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1. L’etica femminista della cura

1.6 L’etica femminista della cura: un bilancio

1.6.3 Etica della cura e filosofia morale

Dopo questa lunga ricognizione dei risultati della riflessione femminista statunitense sull’etica della cura, è giunto il momento di interrogarsi sulla natura delle proposte esaminate, in particolare chiedendosi se siano in grado o meno di delineare una specifica teoria morale.

Considerando in prima battuta la definizione di teoria morale in senso ampio proposta da Roberto Mordacci possiamo dire che “una teoria morale è costituita dalla riflessione critica sulla moralità, in termini sia di analisi del linguaggio morale, sia di ricerca di criteri normativi generali per orientare l’azione, sia di riflessione normativa su problemi particolari”117. Queste tre parti del discorso morale corrispondono a metaetica, etica normativa e casistica;

tuttavia lo stesso autore sottolinea come in senso più ristretto l’idea di teoria

116 Held 2006, p. 72.

117 Mordacci 2003, p. 19.

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morale si riferisca anzitutto all’etica normativa. In base a questa definizione, sia nel senso ampio sia in quello ristretto, le proposte legate alla cura sembrano non riuscire a configurarsi come vere e proprie teorie morali118.

In effetti dall’analisi fin qui svolta è emersa la mancanza di un’opera fondativa e di conseguenza la mancata condivisione da parte delle diverse autrici di alcune tesi etiche di base. Di sicuro alla riflessione sulla cura manca l’attenzione per metaetica119 e casistica, ma anche concentrandosi sulla sola etica normativa sorgono delle perplessità120. Per quanto dal dibattito emerga una visione della vita buona di un certo tipo, insieme all’identificazione di un valore morale fondamentale quale quello della cura, tale elaborazione risulta insufficiente. Manca infatti una definizione precisa e condivisa della cura stessa, che sembrerebbe dover costituire il nucleo normativo di questa nuova proposta etica e, allo stesso tempo, non è chiaro il ruolo che la cura dovrebbe ricoprire.

Mentre Noddings sembra far coincidere l’intera moralità con la cura, Held considera questa posizione eccessivamente riduzionista e propone di integrare la cura e altri valori in una teoria morale più comprensiva ancora da elaborare.

Altre autrici come Tronto e Kittay si preoccupano più di sottolineare i risvolti politici e sociali dell’idea di cura che di soffermarsi a chiarirne gli aspetti più propriamente etici. Di conseguenza le accuse di vaghezza normativa mosse all’etica della cura appaiono giustificate, e portano a dubitare che si possa parlare di una vera e propria teoria etica.

Pur riconoscendo questa incompletezza teorico-normativa degli approcci basati sulla cura, ritengo che essi mantengano considerevoli elementi di forza.

Innanzitutto le mancanze teoriche appaiono in parte legate a un progetto in divenire e nessuna delle autrici, a ben vedere, cerca di presentare la sua opera

118 Naturalmente è possibile obiettare che l’etica della cura potrebbe non voler essere una teoria morale, assumendo una posizione critica contro il ruolo della teorizzazione in etica. Questo approccio anti-teorico sembra caratterizzare però solo la prima opera di Noddings – i cui limiti ho messo in luce in precedenza – mentre le altre autrici non arrivano a mettere in questione tale aspetto della tradizione morale occidentale.

119 Intesa soprattutto come analisi del linguaggio morale.

120 Si veda su questo Veatch 1998.

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come una teoria esaustiva della cura. Inoltre, la vaghezza sembra essere il risultato della propensione critica dell’etica della cura, che nasce e continua a presentarsi in contrapposizione alla morale tradizionale “della giustizia”, investendo molto sulla pars destruens a discapito della pars construens.

