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Centro sociale A.11 n.55-56. Alcuni aspetti delle scienze sociali oggi

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Centro

Sociale

n. 5 5 - 5 6 , 1 9 6 4

Alcuni aspetti

delle scienze sociali

oggi

(2)
(3)

Centro Sociale

inchieste sociali

servizio sociale di gruppo educazione degli adulti sviluppo della comunità

a.X I - n. 55-56, 1964 - un fascicolo L . 400 - un fascicolo doppio L . 650

abb. a 6 numeri L . 2.200 - estero L . 4.000 - spediz. in abbonamento

postale gruppo IV - c.c. postale n . 1/20100 - Direzione Redazione

Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 - Roma - tei. 573.455

Sommario

Alcuni aspetti delle scienze sociali oggi a cura di Ellen B . Hill

Ellen B . Hill 3 Introduzione

Fritz Machlup

Kurt H . Wolff

I. Le scienze sociali nel pensiero e nei- razione

10 Le scienze sociali sono davvero inferiori? 30 Note sul profilarsi di una nuova scienza

sociale

Stanley Taylor

Kurt W . Back

II. Limitazioni nella portata delle scienze sociali

43 I fattori sociali e la convalida del pensiero 53 La ricerca sociale come sistema di

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III. Ricerca di nuovi procedimenti

William J. McEwen

Everett E . Hagen

Robert A . Nisbct

68 Forme e problemi della convalida in antropologia sociale

101 I modelli analitici nello studio dei sistemi sociali

112 La sociologia come forma d’ arte

IV . I risultati delle scienze sociali e l’ intervento

Franco Ferrarotti 130 Cambiamento sociale e scienze sociali in

Italia

149 Note sugli autori

150 Recensioni

M . R . Stein, The Eclipse o f Community

(Eyvind Hytten)

162 Estratti e segnalazioni

186 Documenti

In copertina: F oto FAO

Periodico bimestrale redatto a cura del Centro di Educazione Profes­ sionale per Assistenti Sociali. Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino, Ludovico Quaroni, Giovanni Spagnolli, Paolo Volponi, Angela Zucconi. Direttore responsabile: Anna Maria Levi.

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Introduzione

Il presente fascicolo contiene una raccolta di articoli destinati ad Ulwstiaie alcuni dei problemi che nel campo delle scienze sociali hanno particolare incidenza nell’applicazione di queste scienze stesse alla realtà sociale del mondo contemporaneo.

La storia della scienza può essere considerata secondo linee ideologiche, metodologiche, contenutistiche. Quest’ultimo punto di vista è stato in questa sede escluso, poiché i nostri interessi coincidono con la cori-ente che applica la scienza e le su e scoperte all’andamento della società. Se qua e là, negli scritti che seguono, esso affiora, dipende solo dal fatto che in molti casi per loro natura le linee ideologiche e contenutistiche si sovrappongono, rum diversamente di quanto avvenga per quelle ideologiche e metodologiche.

Le pur giovani scienze sociali hanno compiuto negli ultimi anni straor­ dinari progressi. Apparse buon’ultime sulla scena delle indagini che l uomo conduce sulla natura, si può dire che dalla nascita alla maturità abbiano avuto sviluppo enorme quanto alla mole di dati raccolti e analizzati, ma uno sviluppo molto più modesto per quanto concerne i fondamenti teorici. L’esplosione in atto in tutti i campi della conoscenza si verifica natural­ mente anche nel campo delle scienze di comportamento, ma il fatto stesso che l’uomo si consideri una parte della natura che deve essere indagata ha prodotto nel suo atteggiamento una frattura di tali conseguenze che la rivoluzione qui verificatasi si può considerare più importante di quella avvenuta nel campo delle scienze naturali, dove le vecchie scoperte erano state invalidate e sostituite, mentre per le scienze sociali non esisteva nep­ pure una tradizione da demolire, e l’avvio era avvenuto da una tabula rasa. Anche se dal punto di vista metodologico questo fatto dovrebbe essere positivo, ciò non toglie che in nessun caso il pensiero pre-scientifico si mani­ festa evidente come nella contemplazione dell’uomo. Ciò non costituirebbe un problema se questi procedimenti nei confronti del fenomeno umano fossero chiaramente etichettati come nom sdentifici, quali il procedimento filosofico o quello artistico. In realtà essi non sono affatto definiti, e buona parte degli attuali problemi nel campo delle stienze sociali sono il risultato di questa confusione. La presente raccolta indica alcune delle difficoltà che ancora sorgono dalla resistenza più o meno consapevole a considerare l’uomo come parte della natura, a guardare a lui soprattutto nel tentativo di capirlo e conseguentemente di antitiparne e, in alcuni casi, indirizzarne il comportamento in base alla conoscenza delle sue capadtà e necessità.

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La scelta, degli articoli è stata in effetti determinata da considerazioni sia pratiche che teoriche. La tradizione di « Centro Sociale », come pure le idee che la rivista ha costante-mente sostenuto, si orienta naturalmente verso un tipo di problematica di rilevanza sociale, non solo in termini conoscitivi, ma anche come promozione di cambiamento, e di cambiamento in una certa direzione. Di conseguenza, in chi ha curato la scelta, l’interesse predominante si è volto alle Questioni che nel campo delle scienze sociali sono legate ad istanze umanistiche nel senso lato della parola.

Un’altra considerazione riguarda il significato che gli articoli avrebbero assunto nel contesto italiano. Inutile dire che le scienze sociali, così a lungo trascurate dagli studiosi ufficiali italiani, hanno fatto ultimamente grandi progressi. Questo può risultare meno vero per quanto riguarda le univer­ sità, sebbene un certo riflesso di quello che e l’interesse generale per le scienze sociali si noti in varie facoltà, ove è avvenuta l’istituzione di nuove cattedre e nuovi insegnamenti, o comunque l’inclusione nelle facoltà esistenti di una o tutte le discipline classiche della sociologia, della psico­ logia sociale, dell’antropologia. E ’ pure interessante notare che il « miracolo economico », i cui effetti possono essere ora diminuiti ma non certo cessati, ha prodotto anche un « miracolo intellettuale », che forse non è considerato di buon gusto riconoscere. Infatti, indipendentemente dai motivi che ne sono alla base e che sono palesemente soprattutto commerciali, non si può negare un coraggioso sviluppo in campo editoriale. Anche se la scelta delle opere pubblicate, i sistemi di distribuzione, l’ordine di priorità seguito nelle traduzioni dalla produzione scientifica straniera, offron o spesso il fianco alle critiche, è comunque un fatto che negli ultimi anni si è avuto a disposizione un materiale in lingua italiana molto più vasto, il che natu­ ralmente ha contribuito ad ampliare le vedute dei lettori. Un’analisi dei dibattiti a carattere divulgativo su quotidiani e riviste dimostrerebbe senza dubbio che il « boom » editoriale ha contribuito a smuovere almeno la generazione dei giovani intellettuali italiani dall’isolamento spirituale in cui si trovava la generazione precedente.

Risonosciuta questa realtà, resta pur vero che da molte parti sussistono confusione e incertezza. Il risultato di questo affrettato tentativo di met­ tersi al passo è stato spesso una conoscenza molto parziale, più dannosa della stessa ignoranza; particolarmente diffusa è infatti la tendenza alle generalizzazioni negative, in specie per quanto riguarda la conoscenza empirica e l’applicazione della conoscenza all’azione. Quest’ultima conside­ razione ci riporta agli articoli che seguono, scelti tenendo presente anche questo particolare tipo di atteggiamento: confidiamo con d ò di contribuire a confutare l’idea corrente che la scienza applicata all’uonw debba per forza essere particolaristica, meccanicistica o, in altre parole, povera.

