I CANONI PER UN’ERMENEUTICA METODICA
2. L A VERITÀ : NOZIONE E CRITER
Nel capitolo 17 di Insight Lonergan riunisce sinteticamente i principali punti della sua filosofia concernenti la questione della verità, a partire dalla distinzione tra definizione di verità e criterio di verità.
Il primo aspetto riguarda la formulazione della nozione di verità, introdotta in modo implicito nella stessa considerazione dell’essere, che viene identificato con «ciò che deve essere conosciuto attraverso l’afferrare intelligente [intelligent grasp] e l’affermazione ragionevole [reasonable affirmation]» 18. L’unica affermazione che può
essere considerata ragionevole del resto è l’affermazione vera, di conseguenza, se l’essere è ciò che è conosciuto veramente, allora il conoscere è vero per la sua relazione all’essere e la verità è la relazione della conoscenza all’essere. Questa relazione costituisce il fondamentale interesse [basic concern] dell’intera opera nella sua complessità, specie in riferimento all’analisi condotta da Lonergan sul ruolo dell’intellezione nei metodi scientifici e nella vita ordinaria, come notano Elisabeth e Mark Morelli:
this relation has been a basic concern throughout the preceding chapters of Insight. Lonergan’s investigations of the nature and role of insight in classical, statistical, philosophic, and genetic methods, and in ordinary living, aim to expose the key constituents of the relations of knowing to being 19.
Nel caso limite in cui conoscente e conosciuto vengano a coincidere, facendo sì che la relazione scompaia in un’identità, la verità consiste proprio nell’assenza di differenza tra il conoscente e l’essere conosciuto; nel caso generale, invece, quando
17 Ivi, p. 692.
18 Insight, OBL 3, p. 696 [Insight, CWL 3, p. 575]. 19 E. MORELLI –M. MORELLI, The Lonergan Reader, p. 263.
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si è in presenza di più di un conosciuto, con la possibilità di formulare un insieme di giudizi comparativi sia positivi che negativi, Lonergan mette in atto un recupero della tradizionale definizione tomista di verità come «conformità o corrispondenza delle affermazioni e negazioni del soggetto a ciò che è e non è» 20.
Questa identificazione dell’essere con il possibile oggetto di ricerca si richiama, chiaramente, al principio dell’isomorfismo tra le strutture del conoscere e del conosciuto proporzionato, principio sul quale si fonda lo stesso metodo metafisico lonerganiano e che permette al filosofo di affermare che la natura dell’essere è intrinsecamente intelligibile:
infatti – scrive Lonergan – ciò che deve essere conosciuto mediante l’intelligenza è ciò che è significato dall’intelligibile; l’essere è ciò che deve essere conosciuto mediante l’intelligenza e, così, deve essere intelligibile e non può stare oltre l’intelligibile o differire da esso 21.
Il secondo aspetto da considerare riguarda l’individuazione dei criteri di verità: Lonergan parla di un criterio prossimo che consiste nell’«afferrare riflessivo il virtualmente incondizionato» 22; l’atto di giudizio che procede per necessità
razionale da un simile afferrare, è una messa in azione della coscienza razionale, il cui contenuto «ha il contrassegno dell’assoluto» 23 in quanto è incondizionato, vale a
dire indipendente dal soggetto giudicante. Si registra, però, al tempo stesso un ulteriore e duplice condizionamento: da una parte, infatti, il comprendere riflessivo che afferra il virtualmente incondizionato è, a sua volta, condizionato dall’accadimento di altri atti conoscitivi; dall’altra il contenuto stesso del giudizio afferrato come incondizionato, si fonda su contenuti di esperienze, intellezioni e altri giudizi. Da ciò consegue l’inevitabilità di individuare un ulteriore contesto di atti e di contenuti, a partire dai quali si profila la necessità di accompagnare al criterio prossimo un ulteriore criterio.
Come era accaduto per l’individuazione del criterio di giudizio della correttezza dell’interpretazione, anche nel caso della verità Lonergan ricorre a una duplice formulazione e individua nel «corretto dispiegarsi del distaccato e disinteressato desiderio di conoscere» 24 il criterio remoto che, espresso in termini negativi,
consiste nell’assenza di interferenza con altri desideri che distorcono la guida rappresentata dal desiderio puro.
Ivo Coelho nota come tale definizione del criterio remoto comporti l’integrazione della stessa discussione sul criterio di verità nella discussione circa la verità dell’interpretazione:
Since […] the remote criterion is a question of the proper unfolding of the pure desire
20 Insight, OBL 3, p. 696. Risulta evidente in questo contesto l’influenza della filosofia scolastica e di san Tommaso in particolare: la definizione che Lonergan dà della verità sembra infatti ricalcare quella tomista della verità definita come “adaequatio intellectus nostri ad rem”.
