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2. Cura ed etica

2.1 Breve genealogia della cura

2.1.4 Kierkegaard e l’interesse

Il quarto momento della storia della cura tracciata da Reich comprende due pensatori, raggruppati sotto l’etichetta “approcci esistenzialisti e fenomenologici”: Kierkegaard e Heidegger. Sembra tuttavia opportuno separare la trattazione dei due filosofi.

149 Goethe, Faust, cit., p. 322.

150 Ivi, p. 324. Udendo queste parole, Mefistofele ritiene che Faust abbia perso la sua scommessa e quindi ne provoca la morte.

151 Reich 1995, p. 322.

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Rinvenire nel pensiero di Kierkegaard un’elaborazione dell’idea di cura appare un’operazione in parte discutibile, in quanto il lessico della cura non è particolarmente presente nelle opere del filosofo danese. Reich in effetti si riferisce a un concetto analogo, ma non del tutto equivalente: quello di interesse.

A suo parere, in Kierkegaard è possibile rintracciare un’interpretazione filosofica creativa della centralità della cura per la vita e l’autenticità umane.

L’idea di cura come interesse e partecipazione sarebbe infatti alla base della concezione kierkegaardiana della filosofia, elaborata in contrapposizione alla falsità della filosofia moderna (in particolare hegeliana) e in polemica con la sua pretesa oggettività, del tutto indifferente verso l’esistere. L’opera di riferimento è il Johannes Climacus o De omnibus dubitandum est152, nella quale Kierkegaard voleva dimostrare l’inattuabilità delle massime proposte dai filosofi moderni attraverso il racconto dell’esperienza fallimentare di un giovane filosofo che tenta di vivere secondo il principio “de omnibus dubitandum est”. Questa doveva infatti essere la conclusione del testo:

“Così i filosofi sono dunque peggiori dei Farisei, dei quali leggiamo che legano pesanti fardelli ma loro stessi non li sollevano con un dito. Ché in questo, nel non sollevarli loro stessi cioè, sono appunto uguali, se però i pesi possono essere sollevati. Ma i filosofi esigono l’impossibile. E così, se c’è un giovane, il quale pensa che filosofare non significhi blaterare o scrivere, ma fare sinceramente e scrupolosamente quanto il filosofo dice di fare, lo lasciano sprecare molti anni della sua vita, e quando risulta ch’era impossibile, il compito lo ha preso così profondamente che forse la sua salvezza non è più possibile”153.

Da questa citazione emerge chiaramente l’insofferenza di Kierkegaard per la frattura tra filosofia ed esistenza che gli sembra caratterizzare il pensiero a lui contemporaneo. È in tale contesto che si inserisce una distinzione tra riflessione e coscienza che chiama in causa l’idea di interesse.

152 Kierkegaard S., Johannes Climacus o De omnibus dubitandum est, trad. it. di S. Davini, Edizioni ETS, Pisa 1995. Si tratta di un’opera incompiuta e mai pubblicata dall’autore, scritta presumibilmente all’inizio del 1843.

153 Ivi, p. 125.

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“La riflessione è la possibilità del rapporto, la coscienza è il rapporto, la cui prima forma è la contraddizione. […] La riflessione è la possibilità del rapporto. In altri termini: la riflessione è disinteressata. La coscienza invece è il rapporto e perciò l’interesse, una doppiezza espressa perfettamente e con pregnante doppio senso nella parola interesse (inter-esse)”154.

Reich sottolinea come la nozione di interesse – assimilabile all’idea di partecipazione e quindi di cura come sollecitudine – sia centrale per la forma più autentica di conoscenza, che presuppone un rapporto del soggetto con gli elementi della riflessione. “La coscienza è essenzialmente un atto intenzionale di mettere in relazione diversi elementi”155 e questo processo chiama in causa la dimensione dell’interesse. Per chiarire la nozione di interesse (tradotta in inglese con concern), Kierkegaard si riferisce al latino interesse che può significare “essere presente”, “stare in mezzo”, “importare”. Per comprendere il senso di tale nozione è quindi importante tenere presente la ricchezza di significati suggeriti dall’etimologia del termine.

Per la conoscenza è dunque fondamentale l’interesse per ciò che si vuole conoscere, così come per l’etica è fondante l’interesse per se stessi:

“Il dubbio sorge o rapportando la realtà all’idealità – questa è l’attività della conoscenza; se si parla di interesse, al massimo è di un terzo, ad es. della verità, che m’interesso – oppure rapportando l’idealità alla realtà – questo è l’etico; ciò di cui m’interesso è me stesso”156.

Da questa citazione, così come da altri sviluppi del pensiero kierkegaardiano, deriva l’idea di un’etica attenta all’individuo, la quale è consapevole del ruolo non trascurabile dell’interesse per l’azione e anche in questo caso opposta ad approcci oggettivisti. Si configura così un’etica della soggettività, che si basa sulla scelta come momento chiave dell’esistenza etica: l’uomo deve scegliere se stesso, scegliere di assumersi la responsabilità della propria vita; solo così può aspirare a un’esistenza etica e autentica, esprimendo nella scelta la propria

154 Kierkegaard, Johannes Climacus, cit., pp. 117-119.

155 Stack 1969, p. 27.

156 Si tratta di un appunto preparatorio riportato in nota in Kierkegaard, Johannes Climacus, cit., p. 120.

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individualità. Ma alla base di ogni scelta, per quanto volontaria, ci sono passione e interesse157: ecco il ruolo centrale dell’interesse per l’etica kierkegaardiana. L’interesse è il movente di ogni azione morale dell’individuo consapevole di sé che si trova ad agire; l’interesse è quindi imprescindibile per ogni individuo che cerchi di diventare se stesso, in quanto costituisce un’esperienza individualizzante: “La riflessione soggettiva rivela che la nostra coscienza è coscienza di qualcosa che ci interessa in prima persona”158; infine, il maggior interesse dell’individuo consiste nella sua esistenza e questo interesse per la propria esistenza ne costituisce la più intima realtà159.

In Kierkegaard sembra dunque essere presente una rappresentazione del soggetto e dell’azione che valorizza fortemente la dimensione dell’interesse soggettivo, concepito non in senso egoista e particolaristico, bensì come un legittimo movente morale che può portare a una vita etica autentica basata sull’auto-consapevolezza. Questo tipo di interesse caratterizza inoltre l’essenza dell’uomo in quanto essere che si preoccupa della propria esistenza.

Kierkegaard non parla però espressamente di cura e il concetto di interesse, per quanto portatore di significati in parte implicati dal termine cura, non sembra essere del tutto coincidente. Nonostante il suo pensiero non sia perciò direttamente correlato all’elaborazione del concetto di cura, esso può assumere rilievo nel dibattito contemporaneo nella misura in cui offre una visione dell’etica come legata alla soggettività e come luogo di realizzazione dell’autenticità individuale che si esplica sulla base di scelte in cui alla dimensione razionale si affianca un movente più emotivo, l’interesse. Inoltre, la rappresentazione dell’uomo come essere intrinsecamente caratterizzato dalla preoccupazione per la propria esistenza sembra in parte anticipare la nozione

157 Sulle nozioni di interesse (concern) e di passione in Kierkegaard si veda Roberts 1998, pp. 185-189.

158 Stack 1969, p. 29.

159 Stack 1973, p. 122.

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heideggeriana di Sorge160 che “compendia la concezione kierkegaardiana del modo di essere di un individuo consapevole di sé che si preoccupa del proprio essere morale”161.