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sono ben note agli studiosi di scienze sociali, sono state indagate, discusse ed in misura crescente evitate; che le scienze sociali possano aveie scopi e portata più ampi delle scienze naturali, ma che esiste una cosa chiamata metodo scientifico. La nostra scelta ha anche tenuto conto dell’afferm a­ zione ormai famosa secondo cui l’uomo sarebbe troppo complicato per poter■ essere studiato a fondo, quando in realtà si tratta del numero delle variabili in gioco e delle loro possibili combinazioni. Lo studioso di scienze sociali è ormai consapevole della quantità di variabili che si trovano nell’uomo e nelle sua esperienze, ciononostante continua a lottare paziente- mente per superare passo a passo questo ostacolo, validamente aiutato dalla macchina elettronica. E ’ ovvio che il fatto stesso di voler essere uno scienziato ha sempre richiesto coraggio morale e perseveranza intellettuale: non è tuttavia per benevola considerazione verso le difficoltà dello studioso di scienze sociali che si fanno avanti i disfattisti. Si tratta molto più probabilmente della paura, individuale e collettiva, di dover riconoscere l’io, oggi diffusamente torturato dal senso di colpa e dalla crescente consape­ volezza della predeterminazione delle nostre singole esistenze. Accettare il quadro concettuale delle scienze sociali significa accettare la. condizione umana, che corrisponde difficilmente ad un destino piacevole. D ’altra parte questa è anche la conditio sine qua non per migliorare, sia pure su scala modesta, questa condizione degli uomini.

Un’ultima considerazione, di natura puramente pratica, riguardava la possibilità di trovare in Italia del materiale bibliografico rispondente. Non è un segreto che le biblioteche italiane offrono una disponibilità limitata nel campo delle scienze sociali, ed è assai probabile che agli articoli scelti se ne sarebbero potuti aggiungere altri per illustrare altri aspetti di un problema o anche, come alcuni lettori potrebbero osservare, un più importante complesso di problemi. Non si vuole pretendere di aver offerto un’esposizione per ogni verso completa; però si ritiene che per una discus­ sione dei problemi deüe scienze sociali, così come oggi esse si pongono, i punti trattati nel presente fascicolo non si possono trascurare.

A d una prima occhiata al sommario potrebbe essere difficile riconoscere un comune denominatore negli articoli compresi nella scelta. Potrebbe sembrare che una discussione sulla legittimità delle scienze sociali renda superfluo un discorso sui processi del pensiero scientifico, e che questo sia addirittura in contraddizione con l’aver incluso, per esempio, un articolo intitolato La sociologia come forma d’arte. Dove sta lo schema concettuale di questa raccolta? in che modo questi scritti sona rappresentativi delle scienze sociali della metà del secolo e degli interrogativi che esse pongono a se stesse? dove hanno condotto questi interrogativi, e quali sono le soluzioni proposte? c’è un terreno comune dal quale prendere spunto per continuare? Ci sembra che gli articoli che seguono coprano in realtà i

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quattro aspetti della problematica delle scienze sociali che in questo momento sono più dibattuti, contro i quali si sollevano più obiezioni, che sono più degli altri in via di sviluppo. Il primo aspetto, il più generale, è questo; che posizione occupano le scienze sociali in rapporto ad altri campi scien­ tifici, in rapporto alla nostra esistenza, in rapporto agli scopi della nostra vita? Queste questioni — ben lungi dall’essere state fino ad oggi risolte in modo unanime — non sono solo generali, ma fondamentali, e devono essere considerate prima che le scienze sociali possano essere utilmente analizzate come entità a se stanti. In pratica, poiché nulla può essere definito senza stabilirne i confini o la differenza da qualcos’altro, la d iffe­ renza tra la prima parte di questo fascicolo e la seconda è semplicemente una questione di diversa accentuazione. Comunque la parte seconda tratta delle scienze sociali secondo un particolareggiato esame dei procedimenti adottati, ne indica i limiti, ne riproporziona, le affermazioni, ne prevede le tecniche future, che potrebbero, se e quando realizzate, ampliare i limiti stessi. I limiti attuali consistono nella stretta connessione tra società e produzione scientifica: connessione sulla quale c’è poca speranza che si possa mai agire, tanto da fa r sorgere il problema della validità della conoscenza perdurando questo stato di cose: a questa limitazione si aggiunge l’altra, derivante dalla intima relazione tra la personalità del ricercatore ed il processo scientifico al quale egli si applica.

Questo tema di per sé ci porta alla terza parte, nella quale un autore illustra l’indirizzo attuale delle scienze sociali, soffermandosi sugli aspetti del loro sviluppo metodologico negli ultimi dieci anni, mentre gli altri due, da differenti punti di vista, descrivono il cammino seguito nei loro personali e divergenti pi'ocedimenti. Essi partono cioè da punti di vista diametralmente opposti per esporre vari processi di pensiero, confidando di poter giungere ad un medesimo punto d’arrivo, cioè alla compì'ensione del comportamento sociale. Uno di essi, infine, crede nella selezione incon­ scia dei procedimenti scientifici; l’altro crea un modello logico molto sottile che egli considera uno strumento necessario per la valida ricerca.

La quarta parte dimostra come le nuove scienze sociali non abbiano per ora avuto una presa reale in Italia, in quanto di importazione, e siano accettate con riluttanza, quando lo sono, come parte e bagaglio dell’età industriale, a sua volta molto spesso considerata come elemento soprag­ giunto dal di fuori. Su questo punto, l’immagine di sé che molti italiani hanno continua ad essere motivo di sorpresa per gli stranieri. Questo paese, sempre più fatto di cemento armato, di automobili, di impianti industriali, di aspirazioni della classe media, ancora tende a considerarsi una terra mediterranea, ricca di vita familiare e di passato romantico, la quale prow ederà al suo futuro valendosi del vecchio e provato metodo dell’adattarsi e dett’aspettare. Ovviamente qui la pianificazione suona come

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anatema: chiude infatti il fascicolo una discussione su come in -pratica stiano le cm e riguardo alle scienze sociali in Italia, poiché in qualsiasi modo possa delinearsi un futuro, sarà difficile — ci pare sfuggire all’amato o abborrito portato razionale del nuovo modo di considerare luomo.

Noi consideriamo infatti le scienze sociali come il tentativo dell’uomo di decidere del proprio destino, in consapevole e volenterosa collaborazione con i suoi simili, fondata sulla conoscenza di se stesso. Uno dei principali assertori delle scienze sociali come strumento della democrazia, così si espri­ m e: « Una volta colto lo stretto legame tra cambiamento sociale e ricerca sociale, si genera il riconoscimento che le scienze sociali sono qualcosa di più dì un vocabolario specifico. Il loro linguaggio, che spesso confonde il profano e suona barbaro ai letterati, rappresenta lo sforzo di applicare una nuova concezione dell’uomo e della società allo studio sistematico di fenomeni mai prima d’ora soggetti a rigorosa indagine enpirica. Le scienze sociali sono un modo del tutto nuovo di considerare il mondo, sostituendo ai metodi magici, religiosi, filosofici, che si sono susseguiti, il metodo del­ l’osservazione... Le scienze sociali si sono soprattutto sviluppate come un modo di penetrare, valutare e correggere gli urti e le tensioni generati dall’alto grado di mobilità individuale e di cambiamento istituzionale nella società che si rinnova. Il super-amento della Verità Eterna e della Legge Naturale è costato all’uomo la perdita del senso di certezza e di continuità che si accompagnava ai codici di comportamento rivelati ed esposti da autorità esterne. Il guadagno è stato la libertà personale, l’ampio allargarsi della sfera di autonomia che contraddistingue la vita moderna » (1).