21 Ibidem. 22 Ivi, p. 693. 23 Ibidem. 24 Ivi, p. 694.
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to know and the absence of interference from other desires, the discussion of the criterion of truth is itself integrated into the discussion of the truth of interpretation 25. Tale discussione permette di fare una serie di osservazioni sulla verità e, in particolare, sui processi che permettono da un lato la sua appropriazione e dall’altro la sua espressione26: entrambe le argomentazioni sono, infatti, rilevanti ai fini della
questione della verità dell’interpretazione.
2.1. L’appropriazione della verità
Come evidenziato dallo stesso termine, appropriarsi di una verità significa «farla propria [to make it one’s own]» 27; Lonergan specifica poi che, oltre a quella
conoscitiva, esistono altri due tipi di appropriazione: quella volitiva che consiste nella disposizione al voler essere all’altezza di essa e quella sensoriale rappresentata, invece, dall’adattamento della sensibilità del soggetto alle esigenze della sua conoscenza e delle sue decisioni.
La questione dell’appropriazione essenziale della verità pone un triplice problema relativo agli ambiti dell’apprendimento [learning], dell’identificazione [identification] e dell’orientamento [orientation].
Il primo aspetto del problema interessa la capacità del soggetto di acquisire gradualmente l’insieme delle abituali intellezioni che costituiscono un punto di vista, tale capacità si sviluppa poi permettendo al soggetto di elevarsi da questo punto di vista a uno superiore. Le condizioni che permettono l’apprendimento erano già state trattate da Lonergan negli scritti sul Verbum, relativamente al fatto che un interprete può leggere e comprendere un autore solo se prima ha compiuto un lavoro di ricerca che gli permetta di porsi a livello dell’autore 28; come nota anche
Ivo Coelho, a questo proposito, nella filosofia lonerganiana il raggiungimento di una comprensione abituale o di un punto di vista che combacia con quello dell’autore è condizione di possibilità per una corretta interpretazione 29.
Il secondo aspetto del problema, rappresentato dall’identificazione, concerne la possibilità di distinguere e porre in relazione i singoli elementi che vengono successivamente unificati e correlati nelle intellezioni, consentendo al soggetto di afferrarne l’unità e le correlazioni. Solo dopo aver raggiunto l’intellezione, infatti, il soggetto, che prima non possiede gli indizi necessari a identificare cosa sia rilevante
25 COELHO, Hermeneutics and Method: the “Universal Viewpoint” in Bernard Lonergan, p. 54.
26 L’ordine dell’esposizione lonerganiana, che presenta in parte i caratteri di un semplice riepilogo delle posizioni già espresse rispetto alla questione della verità, sia nel presente libro che in altri saggi, pone la questione dell’appropriazione della verità dopo quella relativa al problema dell’espressione; nella presente analisi, come si vedrà, l’ordine risulta rovesciato, in quanto, come accade anche in altri testi di commento a questo capitolo, appare più coerente trattare prima il problema di come il soggetto possa appropriarsi della verità e solo successivamente di come questa possa essere espressa e quindi comunicata.
27 Insight, OBL 3, p. 703 [Insight, CWL 3, p. 581].
28 Cfr. Verbum, CWL 2, p. 216; vedi anche Insight, CWL 3, p. 769.
29 «The attainment of a habitual understanding or viewpoint matching that of the author’s is therefore a condition of possibility of successful interpretation» (COELHO, Hermeneutics and Method: the “Universal
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e cosa non lo sia, è in grado di distinguere, a partire dalla sua esperienza personale, «ciò che cade sotto l’afferrare dell’intellezione e ciò che si trova fuori di esso» 30 e,
quindi, sa individuare gli elementi che devono essere unificati o posti in relazione. Per evitare fraintendimenti Lonergan puntualizza ulteriormente che si deve distinguere l’abilità [ability] dall’esecuzione [performance]: l’identificazione coincide con l’esecuzione in quanto permette «di far possedere l’intellezione come propria, di essere sicuri nella sua utilizzazione, di conoscere bene l’ambito di sua pertinenza» 31.
