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L A GIURISPRUDENZA DELLA C ORTE E UROPEA DEI D IRITTI DELL ’U OMO IN MATERIA DI HATE SPEECH ONLINE

EUROPEO E QUELLO STATUNITENSE

5.3. L A LEGISLAZIONE NEI P AESI EUROPEI E IN I TALIA

5.5.2. L A GIURISPRUDENZA DELLA C ORTE E UROPEA DEI D IRITTI DELL ’U OMO IN MATERIA DI HATE SPEECH ONLINE

Con specifico riferimento al contesto virtuale, la particolare importanza dei media tec- nologici per la società democratica è stato sottolineato più volte dalla CEDU, spesso impe- gnata a trattare casi legati a Internet e alle varie specifiche caratteristiche dell’ambiente di comunicazione online.

In una delle sue più importanti decisioni sul tema della libertà di espressione in Rete (Ahmet Yildirim v. Turchia, del 2010502), la CEDU ha riconosciuto in modo piuttosto netto

l’importanza di Internet nel panorama della comunicazione contemporanea: “Internet è di- ventato oggi uno dei principali mezzi, per gli individui, per esercitare la loro libertà di espressione: offre gli strumenti essenziali per la partecipazione alle attività e ai dibattiti rela- tivi alle questioni di politica o di pubblico interesse pubblico”. Con ciò, ha attribuito chia- ramente grande importanza alla dimensione partecipativa della libertà di espressione e alle specifiche funzionalità di Internet, che permettono di migliorare il dibattito pubblico all’interno della società democratica.

Ciò premesso, la CEDU ha giocato un rilevante ruolo nella protezione della libertà di espressione nel contesto virtuale telematico. In più controversie sottoposte al suo esame, sono stati consolidati i principi e i criteri cardine della tutela di tale fondamentale libertà, cercando al tempo stesso di adattarli alle peculiari dinamiche dell’ambiente digitale.

Nel caso Perrin v. Regno Unito503, del 2003, la Corte aveva ribadito la legittimità e la pro-

porzionalità di certe restrizioni alla libertà d’espressione, anche nel contesto della Rete, al fine di proteggere diritti e valori sanciti dal secondo paragrafo dell’articolo 10 della Con- venzione. Nel caso di specie, la Corte aveva convalidato la condanna comminata per la

500 Ut supra, paragrafo 2.3.

501 TOURKOCHORITI, Ioanna. 2014. “Should Hate Speech Be Protected? Group Defamation, Party Bans, Holocaust Denial and the Divide between (France) Europe and the United States”. In Columbia Human Rights

Law Review, 45, 2: 552-622.

502 Ahmet Yildirim v. Turkey, Application No. 3111/10, CEDU. 503 Perrin v. Regno Unito, Application No. 5446/03, CEDU.

pubblicazione online, accessibile a chiunque, di scene di coprofilia, coprofagia e fellatio omo- sessuale, attribuendo maggior peso proprio al fatto che l’accesso fosse possibile anche ai minori, senza alcun preventivo controllo dell’età dell’utenza.

Le questioni interpretative più interessanti sono, però, sorte in merito alla responsabilità dei soggetti titolari (o controllori) dei contenuti redazionali pubblicati sul web, eventualmen- te contenenti espressioni di odio.

In origine, nell’affrontare il caso Surek v. Turchia, del 1999504, la Corte aveva dichiarato

che il soggetto in tale posizione di controllo potesse essere comunque ritenuto responsabile per hate speech, pur non manifestando associazione verso le opinioni espresse, per aver for- nito uno sbocco per fomentare violenza e odio e aver avuto il potere – e la possibilità – di plasmare la direzione editoriale di quanto pubblicato. Nel caso di specie, era stato proba- bilmente determinante il fatto che le dichiarazioni offensive fossero state espresse nel corso di un conflitto armato interno alla Turchia coinvolgente una dimensione etnica.