Gli articoli di K urt H. W olff e di Franco Ferrarotti sono qui pubblicati per la prima volta. Degli altri articoli, già apparsi nelle raccolte e nei ■periodici di volta in volta indicati, ci è stata accordata la facoltà di tras­ duzione e pubblicazione (le versioni, salvo brevi passi contenenti citazioni o esemplificazioni strettamente specialistiche o peculiarmente americane, sono integrali). Teniamo quindi a ringraziare K urt W. Back, Everett H. Hagen, William J. McEwen, Fritz Machlup, Robert A. Nisbet, Stanley Taylor e le rispettive case editrici per il generoso aiuto concesso al nostro lavoro.

Elico B. H ill

(1) David Lerner, Prefazione a The Human Meaning of the Social Sciences, a cura di D. Lerner, Meridian Books, New York, 1959, pagg. 7, 8.

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I. Le scienze sociali nel pensiero

e nell’azione

Questa prima parte consiste di due articoli di natura molto diversa, entrambi tuttavia interessati alla posizione che le scienze sociali occupano in questo momento della storia. Il primo considera il posto delle scienze sociali nel quadro del pensiero scientifico contemporaneo. E ’ assai indicativo che anche nell’America degli anni ’60 lo studioso di scienze sociali senta di dover difendere la sica professione; è quindi lecito chiedersi se siano veramente affermate le scienze sociali, dal momento che se ne può, ancora porre in discussione la parità con le altre scienze. F ritz Machlup ne difende la legittimità sulla base dei problemi sia conoscitivi che pratici che esse affrontano, mentre sottolinea il fatto che le tecniche relative richiedono in realtà di essere perfezionate, data la difficoltà connaturata con il loro principale oggetto di studio, con il suo numero quusi infinito di variabili, e la frequente impossibilità di operare esperimenti controllati. Si tratta di difficoltà che, una volta riconosciute, possono essere diminuite, e in realtà esse sono diverse solo di grado da quelle che si incontrano nel campo delle scienze naturali. Si può afferm are che l’unica differenza fondamen­ tale, che si sviluppa dai particolari elementi in osservazione, sta nel fatto che le scienze sociali essenzialmente interpretano fenomeni motivati da giudizi di valore, e non possono fare a meno di riflettervi un’interpreta­ zione soggettimi, essa stessa motivata da valori. Machlup non vede in pratica una soluzione al problema, ma neppure ne vede la necessità, dal momento che, nonostante tutto, la « oggettività scientifica » del ricercatore può essere mantenuta. E gli afferm a che l’interpretazione dei risultati è comune a tutte le scienze, ed è sempre influenzata da giudizi di valore, meno evidenti, comunque, quando i fenomeni osservati non rivestano significato parti­ colare né per il ricercatore né per il profano.

In breve, secondo il punto di vista di Machlup, se si giudicano le carat­ teristiche scientifiche delle scienze sociali sulla base della invariabilità delle osservazioni, dell’oggettività delle osservazioni e dei a lte r i esplicativi, della verificabilità delle ipotesi, dell’esattezza dei risultati, della misurabilità dei fenomeni, della costanza dei rapporti numerici, della prevedibilità degli eventi futuri, cioè secondo tutti i criteri classici del metodo scientifico, c’è al massimo una differenza di grado in confronto delle scienze naturali. E’ solo nella oggettività dei criteri esplicativi che egli vede una differenza

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fondamento della sua. affermazione che l’oggettività, tuttavia, non solo debba, ma possa essere mantenuta.

Quest’ultimo punto scompare dallo sfondo del secondo articolo, dove m realtà la figura del nuovo scenziato sociale appare profondamente coinvolta nell’azione sociale e di conseguenza egli prende coscientemente partito. K w t H. W olff esamina gli scrìtti di un certo numero di scienziati americani con­ temporanei per illustrare quei punti di vista che, nel suo pensiero, indicano la direzione futura delle scienze sociali. Egli sceglie i contributi da discu­ tere in rapporto alle questioni in essi dibattute che gli sembrano oggi piu importanti, cioè il concetto di previsione, il rapporto mezzi-fini, il rapporto tra lo studioso e il soggetto di studio, le conseguenze del relativismo cul­ turale, il rapporto fra atteggiamento sistematico e atteggiamento storico nei confronti delle scienze sociali, il declino della dicotomia teoria-pra­ tica, che costituisce un altro aspetto del problema mezzi-fini e che ha indotto alcuni studiosi a postulare chiaramente il dovere dell’azione sociale.

W olff spiega questi tratti comuni notando che gli scienziati considerati, per il fatto idi essere tutti americani, sono immersi a loro volta in una società di scarsa prospettiva storica, una società che tende a considerare l’uomo come dovrebbe essere, e non s’interessa molto di come era, o di come è divenuto quello che è oggi. In questa situazione delle scienze sociali in America, W olff vede più interrogativi che risposte, ma li vede tuttavia come un passo nella direzione di un valido contributo alla scienza e alla società. Egli sente che la discussione in atto sulla posizione delle scienze^ sociali e dei loro rappresentanti è necessaria alla soluzione dei problemi del momento storico che stiamo vivendo, in buona parte derivanti dalla possibilità che il mondo intero vada distrutto.

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Le scienze sociali sono davvero inferiori?

di Fritz Machlup

Le scienze sociali davvero inferiori? Anzitutto assicuriamoci di aver capito bene la domanda. In feriori a che cosa? Ovviamente, alle scienze naturali. E sotto quali aspetti? Il nostro compito consiste soprattutto nell’esame di tutti gli aspetti, tutti gli elementi di giudizio di cui comune­ mente ci si avvale per dichiarare questa inferiorità. L’avverbio davvero, che qualifica l’aggettivo « inferiore », vuole appunto alludere alle opinioni personali che non pochi scienziati, uomini di cultura e profani hanno dogmaticamente espresso in merito. Ma vuole anche alludere al diffuso complesso d’inferiorità che ho potuto notare fra gli studiosi di scienze sociali. Alcuni anni fa, in un saggia intitolato The Inferiority Complete

of Social Sciences (1), scrivevo come un complesso d'inferiorità possa

trovare giustificazione — o non trovarla — nell’esistenza di alcuni stan- dards di misura « oggettivi », e procedevo poi ad un esame delle conse­ guenze che il sentimento d’inferiorità ■— cosciente o subcosciente — provoca nel comportamento degli studiosi di scienze sociali che ne sono affetti. In quella occasione, non mi sono preoccupato di approfondire se questo com­ plesso ha una base oggettiva, cioè se le scienze sociali siano davvero inferiori. E’ questo il problema che oggi ci poniamo.

Il soggetto della nastra domanda richiederebbe una lunga disquisizione. Che cosa s’ intende per scienze sociali’! che cosa si include? che cosa se ne esclude? Le nostre « scienze sociali » sono la stessa cosa che altri definiscono « scienze morali », Geisteswissenschaften, « scienze culturali », « scienze del comportamento? ». La geografia — o, più precisamente, quella sua parte che prende il nome di « geografia umana » — è anch’essa una scienza sociale? E ’ una scienza sociale la storia — o forse è addirittura la scienza sociale per eccellenza, come alcuni filosofi hanno cercato di dimostrare?

Ma non vogliamo qui dilungarci in operazioni di definizione e classifi­ cazione. Qualche breve osservazione potrà essere necessaria più avanti, ma in linea generale non ci preoccuperemo in questa sede di definire le scienze sociali e di tracciarne le linee di demarcazione.

Titolo orig. : Are the Social Sciences Really Inferior? Pubblicato inizialmente in « The Southern Economie Journal », voi. 17, n. 3, 1961 ; ristampato in Philo­

sophy of the Social Sciences: A Reader, a cura di Maurice Natanson, Random House, New York, 1963.

