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L’ EVOLUZIONE DELLA C ORTE E UROPEA DEI D IRITTI DELL ’U OMO SULLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE ( SEGUE )

EUROPEO E QUELLO STATUNITENSE

5.3. L A LEGISLAZIONE NEI P AESI EUROPEI E IN I TALIA

5.5.1. L’ EVOLUZIONE DELLA C ORTE E UROPEA DEI D IRITTI DELL ’U OMO SULLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE ( SEGUE )

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), sulla scorta di quanto sancito dalla Convenzione da cui sorge, ha costantemente concepito la libertà di espressione come ele- mento essenziale e basilare di una società democratica, come quella europea, ai fini del suo progresso, del pieno sviluppo e dell’autodeterminazione di ciascun individuo.

La libertà di espressione, diritto fondamentale radicato nello sviluppo di ogni moderno stato democratico e costituzionale, era nata, nel tardo ‘700, come diritto individuale volto a proteggere la piccola classe borghese, che costituiva il nucleo della società e rappresentava l’opinione pubblica di allora485. In quel periodo storico, la comunicazione avveniva perlopiù

oralmente e attraverso scritti, ed era appannaggio della minoranza della popolazione. Suc- cessivamente, l’avvento di televisione e radio, prima, e di Internet, poi, hanno rivoluzionato le dinamiche comunicative, portando a una massificazione e orizzontalizzazione della co- municazione, in cui chiunque abbia gli accessibili strumenti ha la facoltà di esprimersi e far- si sentire.

In tale contesto, il già osservato articolo 10 della Convenzione486, seppur rimasto intatto

nella sua formulazione originaria della seconda metà del XX secolo, è stato interpretato e applicato in modo da essere adattato ai cambiamenti tecnologici che hanno provocato un forte impatto sul sistema politico, culturale e sociale.

La CEDU, chiamata a rivedere i casi nazionali coinvolgenti presunte restrizioni alla li- bertà di espressione, ha assunto l’importante ruolo di interprete e supervisore, specialmente alla luce del peculiare riguardo che le moderne democrazie costituzionali manifestano in fa- vore di tale libertà. Il fattore trainante che ha consentito alla Corte di mettere a punto, caso per caso, la tutela della libertà di espressione è stato il triplice test sancito dal paragrafo 2 del suddetto articolo 10, che consente di sottoporre tale libertà a formalità, condizioni, re- strizioni o sanzioni, purché previste dalla legge e solamente se necessarie, in una società

485 MIR, Joan Barata, BASSINI, Marco. 2015. “Freedom of expression in the internet: main trends of the case law of the European Court of Human Rights”. In Oreste POLLICINO (a cura di), The Internet and

Constitutional Law: The Protection of Fundamental Rights and Constitutional Adjudication in Europe, 72. London, UK:

Routledge.

democratica, a perseguire i legittimi fini elencati (tra cui la sicurezza nazionale e pubblica, l’ordine pubblico, l’integrità territoriale, ecc.).

La Convenzione, in sostanza, ha posto una serie di pubblici interessi al medesimo livel- lo della libertà di espressione, riflettendo la protezione non assoluta generalmente ricono- sciuta in Europa a quest’ultima libertà. Per tali ragioni, nel controllare la proporzionalità delle restrizioni alla libertà di espressione contestate, la CEDU si è concentrata sugli speci- fici aspetti della natura e dell’intensità delle limitazioni, facendo altresì leva sulla clausola dell’abuso del diritto ex art. 17 della Convenzione (singolarmente, o unitamente all’art. 10, secondo paragrafo).

In ogni caso, in più occasioni la Corte ha manifestato la necessità di protezione non so- lo delle informazioni e delle idee di per sé inoffensive, bensì anche di quelle offensive o di- sturbanti487. Nella fondante sentenza della controversia Handyside v. Regno Unito del 1972,

avente ad oggetto restrizioni alla libertà di espressione per la protezione della morale, la Corte ha affermato l’applicabilità della libertà di espressione non solo alle informazioni o idee accolte con favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche a quelle che of- fendono, disturbano lo Stato o una parte della popolazione. Senza pluralismo, tolleranza e apertura mentale non vi sarebbe alcuna società democratica488.

