VERSO UN’ERMENEUTICA DEI DINAMISMI COSCIENZIAL
3. L A STORIA E GLI STORIC
3.1. Caratteri e limiti della conoscenza storica
Le due specializzazioni dell’interpretazione e della storia, benché siano ricondotte da Lonergan a due ambiti diversi, rispettivamente quello del common sense e quello dello scholarship, rimangono due specializzazioni intimamente legate, dal momento che la comprensione dell’autore da parte dell’interprete non può prescindere dalla considerazione della tradizione all’interno della quale questi operava 88. Nella ricostruzione della posizione ermeneutica lonerganiana, quindi, si
deve riconoscere un ruolo significativo anche alla questione storica 89, che costituisce
una dimensione caratterizzante la realtà umana al pari del suo aspetto naturale, rispetto al quale è necessario operare una preliminare distinzione.
Si tratta, infatti, di due tipi di studio accomunati dall’essere entrambi costituiti da «un processo continuo di scoperte cumulative [cumulative discoveries], cioè di intelligenze originali [original insights], di atti originali di capire [original acts of understanding]» 90, ma che differiscono negli oggetti 91 e, soprattutto, nell’espressione
dei rispettivi insiemi di scoperte che, per le discipline scientifiche, avviene attraverso sistemi universali, mentre per la storia si manifesta tramite «narrazioni e descrizioni che riguardano persone, luoghi particolari, tempi particolari» 92.
Questa preliminare distinzione permette di definire il campo d’indagine, e di procedere quindi all’analisi della conoscenza storica, con particolare attenzione a
88 Scrive Lonergan: «perché l’interprete conosca non soltanto ciò che il suo autore intendeva, ma anche come stanno realmente le cose, deve esercitare la sua critica non solo nei riguardi del suo autore, bensì anche nei riguardi della tradizione che ha formato la sua propria mentalità. Con questo passo egli è spinto oltre lo scrivere la storia al fare la storia» (Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 193).
89 Come ricorda anche Giovanni Sala: «l’attenzione alla realtà storica e lo studio dei problemi dell’ermeneutica operarono in Lonergan uno spostamento radicale – preparato per altro dalla precedente analisi dell’intenzionalità – che possiamo indicare come il passaggio dalla coscienza classica (il contenuto aristotelico-tomista del pensiero cattolico tradizionale) alla coscienza storica» (Giovanni B. SALA, voce Bernard Lonergan, in PiersandroVANZAN –HansJürgenSCHULTZ (a cura di), Lessico dei
Teologi del XX secolo, Queriniana, Brescia 1978, pp. 545-555, qui p. 553; da qui in poi Bernard Lonergan, 1978); le basi per il verificarsi di tale passaggio sono poste dalla rivoluzione storica: vedi cap. 1, § 2.3. del presente lavoro.
90 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 209 [LONERGAN, Method in Theology, p. 179]; continua Lonergan: «per “intelligenza”, “atto di capire” s’intende un evento pre-proposizionale, pre-verbale, pre- concettuale, nel senso che proposizioni, parole, concetti esprimono il contenuto di questo evento, per cui non lo precedono, ma derivano da esso» (Ibidem).
91 «Lo studio della storia differisce […] dallo studio della natura fisica, chimica, biologica. C’è differenza negli oggetti, perché gli oggetti della fisica, della chimica, della biologia non sono in parte costituiti da atti di significato» (Ibidem).
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quei procedimenti che «ceteris paribus, conducono […] a spiegare come nasce questa conoscenza, in che cosa consiste, quali sono i suoi limiti intrinseci» 93.
Il ricorso alla categoria della specializzazione funzionale si concretizza nella definizione della storia critica, strettamente collegata al livello coscienziale della ragione e, conseguentemente, dell’elaborazione del giudizio. Lonergan, a questo proposito, distingue, prima di tutto, la storia critica dalla storia pre-critica, consistente in un’esposizione ordinata di eventi relativi alla propria comunità, con la funzione pratica di raccontare «chi fece che cosa, quando, dove, in che circostanza, per quali motivi, con che risultati» 94, allo scopo di garantire la sopravvivenza della
comunità attraverso la promozione della sua coscienza identitaria. La narrazione non si limita, qui, semplicemente all’esposizione dei nudi fatti ma può presentare una sua articolazione artistica, etica, esplicativa, apologetica e profetica 95.
La storia pre-critica, anche se risulta in grado di soddisfare alcuni bisogni reali nell’ambito della comunicazione, non è tuttavia adeguata per una vera definizione della storia, che non si propone il compito educativo di «comunicare ai propri concittadini o ai propri correligionari un apprezzamento conveniente della loro eredità» 96, ma si prefigge piuttosto lo scopo di giudicare ciò che è realmente
accaduto.