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Le basi di confronto

Le scienze sociali e le scienze naturali sono state paragonate ed opposte le une alle altre da molti angoli visuali, sotto molto dei loro particolari aspetti, e spesso* si tratta di discussioni tutt’altro che sistematiche. Una revisione ordinata di queste comporterebbe una quantità di duplicazioni e sovrapposizioni inevitabili. Ciò nondimeno, potrà essere utile anticipare fin da questo momento un elenco dei punti di differenziazione più frequente­ mente chiamati in causa nell’ impostare il confronto, e da cui si giudica che le scienze sociali escano « perdenti » :

1) invariabilità delle osservazioni ;

2) oggettività delle osservazioni e dei criteri esplicativi ; 3) verificabilità delle ipotesi;

4) esattezza dei risultati; 5) misurabilità dei fenomeni; 6) costanza dei rapporti numerici; 7) prevedibilità degli eventi futuri ; 8) rapporto con l’esperienza corrente; 9) qualità degli studenti e dell’insegnamento. Esamineremo uno per uno tutti questi punti.

Invariabilità delle osservazioni

A questo proposito, si sostiene che una scienza non può essere a buon diritto definita tale se i fenomeni non si ripetono, se i fatti osservati non si riproducono. In natura sono molti i fattori e le condizioni che « non variano ». Si può dire altrettanto della società? Le condizioni nella società non cambiano forse così incessantemente e rapidamente che quasi ogni fatto sociale è un fatto unico, del tutto diverso da qualsiasi altro avveni­ mento precedente? o ci si può affidare al luogo comune secondo cui « la storia si ripete » e credere che si ripeta con uniformità sufficiente a con­ sentirci osservazioni di carattere generale in materia di fatti sociali ?

Questo confronto ha messo in luce molte verità importanti ed alcuni filosofi ne furono tanto colpiti che della invariabilità della natura e della variabilità dei fenomeni sociali fecero il criterio stesso della distinzione fra scienze naturali (« generalizzanti ») e scienze sociali (« individualiz­ zanti »).

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E’ fuori discussione che i fenomeni naturali contengono più invariabilità di quelli sociali. La differenza consiste soprattutto nel diverso numero di fattori di cui si deve tener conto: mentre un fenomeno naturale può, di regola, essere spiegato e previsto in base ad un piccolo numero di fattori riproducibili, la spiegazione e la previsione di un fenomeno economico o sociale deve tener conto di un numero molto più grande di fattori signifi­ canti e spesso si tratta di avvenimenti storici a carattere di unicità. Tutto questo è vero, e non c’è artificio metodologico che possa eliminare la differenza. Ma resta inteso che si tratta soltanto di una differenza quan­ titativa.

Il fisico Robert Oppenheimer una volta ha sollevato il dubbio che — se l’universo è un fenomeno unico — ogni formulazione di proposizioni gene­

rali o universali da parte nostra, possa essere arbitraria. Gli economisti

della scuola storica insistono, a loro volta, nel trattare ogni stadio o fase dell’economia sociale come se fosse del tutto unica e non suscettibile di generalizzazione alcuna. Tuttavia, nel mondo fisico, i fenomeni non sono così omogenei come a molti è piaciuto di pensare, e nel mondo sociale non sono così eterogenei come molti hanno temuto. (Se lo fossero, non sarebbe neanche stato possibile costituire un patrimonio comune di idee sulla società e di parole per esprimerle). In definitiva, tutte le volte che ci sentiamo disorientati dall’eccessivo numero di variazioni che la realtà sembra pre­ sentare, la nostra mente costruisce un mondo ideale dotato di omogeneità sufficiente a permetterci di fare appello alla ragione e di dedurre le conse­ guenze implicite di tali astratte proposizioni, date per dimostrate. Questa artificiosa omogeneizzazione di tipi di fenomeni viene effettuata sia nelle scienze naturali che nelle scienze sociali.

Fintanto che si resta sul piano teorico, quindi, le sequenze dei fenomeni presentano uno stesso grado di invariabilità, sia che si tratti di fenomeni naturali che di fenomeni sociali: infatti nei modelli astratti si dà per accertato che la omogeneità esista sempre.

Il grado di variabilità si rivela diverso quando i fenomeni sia naturali che sociali sono considerati nella loro form a concreta, così come ci si presentano nel mondo reale, quando la loro eterogeneità non è stata ancora deliberatamente ridotta per mezzo di « controlli ». Esiste tuttavia, fra il mondo astratto della teoria e quello della realtà non manipolata, un terzo mondo e precisamente il mondo artificiale delle esperienze di laboratorio, in cui la variabilità è minore di quella che si incontra nel mondo reale e maggiore di quella che il mondo dei modelli astratti accoglie. Ma nel dominio della maggior parte delle scienze sociali questo terzo mondo non è incluso (né lo è in quello di tutte le scienze naturali). Vedremo più in là come spesso si commetta l’errore di confrontare il mondo artificiale del

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laboratorio e delle sue manipolazioni della natura, con il mondo reale della società immune da ogni manipolazione.

Possiamo concludere che, per quanto riguarda il confronto circa 1 inva­ riabilità, esiste davvero una differenza fra le scienze naturali e le scienze sociali e che — indipendentemente dalle possibilità di esperimenti di laboratorio — tale differenza è data soprattutto dal diverso numero di fattori significativi, e quindi di combinazioni possibili, di cui si deve tener conto per poter spiegare e prevedere fenomeni appartenenti al mondo reale.

Oggettività delle osservazioni e dei criteri esplicativi

Il confronto fra scienze naturali e scienze sociali dal punto di vista della rispettiva « oggettività » di osservazione e d ’indagine ci appare imperniato su di un’idea che potrebbe essere resa mediante una immaginaria citazione : « La scienza deve essere oggettiva e non influenzata da giudizi di valore. le scienze sociali si interessano ex professo di valori, pertanto esse sono prive della disinteressata oggettività che la scienza esige ». Per chiaro e convincente che possa sembrare, questo ragionamento è quanto mai confuso e ingarbugliato. Purtroppo il problema del « valore .soggettivo » in cui veramente tutte le scienze sociali affondano le loro radici, è un problema estremamente delicato che ha eluso molti degli sforzi che sono stati fatti per penetrarlo, anche da parte di insigni studiosi. A scanso di confusione, è necessario isolare l’uno dall’altro i diversi significati e i diversi contesti in cui il termine « v a lo r e » trova applicazione nelle scienze sociali e paiti- colarmente in quelle economiche. Nelle sole scienze economiche, infatti, io ho individuato ben undici accezioni diverse del termine «v a lo re » , ma ho abbastanza buon senso per far grazia al lettore di questa esibizione di accademica viituosità. Tuttavia, non possiamo accantonare interamente il problema e trascurare il pericolo di confusione. Per brevità, ridurrò da undici a quattro il numero delle distinzioni, e a chi legge si richiederà di tenere presenti quattro casi in cui giudizi di valore di diverso significato potranno essere utilmente esaminati nel corso di questa discussione: a, 1 giudizio del ricercatore può essere distorto, per una ragione o per 1 altra, magari perché la sua idea del « Bene » sociale o un personale interesse pecuniario nelle applicazioni pratiche che i risultati della ricerca potreb­ bero avere gli impediscono il debito distacco scientifico; b) il problema allo studio può dare adito a questioni normative, per esempio giudizi di carat­ tere etico possono dare una particolare intonazione a qualche marginale osservazione del ricercatore senza causare tuttavia alcuna alterazione nei risultati della ricerca; c) l’ interesse per la soluzione del problema allo

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studio non può non essere influenzato da valori, perché, evidentemente, il ricercatore sceglie di occuparsi di un determinato problema in quanto attribuisce del valore alla sua soluzione; d) i fenomeni che il ricercatore sociale deve osservare e spiegare altro non sono che risultati di azioni umane ed essi possono essere interpretati soltanto1 risalendo ai motivi e agli intenti di coloro da cui tali azioni sono state compiute, alla luce, cioè, dei valori da essi riconosciuti.

