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I CANONI PER UN’ERMENEUTICA METODICA

1. M ETAFISICA COME DIALETTICA

1.1. Rilevanza ermeneutica del capitolo 17 di Insight

La divisione dell’insieme delle specializzazioni funzionali in due fasi che, come si è visto, procedono rispettivamente assimilando la tradizione del passato e utilizzando poi questa per confrontarsi con i problemi attuali, mostra la propria validità non solo per la teologia ma altresì per ogni impresa ermeneutica, in quanto si fonda più in generale sulla distinzione tra appropriazione e applicazione.

Le due fasi del processo sono legate da un rapporto di reciprocità e interdipendenza, in quanto costituite da specializzazioni funzionali dedotte, a loro volta, da operazioni consce e intenzionali tra loro interdipendenti. Relativamente poi alla dipendenza diretta di una fase dall’altra, è necessaria un’ulteriore precisazione: se, infatti, è innegabile che esista una dipendenza della seconda fase dalla prima, dal momento che la seconda «affronta il presente e il futuro alla luce di ciò che è stato assimilato dal passato» 1; la questione inversa risulta più delicata e

richiede una particolare attenzione affinché l’influsso, pur innegabile, da parte della seconda fase sulla prima «non elimini l’apertura propria della prima fase nei confronti di tutti i dati pertinenti, né la sua funzione propria che è quella di raggiungere i suoi risultati facendo ricorso ai dati» 2.

La presenza di questa distinzione, fondamentale per l’intera costruzione ermeneutica lonerganiana, si può riscontrare del resto anche nei testi che precedono la stesura di Method in Theology, in modo particolare in Insight, opera nella quale

1 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 175.

2 Ibidem. Come si è già avuto modo di notare riguardo l’interpretazione intesa come specializzazione funzionale, l’importanza attribuita da Lonergan alla distinzione tra i due momenti differenzia la sua filosofia da quella gadameriana che, invece, come sottolinea anche McKinney, corre il rischio di confondere le due fasi: «Lonergan argues that Gadamer’s hermeneutic is in danger of confusing these two phases» (MCKINNEY, The Hermeneutical Theory of Bernard Lonergan, p. 285); vedi anche Il Metodo in

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vengono poste le basi metodologiche che consentiranno la successiva elaborazione delle specializzazioni funzionali stesse.

Diversi studiosi, inoltre, tra i quali, in particolare Ronald McKinney, sono ormai concordi nel sostenere che in questo testo Lonergan elabora la prima e iniziale struttura euristica per l’interpretazione, collocandola all’interno della sua metafisica: It is in Insight – commenta McKinney – that [Lonergan] first articulates a heuristic structure for interpretation, situating it within his metaphysics. A methodical hermeneutic is thought necessary to the metaphysical enterprise in order «to explain the existence of contrary convictions and opinions» 3.

Per comprendere le ragioni dell’introduzione del rapporto tra ermeneutica metodica e metafisica è importante puntualizzare, prima di tutto, che il problema dell’interpretazione è collocato all’interno del capitolo 17 di Insight 4 che si occupa

dell’approfondimento della metafisica in quanto dialettica, con l’obiettivo di «pervenire a una struttura euristica per un’ermeneutica metodica [methodical hermeneutics]» 5 in grado di promuovere un metodo ermeneutico che integri i

possibili metodi della conoscenza umana.

Tale discorso va inserito all’interno della complessa architettura dell’intera opera 6, che non è sicuramente possibile, né forse necessario, approfondire in questa

sede, ma rispetto alla quale è importante sottolineare che i capitoli immediatamente precedenti a questo si erano occupati della fondazione critica della metafisica e della sua possibilità di porsi come integrazione conoscitiva e apertura alla trascendenza, individuando prima le linee guida per la transizione alla metafisica esplicita (cap. 14) e poi verificando la sua effettiva esecuzione (capp. 15-16). Nel capitolo 17 Lonergan sposta il problema «dal campo della deduzione astratta al campo del processo storico concreto» 7, applicando la struttura euristica della dialettica ai dati

storici in modo da poter stabilire «se esiste una base unica di operazioni, a partire dalla quale qualsiasi filosofia possa essere interpretata correttamente» 8.

La riflessione sul metodo ermeneutico, inoltre, permette al filosofo di affrontare una serie di problemi a questo collegati: il rapporto tra verità, oggettività e interpretazione; il prospettivismo, con l’elaborazione della nozione di punto di vista, che porterà successivamente all’adozione del concetto di orizzonte; la

3 MCKINNEY, The Hermeneutical Theory of Bernard Lonergan, p. 283; per il passo riportato all’interno della citazione vedi Insight, CWL 3, p. 553.