Il più rilevante caso in cui la Corte è stata chiamata a giudicare sulla responsabilità del provider per commenti generati dagli utenti su un portale di notizie online è stato, però, Delfi AS v. Estonia, del 2009505. La società ricorrente, Delfi AS, che all’epoca dei fatti gestiva (e

gestisce tuttora) un portale web di informazione, lamentava di essere stata ingiustamente ri- tenuta responsabile e condannata dai giudici nazionali estoni per i commenti offensivi po- stati da alcuni lettori in uno degli articoli pubblicati sul sito, nonostante fossero stati rimossi dietro richiesta dei legali del soggetto trattato nell’articolo, vittima di tali espressioni lesive.

Nella propria pronuncia conclusiva, la CEDU non ha riconosciuto alcuna violazione dell’articolo 10 della Convenzione, osservando come sul web le espressioni di odio potesse- ro essere diffuse in tutto il mondo nel giro di pochi secondi e rimanere disponibili in via persistente, e come l’illegittimità dei commenti pubblicati dagli utenti derivasse dall’evidente incitamento all’odio e alla violenza contro il soggetto trattato dall’articolo.

In casi come questo, la Corte ha ritenuto che i diritti e gli interessi degli individui e della società nel suo complesso consentano agli Stati membri di prevedere, senza contravvenire l’articolo 10 della Convenzione, responsabilità in capo ai portali di notizie su Internet che non dovessero riuscire ad adottare adeguate misure per la pronta rimozione dei commenti chiaramente illegali, anche senza preavviso da parte della presunta vittima o di terzi.

504 Surek v. Turchia (No. 1), Application No. 26682/95, CEDU. 505 Delfi AS v. Estonia, Application No. 64569/09, CEDU.

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La CEDU ha dunque constatato che tale accertamento di responsabilità nei confronti della società ricorrente, da parte dei tribunali estoni, rappresentasse una limitazione giustifi- cata e proporzionata alla libertà di espressione del portale, conformemente a quanto sancito dall’art. 10, paragrafo 2, della Convenzione. Il ragionamento dei giudici ha preso le mosse dalle valutazioni appena rilevate e ha tenuto conto di ulteriori fondamentali fattori: la natura estrema dei commenti in questione, il fatto che essi si trovassero in calce ad un articolo pubblicato dalla società ricorrente sul suo portale web di notizie (di natura imprenditoriale) e che quindi potesse essere preventivata la pubblicazione di commenti offensivi, l’insufficienza delle misure adottate dalla società ricorrente per l’immediata rimozione dei prevedibili commenti offensivi e violenti nonostante, e il fatto che qualunque utente, anche non registrato, potesse commentare gli articoli.

La pronuncia in questione, come tra l’altro la stessa Corte ha premesso, è intervenuta esclusivamente sulla compatibilità di una disposizione nazionale estone con la Convenzione e non, invece, con l’ordinamento comunitario. Quest’ultimo, attraverso la c.d. direttiva e- commerce n. 31/2000/CE, esonera, salvo specifici casi meglio analizzati successivamente506,

l’Internet Service Provider da responsabilità per condotte illecite compiute dagli utenti. La dovuta considerazione e soprattutto l’applicazione di tale assetto interpretativo co- munitario sarebbero spettate ai giudici estoni, e per questo ciò è stato eliminato dal thema de- cidendum del giudizio della CEDU. Sarebbe stato, dunque, più interessante conoscere l’opinione della Corte nel diverso caso in cui i giudici nazionali estoni avessero corretta- mente applicato la normativa comunitaria al caso di specie, escludendo in capo a Delfi AS la responsabilità per i commenti offensivi pubblicati direttamente dai suoi utenti.