Ancora Coelho nota come sia da collocare in questo contesto anche la differenza tra astrazione apprensiva e formativa, intellezione nel fantasma e formulazione di questa intellezione; Lonergan stesso, infatti, sottolinea che la comprensione aggiunge all’intellezione un’identificazione che permette di aumentare il livello di consapevolezza del soggetto:
la comprensione che mette uno in grado di insegnare aggiunge identificazione all’intellezione. Mediante tale aggiunta uno è in grado di scegliere e organizzare e indicare ad altri la combinazione degli elementi sensoriali che darà luogo in loro alla medesima intellezione. È in grado di variare gli elementi a seconda delle circostanze. È in grado di porre le domande che provocano, da parte dell’allievo, le indicazioni dei suoi punti ciechi e allora di procedere di nuovo al compito di condurlo alle intellezioni prioritarie, che egli deve raggiungere prima che possa padroneggiare la lezione in corso 32.
Appropriarsi della verità di un altro è, comunque, un procedimento peculiare ai dati dell’interpretazione che sono in larga parte «spazialmente ordinati su carta o pergamena, papiro o pietra» 33; ciò implica che ogni significato deve essere
ricostruito sulla base di fonti di interpretazione immanenti all’interprete, poiché se l’interprete assegna qualche significato ai segni, di conseguenza «la componente esperienziale in quel significato sarà derivata dalla sua esperienza, la componente intellettuale […] dalla sua intelligenza, la componente razionale […] dalla sua riflessione critica sulla riflessione critica di un altro» 34. Il punto è che quando ciò
giunge all’interpretazione, l’identificazione riguarda non i più dati di senso, ma quelli di coscienza; chiaramente la ricostruzione del significato in questa maniera espone le dichiarazioni alla padronanza della propria coscienza.
L’ultimo problema dell’appropriazione della verità riguarda la possibilità della coscienza umana di seguire vari orientamenti; di qui consegue la difficoltà di mantenere l’orientamento verso la verità, con il rischio per il soggetto di limitare l’estensione delle sue conoscenze e di distorcere ciò che, invece, arriva a conoscere; scrive Lonergan:
nella misura in cui manchiamo di orientare noi stessi verso la verità […] distorciamo ciò che conosciamo imponendo a esso una nozione sbagliata di realtà, […] di oggettività e […] di conoscenza [e insieme] restringiamo ciò che potremmo conoscere; infatti, possiamo giustificare a noi stessi e agli altri il lavoro speso nell’apprendimento soltanto puntando sui benefici tangibili che esso procura, e la richiesta soddisfatta da
30 Insight, OBL 3, p. 703. 31 Ibidem. 32 Ivi, pp. 703-704. 33 Ivi, p. 710. 34 Ivi, p. 712.
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benefici tangibili non gode dell’ambito non ristretto del distaccato e disinteressato desiderio di conoscere 35.
Si può notare, a questo punto, che esiste una corrispondenza tra i problemi dell’appropriazione conoscitiva della verità appena delineati e i livelli della struttura gnoseologica: il problema dell’apprendimento si colloca, infatti, al livello della comprensione e della formulazione; quello dell’identificazione al livello dell’esperienza coscienziale, intesa quindi, non solo come esperienza del senso, ma in senso lato come coscienza intellettuale e razionale; il problema dell’orientamento si pone, infine, sul piano della riflessione e del giudizio che si concretizza nell’affermazione circa la determinazione dell’essere 36.
Per la trattazione della questione dell’appropriazione della verità, come si è potuto vedere, Lonergan si sofferma sui problemi piuttosto che sui risultati compiendo una ben precisa scelta metodologica giustificata attraverso il ricorso a un punto di vista dinamico [dynamic viewpoint] che permette di ridurre i rischi di un approccio statico: i suoi elementi, rappresentati da definizione chiara, linguaggio preciso, disposizione ordinata e prove rigorose, permettono sì di consolidare «ciò che a qualsiasi dato momento sembra essere conseguito in modo solido e più o meno permanente» 37, ma al tempo stesso «non gettano alcuna luce né sul compito
dell’allievo di giungere ad appropriarsi di essi, né su quello dell’investigatore di andare al di là di essi all’appropriazione della verità ulteriore» 38.
Questo duplice compito, però, è precisamente ciò che dovrebbe essere preso in considerazione nell’esame del processo di appropriazione che può verificarsi solo se il soggetto, posto dinanzi a un sistema, riesce a comprenderlo, a identificarlo e a orientare se stesso sulla base di questo così come lo stesso Lonergan ribadisce:
il sistema ben formulato diviene mio dal momento che lo comprendo, dal momento che posso identificare i suoi elementi empirici nella mia esperienza, dal momento che afferro l’incondizionato o l’approssimazione all’incondizionato che fonda una ragionevole affermazione di esso, dal momento che il mio orientamento mi permette di accontentarmi di quell’affermazione come l’incremento finale nella mia conoscenza del sistema e non mi spinge a cercar nel “già fuori là ora” qualche rappresentazione immaginativa di ciò che esso, dopo tutto, realmente significa 39.