Per quanto riguarda la prima di queste; possibilità, alcuni sostengono che per le scienze sociali è più facile soccombere alle tentazioni e dimostrarsi manifestamente tendenziose. Il filosofo Morris R. Cohen (2), per esempio, parla della « difficoltà soggettiva di conservare il distacco scientifico nello studio delle cose umane. Sono pochi gli esseri umani capaci di considerare serenamente e con uguale imparzialità entrambe le faccie di questioni quali il socialismo, il libero amore, o il controllo delle nascite ». Questo è verissimo, ma non si dovrebbe dimenticare che anche nelle scienze naturali simili difficoltà non mancano. Pensiamo ai biologi e alle difficoltà che la teoria dell’evoluzione della specie creò loro, a causa dei valori religiosi imperanti. Pensiamo, risalendo ancora più indietro nel tempo, ai guai che la teoria dell’eliocentrismo fece passare agli astronomi e quella della età della terra ai geologi. Pensiamo anche come, soltanto venticinque anni fa, ci furono in Germania matematici e fisici che, incapaci di sottrarsi all’im­ posizione dei valori nazionalistici, respinsero teorie matematiche e fisiche « ebraiche », ivi compresa la teoria della relatività e come, soltanto1 dieci anni fa, i biologi russi continuavano a difendere una loro teoria delle mutazioni evidentemente influenzata da valori politici. Né sono del tutto sicuro che, in questo stesso momento, non si possa stabilire un rapporto fra tendenze politiche americane e pronunciamenti scientifici sui pericoli genetici del fallout e di altri esperimenti nucleari.

Interferenze politiche a parte, non sono mancati casi di vere e proprie frodi scientifiche. Pensate all’antropologia e alla falsificazione del suo Uomo di Piltdown. Che la possibilità di frode non è precisamente fuor di que­ stione per gli scienziati sperimentali può essere dedotto anche da una bellissima opera narrativa, il recente romanzo The A ffa ir che ha per autore una ben nota personalità del mondo della cultura, Charles Percy Snow, professore all’Università di Cambridge.

Sul’esistenza, nelle scienze sociali, della possibilità di presentare prove e testimonianze deformate, abbiamo detto abbastanza ed è ormai venuto il momento1 di riconoscere che non pochi economisti, specialmente nel trattare problemi di attualità e nell’interpretare la storia contemporanea, praticano l’arte di « f a r mentire le statistiche». Non è facile credere ad u:n caso tutte le volte che, per il calcolo statistico degli aumenti dei salan in rapporto agli aumenti dei prezzi, vediamo gli economisti del lavoro

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scegliere un determinato anno-base e gli economisti dell’industria sceglierne uno diverso; o quando inchieste d’interesse politico affidate dai diversi partiti ai loro esperti di fiducia vengono impostate da ciascuno di essi su serie statistiche e anni-base diversi. Questo non ci autorizza a concludere che le scienze sociali sono « superiori » alle scienze naturali, ne che sono

« inferiori )). .

Pensate ai numerosissimi casi giudiziari in cui fisici, chimici, medici, psichiatri, ecc. sono chiamati a testimoniare in qualità di penti, a favore dell’una o dell’altra delle parti. In questi casi gli scienziati assumono appunto il ruolo di esaminatori ed interpreti di fatti particolari e concre i di attualità. Ammesso che gli economisti abbiano più frequenti occasioni di presentare rapporti falsati di quante ne abbiano i loro colleglli de altre scienze, la differenza fra scienze sociali e scienze naturali e tutta qui Ma forse anche questa ammissione è gratuita; forse abbiamo sotto- valutato la frequenza delle occasioni in cui scienziati e tecnici possono, per danaro, presentare perizie addomesticate.

Il secondo modo in cui un giudizio di valore può influire sul ricercatore non implica necessariamente una alterazione, da parte sua, nei risultati della ricerca o nella relazione ad essi relativa. Il problema studiato può avere tuttavia un interesse etico tale da. indurre il ricercatore a prendere posizione pro o contro le alternative che il problema stesso apre sul piano normativo!* Per esempio, uno .den tiate paó «vere dei ^ t ,m m ,t . pdrao». . molto torti contro la vivisezione, la stali,zzamene, I a b o r t o ^ « bom to al- l’ idrogeno, ecc. e può esprimere questi sentimenti in rapporto alle e indagini scientifiche. Allo stesso modo uno studioso di scienze sociali può essere particolarmente sensibile a determinati argomenti, come il diritto di ciascuno all’inviolabilità della propria intimità, la liberta dell iniziativa privata, il libero scambio, il livellamento dei redditi, le pensioni di vecchiaia, la integrazione razziale, la riforma della scuola, ecc., ed egli può, a sua volta esprimere quello che sente, nel contesto delle sue relazioni sui n s tati delle ricerche compiute. Ripetiamo che questo non implica che neces­ sariamente i risultati stessi risultino falsati. E su questo punto non c e nessuna differenza fra scienze sociali e scienze naturali.

Il terzo modo in cui i giudizi di valore influirono sulla ricerca riguarda la scelta del progetto o dell’oggetto dell’indagine, e in questi casi si tratta di un’influenza a cui non ci si può sottrarre, Resta da vedere di quali tipi di valori si tratti e quali siano i valori predominanti. Se la ricerca e finanziato dall’esterno, i valori possono essere quelli che il suo direttore attribuisce agli enti o alle autorità statoli che firmano l’assegnazione dei fondi. Se la ricerca è finanziariamente autonoma, il progetto può essere scelto in base ai valori sociali riconosciuti dal ricercatore; egli sceglie, cioè, un progetto che gli sembra possa contribuire a risolvere problemi d impor­

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tanza sodale. La società ha bisogno che si scopra come guarire il cancro, come prevenire il raffreddore da fieno, come distruggere le zanzare, come frenare la delinquenza minorile, come ridurre le nascite illegittime, come assicurare il pieno impiego, sviluppare l’agricoltura, evitare l’inflazione e così via all’infinito. Questi esempi ci inducono a concludere che i giudizi di valore contribuiscono' alla scelta del progetto nella stessa misura, sia che si tratti di scienze sociali che di scienze naturali. Vi sono dei casi, grazie a Dio, in cui il ricercatore sceglie il suo progetto per pura curiosità intellettuale e non darebbe un soldo bucato per l’ importanza sociale dei suoi risultati. Tuttavia, anche la soddisfazione della curiosità non solo è un valore, ma è un valore dei più stimolanti che esistano'. Non si può passare sotto silenzio, poi, il caso dello studente privo sia di immaginazione che di curiosità intellettuale, il quale s’ imbarca in un progetto soltanto perché è l’unica che gli viene in mente, anche se né lui né nessuno lo trova interes­ sante e tanto meno importante. Ma questo' caso può essere accettato' sol­ tanto come eccezione alla regola. Probabilmente eccezioni simili si verifi­ cano altrettanto raramente nelle scienze naturali come nelle scienze sociali. Veniamo ora alla sola vera differenza, indicata dal quarto dei giudizi di valore citati nella nostra serie di esempi. I fenomeni sociali si defini­ scono come risultati di azioni umane, e ogni azione umana si definisce come un’azione motivata, Così definiti, i fenomeni sociali non possono essere spiegati se non in rapporto a tipi determinati di azioni, interpretate nei termini dei valori da cui coloro che hanno deciso e agito sono stati mossi. I valori vengono così a collocarsi al centro dell’attenzione del ricercatore — e non si tratta più di valori suoi personali, ma dei valori che egli riconosce aver determinato e orientato le azioni che hanno prodotto gli eventi sui quali egli indaga — ed è questa la differenza essenziale fra le scienze sociali e le scienze naturali. Per spiegare i movimenti delle molecole, la fusione o la fissione degli atomi, le traiettorie dei corpi celesti, l’accresci- mento o la trasformazione della materia organica, eec., lo scienziato' non si1 devé domandare perché le molecole vogliano muoversi, perché gli atomi decidano di fondersi, perché Venere abbia scelto quella particolare orbita, perché certe cellule anelino a dividersi. Lo scienziato sociale invece viene meno al suo compito se non spiega le variazioni nella circolazione della mone­ ta, risalendo alle decisioni di chi spende e di chi risparmia; se non spiega la fusione di imprese industriali, mettendo in luce gli scopi che hanno indotto direttori generali e consigli di amministrazione a procedere in tal senso ; se non spiega lo sviluppo economico indagando sull’origine e lo svilup­ po delle varie tendenze a risparmiare, investire, innovare, procreare o pre­ venire la procreazione, ecc. Tutti questi esempi sono1 stati tratti dalle scienze economiche, ma avremmo potuto sceglierli indifferentemente dal­ l’antropologia, dalla scienza politica o dalla sociologia giungendo alla stessa

