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L O SCENARIO GIURIDICO L A LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE E COMUNITARIA

EUROPEO E QUELLO STATUNITENSE

5.2. L O SCENARIO GIURIDICO L A LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE E COMUNITARIA

Le manifestazioni di odio, indipendentemente dal contesto – virtuale o reale – di riferimento, rappresentano un problema globale che riguarda qualsiasi Paese. Nel corso degli anni, la comunità internazionale ha dunque adottato numerosi strumenti normativi per affrontare questo fenomeno, quali trattati, accordi, convenzioni, ma anche atti di soft law, come dichiarazioni e raccomandazioni.

La promozione della parità sostanziale tra gli esseri umani, compreso il diritto di non essere discriminati, è un principio fondamentale, che si riflette appieno nel primo articolo – non a caso – della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948, in cui si afferma che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. L’articolo seguente ribadisce che “ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.

Ad oggi, tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno ratificato almeno uno dei nove principali trattati internazionali in tema di diritti umani contenenti divieti alla discriminazione tra esseri umani, mentre l’80% di essi ne ha ratificati almeno quattro, dando espressione concreta all’universalità della Dichiarazione e dei diritti umani

426 ivi, 210-230. 427 ivi, 204-210. 428 ivi, 230-233.

internazionali. Si tratta, in particolare, della Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio429, della Convenzione sullo Statuto dei Rifugiati

(meglio conosciuta come Convenzione di Ginevra del 1951)430, della Convenzione sullo

Statuto degli Apolidi431, della Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di ogni forma

di Discriminazione Razziale432, del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici433, della

Convenzione Internazionale sull’Eliminazione e la Repressione del Crimine di Apartheid434,

e della Convenzione sull’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione nei confronti della Donna435. Analogamente, anche dichiarazioni quali la Dichiarazione UNESCO sulla Razza

e i Pregiudizi Razziali436 e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione di tutte le

Forme di Intolleranza e di Distinzione basate sulla Religione o sul Credo437 hanno

contemplato espressamente norme giuridicamente vincolanti aventi ad oggetto l’eliminazione di forme di discriminazione fondate, rispettivamente, sulla razza e sulla religione.

La Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Razziale e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, in particolare, hanno compiuto un importante passo: la prima, obbligando gli Stati contraenti a qualificare come offesa pu- nibile ogni diffusione di idee fondate su superiorità od odio razziali, o sull’incitamento alla discriminazione razziale (all’articolo 4 della Convenzione); il secondo, riconoscendo a chiunque il diritto di esprimere le proprie opinioni e imponendo agli Stati contraenti di vie- tare qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza (agli articoli 19 e 20 del Patto).

429 http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Scheda_paese/Libano/Pdf/Convenzione_contro_genocidio.pdf (ultima visita, 30.05.2017).

430 http://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf (ultima visita, 30.05.2017). 431 http://www.unhcr.it/wp- content/uploads/2016/01/CONVENZIONE_SULLO_STATUTO_DEGLI_APOLIDI__DEL_1954.pdf (ultima visita, 30.05.2017). 432 http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Scheda_paese/Egitto/Pdf/Convenzione_discriminazione_razziale.pdf (ultima visita, 30.05.2017).

433 http://www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/ccpr.aspx (ultima visita, 30.05.2017). 434 http://www.unric.org/html/italian/treaties/apartheid.html (ultima visita, 30.05.2017). 435 http://www.unicef.it/Allegati/Convenzione_donna.pdf (ultima visita, 30.05.2017). 436 http://www.unric.org/html/italian/treaties/pregiudizi.html (ultima visita, 30.05.2017).

437 http://www.integrazionemigranti.gov.it/normativa/protezioneinternazionale/normativa- internazionale/Documents/DICH_ELIMIN_FORME_INTOLLER_.pdf (ultima visita, 30.05.2017).

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Le criticità rilevate in relazione a questi standard internazionali attengono per lo più al livello applicativo degli stessi da parte delle corti internazionali e nazionali438. A monte,

hanno acquisito particolare prominenza due differenti problemi interpretativi, legati rispet- tivamente al concetto di “odio” e a quello di “incitamento”.

Per quanto concerne il primo, cosa attualmente costituisca “odio” ha ricevuto scarsa at- tenzione sia nella produzione giurisprudenziale che nella documentazione normativa inter- nazionali. Ciò che esattamente, nell’ambito di un vasto spettro di stati emotivi, possa costi- tuire “odio” ai fini della legge internazionale non è stato ancora chiarito. Come già anticipa- to trattando del fenomeno, non esiste ancora una definizione normativa universalmente ac- cettata di “hate speech” o di “odio”, né tantomeno hanno provveduto a ciò i succitati trattati internazionali. Questa nebulosa situazione definitoria impedisce un’applicazione consistente e soprattutto coerente dei principi previsti dalla normativa internazionale.