Il lungo passo riportato permette di comprendere come i tre aspetti del problema siano tra loro solidali e strettamente correlati per cui non si può progredire nel campo dell’apprendimento senza volgersi al problema dell’identificazione e, allo stesso tempo, senza comprendere si è incapaci di identificare; inoltre, senza lo sforzo
35 Ivi, p. 704.
36 Scrive infatti Lonergan a proposito dell’ultimo problema: «Il problema dell’orientamento è incontrato al livello di riflessione e giudizio quando finalmente afferriamo (1) che ogni questione finisce quando possiamo dire in modo definitivo “È così” o “Non è così”, (2) che l’obiettivo del conoscere è l’essere, (3) che, mentre l’essere è una nozione proteiforme, nondimeno il suo contenuto è determinato dall’afferrare intelligente e dall’affermazione ragionevole e, dopo l’affermazione, da niente altro» (Ibidem).
37 Ivi, p. 705. 38 Ibidem. 39 Ibidem.
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di comprendere mancheranno al soggetto i mezzi per identificare nella propria esperienza ciò che si intende per orientamento appropriato del distaccato e disinteressato desiderio verso l’universo della verità e dell’essere che rappresenta il motore di ogni sforzo conoscitivo umano 40.
2.2. La verità nell’espressione
Affrontando la questione dell’espressione l’analisi lonerganiana prende prima di tutto in considerazione il suo rapporto con la conoscenza e la sua struttura, facendo in particolare riferimento allo sviluppo del linguaggio.
Il processo di comunicazione ed espressione della verità, infatti, presenta un’analogia con i tre livelli della conoscenza che, come si è avuto modo di vedere nel dettaglio, si possono riassumere in esperienza e immaginazione, comprensione e concezione, riflessione e giudizio. L’espressione da parte sua si presenta anch’essa articolata su livelli corrispondenti: in quanto proferimento affermativo o negativo corrisponde al livello della riflessione e del giudizio; in quanto combinazione significativa di parole rimanda al quello dell’intellezione e della concezione; in quanto molteplicità strumentale corrisponde all’esperienza e all’immaginazione.
Si viene così a delineare un preciso isomorfismo tra conoscenza ed espressione che non deve essere confuso con un rapporto di identità tout court; lo stesso Lonergan, a questo proposito, è attento nel precisare che, poiché esiste la possibilità di mentire, i due atti di asserire [to assert] e giudicare [to judge] devono essere tra loro distinti, così come è necessario operare una distinzione tra la comprensione dell’esperienza e l’«imbattersi nella […] combinazione di locuzioni e frasi» 41 oppure
tra la ricchezza dell’esperienza e l’eloquenza verbale. Per rimarcare tale distinzione Lonergan puntualizza che di volta in volta l’espressione si limiterà ad aggiungere al giudizio, un atto del voler parlare in modo veritiero o ingannevole; all’intellezione, un’ulteriore intellezione pratica; alla molteplicità delle presentazioni del senso e delle rappresentazioni dell’immaginazione, la molteplicità dei segni convenzionali.
Al tempo stesso, però, si deve tener conto anche dell’interpenetrazione tra conoscenza ed espressione, scaturita dal riconoscimento della natura processuale della conoscenza che ricomprende tra i suoi diversi stadi anche la stessa espressione che entra così a far parte del processo di apprendimento: il conseguimento della conoscenza, in questo modo, tende a coincidere con il conseguimento dell’abilità a esprimerla.
Questa interpenetrazione implica una fusione tra lo sviluppo della conoscenza e quello del linguaggio che si concretizza in una psicologia delle parole delineata in una delle pagine più belle di Insight dalla quale è tratto il brano che riporto di seguito:
le parole – scrive Lonergan – sono sensibili: sostengono e intensificano la risonanza dell’intersoggettività umana; la mera presenza di un altro libera nel dinamismo della
40 È bene ricordare che lo stesso legame solidale caratterizza anche l’appropriazione nei suoi aspetti, per cui, l’appropriazione conoscitiva della verità è solidale con l’appropriazione volitiva e sensoriale; sul ruolo della volontà all’interno dell’intero processo cfr. Insight, OBL 3, pp. 706 ss.