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conclusione, che, cioè, nelle scienze sociali qualunque cosa si voglia spiegare si deve sempre ricorrere all’ interpretazione dei fenomeni in termini di motivazioni-tipo di persone-tipo le cui azioni-tipo producono i fenomeni

allo studio. . . • ,

i-Questa esigenza fondamentale delle scienze sociali si esprime, nel lin­ guaggio delia metodologia sociologica più accreditata, come esigenza 1 «interpretazione soggettiva» e tale interpretazione di «significati sog­ gettivi » comporta un continuo riferimento ai valori da cui le azioni sono motivate. In questo caso, non si tratta di valori che possano menomare la «oggettività scientifica» dei ricercatori o influenzarli al punto da farci dubitare dell’attendibilità dei loro risultati. Se questa esigenza di inter­ pretazione soggettiva, che differenzia le scienze sociali dalle scienze naturali debba farcele giudicare « inferiori » ovvero « superiori » e questione di gusti.

Verificabilità delle ipotesi

Si dice che nella ricerca sociologica la verifica trova poco posto, mentre nelle scienze naturali essa costituisce la principale attività del ricercatore. Questo è vero, benché spesso non si sia inquadrata bene la questione, e si sia quindi portati ad esagerare la differenza.

Si dovrebbe distinguere fra quelle che un filosofo inglese ha recentemente definito « ipotesi ad alto livello» e « generalizzazioni a basso livello (3). be prime sono date per dimostrate e una verifica diretta, non è mai possibile; quando l’ipotesi ad alto livello è una sola non è possibile neanche una verifica indiretta, perché da una ipotesi isolata, che abbia il vuoto tutt in­ torno niente può conseguire. Soltanto tutto un sistema di ipotesi può essere sottoposto a verifica, mediante la deduzione di conseguenze logiche da una serie di postulati generali e da una serie di assunti specifici, ed il contron o di tali conseguenze logiche con i dati delle osservazioni, considerati come contropartite empiriche approssimative dei nostri assunti specifici e delle conseguenze specifiche che ne abbiano dedotto. Questo vale tanto per le scienze naturali quanto per le scienze sociali. .

Nelle scienze naturali, i sistemi teorici e le generalizzazioni a basso livello che ne derivano sono verificabili. Non mancano tuttavia, nella stona della scienza di tutti i tempi, esempi di ipotesi che non hanno mai trovato conferma, soprattutto nel campo della biologia, della geologia e della cosmogonia. Basti pensare alla teoria della creazione d e l l a materia o del­ l’evoluzione della specie. Ciò significa che, in tutti quei casi in cui 1 feno­ meni o le serie di fenomeni non sono riproducibili e si sottraggono alla possibilità di controlli sperimentali, anche le scienze naturali debbono

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con-tentarsi di ipotesi non verificate e che restano tali per molto tempo e forse per sempre.

Nelle scienze sociali invece, le generalizzazioni a basso livello, riguar­ danti fenomeni ricorrenti, vengono di continuo verificate. Sfortunatamente, spesso i fatti osservati autorizzano parecchie ipotesi contrastanti, alcune delle quali non possono essere eliminate, per mancanza di strumenti di controllo definitivo. Tuttavia, chiunque di noi potrebbe citare dozzine di ipotesi confutate e questo significa che il processo di verifica è servito allo scopo. L’impossibilità di esperimenti di controllo e il numero relativamente grande di variabili significative sono gli ostacoli principali ad una maggiore efficacia della verifica nelle scienze sociali. Questa inefficacia non è impu­ tabile agli investigatori, ma è nella natura stessa delle cose.

Esattezza dei risultati

Chi pretende che le scienze sociali sono> « meno esatte » delle scienze natu­ rali spesso! ha, sia delle une che delle altre, una conoscenza molto incompleta, oltre ad avere un’idea molto nebulosa del significato di « esatto ». V i è chi per esattezza intende misurabilità, e di questo parleremo in un capitolo a parte. Altri intendono accuratezza e successo delle previsioni, e queste è un’altra cosa. Altri intendono traducibilità in linguaggio matematico. See condo il significato che nella storia della cultura presenta le migliori testi­ monianze, l’esattezza è data dalla possibilità di costruire un sistema teorico di modelli ideali comprendente strutture astratte di variabili e di rapporti fra variabili, da cui tutte o quasi tutte le proposizioni interessanti situa­ zioni particolari possano essere dedotte. Tali sistemi non si danno in molte delle scienze naturali, per esempio in molti settori della biologia, mentre esistono almeno in una delle scienze sociali : l’economia.

Non possiamo indovinare quali sviluppi avranno in avvenire le singole discipline. Si avrà forse fra breve una «te o ria unificata» delle scienze politiche, o forse non si avrà mai ; forse le frammentarie generalizzazioni prodotte fino a questo momento dalla sociologia potranno essere integrate e formare un unico sistema teorico in cui tutto possa essere incluso. Non possiamo saperlo. Ma possiamo dire senz’altro che la qualità di « esattezza », se è questo che s’intende per esattezza, non può essere attribuita a tutte le scienze naturali né negata a tutte le scienze sociali.

Misurabilità dei fenomeni

Se la disponibilità di dati numerici fosse, in sé e per sé, un vantaggio per la ricerca scientifica, l’economia sarebbe al primo1 posto fra tutte le scienze. La scienza economica è l’unica il cui materiale grezzo abbia già

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»

I

forma numerica. In altri campi, in audio d dla fisica per « i o il ricer­ catore deve anzitutto quantificare e misurare prima di poter ottenere « numerica i dati di cui ha bismm». H «»• »»ta ria te ( - n » che prima appare soltanto come « relativamente» prende pesante, caldo vetece, viene trasformato in un secondo tempo in dati numer.c, per mesto d strumenti di misurazione. L’economista, che si occupa di prezzi e somme d d S L » in cifre «n dall'inisio, può subito mettersi al lavoro sento

bisogno di tali strumenti. . ,.

La raccolta di grandi quantità di dati richiede dei m e z z i finanziari di

cui soltanto grandi organizzazioni, spesso soltanto i governi, Posso" sporre. A mio parere questo è uno svantaggio perche ne consegue che disponibilità dei dati numerici è associata all’ampiezza degli interventi governativi nelle questioni economiche e vi è quindi una proporzione inversa fra informazione economica e libertà individuale.

Le cifre, inoltre, non sono tutto quello di cui si ha bisogno. Per poter essere utilizzate, le cifre debbono corrispondere ai concetti usati nelle pro­ posizioni teoriche o nei sistemi teorici globali. Q u ^ avviene J ^ t e nel caso del materiale grezzo dell’economia, e quindi 1 economista si deve sempre preoccupare di ottenere cifre comparabili trasformando i suoi dati grezzi in dati modificati e corretti, accettabili come modelli di lavoro di certe astrazioni. Il successo degli economisti in questo campo e stato enco­ miabile, ma è pur sempre insufficiente; non regge al P a ^ gon e con il suc­ cesso dei fisici nell’elaborare tecniche di misurazione atte a produrre dati numerici utilizzabili per definire modelli operativi in fisica teorica.