Ciò avviene attraverso un processo dell’intelligenza in sviluppo cui sono attribuite diverse funzioni 97 tra le quali, in particolare, quella critica che non risiede
solo nel saggiare l’attendibilità delle fonti di informazione, ma si occupa, principalmente, di trasferire «da un uso o da un contesto a un altro i dati che altrimenti potrebbero essere ritenuti pertinenti ai compiti attuali» 98. Nella sua
applicazione, questo processo si rivolge inizialmente alle fonti, permettendone la comprensione, ma, in un secondo momento, attraverso un uso intelligente delle fonti, si occupa dell’oggetto cui queste si riferiscono, permettendo in tal modo anche una reale comprensione del suo autore. A differenza della specializzazione funzionale dell’interpretazione, nel caso della storia il tentativo di comprendere l’autore a partire dalle fonti non si limita a capire che cosa questi volesse dire, ma si pone lo scopo ulteriore di capire che cosa volesse fare e in che modo lo fece.
La storia critica si traduce, così, nella scoperta di ciò che fino a quel momento è stato solo sperimentato ma non propriamente conosciuto; ciò avviene mediante due
93 Ivi, p. 225. Come si vedrà in seguito, la specializzazione funzionale della storia viene concepita, almeno inizialmente, come un’evoluzione del metodo ermeneutico elaborato in Insight: cfr. COELHO,
Hermeneutics and Method: the “Universal Viewpoint” in Bernard Lonergan, pp. 168-169. 94 Ivi, p. 215.
95 Per l’approfondimento dei diversi caratteri della narrazione storica definita pre-critica, cfr. LONERGAN,MIT VII,pp. 45-46.
96 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 215.
97 Il processo dell’intelligenza ha una serie di funzioni diverse: «è euristico, poiché mette in luce i dati pertinenti; estatico, perché conduce l’investigatore fuori dalle sue prospettive originarie per collocarlo nelle prospettive proprie dell’oggetto; selettivo, perché dalla totalità dei dati sceglie quelli pertinenti all’intelligenza raggiunta; […] costruttivo, perché i dati scelti sono annodati insieme dalla trama vasta e intricata di connessioni venute cumulativamente alla luce man mano che il capire progrediva» (Ivi, pp. 218-219).
98 Ibidem. Lonergan fa riferimento al testo di Robin George COLLINGWOOD, The Idea of History, Clarendon, Oxford 1946, con particolare attenzione ai due saggi The Historical Imagination e Historical
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processi distinti che conducono dai dati, del senso o della coscienza, ai fatti che sono, invece, eventi conosciuti. Il processo critico fornisce informazioni riconducibili all’esperienza storica [historical experience] che riguarda «i frammenti, i brani e i pezzi che hanno richiamato l’attenzione dei diaristi, degli scrittori di lettere, dei cronisti» 99; non si tratta di una visione completa di ciò che avvenne in un tempo e in
un luogo determinato. I fatti accertati nel processo critico, quindi, non sono ancora fatti storici ma semplicemente dati per la scoperta di fatti storici: al processo critico deve, infatti, seguire un ulteriore processo interpretativo di ricostruzione nel quale lo storico, mettendo in relazione i frammenti di informazione raccolti e valutati criticamente, giunge ad una conoscenza storica [historical knowledge] nella quale possono venire alla luce «quelli che con proprietà possono essere chiamati i fatti storici» 100.
Questo articolato processo di scoperta comprende anche un momento, definito estatico, che riconduce i dati della ricerca storica ai livelli della coscienza, consentendo di sostituire prospettive e opinioni prima nutrite con «le prospettive e le visioni che risultano dall’azione reciproca e cumulativa di dati, indagine, intelligenza, congettura, immagine, evidenza» 101. Questo permette un avanzamento
della storia critica nella conoscenza oggettiva del passato, nonostante gli ostacoli rappresentati da fattori diversi, quali «concezioni erronee circa ciò che è possibile […], giudizi di valori erronei e fuorvianti […], una visione del mondo o un punto di vista […] inadeguati» 102. La possibilità di una conoscenza storica oggettiva si basa
sulla considerazione dei procedimenti che si sviluppano a parità di condizioni, come sottolineato dalla stessa espressione “ceteris paribus” riportata all’inizio.
Alla questione dell’oggettività si lega, poi, il problema, già posto nel caso dell’interpretazione, della fondazione dei criteri per il giudizio della storia come processo riflessivo che scaturisce da una domanda: il criterio prossimo, definito come un’estensione della procedura del senso comune, è rappresentato dalla capacità di trovare una risposta a tale domanda e quindi dall’assenza di ulteriori domande significative; l’individuazione del criterio remoto, invece, richiede un ulteriore approfondimento relativo al rapporto tra la storia e gli storici.