Parallelamente, le corti internazionali hanno altresì mancato nell’elaborazione di un concetto univoco di “incitamento”, limitandosi, nella prassi, ad analizzare soprattutto ele- menti della condotta che ne consentissero una qualificazione in termini di discriminazione per motivi razzisti, etnici o religiosi, oppure a valutare la mera idoneità (e non la concreta sussistenza di un nesso causale) di una determinata espressione alla realizzazione di un ri- sultato proibito dall’ordinamento. Sarebbe più opportuno, probabilmente, assimilare con- cetti di “incitamento” già acquisiti in altri contesti, come l’ordine pubblico, il crimine, o la violenza: in merito, è stato fatto correttamente l’esempio della pronuncia della Corte Su- prema degli Stati Uniti nella vertenza Brandenburg v. Ohio439, che sancisce il divieto di restri-

zioni a espressioni formulate a sostegno di crimini, eccetto il caso in cui siano dirette a inci- tare o a produrre imminenti azioni illecite, e ne siano idonee.

Indipendentemente dalle criticità rilevate, l’insieme delle statuizioni adottate a livello internazionale rappresenta senz’altro un consistente quadro incriminatorio del fenomeno dell’hate speech, in grado di costituire un adeguato punto di riferimento per la sua gestione e regolamentazione per Stati, legislatori e giurisprudenza.

Anche nel contesto comunitario, che possiede un retaggio storico-politico di unica complessità e che ha vissuto in prima linea lo strazio delle guerre mondiali e dei regimi

438 MENDEL, Toby. 2012. “Does International Law Provide for Consistent Rules on Hate Speech?”. In Michael HERZ e Peter MOLNAR (a cura di), The Content and Context of Hate Speech: Rethinking Regulation and

Responses, 417-429. Cambridge, UK: Cambridge University Press.

439 ivi, 428, il quale menziona Brandenburg v. Ohio, 395 U.S. 444, 447 (1969), di cui meglio si approfondirà in seguito.

totalitari, è stata adottata, nei confronti del fenomeno dell’hate speech, una linea particolarmente rigorosa.

La libertà di espressione ha sempre rappresentato e rappresenta tuttora uno dei principi cardine delle democrazie europee e della stessa Unione Europea. Tuttavia, nonostante il suo ruolo chiave nella salvaguardia delle altre libertà attualmente garantite in tutti i Paesi europei, i legislatori nazionali, unitamente alle istituzioni sovranazionali, hanno inteso procedere alla sua regolamentazione onde consentire una più sicura tutela dei sommi diritti dell’uguaglianza e della dignità umana.

A livello europeo, il fulcro normativo inerente la libertà di espressione in tutte le sue forme può essere considerato l’art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (o CEDU), rubricato “Libertà di espressione”:

“1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente ar- ticolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.

2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sot- toposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.

La stessa norma, dunque, premesso il riconoscimento universale di tale fondamentale libertà, assume in ipotesi la possibilità di restrizioni alla stessa per la tutela di principi, diritti e libertà ritenuti evidentemente prevalenti.

Il successivo articolo 14, invece, rubricato “Divieto di discriminazione”, obbliga gli Stati membri a rendere visibili i pregiudizi che inducono a commettere reati, evidenziando e pu- nendo i crimini d’odio in maniera più severa rispetto ad altri reati440. La clausola di sicurezza

440 Art. 14 della CEDU: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”. Si veda, in merito, il commento di UEAGENCY FOR FONDAMENTAL RIGHTS. 2012. Making hate crime visible in the European Union: acknowledging

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contenuta nell’articolo 17, denominato “Divieto dell’abuso del diritto”, proibisce invece qualsiasi atto finalizzato alla distruzione dei diritti e delle libertà altrui, anche se tali azioni dovessero costituire un esercizio dei diritti e delle libertà sancite dalla Convenzione stes- sa441.

L’Unione Europea è approdata al formale riconoscimento della libertà di espressione e del divieto di discriminazioni solamente con la proclamazione, nel 2000, della Carta dei Diritti Fondamentali442. L’articolo 11, in particolare, sancisce:

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa es- sere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.

Il successivo articolo 21, invece, così dispone:

“1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la raz- za, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.

2. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi con- tenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità”.

Con la decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale443, il Consiglio dell’Unione Europea ave-

va inoltre imposto agli Stati membri di adottare misure per punire l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di una o più persone appartenenti a un gruppo identificabi- le in base alla razza, al colore, alla religione, discendenza o all’origine nazionale o etnica, an- che compiuta attraverso atti di diffusione pubblica o la distribuzione di scritti, immagini o altro materiale. Aveva richiesto, altresì, l’adozione di idonee misure per punire condotte di apologia, negazionismo o grossolana minimizzazione dei crimini di genocidio, crimini con- victims’ rights, 16. Luxembourg. http://fra.europa.eu/sites/default/files/fra-2012_hate-crime.pdf (ultima visita,

30.05.2017).

441 Art. 17 della CEDU: “Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un'attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni più ampie di quelle previste in detta Convenzione”.

442 La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, com’è noto, ha acquisito il medesimo valore giuridico dei trattati con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. il 1 dicembre 2009. http://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf (ultima visita, 30.05.2017).

443 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2008:328:0055:0058:it:PDF (ultima visita, 30.05.2017).

tro l’umanità e crimini di guerra, se atte a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di una o più persone appartenenti a un gruppo. All’articolo 4, la medesima decisione aveva ul- teriormente previsto che per altri reati motivati da odio o pregiudizio gli Stati membri do- vessero adottare le misure necessarie affinché la motivazione razzista e xenofoba fosse con- siderata una circostanza aggravante o, in alternativa, potesse essere presa in considerazione dal giudice all’atto della determinazione della pena.

Ancor prima, nel 2000, l’Unione Europea adottò due direttive antidiscriminazione, punto di riferimento per la promozione e la protezione di uguaglianza e non discriminazione all’interno della comunità: la Direttiva 2000/43/CE, sull’uguaglianza razziale ed etnica, e la Direttiva 2000/78/CE, sull’uguaglianza nel lavoro444. Alcuni dei

concetti chiave ivi espressi includevano la definizione della discriminazione diretta e indiretta, delle molestie, della vittimizzazione, l’inversione dell’onere della prova, la difesa dei diritti delle vittime da parte di organizzazioni non governative, nonché la previsione di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, tra cui la compensazione445.

Nel 2006, invece, il Consiglio d’Europa fornì, con il Protocollo Addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica sull’incriminazione di atti razzisti e xenofobici446,

la prima definizione normativa di hate speech, intendendo per esso “ogni materiale scritto, ogni immagine od ogni altra rappresentazione di idee o teorie, che sostengono, promuovono e incitano odio, discriminazione o violenza, contro ogni individuo o gruppo di individui, basato sulla razza, sul colore, sulla stirpe, sulle origini etniche o nazionali, così come sulla religione se utilizzata come pretesto per uno di questi fattori”447. Tale

documento ufficiale impose ai singoli Stati di criminalizzare le minacce e gli insulti identificabili come hate speech – nel senso appena descritto – rivolti attraverso un sistema informatico. Allo stesso modo, anche per la diffusione e la messa a disposizione del

444 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2000:303:0016:0022:it:PDF (ultima visita, 30.05.2017). 445 FARKAS, Lilla. 2011. How to Present a Discrimination Claim. Handbook on seeking remedies under the EU

Nondiscrimination Directives. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

http://ec.europa.eu/justice/discrimination/files/present_a_discrimination_claim_handbook_en.pdf (ultima visita, 30.05.2017).

446 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32000L0043:it:HTML e http://conventions.coe.int/Treaty/EN/Treaties/Html/189.htm, (ultima visita, 30.05.2017).

447 Art. 2, paragrafo 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica del Consiglio d’Europa. http://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=090000168008160f (ultima visita, 30.05.2017). Già in precedenza, con la Raccomandazione n. (97) 20, qualificato il Consiglio d’Europa aveva qualificato come hate speech “tutte le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano odio, xenofobia, antisemitismo o altre forme di odio basate su intolleranza, includendo: intolleranza espressa con nazionalismo e etnocentrismo aggressivi, discriminazione e ostilità contro minoranze, migranti e persone di origine immigrata”. http://www.coe.int/t/dghl/standardsetting/hrpolicy/other_committees/dh- lgbt_docs/CM_Rec%2897%2920_en.pdf (ultima visita, 30.05.2017).

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pubblico mediante sistemi informatici di materiali razzisti e xenofobi gli Stati membri dovettero elaborare apposite misure legislative sanzionatorie di tipo penalistico448.