Fu dunque riconosciuto che nella società democratica dovessero essere creati e sostenu- ti spazi per la discussione e il dibattito pubblico, implicanti inevitabilmente disaccordi e confronti, anche accesi, tra punti di vista opposti, comunque rientranti nel campo d’applicazione della protezione offerta dal suddetto articolo 10. Proprio riguardo al secon- do paragrafo di tale articolo, la Corte si è tra l’altro espressa esigendo che le formalità, le condizioni, le restrizioni o le sanzioni previste in relazione all’esercizio della libertà di espressione siano concepite in maniera stretta, severa, e che la necessità di tali restrizioni sia espressamente stabilita in maniera convincente489.

La questione dell’imposizione di vincoli alla libertà di espressione ha acquisito una sempre maggiore rilevanza negli ultimi tempi, con particolare attenzione ai casi di critica re- ligiosa (soprattutto verso l’Islam), sessuale (nei confronti degli omosessuali) e politica.

Ad esempio, la CEDU ha considerato la tutela della sicurezza pubblica nazionale e della libertà e degli altrui diritti legittime giustificazioni per sanzionare penalmente atti volti a ri-

487 KISKA, Roger. 2013. “Hate Speech: A Comparison Between the European Court of Human Rights and the United States Supreme Court Jurisprudence”. In Regent University Law Review, 25, 1: 107-151.

488 Handyside v. United Kingdom, Merits, Application No. 5493/72, CEDU. 489 Şener v. Turchia, Application No. 26680/95, CEDU, punto 39 (i).

L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DELLE ESPRESSIONI DI ODIO IN RETE

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costituire un partito fascista490, ritenendo che il diverso trattamento giuridico da applicare

alle espressioni di apologia fascista, a differenza delle altre tipologie di espressione, abbia il “legittimo obiettivo” di proteggere le istituzioni democratiche.

Nel 2003, la stessa Corte ha inoltre confermato la messa al bando di un partito politico che si era proposto di istituire una teocrazia antidemocratica in Turchia, ritenendo tale mi- sura la più idonea e opportuna per la tutela della cittadinanza491. In particolare, tale partito

era stato sciolto sulla base delle dichiarazioni rese e delle posizioni adottate dal suo presi- dente e alcuni dei suoi membri. In merito, la Corte aveva dichiarato che “le autorità locali non erano andate oltre il margine di discrezionalità concesso loro nell’ambito della Con- venzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, reputando le politiche del partito “pericolose per i diritti e le libertà garantiti dalla Convenzione” e che “le reali possibilità di attuazione del suo programma, dopo aver ottenuto il potere, rendevano il pericolo più tangibile e più im- mediato”.

Tuttavia, la Corte ha successivamente precisato, in una vertenza del 2005 coinvolgente la Romania, che il rifiuto di procedere alla registrazione di un partito politico conforme ai principi democratici fondamentali, “per il solo fatto di aver criticato l’ordine costituzionale e giuridico del paese e aver cercato un dibattito pubblico nell’arena politica”, violasse la Convenzione Europea492.

Gli stessi principi, legati alla protezione degli altrui diritti e alla difesa dell’ordine pub- blico, sono stati posti a fondamento della forte limitazione al negazionismo e al revisioni- smo dell’Olocausto: il divieto di diffusione di volantini qualificanti la Shoah come “una bu- gia o una truffa sionista”493 e la confisca di un testo contestante lo sterminio ebraico ad Au-

schwitz sono stati approvati e confermati per prevenire l’ordine pubblico, essendo il geno- cidio degli ebrei considerato (e da considerarsi) un evento storico notorio494. La CEDU ha

dichiarato, sul punto, che esiste una “categoria di fatti storici chiaramente riconosciuti – come l’Olocausto – la cui negazione o revisione sarebbe posta al di là della tutela di cui all’articolo 10 dall’articolo 17”495.

