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3. La cura medica

3.1 Medicina clinica e moralità

3.1.1 La relazione clinica

Il primo elemento che distingue la medicina clinica da altre pratiche umane è rappresentato dalla particolarità della relazione di cura che si instaura tra medico e paziente. L’analisi delle caratteristiche del rapporto medico-paziente, infatti, permette di mettere in luce ciò che contraddistingue la

253 Cassiers 2001 affronta alcune questioni di questo genere, come per esempio il problema del legame tra vita umana e sofferenza.

254 Good 1994, p. 134 della traduzione italiana.

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medicina e, allo stesso tempo, di far emergere la sua moralità interna, che deriva direttamente da tali caratteristiche. Molti autori individuano proprio nell’analisi della relazione clinica il punto di partenza per l’elaborazione di un’etica medica che si basi sull’esplicitazione della normatività interna della medicina e non sull’imposizione di un’etica più generale del tutto scevra di considerazioni legate al contesto clinico255. Edmund Pellegrino e David Thomasma, in particolare, si sono dedicati all’individuazione degli elementi costitutivi della relazione terapeutica come basi sia della filosofia della medicina256 sia dell’etica medica257. La relazione clinica si configura indubbiamente come una relazione asimmetrica tra una persona in posizione di forza e una persona particolarmente vulnerabile e quindi essa chiama immediatamente in causa i concetti di fiducia e responsabilità.

La relazione medico-paziente è innanzitutto una relazione asimmetrica, in cui evidentemente il medico si trova in posizione di forza in virtù del suo ruolo, basato sull’autorevolezza che gli deriva dall’essere presumibilmente in possesso delle conoscenze necessarie per aiutare il malato che lo interpella. Allo stesso tempo il malato, oltre a non avere tali conoscenze e competenze, si trova per definizione in un momento di grande vulnerabilità in cui necessita di aiuto.

Questa mancanza di equilibrio nel rapporto risulta delicata dal punto di vista etico e chiama quindi in causa considerazioni di tipo morale. In particolare, emerge la necessità che il medico sia consapevole della sua posizione di superiorità e cerchi di puntare a un bilanciamento del rapporto a tutela del paziente, tutela che d’altra parte costituisce lo scopo delle stesse indicazioni deontologiche, che sembrano aver caratterizzato la medicina fin dai suoi albori258.

255 Penso in particolare a Zaner 1988 e Malherbe 2007.

256 Pellegrino – Thomasma 1981.

257 Pellegrino – Thomasma 1993.

258 La seconda parte del giuramento di Ippocrate stesso, infatti, contiene indicazioni sugli obblighi etico-professionali che il medico deve rispettare (Ippocrate, Il giuramento e altri testi di medicina greca, RCS Libri, Milano 1999, pp. 7-8). Per una breve storia della deontologia medica si veda Ricciardi 2010.

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A chiamare in causa una particolare cautela morale contribuisce inoltre il fatto che l’asimmetria si basi su una condizione di vulnerabilità molto complessa. Il paziente malato, infatti, spesso non si trova semplicemente a sperimentare un disagio fisico, ma deve fare i conti con una condizione che costituisce una potenziale minaccia per la sua identità, che può mettere in crisi la sua auto-percezione di sé e che può limitare in maniera significativa alcune libertà essenziali. La malattia può rappresentare un serio rischio per la sua esistenza, per cui la sua richiesta di aiuto si carica di sfumature morali in quanto

“richiesta di liberazione dal disturbo che la malattia ha insinuato nella spontanea felicità del vivere”259. Per poter rispondere adeguatamente a questa richiesta è quindi fondamentale che da parte del medico vi sia la consapevolezza della complessità esistenziale del fenomeno della malattia e della sofferenza a essa legata260, oltre a una certa sensibilità di base nei confronti dei pazienti e delle loro difficoltà. Infatti, un medico che voglia davvero agire per il bene del paziente non può che essere disposto a comprendere i valori del suo assistito e soprattutto l’importanza di rispettarli per arrivare a un’azione pienamente terapeutica, in quanto il bene del paziente non può essere deciso unilateralmente dal medico. Infine, il fatto che i medici si trovino a confrontarsi con forme, a volte radicali, dell’intrinseca vulnerabilità che ci caratterizza dal punto di vista antropologico fa della clinica una pratica di grande rilievo umano e morale.

Gli elementi appena richiamati, asimmetria della relazione e vulnerabilità del paziente, determinano a loro volta l’instaurarsi tra medico e paziente di un rapporto di natura fiduciaria. La fiducia è infatti inevitabile da parte del malato che, se vuole essere curato, non può fare a meno di affidarsi a un medico, mettendosi letteralmente “nelle sue mani”. Il paziente dunque confida che il curante abbia la capacità e la volontà di aiutarlo, che rispetti le sue richieste e in caso di difficoltà sia pronto a difendere i suoi interessi. Allo stesso

259Cattorini 1994, p. 29.

260 Data la sua importanza per la pratica medica, alla malattia sarà dedicato il prossimo paragrafo.

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tempo il medico confida che il suo paziente cercherà di rispettare le sue indicazioni e sarà disposto a sottoporsi ai trattamenti decisi insieme. Per Paul Ricoeur il patto di fiducia che così si crea costituisce il vero e proprio “nocciolo etico” della relazione clinica261. Tale relazione si configura infatti come un patto che impegna entrambi gli attori della relazione: “L’affidabilità dell’accordo deve essere […] messa alla prova da una parte e dall’altra, attraverso l’impegno del medico a ‘seguire’ il suo paziente, e da parte di questi a ‘comportarsi’ come l’agente del trattamento medico. Il patto di cura diviene così una sorta di alleanza sigillata tra due persone contro il nemico comune, la malattia. L’accordo deve il suo carattere morale alla promessa tacita, convenuta tra i due protagonisti, di rispettare fedelmente i rispettivi impegni”262. Una caratterizzazione della relazione di questo tipo mette evidentemente in luce la natura morale della relazione di cura, data anche dalla portata dell’impegno che il medico assume nel momento in cui si fa carico di un paziente, nonché dalla grossa responsabilità che ne deriva.

In effetti, un ultimo elemento fondamentale che caratterizza la pratica clinica e ne fa emergere il rilievo morale è dato dall’enorme responsabilità di cui si fa carico il medico. Le decisioni mediche, infatti, possono avere conseguenze permanenti sulla vita di un paziente e il medico è tenuto ad assumersi la responsabilità morale – oltre che professionale – delle conseguenze delle proprie decisioni. Anche per questo è di vitale importanza che le decisioni siano il più possibile condivise con il paziente sulla cui vita andranno a riflettersi.

Ritengo che queste caratteristiche della relazione medico-paziente contribuiscano in maniera decisiva a delineare un’immagine della medicina clinica come pratica dallo specifico valore morale e allo stesso tempo di particolare rilievo umano, elementi che saranno confermati dall’analisi dell’esperienza della malattia.

261Ricoeur 1996.

262 Ivi, p. 33.

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