4 Scrive a questo proposito Robert Doran: «the basic statement regarding the pertinence of […] condition of interpretation is given in chapter 17 of Insight» (DORAN, Theology and the Dialectic of

History, p. 563).

5 Insight, OBL 3, p. 672; [Insight, CWL 3, p. 554].

6 Lonergan, vent’anni dopo la stesura dell’opera scriveva: «con il capitolo tredici il libro poteva terminare. I primi otto capitoli esplorano il comprendere umano. I cinque seguenti svelano come il comprendere corretto può essere distinto […]. Comunque […] se io non fossi andato oltre, il mio lavoro sarebbe stato considerato come […] incapace di fondare una metafisica […]. Una metafisica potrebbe essere possibile e ciò nondimeno un’etica impossibile. Un’etica potrebbe essere possibile e ciò nondimeno gli argomenti per l’esistenza di Dio impossibili. In quel modo, ancora sette capitoli giunsero a essere scritti» (LONERGAN, Insight Revisited, p. 275; trad. it. riportata in Insight, OBL 3, p. XLVIII).

7 Insight, OBL 3, p. 671. 8 Ivi, p. 672.

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relazione tra interpretazione ed espressione con l’individuazione dei canoni che regolano l’attuarsi del metodo ermeneutico.

Tutti questi aspetti, qui ricondotti all’ambito dell’ermeneutica scientifica o metodica, troveranno poi un’ulteriore e articolata differenziazione nelle prime quattro specializzazioni funzionali, come sottolinea anche Robert Doran quando afferma:

Lonergan’s basic statement on the retrieval of the convictions and opinions of others, on the reconstructions of the human spirit, remains, I believe, chapter 17 of Insight. There is no question that his post-Insight work witnesses to an elaborate theory of meaning, and that Method in Theology differentiates into four functional specialties what in Insight is with relative compactness referred to as “scientific hermeneutics” 9. L’importanza di tali tematiche per una comprensione piena dell’ermeneutica lonerganiana nella sua complessità è infine testimoniata anche da numerose e importanti analisi condotte da numerosi studiosi del pensiero lonerganiano 10, le

quali confermano che il capitolo 17 di Insight costituisce un nodo centrale per l’elaborazione di tutta l’ermeneutica lonerganiana.

1.2. Metafisica, mistero e mito

L’analisi prende avvio dalla relazione tra la metafisica, in quanto auto- conoscenza e auto-oggettivazione da parte del soggetto, e la categoria composita di mistero e mito, intesi come immagini e nomi caricati di affezioni.

Lonergan distingue, in primo luogo, tra l’immagine in quanto immagine e l’immagine in quanto segno o simbolo: nel primo caso si tratta di un contenuto sensibile in quanto operativo al livello sensorio; nel secondo l’immagine è posta in corrispondenza con attività o elementi riconducibili al livello intellettuale con la differenza che, in quanto simbolo, è collegata semplicemente con l’ignoto noto [unknown known] 11, in quanto segno, invece, rimanda a qualche interpretazione che

ne indica l’importanza. L’interpretazione, quindi, trasforma l’immagine in segno con la conseguenza che l’immagine può, a sua volta, essere interpretata come segno in modi numerosi e diversi.

È senza dubbio interessante sottolineare come, per quel che riguarda il rapporto tra simbolo e concetto, la posizione lonerganiana sia in accordo con quella espressa

9 DORAN, Theology and the Dialectic of History, p. 563.

10 Tra i numerosi critici che si sono occupati in modo specifico dell’analisi del capitolo 17 di Insight, è importante ricordare: DORAN, Theology and the Dialectic of History, con particolare riferimento alle pp. 561-578; FrederickG.LAWRENCE, Expanding Challenge to Authenticity in Insight: Lonergan’s Hermeneutics

of Facticity, pp. 427-456; MCKINNEY, The Hermeneutical Theory of Bernard Lonergan, pp. 282-290; Elisabeth A.MORELLI –MarkD.MORELLI, The Lonergan Reader, University of Toronto Press, Toronto-Buffalo- London 1997, pp. 263-274.

11 La categoria dell’’ignoto noto’, o ‘sconosciuto noto’, come si vedrà più dettagliatamente in seguito, è introdotta nell’ambito della trattazione dei diversi stadi di sviluppo del soggetto, insieme a quelle del ‘noto’ [known] e dello ‘sconosciuto ignoto’ [unknown unknown], per indicare l’insieme delle «cose che io so di non conoscere» (Sull’educazione, OBL 10, p. 139).