3.2. Gli ambiti della conoscenza storica: la questione del prospettivismo
La definizione del rapporto tra la conoscenza storica, critica e costruttiva, e lo storico che, con la sua soggettività, la persegue, richiede la preliminare soluzione del problema del relativismo dell’interpretazione storica in merito ai criteri di selezione
99 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 233.
100 Ibidem. Come sottolinea Ivo Coelho è possibile ricondurre i due processi ai diversi approcci del positivismo e dell’idealismo: «the former tends to restrict itself to the critical process; but this yields merely fragmentary facts, merely critical editions of texts, rather than a knowledge of what was going forward. The second, constructive process is necessary if the intelligible interconnectedness […] of these facts is to be grasped» (COELHO, Hermeneutics and Method: the “Universal Viewpoint” in Bernard
Lonergan, p. 171).
101 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 225. 102 Ibidem.
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dei fatti storici, alla stabilità dell’oggetto d’indagine, alla possibilità di una sua valutazione.
La conoscenza storica, infatti, si presenta come un movimento a spirale: «man mano che la conoscenza degli eventi aumenta, il carattere dei documenti appare in una nuova luce» 103; il che porta a riformulare la domanda originaria, innescando un
processo nel quale la sintesi finale è composta di fatti unici, ognuno dei quali, però, è stato scelto «a causa della sua importanza rispetto a un’idea già padrona del campo» 104.
La realtà storica, quindi, proprio per la complessità che impedisce di darne una descrizione esaustivamente completa, è frutto di una scelta da parte dello storico che «sceglie ciò che ritiene importante e omette ciò che egli considera privo d’importanza» 105; nel far ciò lo storico procede come se nella propria mente ci fosse
una legge di prospettiva che «governa e controlla sulla base del [suo] punto di vista [standpoint], del suo ambiente, dei suoi presupposti, della sua formazione» 106. A differenza delle discipline scientifiche, infatti, il punto di partenza dello storico non è un insieme di postulati o una teoria universalmente riconosciuta e accettata, ma «tutto ciò che lo storico già conosce e crede» 107, la sua lingua, la sua educazione, il
suo ambiente, tutti i fattori che costituiscono quella base originaria [background] alla quale lo storico non può sottrarsi.
Riconoscere l’impossibilità per lo storico di raggiungere una conoscenza storica sistematica che prescinda dal proprio tempo e dal proprio luogo, non si traduce, però, in una deriva relativista, come Lonergan stesso ha cura di puntualizzare:
dicendo che lo storico non può sottrarsi al suo background, non intendo affermare che egli non possa superare deformazioni individuali, di gruppo, o generali 108, o che non possa arrivare a una conversione intellettuale, morale o religiosa […], non intendo ritrattare in nessun modo ciò che ho detto […] circa il carattere “estatico” dello sviluppo dell’intelligenza storica e circa la capacità dello storico di uscire dal punto di vista [viewpoint] del suo luogo e del suo tempo per giungere a capire e applicare la mentalità e i valori di un altro luogo e di un altro tempo. Ed infine, non voglio dire che storici con background diversi non possano arrivare a capirsi l’un l’altro e quindi a passare da conclusioni divergenti a concezioni convergenti sul passato 109.
A commento del lungo passo sopra riportato, Ivo Coelho sottolinea, inoltre, che eliminare il punto di vista a partire dal quale ogni storico opera significherebbe negare la sua stessa storicità e, conseguentemente, annullare la capacità di portare avanti il suo lavoro 110.
103 Ivi, p. 238.
104 Ivi, p. 234; si tratta di una citazione che Lonergan trae da Carl BECKER, Detachment and the Writing of
History, Essays and Letters edited by Philip Snyder, Cornell, Ithaca (N.Y.) 1958, p. 24. 105 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 245.
106 Ivi, p. 246 [LONERGAN, Method in Theology, p. 215]. 107 Ivi, p. 247.
108 Sulla deformazione vedi Insight, OBL 3, cap. 7, pp. 308-327.
109 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 247 [LONERGAN, Method in Theology, p. 217].
110 «Each historian will write from his/her own standpoint; to eliminate the standpoint would be to eliminate the education of the historian and so his/her very capacity to carry out his/her work» (COELHO, Hermeneutics and Method: the “Universal Viewpoint” in Bernard Lonergan, p. 171). È, a mio avviso, importante notare come nel passo di Coelho si parli di “standpoint”, laddove invece Lonergan
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L’eliminazione dell’elemento soggettivo, inoltre, che porterebbe a ricadere nell’illusione del principio della testa vuota che già Lonergan aveva contestato, non può rappresentare una soluzione al problema dell’oggettivazione della conoscenza storica: l’alternativa al relativismo è trovata nella concezione del prospettivismo [perspectivism] che non nega l’esistenza di punti di vista diversi, né limita ad essi l’attività dello storico.