Ad ogni modo, la decisione presenta preoccupanti profili di criticità, già evidenziati in letteratura507. Innanzitutto, applica la tradizionale disciplina in materia di responsabilità dei

media e degli editori al fine di risolvere una vertenza relativa a commenti pubblicati libera- mente online dagli utenti. Non è affatto convincente la stessa equiparazione del contesto te- lematico in cui si sono verificati i fatti con quello reale della carta stampata, dove i messaggi dei lettori vengono eventualmente selezionati e pubblicati deliberatamente sul giornale. Ul- teriormente, oltre al pericoloso conflitto che si crea con le esenzioni da responsabilità degli Internet Service Provider garantite dalla normativa comunitaria, una pronuncia di tal fatta attribuisce de facto un potere potenzialmente illimitato e discrezionale in capo ai provider onli-

506 Si veda il paragrafo 5.8.

ne, titolari di portali e spazi web, sotto il profilo delle azioni di censura dei contenuti ritenuti illegittimi.

In un successivo e analogo giudizio conclusosi nel febbraio del 2016508, la medesima

Corte è tornata sulle medesime questioni già affrontate in Delfi AS v. Estonia, fornendo ulte- riori chiarimenti sulla propria impostazione.

Il caso ha riguardato due operatori di siti web, Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete, organo associativo e di autoregolamentazione dei content service providers ungheresi, e In- dex.hu Zrt, gestore di un importante portale ungherese di notizie online, che permettevano agli utenti registrati di commentare le loro pubblicazioni online, pur precisando espressa- mente che tali commenti non riflettessero le opinioni personali dei gestori e che gli autori sarebbero comunque stati responsabili dei contenuti espressi.

Il 5 febbraio 2010, Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete aveva pubblicato un edito- riale su due siti web di vendite immobiliari, dal contenuto particolarmente critico. Poco tempo dopo, Index.hu pubblicò un articolo di opinione su tale vicenda. Molti utenti ano- nimi postarono, su entrambi i siti, commenti particolarmente offensivi nei confronti delle agenzie immobiliari coinvolte. Una di esse, pochi giorni più tardi, promosse un’azione civile lamentando la violazione della propria buona reputazione, ai sensi dell’articolo 78 del codi- ce civile ungherese. I commenti offensivi vennero, dunque, immediatamente rimossi.

I tribunali nazionali ungheresi aditi avevano ritenuto che i commenti fossero andati ol- tre i limiti accettabili della libertà di espressione e non avevano riconosciuto, ai due inter- mediari, le esenzioni da responsabilità di cui alla direttiva e-commerce n. 31/2000/CE già menzionata. La Corte d’Appello di Budapest, in particolare, ritenne tale normativa applica- bile solamente ai servizi della società dell’informazione finalizzati alla vendita, all’acquisto o allo scambio di beni materiali. La Kúria, la Corte Suprema ungherese, dal canto suo, rilevò che i ricorrenti non fossero in realtà intermediari ai sensi di tale disciplina e che, permetten- do i commenti degli utenti sui propri siti web, su di essi incombesse una responsabilità og- gettiva per eventuali espressioni illecite e lesive di diritti altrui.

Investita della causa, la CEDU ha infine ritenuto, all’unanimità, che i giudici nazionali ungheresi avessero violato l’art. 10 della Convenzione in tema di libertà di espressione e che dunque i ricorrenti non fossero responsabili per i commenti offensivi pubblicati dagli utenti sui propri portali web.

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La Corte, in particolare, ha dapprima chiarito che i portali di notizie online devono, in li- nea di principio, assumere in ogni caso compiti e responsabilità, senza essere comunque qualificabili come editori dei commenti pubblicati dagli utenti. Tuttavia, ha poi ritenuto che i giudici ungheresi non avessero compiuto un corretto esercizio di bilanciamento, nel caso concreto, tra la libertà di espressione degli intermediari online e il diritto alla buona reputa- zione commerciale delle agenzie immobiliari, con necessità di prevalenza della prima.

Ulteriormente, la CEDU ha valutato se i giudici nazionali avessero correttamente valu- tati i criteri delineati in Delfi AS v. Estonia, ossia il contesto (e contenuto) dei commenti, la responsabilità degli effettivi autori dei commenti, le misure applicate per prevenire o elimi- nare i commenti diffamatori e le conseguenze per le vittime.