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da Ricoeur, come nota anche Ronald McKinney che fa riferimento non solo alla multivalente natura del simbolo, ma anche alla sua priorità sul concetto:

Lonergan holds a view similar to Ricoeur’s notion of the dialectic between symbol and concept […], distinguishes the “rites and symbols, language and art” in wich “meaning is felt and intuited and acted out” from the works of the “critics and historians” 12.

Gli ambiti del mito e della metafisica, in particolare, pur nella loro diversità, sono accomunati dal fatto che il campo del mito è frammisto con la genesi stessa della metafisica, relativamente al processo che conduce dalla metafisica latente a quella esplicita, come conseguenza dell’affermazione, da parte del soggetto, di se stesso come unità di coscienza empirica, intelligente e razionale, la quale comporta un’auto-conoscenza e un’auto-oggettivazione. La differenza profonda, però, risiede nel fatto che la coscienza mitica, che pur fa esperienza e immagina, comprende e giudica, non è in grado di distinguere tra loro le attività che compie e risulta così incapace di guidare se stessa attraverso la conoscenza della realtà. Sono assenti, infatti, in essa le necessarie distinzioni metafisiche tra posizioni e contro-posizioni, ma soprattutto tra spiegazione e descrizione.

Questo secondo punto, in particolare, è importante in quanto in esso si cela, secondo Lonergan, il rischio del relativismo insito nell’applicazione soggettiva di un punto di vista descrittivo che porta ad annullare la distanza storica:

la proiezione soggettiva risulta quando interpretiamo le parole e le azioni di altri uomini, ricostruendo in noi stessi la loro esperienza ed aggiungendo acriticamente i nostri punti di vista intellettuali che essi non condividono 13.

Il punto di vista descrittivo deve, quindi, essere abbandonato e sostituito con un punto di vista esplicativo che permette di interpretare il passato attraverso il recupero del suo punto di vista, evitando proiezioni soggettive.

La coscienza mitica si profila quindi, come assenza di un’adeguata auto- conoscenza e di conseguenza il mito, che da essa discende, si deve considerare come opposto alla metafisica: la regressione del mito, infatti, si accompagna ad un progressivo avanzamento della metafisica man mano che «lo sforzo di comprendere le cose in quanto poste in relazione a noi cede il passo alla fatica di comprenderle in quanto poste in relazione le une alle altre» 14.

Al tempo stesso, però, mito e metafisica sono posti anche in relazione dialettica, perché il mito è il «prodotto del desiderio spontaneo di comprendere e formulare la natura delle cose» 15 che è la «radice di ogni scienza e di ogni filosofia» 16. In quanto

sforzo spontaneo, da parte del desiderio di conoscere, di afferrare e formulare la natura delle cose, nel tentativo di liberarsi dei propri vincoli si può, infatti, secondo Lonergan, riconoscere al mito una significatività allegorica.

12 MCKINNEY, The Hermeneutical Theory of Bernard Lonergan, p. 287. 13 Insight, OBL 3, p. 683.

14 Ivi, p. 686. 15 Ibidem. 16 Ibidem.

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Si può con ciò concludere che la metafisica non può prescindere dal mito la cui necessità si fonda nella stessa struttura dell’essere umano; anche la conquista del pieno comprendere e perfino il conseguimento della totalità dei giudizi corretti non libererebbero, infatti, l’uomo dalla necessità di immagine dinamiche che sono in parte simboli e in parte segni. Del resto anche un’auto-conoscenza adeguata e una metafisica esplicita possono ridurre, anche se non eliminare, l’“ignoto noto” ma non possono concludersi in un controllo del vivere umano senza essere trasposte in immagini dinamiche, che rendono sensibile per la sensibilità umana ciò che l’intelligenza umana cerca di raggiungere o afferra.

Questa conclusione riporta l’analisi al punto di partenza evidenziando come nemmeno la conoscenza sia in grado di assicurare uno sviluppo che vada sempre in direzione del progresso e mai del declino, dal momento che il suo avanzamento è ambivalente e «pone nelle mani dell’uomo un formidabile potere, senza necessariamente aggiungere saggezza e virtù proporzionate, che […] non sono garanzie di verità» 17.

La radice della questione può quindi essere rintracciata nel problema della definizione di un criterio di verità che permetta di risolvere il conflitto ermeneutico.