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coscienza sensoriale una modifica nel flusso di sensazioni ed emozioni, immagini e memorie, atteggiamenti e sentimenti; ma le parole possiedono il proprio corteo di rappresentazioni e affezioni associate e, così, l’aggiunta della parola alla presenza determina una specializzata, diretta modifica di reazione e risposta intersoggettive 42. Oltre la dimensione psicologica delle parole c’è il loro significato che si esprime attraverso configurazioni tipiche [typical patterns], spiegate attraverso l’esempio del pianista che durante un concerto non pensa al do centrale, o dello scrittore che non pensa al singolo significato delle sue parole: entrambi dopo aver afferrato le configurazioni tipiche lasciano che, gradualmente, le intellezioni, «mediante le quali le configurazioni sono afferrate» 43 vengano avvolte da routine sensoriali [sensitive
routines] che permettano all’attenzione dell’intelligenza di concentrarsi su controlli che competono a livelli ulteriori 44.
Tale capacità di convogliare il significato delle parole deriva, però, dalle configurazioni tipiche dall’attività delle intellezioni, il cui accadere è condizione del legame che collega le parole le une alle altre e successivamente le parole al loro significato. Se infatti le parole fossero poste soltanto in relazione ad altre parole, il loro significato sarebbe esclusivamente verbale laddove, invece, il significato contiene sempre un riferimento all’essere, a partire dal semplice fatto che una parola «possa trovarsi in una frase che è affermata» 45.
Il significato delle parole, però, come si vedrà anche più dettagliatamente in seguito, non dipende soltanto da questa matrice metafisica dei termini di significato ma presenta anche una componente legata alle sue fonti esperienziali; Lonergan ribadisce, pertanto, l’esistenza di coniugate esperienziali [experiential conjugates] che comportano una triplice correlazione di esperienze classificate, contenuti di esperienza classificati e nomi corrispondenti sulla base della quale conclude che
l’essere da conoscere come un’unità intelligibile, differenziata da regolarità e frequenza verificabili, inizia con l’essere concepito euristicamente e allora la sua natura sconosciuta è differenziata dalle coniugate esperienziali 46.
L’articolato rapporto che lega l’espressione alla conoscenza e l’interpenetrazione tra questa e lo sviluppo del linguaggio costituiscono la base sulla quale poggia l’analisi del rapporto tra espressione e verità che rappresenta il nucleo centrale della questione. Riguardo a tale discussione può risultare illuminante ricordare ciò che Lonergan aveva anticipato a proposito del processo di comunicazione nella trattazione dei rapporti tra mito e allegoria:
le parole – notava il filosofo in quell’occasione – sono […] strumenti efficaci solo nella misura in cui il parlatore o lo scrittore valuta correttamente lo sviluppo culturale degli ascoltatori o dei lettori e sceglie proprio le parole che hanno significato per loro 47.
42 Ivi, p. 698. 43 Ibidem.
44 Lonergan fa riferimento alla concezione espressa dal motto di Catone il Censore: «rem tene et verba
sequentur», riportato da Caius Julius VICTOR, Ars Rhetorica, I. 45 Insight, OBL 3, p. 699.
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La questione del rapporto tra espressione e verità si ricollega, così, evidentemente anche al divario tra lo sviluppo intellettuale di chi esprime il messaggio e quello di chi si appresta a riceverlo: tanto questo sarà maggiore, tanto più aumenterà anche la distinzione tra conoscenza ed espressione. Tale situazione, logicamente, interessa non tanto la comunicazione tra chi condivide il medesimo patrimonio di senso comune, quanto piuttosto quella tra gente con differenti accumulazioni abituali di intellezioni.
La presenza di tale disparità tra conoscenza ed espressione si riflette sul rapporto con la verità: secondo Lonergan, infatti, verità e falsità risiedono nel giudizio, mentre l’espressione anche se connessa con la verità della conoscenza, non può, in se stessa, essere considerata né vera, né falsa ma solo adeguata o inadeguata. L’adeguatezza dell’espressione non è misurata esclusivamente dalla sua corrispondenza con la conoscenza da comunicare ma, come nota Ivo Coelho a questo proposito, è una questione legata alla corretta valutazione dell’abituale accumulazione di intellezioni o punti di vista dell’ascoltatore o del lettore:
adequacy of expression is a question of correct estimation of the habitual accumulation of insights (or viewpoint) of the hearer or reader […]. When […] there is a significant difference between viewpoints, the gulf between knowledge and expression reappears. The practical insight governing the verbal flow towards its end of communication must then take into account not merely the principal insight to be