In relazione al contesto e al contenuto dei messaggi, la Corte ha rilevato che i commen- ti riguardassero una questione di interesse pubblico, giacché la condotta commerciale delle società immobiliari coinvolte aveva già generato numerose segnalazioni alle associazioni di tutela dei consumatori. I commenti pubblicati, benché offensivi e volgari, erano comunque piuttosto comuni sul web, riducendo in tal modo l’impatto potenziale, e non potevano costi- tuire espressioni chiaramente illecite (la Corte ha difatti introdotto il concetto di “clearly un- lawful speech”), né tantomeno assurgere ad hate speech o a incitamento alla violenza.

In merito alla responsabilità degli autori dei commenti, la Corte ha criticato i tribunali nazionali per non aver considerato la concreta possibilità, per gli intermediari online, di iden- tificare gli utenti, né la proporzionalità della ripartizione di responsabilità tra i primi e i se- condi. La Corte ha ritenuto particolarmente difficile conciliare l’attribuzione di una tale re- sponsabilità oggettiva con il principio di diritto già fatto proprio nel caso Jersild v. Danimarca, poc’anzi osservato, secondo cui la punizione di un giornalista per l’assistenza nella diffusio- ne di dichiarazioni offensive fatte da terzi in un’intervista ostacolerebbe seriamente il con- tributo della stampa alla discussione di questioni di interesse pubblico e non dovrebbe esse- re consentita salvo ragioni particolarmente forti.

I giudici ungheresi sancirono che, consentendo la pubblicazione non filtrata di com- menti degli utenti, gli intermediari ricorrenti avrebbero dovuto aspettarsi che alcuni di essi avrebbero violato la legge. Entrambi, però, avevano predisposto un sistema di “notice and take down”509 per la segnalazione di abusi, nonché dichiarazioni di non responsabilità e con-

509 Un sistema di “notice and take down” (che, tradotto letteralmente, significa “notifica e rimozione”) consente all’utente di segnalare al titolare del sito web un’eventuale violazione di diritti altrui o un contenuto illecito. A fronte della segnalazione, poi, il gestore può provvedere – oltre all’avviso alle autorità competenti – direttamente alla rimozione del materiale controverso.

dizioni contrattuali di utilizzo del sito che vietassero i commenti illeciti. Su Index.hu, inol- tre, agiva costantemente un team di moderatori che monitorava e interveniva sui commenti in caso di necessità. Nonostante ciò, i tribunali nazionali ritennero tali misure non sufficienti. Al contrario, la CEDU ha rilevato come le corti ungheresi non fossero state in grado di valutare correttamente se i commenti avessero raggiunto livelli di lesività, serietà e gravità tali da giustificare un intervento dei gestori dei portali. D’altronde, le stesse agenzie immo- biliari vittime delle espressioni offensive non richiesero la rimozione dei commenti.

Da ultimo, sotto il profilo delle conseguenze lesive in capo alle agenzie immobiliari vit- time delle espressioni offensive, la Corte ha evidenziato come fossero pendenti indagini sulle loro condotte commerciali, non convincendosi, dunque, che i commenti in questione avessero comportato un ulteriore danno alla loro immagine.

Anche se la CEDU (in questo caso la quarta sezione) ha probabilmente inteso ridurre le problematiche conseguenze dell’impostazione seguita in Delfi AS v. Estonia, questa sentenza ribadisce tuttavia l’approvazione di un sistema di notice and take down approntato dalle piatta- forme private online per la valutazione della legittimità dei contenuti immessi in Rete. Que- sto approccio, oltre che rischiare di mettere ancor di più la Corte in una posizione isolata, dal momento che le giurisdizioni europee dovrebbero seguire la normativa comunitaria in tema di responsabilità degli intermediari della Rete, lascerebbe a questi ultimi i primi e mag- giori compiti di gestione delle condotte di hate speech online. La corretta individuazione e qua- lificazione delle espressioni di odio, però, è un esercizio molto delicato e complesso, anche per le stesse autorità giudiziarie.