490 X v. Italy, Application No. 6741/74, CEDU. 491 Refah Partisi v. Turkey, 2003-II CEDU.

492 Partidul Comunistilor (Nepeceristi) and Ungureanu v. Romania, 2005-I CEDU. 493 X v. Federal Republic of Germany, Application No. 9235/81, 29 CEDU. 494 T. v. Belgium, Application No. 9777/82, 34 CEDU.

495 Lehideux and Isorni v. France, 1998-VII, CEDU; l’art. 17 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, rubricata quale “Divieto dell’abuso del diritto”, così recita: “Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella

Un differente caso ha riguardato, invece, un documentario prodotto dal giornalista da- nese Per Christian Jersild, contenente estratti di un’intervista televisiva condotta a membri di un gruppo giovanile denominato “Greenjackets”. Questi giovani, in particolare, avevano rilasciati dichiarazioni razziste e denigratorie nei confronti degli immigrati e dei gruppi etni- ci stabilitisi in Danimarca. In merito alla controversia, la CEDU ritenne che la sanzione pe- nale comminata a Jersild dalle autorità giudiziarie danesi per favoreggiamento (alle condotte criminose dei giovani intervistati) fossero sproporzionate rapportandole al legittimo obiet- tivo di tutelare i diritti altrui. Nel caso specifico, fu riconosciuto che l’obiettivo primario del documentario non fosse la propaganda di idee e visioni razziste, bensì quello di informare il pubblico su una scottante questione di interesse sociale496.

Sempre per la tutela dell’ordine pubblico, bene giuridico ritenuto di rango primario, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha confermato la condanna di un disegnatore francese che aveva ritratto l’attentato al World Trade Center con la didascalia “We have all dreamt of it... Hamas did it” (“Lo abbiamo tutti sognato ... Hamas lo ha fatto”), osservando come la pubblicazione di tale vignetta avesse provocato una particolare reazione nel pubblico, in grado di suscitare violenza e di avere un consistente e pericoloso impatto sull’ordine pub- blico locale497.

A proposito delle espressioni di odio nei confronti delle confessioni religiose, la Corte ha avuto modo di dichiarare incompatibili con i valori proclamati e garantiti dalla Conven- zione – in particolare, la tolleranza, la pace sociale e l’uguaglianza – manifestazioni che si concretino in veementi attacchi contro gruppi religiosi, collegando questi ultimi a gravi atti terroristici498.

Anche le manifestazioni di odio e di incitamento all’odio nei confronti degli omoses- suali, secondo la più recente giurisprudenza della Corte, non sono protetti dalla Conven- zione. Contrariamente alla giurisprudenza dominante negli Stati Uniti, nel recente caso Ve- jdeland v. Sweden, del 2007499, la Corte ha sostenuto che l’incitamento all’odio non necessa-

riamente consiste in un invito diretto a commettere a un atto di violenza o altri atti crimina- li. Anche affermazioni offensive, di scherno o diffamatorie possono comportare seri e gravi pregiudizi. Il ragionamento della Corte riflette, in sostanza, una filosofia che considera non

presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni più ampie di quelle previste in detta Convenzione”.

496 Jersild v. Denmark, Application No. 15890/89, 298 CEDU (ser. A, 1994). 497 Leroy v. France, Application No. 36109/03, CEDU.

498 Norwood v. United Kingdom, Application No. 23131, CEDU. 499 Vejdeland v. Sweden, Application No. 1813/07, CEDU.

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come mero “atto espressivo”, ma come “atto performativo”, secondo la già osservata teo- ria di Austin500, e riconosce la possibilità di recare nocumento anche attraverso

un’espressione offensiva e discriminatoria, equiparando le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale a quelle tradizionali, basate sulla razza, sull’origine, sull’etnia o sul colore della pelle501.

5.5.2. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO IN