La fisica, tuttavia, non è rappresentativa di tutte le scienze naturali, ne l’economia rappresenta tutte le scienze sociali. V i sono molti settori, sia delle scienze naturali che di quelle sociali, in cui la quantificazione dei fattori significativi non è stata ottenuta e forse non lo sara mai. Non c è modo di accertare se i fattori non quantificabili sono piu numerosi in natura o nella società. Si sente continuamente parlare dei « solidi » fatti della natura e della materia « fluida » di cui le scienze sociali debbono occuparsi e questo sembrerebbe implicare un giudizio di misurabilità. Un ogg. solido infatti, può essere fermamente afferrato e misurato, uno fluido no. E ’ un’osservazione che invita a riflettere, I fatti della natura sono per­ cepiti per mezzo dei nostri « sen si», i fatti sociali sono interpretati con il criterio del « senso » che essi hanno nell’analisi delle motivazioni. Tuttavia questo confronto non è ben centrato, in quanto l’esperienza dello studioso di scienze naturali ha per oggetto dei « d a t i» , mentre l’interpretazione, da parte dello scienziato sociale, dell’intima esperienza ideale-tipica dei membri della società, fa riferimento a «p o s tu la ti» fondamentali ed a variabili molteplici.

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La conclusione non cambia e, per quanto riguarda la prevalenza di fattori non quantificabili nelle scienze sociali o in quelle naturali, la nostra incer­ tezza permane.

Costanza dei rapporti numerici

Su questo punto, non c’è dubbio che le scienze naturali posseggono qual­ cosa che nessuna delle scienze sociali possiede: delle « costanti », delle espressioni numeriche invariabili di rapporti invariabili fra quantità mi­ surabili.

La disciplina in cui si conta il più gran numero di costanti è, come tutti sanno, la fisica. Ne sono esempi la velocità della luce, la costante di gravità, il rapporto fra massa del protone e massa dell’elettrone, ecc. Alcune di queste costanti sono postulate (convenzionali), altre sono empiriche, ma ai nostri fini questo non fa nessuna differenza. Max Planck ha affermato che le costanti universali postulate non sono state « inventate per nostra comodità, ma si sono imposte a noi irresistibilmente a causa dei risultati concordi di tutte le misurazioni effettuate nel campo di loro pertinenza » (4). Non mi risulta che nelle scienze sociali esista alcuna costante numerica. Quei pochi rapporti economici che è stato possibile calcolare rivelano pui sempre una certa misura di variabilità nella misura e nello spazio. E per quanto questa variabilità sia contenuta entro « limiti di oscillazione » che abbiamo potuto esattamente determinare, questo significa ben poco in con­ fronto con le costanti della fisica e la loro assoluta immutabilità.

Quando si riuscì ad osservare che in alcuni paesi il rapporto fra reddito di lavoro e reddito nazionale era variato « soltanto » del dieci per cento m un periodo di vent’anni o giù di lì, alcuni economisti ne furono tanto impressionati che parlarono della « costanza» del rapporto (senza rendersi conto che quella variazione del dieci per cento equivaleva ad una variazione del venticinque per cento nel rapporto fra reddito del lavoro e reddito non prodotto dal lavora). Che l’indice del risparmio non può mai salire al di sopra del quindici per cento del reddito nazionale in nessun paese, quale ne sia il regime economico, è un fatto molto interessante; ma si sono registrati dei casi in cui l’ indice del risparmio è sceso a zero o anche al di sotto, e le variazioni da un paese all’altro e da un periodo all altro sono pur sempre considerevoli.

Sociologi ed esperti di scienze attuariali hanno registrato alcuni indici relativamente stabili — indici degli infortuni, della natalità, della crimi­ nalità, ecc. — ma la stabilità è tale soltanto in relazione all estrema varia­ bilità delle altre medie. Bisogna aggiungere che molti di questi indici sono soggetti a interferenze umane, per esempio alla politica governativa,

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ten-denti a modificarli e quindi non si può pensare neanche per un momento che si tratti di « costanti ». Il verdetto è conferm ato: mentre nelle scienze della natura ci sono costanti numeriche importantissime, non ve ne sono affatto nelle scienze sociali.

Prevedibilità degli eventi futuri

Prima di confrontare il successo che le scienze della natura e le scienze sociali hanno rispettivamente avuto nel predire eventi futuri, e opportuno fare alcune importanti distinzioni. Dobbiamo distinguere fra previsioni condizionali o ipotetiche e previsioni incondizionali o propostici. Tra le prime dobbiamo ulteriormente distinguere previsioni in cui tutte le con­ dizioni indicate possono essere o controllate o sicuramente accertate in anticipo, e previsioni in cui alcune delle condizioni non possono essere ne controllate né accertate con sufficiente anticipo (seppure possono esser o affatto) In una previsione della terza specie, i « se » sono tanti da renderla inservibile, a meno che non si abbia fondato motivo di credere che quelle tali aleatorie condizioni (non accertabili in anticipo e non controllabili) abbiano pochissime probabilità di invalidare la previsione. Una distinzione d’altro genere riguarda la determinazione numerica della previsione: si può predire che una certa grandezza: a) cambierà; b) aumenterà; c) aumen­ terà almeno di tanto; d) aumenterà entro dati limiti, ovvero e) aumenterà in misura precisamente indicata. Allo stesso modo, la previsione può essere più o meno precisa per quanto riguarda il tempo del suo avverarsi. Una previsione del tutto indeterminata nel tempo non ha alcun valore.

A giudizio di molti, le scienze naturali battono le scienze sociali su tutta la linea, sia che si tratti di previsioni incondizionate o di previsioni ipote­ tiche in cui le condizioni siano specificate, e siano indicati il tempo e la misura in cui si avvereranno. Ma coloro che giudicano così hanno in mente le esperienze di laboratorio in cui le scienze naturali e le loro pre­ visioni riescono così brillantemente, e trovano poi che le scienze sociali hanno registrato una ben mediocre misura di successo nel prevedere eventi sociali che consentono sì l’osservazione, ma su cui nessun controllo può essere esercitato. Il confronto è ingiusto e irragionevole. Il mondo artifi­ ciale del laboratorio, in cui lo sperimentatore usa tutta la sua abilita e 1 suoi mezzi per mantenere sotto controllo tutte le condizioni, è qualcosa di molto diverso dal mondo reale della natura. Se si deve fare un confronto, lo si deve fare tra previsioni riguardanti il mondo reale della natura da una parte e il mondo reale della società dall’altra.

Nello stesso mondo reale, si deve ulteriormente distinguere fra previsioni di fatti che noi stessi cerchiamo deliberatamente di produrre e previsioni

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di fatti in cui non possiamo avere ingerenza alcuna. Le équipes di fisici e di ingegneri che inventano e costruiscono nuovi congegni e nuovi appa­ recchi meccanici non riescono a prevederne il funzionamento con esattezza quando si tratta di progetti del tutto nuovi. Sui percorsi dei missili e delle astronavi lanciate nello spazio, per esempio, le cronache hanno spesso registrato i successi tutt’altro che brillanti delle previsioni. Tutti i cosid­ detti bugs, le « magagne », cioè, che soltanto fuori e che di volta in volta bisogna modificare e perfezionare quando si collauda una nuova inven­ zione, altro non sono che errori di previsione. Col tempo, le previsioni diventano sempre più attendibili. Ma la stessa cosa avviene nel campo delle previsioni riguardanti le strutture sociali e il loro funzionamento. Per esempio, chiunque prenda una busta, e ci applichi un determinato franco­ bollo e un determinato indirizzo, e la imbuchi nella prima cassetta postale che incontra, può tranquillamente predire che entro pochi giorni la busta sarà recapitata ad una determinata persona, a migliaia di chilometri di distanza. Queste ed altre previsioni del genere si dimostrano esatte nella grandissima maggioranza dei casi. E non c’è bisogno di essere uno specia­ lista delle scienze sociali per fare delle previsioni altrettanto felici su un qualsiasi meccanismo sociale organizzato, allo stesso modo che non c’è bisogno di essere uno scienziato per predire quale sarà il risultato di un giro d’interruttore della luce elettrica.