Lasciare il potere valutativo e decisorio agli stessi provider non è solamente poco sicuro, non avendo essi a disposizione gli opportuni strumenti, anche giuridici, per procedere alla giusta determinazione delle condotte illecite. Le loro decisioni mancherebbero (e mancano) totalmente di trasparenza, i loro processi decisionali sarebbero sostanzialmente privi (o quasi) di garanzie procedurali e, soprattutto, di contraddittorio.

L’assenza di una puntuale definizione di cosa si debba intendere per “espressioni chia- ramente illecite” (“clearly unlawful speech”) ci priva delle dovute linee guida in grado di favori- re e indirizzare le attività di monitoraggio, controllo e rimozione degli intermediari della Re- te, che non sono state escluse dalla Corte dalla loro sfera di responsabilità, nonostante la contraria ed espressa indicazione della normativa comunitaria.

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Ancor più di recente, con la conclusione della vertenza Rolf Anders Daniel Pihl v. Sve- zia510, del 9 marzo 2017, la Corte ha specificato ulteriormente il proprio pensiero, osservan-

do come non possa essere ritenuto responsabile il gestore di un blog (e, per analogia, di un sito o uno spazio web) che rimuova tempestivamente, dietro segnalazione della persona in- teressata, un commento offensivo di un utente. Nel caso di specie, tra l’altro, i giudici han- no fornito particolare risalto a importanti aspetti, quali: il fatto che il gestore avesse prov- veduto alla rimozione il giorno seguente alla richiesta, pubblicando una spiegazione per l’errore e scusandosi esplicitamente; la presenza, sul sito, di un sistema di “notice and take down” e di un avviso che informasse dell’assenza di un controllo preventivo dei commenti postati dagli utenti.

Il rilievo più importante, in ogni caso, è stato mosso in merito alla responsabilità dei ge- stori: ribadendo il principio espresso nell’ultima sentenza esaminata, Magyar Tartalomszolgál- tatók Egyesülete e Index.hu Zrt v. Ungheria, la Corte ha riconosciuto che l’automatica attribu- zione di responsabilità per i commenti di terzi utenti può influire negativamente sulla loro attività e provocare quello che viene testualmente definito un “chilling effect” (un effetto dis- suasivo, paralizzante) per la libertà di espressione in Rete.

La direzione è quella giusta: l’auspicio è che, nel prossimo futuro, la CEDU prosegua in maniera più netta nel solco tracciato e, appurato che gli obblighi di monitoraggio, filtraggio e rimozione preventivi rappresentino per gli intermediari un onere eccessivo, che potrebbe indurli ad applicare invasivi strumenti tecnologici in grado di minare la libertà di espressio- ne su Internet511, promuova una forma di responsabilità in caso di inerzia anche a fronte di

segnalazioni circostanziate formulate dalle vittime (o comunque dagli utenti). L’adozione di sistemi di notice and take down, come meglio si approfondirà successivamente, potrebbe esse- re auspicabilmente suggellata, a livello legislativo, come la strategia ideale per contemperare le impellenti esigenze di tutela della dignità personale degli individui con la libertà di espres- sione, comunque strumentale rispetto alla prima.

510 Rolf Anders Daniel Pihl v. Svezia, Application No. 74742/14, CEDU.

511 VOORHOF, Dirk, LIEVENS, Eva. 2016. Offensive Online Comments - New ECtHR Judgment. http://echrblog.blogspot.it/2016/02/offensive-online-comments-new-ecthr.html (ultima visita, 30.05.2017); VOORHOF, Dirk. 2015. Delfi AS v. Estonia: Grand Chamber confirms liability of online news portal for offensive comments

posted by its readers. http://strasbourgobservers.com/2015/06/18/delfi-as-v-estonia-grand-chamber-confirms-