Il processo storico e, al suo interno, lo sviluppo personale dello storico, possono, infatti, produrre punti di vista diversi che, a loro volta, dànno origine ad altrettanti processi selettivi e, quindi, a ricostruzioni storiche diverse, le quali non forniscono una conoscenza completa, ma sono «ritratti incompleti e approssimativi di una realtà enormemente complessa» 111.
La considerazione dell’esistenza di molteplici punti di vista sul passato non vuole negare che questo sia caratterizzato dalla fissità e da strutture intelligibili inequivocabili ma intende puntualizzare che tale passato, fisso e inequivocabile, non è altro che «il passato enormemente complesso che gli storici conoscono solo in maniera incompleta e approssimativa» 112 ed è proprio tale conoscenza incompleta e
approssimativa che dà origine al prospettivismo.
La posizione in merito al prospettivismo sembra porre la filosofia lonerganiana sulla linea di quella di Gadamer secondo la quale ogni interprete necessariamente deve essere collocato all’interno di un diverso orizzonte che determina diversi interessi e, quindi, diverse domande. Di fronte alla necessaria conseguenza che diverse prospettive comportino diverse interpretazioni, però, le posizioni dei due filosofi divergono: Gadamer, infatti, fonda proprio su queste basi la negazione della possibilità dell’oggettività. Lonergan, al contrario, è attento a evitare di trarre ogni conclusione relativistica, per questo in accordo con la teoria ermeneutica di Emilio Betti 113, afferma che non necessariamente l’interpretazione è definitiva ma che ogni
autentica prospettiva può, comunque, completare le altre ed essere integrata con queste in un superiore punto di vista 114.
Tutti le nozioni e i preconcetti derivati dal clima di opinioni in cui ogni soggetto vive vanno così a costituire l’orizzonte all’interno del quale ognuno è confinato nel proprio mondo, mediato dal significato.
aveva utilizzato il termine “viewpoint”: i due termini, nel pensiero lonerganiano, non sono però equivalenti e, come si vedrà, fanno riferimento a due approcci diversi, in relazione alla progressiva scomparsa del riferimento alla visione e al mito del vedere nello sviluppo del pensiero del filosofo. 111 Il Metodo in Teologia, OBL 12, p. 249.
112 Ivi, p. 250.
113 Per un’esposizione della filosofia di Betti cfr. BLEICHER, Contemporary Hermeneutics: Hermeneutics as
Method, Philosophy and Critique, pp. 51-94.
114 Scrive Ronald McKinney a questo proposito: «Lonergan is in accord with Gadamer as regards the “perspectivism” which is necessary inherent in the process of interpretation. Every interpreter necessarily functions within a different horizon and so has different interests and asks different questions. Consequently, different standpoints necessarily generate different interpretations. Gadamer presumes that this fact thereby eliminates the possibility of “objectivity”. On the contrary, Lonergan is careful to avoid drawing any relativistic conclusions and argues, with Betti, that we need only conclude that no interpretation has the last word; rather, all genuine perspectives complement each other and can be fused into ever higher viewpoints» (MCKINNEY, The Hermeneutical Theory of Bernard
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Si deve, comunque, riconoscere che ammettere che la storia è scritta alla luce di idee preconcette può avere come risultato nozioni diverse di storia, metodi diversi di indagine storica, punti di vista incompatibili e, in definitiva, storie irriconoscibili; per questo sono essenziali la ricerca di metodi che permettano di evitare presupposti e procedimenti incoerenti e la formulazione di metodi ulteriori in grado di appianare le differenze una volta che le storie incompatibili siano state scritte. All’interno della trattazione sulla storia, però, Lonergan si limita al riconoscimento di questa necessità, rimandando alla specializzazione della dialettica la soluzione delle aporie poste in questa sede:
ogni cambiamento notevole di orizzonti è compiuto non sulla base di quello stesso orizzonte, ma bensì prendendo in considerazione un’alternativa del tutto diversa e a prima vista incomprensibile, e poi passando per una conversione 115.
Anche la questione della fondazione di un criterio remoto per la valutazione storica si richiama alla possibilità di un allargamento dell’orizzonte del soggetto, come ben sottolinea Ivo Coelho; infatti, se il criterio prossimo può essere ritrovato all’interno della storia, il criterio remoto viene fornito dalla dialettica e dalla fondazione, poiché esso include il progresso e il declino, lo sviluppo e la rottura: per questo il metodo della storia può essere utilizzato solo in riferimento a un orizzonte relativo, mentre il problema dell’orizzonte assoluto rimane una questione da affrontare attraverso la dialettica 116.