E ’ più facile mancare il bersaglio e più difficile far centro, quando le previsioni riguardano una realtà non regolata ed organizzata da noi. I meteorologi, per esempio, hanno non poca difficoltà a prevedere le varia­ zioni del tempo nelle prossime ventiquattro ore o nei prossimi due o tre giorni. Le variabili implicate sono troppe ed è troppo difficile procurarsi tutti i dati necessari. Gli economisti non hanno molta maggiore facilità a pre­ vedere quale sarà la misura della disoccupazione o delle entrate, delle espor­ tazioni o dei gettiti tributari nei prossimi uno o due anni. Ma gli economisti hanno migliori attenuanti. Possono invocare, a loro discolpa, le impreve­ dibili interferenze da parte di organi governativi o di altri gruppi di potere i quali, magari influenzati dalle previsioni stesse, possono intraprendere delle azioni proprio allo scopo di sfatarle. D’altra parte, alcune previsioni possono essere auto-determinanti, nel senso che coloro che ne vengono a conoscenza sono portati ad agire in modo da produrre 1’awenimento pre­ visto. Qaulcuno obietterà forse che gli economisti dovrebbero poter inclu­ dere gli effetti psicologici dei loro pronunciamenti fra le variabili di cui tener conto nell’elaborare il pronostico. Tuttavia le variabili, a livello indi­ viduale o sul piano politico, sono troppo numerose perché sia possibile lasciare il debito margine a tutti gli effetti che le aspettative suscitate dai pronostici e le reazioni a tali aspettative potrebbero avere sui risultati. Un facile esempio di previsione contro-producente ci è offerto da un’altra

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scienza sociale: gli esperti del traffico* stradale prevedono regolarmente il numero d’incidenti automobilistici e di vittime che ci saranno durante un certo week-end e allo stesso tempo sperano che i loro pronostici indu­ cano gli automobilistici ad essere più prudenti e a trasformare cosi loro previsione in una esagerazione di cautela.

Non dobbiamo giudicare troppo avventatamente i risultati delle scienze sociali nel campo delle previsioni. Ammettiamo pure che non brilliamo nell’arte di leggere il futuro e non esageriamo l’abilità di cui abbiamo dato prova qualche volta. Dopotutto non è la stupidità ad impastoiarci, ma la mancanza di elementi d’informazione, e quando ci si deve contentare di tirare a indovinare per sopperire a tale mancanza, le possibilità di suc­ cesso non possono essere molte. Ma c’è una differenza importante fra le scienze naturali e quelle sociali sotto questo aspetto: gli esperti di scienze naturali di solito non si cimentano con cose che sanno di non poter tare e da loro nessuno lo pretende. Essi non si assumerebbero mai la responsa­ bilità di prevedere il numero di morti in un eventuale disastro ferroviario che, se determinate condizioni si verificassero, potrebbe aver luogo ne corso del prossimo anno. Non prevedono neppure le esplosioni, le epidemie, le inondazioni, le frane, l’ inquinamento delle acque. Dagli studiosi di scienze sociali, per qualche strana ragione, ci si aspetta che prevedano il futuro e, se non ci riescono, essi stessi sono i primi a restarci male.

Rapporto con l’ esperienza corrente

La scienza è, quasi per definizione, quel che il profano non può capire^ La scienza è conoscenza accessibile soltanto, e molto laboriosamente, a intelligenze superiori. Le nozioni alla portata di tutti non possono essere

considerate scienza. ,

Un profano non si proverebbe neanche a leggere e a capire un artico o professionale di fisica o di chimica o di biofisica. Gran parte delle parole gli riuscirebbero praticamente illeggibili e, con ogni probabilità, non arri­ verebbe neanche a farsi la più vaga idea dell’argomento in discussione. Inutile dire che nessun profano si sognerebbe mai di atteggiarsi ad esperto di scienze naturali. Viceversa, chiunque, se vuole, può leggere articoli di economia descrittiva, sociologia, antropologia, psicologia sociale. In tutti questi campi, è in uso un linguaggio tecnico che il profano non può capire a fondo tuttavia egli può credere di conoscere il significato delle singole parole e’ di afferrare il senso delle fra si; può perfino divertirsi a fare dello spirito alle spese di quello che legge. Per esperienza diretta e per i giornali e le riviste che legge abitualmente, egli è convinto di essere al corrente della materia. Di conseguenza, le analisi sociologiche specializzate non gli incutono molto rispetto.

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Il fatto che i professionisti delle scienze sociali usano meno vocaboli greci e latini e meno matematica dei loro colleghi delle scienze naturali e che, al loro posto, usano parole di tutti i giorni in accezioni speciali e spesso esclusivamente tecniche, può avere un certo peso nel determinare questo atteggiamento del grosso pubblico. Un testo sociologico per esempio, sembra quasi non aver né capo né coda se le parole prese a prestito dal linguaggio comune sono intese nel loro significato- non tecnico-, di tutti i giorni. Ma se si cerca di insegnargli qual’è il significato speciale che è stato dato a quelle parole, il profano se ne risente o, al più, accondiscende a riderne.

Tuttavia, non dobbiamo esagerare l’importanza di questa questione del linguaggio e del gergo professionale perché il vero problema va ricercato molto più in profondità. Le scienze naturali parlano di nuclei, isotopi, galassie, cromosomi, dodecaedri e il profano stenta addirittura a credere che qualcuno possa sinceramente interessarsi di roba del genere. Le scienze sociali invece — e un qualunque lettore finisce per accorgersene — parlano di lui. Mentre non si identifica mai con un positrone, uno pneumococco, un coenzimo o una calcolatrice elettronica, egli si identifica con molti dei tipi ideali presentati dal sociologo e trova che la somiglianza è scarsa e che, « di conseguenza », l’analisi è sbagliata.

Il fatto che le scienze sociali si occupano dell’uomo, nelle sue relazioni con altri uomini, le rende così intimamente attinenti alla quotidiana espe­ rienza di ciascuno- che l’analisi sociologica di tale esperienza non viene riconosciuta dal lettore come qualcosa che va al di là e al di sopra della sua propria persona. Egli si sente dunque pieno di diffidenza nei confronti dell’analista e -deluso da quello che ritiene il proprio ritratto.

Qualità degli studenti e dell’ insegnamento

Fin dalle scuole medie superiori, lo studio della fisica interessa in modo speciale i ragazzi più intelligenti. A ll’università gli iscritti alla facoltà di fisica e poi ai corsi superiori di specializzazione in fisica, raggiungono noto­ riamente una I.Q. media più alta degli altri (5). Questo dà alla fisica e ai fisici uno speciale prestigio-, e questo prestigio, esteso a tutte le scienze naturali, le colloca al di sopra delle scienze sociali nell’opinione generale. Questo è piuttosto strano, perché la qualità media degli studenti delle diverse facoltà dipende più che altro dai piani di studio e dai criteri di esame adottati dai docenti, e da istituto a istituto, da una università all’altra, ci possono essere- grandi disl-ivelli. Il calcolo infinitesimale è d’obbligo- in tutte le facoltà di fisica senza eccezione ed è per questo- che la superiorità della fisica è così generalizzata. Ma nelle università in cui il calcolo

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