifica con i perso­ naggi del film e proietta in essi i propri problemi. E ciò avviene perché il film viene incontro allo spettatore affinché questi vi si identifichi. « E nella nostra so­ cietà — precisa l’A. — ... noi ab­ biamo da una parte dei contenuti di identificazione piuttosto reali­ stici, che permettono allo spettatore di simpatizzare con situazioni con­ cernenti la vita privata, l’amo­ re », ecc. e « dall’altra dei conte­ nuti piuttosto proiettivi che or- rispondono alle avventure esotiche, alle avventure nel passato, ai fuorilegge », ecc., cioè una realiz­ zazione immaginaria dei bisogni che non ci è permesso realizzare nella comune vita sociale.

Chiedersi infine qual’è il signi­ ficato sociale del cinema significa porre la domanda « qual’è il ruolo del cin em a ?». Se si pensa che il

film comporta elementi di identi­ ficazione e di proiezione si può su- porre come, per certi aspetti, il cinema sia una evasione una « pos­ sibilità di realizzazione immagi­ naria di cose irrealizzabili ». D ’al­ tra parte oggi che i mezzi di co­ municazione di massa hanno as­ sunto il ruolo di principali veicoli di modelli di vita, il cinema svolge una precisa funzione anche in questo campo : una funzione « mi­ metica », quindi.

E ’ tuttavia importante rilevare — secondo l’A. — come nel rap­ porto cinema-società gli elementi evasivi e quelli mimetici non si pongano sempre allo stesso livello. E ’ evidente difatti che se per gli adulti gli elementi « aggressivi »,

« straordinari » del film sono eva­ sivi (mentre sono mimetiche le situazioni sentimentali), per i gio­ vani l’ influenza si pone in senso contrario. La stessa mobilità del resto — rileva l’A. — può essere presente in diversi pubblici a dif­ ferenti livelli culturali. Per esem­ pio, lo stesso tipo di cinema che si rivela valido per la società oc­ cidentale, è possibile che in pae­ si economicamente sottosviluppati, mostrando la felicità privata, la vita a un buon livello di benessere, non possa attivare meccanismi di identificazione; « giocherà in tal caso un ruolo interamente ipnotico, di sogno... » che permetterà agli spettatori di dimenticare le diffi­ coltà della loro vita d’ogni giorno.

Linguaggi totalitari

Jean Pierre Fay e, Languages totalitaires. Fascistes et nazis,

pubblicato in « Cahiers Interna-

tionaux de S ociologie», voi. 36, gennaio-giugno

166k-E ’ possibile in generale trovare nel nostro linguaggio d’uso cor­ rente una serie di termini che per­ mettono di seguire, nella loro ge­ nesi e nel loro mutare, il succe­ dersi e i mutamenti di determi­ nate situazioni storico-sociali, cui sono strettamente legati fin dalla loro stessa origine.

E ’ il caso — osserva l’A. — del termine totalitario, che, nato in connessione con termini come f e ­

rocemente o integralmente, soddi­

sfaceva all’origine una esigenza di valore positivo e di esaltazione; oggi, al contrario, tale aggettivo fa parte del vocabolario denigra­ torio.

E ’ , in sostanza, un mutamento di identità dei termini in questione, dovuto al mutare delle condizioni che avevano determinato e condi­ zionato la sua identità originaria. A quest’ultima. comunque, nel pre­ sente articolo, è rivolto l’interesse dell’A . Seguendo infatti quella iden­ tità originaria del termine, passo a passo — sottolinea — « vi è la possibilità di veder nascere e sta­ bilirsi intorno ad esso tutto un insieme di linguaggi ideologici ». Si può cioè seguire il suo iter, dalla sua proposta in discorsi pubblici, al suo precisarsi nell’ambito di

una terminologia, al suo richiedere un contesto di altri termini com­ plementari, fino alla sua gravi­ tazione linguistica. « Prestare at­ tenzione a tale inizio è forse avere i mezzi per assistere al movimento che costruisce dei segni al disopra e al disotto delle organizzazioni di forza e di interesse... certi si­ stemi di termini operano, in effetti, i passaggi decisivi fra differenti registri di organizzazioni ».

I. Il termine totalitario sembra essere per la prima volta entrato a fa r parte della terminologia uffi­ ciale nei discorsi di Mussolini. Nel discorso di chiusura del IV Con­ gresso nazionale del PNF, nel 1925 all’Augusteo in Roma, il futuro Duce, avvertiva infatti : « quella che viene definita la nostra feroce volontà totalitaria sarà perseguita con ancora maggiore ferocia ». E tale atteggiamento veniva commen­

tato dal giornale del partito, « Il Popolo d’Italia », nel modo seguen­ te : « Il discorso dell’Augusteo è stato il discorso dell’intransigenza. Il fascismo, una volta vinta la campagna del ’24, riprende la mar­ cia della rivoluzione, deciso alla conquista piena, totalitaria, ine­ sorabile... ».

Ma a questo punto ■— rileva l’A. dell’articolo ■— il valore di questo termine già oltrepassava, come a f­ fermazione, il livello della com­ prensione; si rivelava cioè come affermazione, cioè atto di fede, pas­ sione, prima ancora di essere un enunciato politico o anche soltanto ideologico. Donde si comprendono

gli stessi dubbi dei fascisti, espres­ si sui giornali del tempo, che i loro nemici potessero comprendere il senso di tale volontà totalitaria.

Nondimeno vi sono degli elementi di contesto politico al sorgere di questo termine nell’uso ufficiale. Si pensi, per esempio, a quelli che Farinacci (segretario del PN F) ri­ teneva e teorizzava come i compiti del fascism o; dove quest’ultimo doveva togliere ad ogni altro par­ tito « la legittimità, il diritto di essere o di poter divenire uno dei fattori politici del g o v e rn o »; e la negazione stessa del concetto di partito, propria del fascismo.

Questo insieme di cose porta a concepire la totale trasformazione della vita politica nazionale, come insiste Mussolini nello stesso di­ scorso dell’Augusteo. Tale totali­ tarismo avrà bisogno di una so- prawalenza del potere esecutivo sugli altri poteri, ciò che appunto Mussolini riconosce esplicitamente quando dice che « il potere esecu­ tivo è il potere sovrano della Na­ zione ».

Un periodo di crisi all’avanza­ mento di questa ideologia va visto, secondo l’A., quando Federzoni, il fedele paladino e difensore dello Statuto di casa Savoia, dopo l’inci­ dente Matteotti, sostituisce Musso­ lini al Ministero degli Interni. Alla riapertura della Camera nel 1925 è Mussolini che afferma: « Io assumo,

io solo, la responsabilità politica,

morale, storica di ciò che è acca­ d u to ». E tale intenzione, esterior­ mente conciliatrice, di Mussolini

permette a Federzoni di « ripu­ lire » il PNF, operando centinaia di arresti.

Ma basta lasciar passare un mese soltanto, perché Farinacci commen­ ti il massacro di un gruppo di so­ cialisti nei pressi di Bologna, ope­ rato da alcune squadre fasciste,