Ma, soprattutto, la forza della prospettiva della cura emerge se si adotta una visione più ampia della morale e non la si valuta solo in termini di teoria normativa. L’etica della cura, infatti, propone tesi rilevanti a livello di etica fondamentale121, occupandosi di alcuni presupposti della teorizzazione etica, quali la visione dell’uomo e la considerazione di esperienze fondanti per la morale stessa. Il modello della cura è infatti convincente nella misura in cui sostiene di riferirsi a un’esperienza umana universalmente condivisa e si riferisce a un’antropologia ben precisa. Credo che questi due aspetti in particolare siano risorse di grande potenziale per la riflessione sulla cura e, nel prossimo capitolo, cercherò di approfondirli anche tramite il riferimento a tradizioni di pensiero non femministe. Inoltre, a mio parere, nonostante i suoi attuali limiti sul piano dell’etica normativa, l’approccio alla cura si configura come un elemento di novità nel panorama della filosofia morale, dotato di una forza per molti aspetti rivoluzionaria. Questo si può cogliere se si interpreta la prospettiva della cura come un nuovo paradigma etico che “non riguarda tanto nuovi approcci morali quanto una trasformazione dello statuto stesso e del senso dell’etica”122. In tale accezione, la cura mette in questione i presupposti su cui le teorie morali odierne si basano, criticando l’enfasi su alcune specifiche preoccupazioni che ha influenzato l’elaborazione di queste stesse teorie: “Gli schemi seguiti dalla filosofia morale occidentale dall’Illuminismo in poi mostrano una tradizione intellettuale le cui preoccupazioni sono quelle della prospettiva della giustizia”123. Ciò che l’approccio della cura vuole mettere in questione è la legittimità di porre solo queste preoccupazioni al centro,

121 Così la definisce per esempio Da Re (Da Re 2003, p. 131) che sottolinea inoltre come una riflessione morale di carattere fondamentale spesso necessiti “di sconfinare in una riflessione anche antropologica” (Ivi, p. 153).

122 Laugier 2010, p. 116.

123 Little 1998, p. 196.

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difendendo invece la necessità di inserire anche le rivendicazioni della cura tra i presupposti della teorizzazione morale. Per quanto il dibattito sulla cura non sia pienamente efficace sul piano teorico e normativo, esso ha un grande rilievo nella misura in cui porta l’attenzione sui presupposti antropologici che influenzano grandemente il modo in cui una teoria morale viene elaborata.

L’approccio della cura si configura così come un cambio di paradigma, di Gestalt124, che propone una visione dell’uomo e delle relazioni opposta all’individualismo illuminista che ancora permea le teorie morali125. In questo senso la prospettiva della cura risulta innovativa, perché presenta una certa visione dell’uomo – come essere relazionale, interdipendente, vulnerabile – che, anche se non del tutto inedita in sé, viene però proposta come punto di partenza per ripensare alcuni dei presupposti più radicati nel pensiero morale.

Ciò non significa negare l’importanza che le idee di individuo, di diritti o di uguaglianza hanno avuto nella storia del pensiero e i progressi a cui hanno portato, bensì invitare la riflessione morale a ripensare se stessa a partire da nuove enfasi, nuovi presupposti. La strada da percorrere è certo ancora lunga, ma mi sembra importante sottolineare il ruolo ricoperto dalle riflessioni femministe in questo progetto: far intravedere la possibilità di focalizzarsi su un diverso valore fondamentale che cerchi di rispecchiare la vulnerabilità umana e la dimensione della dipendenza, chiedendo all’etica di essere qualcosa di più di una garante imparziale del rispetto e di diventare promotrice della relazionalità umana nella sua pienezza.

124 Sull’approccio della cura come Gestalt e sul suo rapporto con la teoria si veda Little 1998 che, a partire dall’interpretazione di Gilligan, svolge riflessioni di grande rilievo per il dibattito sullo statuto dell’etica della cura.

125 Sembra pertinente notare che il ruolo dell’individualismo risulta particolarmente esasperato nel contesto filosofico americano, il che può in parte spiegare la nascita proprio negli Stati Uniti di una corrente tanto critica nei suoi confronti quale quella della cura. Ciò tuttavia non rende tali critiche meno importanti per la filosofia morale europea.

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