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Evoluzione umana ed economia

Nel documento ELEMENTI DI ECONOMIA E DIRITTO COGNITIVI (pagine 105-111)

6. Economia cognitiva

6.2. Evoluzione umana ed economia

Nel contesto di un’indagine che, come la presente, intenda occuparsi di nozioni quali quelle di agenti, razionalità e interazioni sociali aventi rilevanza

economica e/o giuridica, il riferimento a conoscenze di matrice evoluzionistica costituisce, più ancora che un'opportunità di analisi, una necessità tematica.

Di fatto, la nuova prospettiva cognitiva di studio delle scienze sociali trova nelle ricerche di biologia e psicologia evoluzionistica una forza propulsiva centrale, che qui di seguito cercheremo di dettagliare meglio per quanto riguarda l'economia. Forse perché caratterizzato, perlomeno a partire dalla lezione di Thorstein Veblen a inizio Novecento, da un'impostazione evoluzionistica latente [cfr. Hodgson 2008, pp. 399 ss.], il pensiero economico si è dimostrato assai disponibile a prendere in esame tali conoscenze nella prospettiva di individuare nuove linee di ricerca.

Una serie di studi dichiaratamente influenzati dalla psicologia evoluzionistica, in effetti, sta alzando la posta del gioco intellettuale a suo tempo avviato dall'economia comportamentale: quantomeno a detta dei loro sostenitori, le ricerche al riguardo consentirebbero infatti di elaborare una «teoria degli errori» ulteriormente raffinata grazie a un'osservazione del comportamento umano secondo il modello «etologico» tipico della biologia [cfr. Friedman 2004, p. 18], alla quale si andrebbero da ultimo aggiungendo ricerche d'impianto neuroscientifico. L'obiettivo, del resto, non è tanto evidenziare le deviazioni da parte dell'agente rispetto agli assunti della teoria economica standard, quanto individuare una miglior eziologia dei comportamenti di questo, tenuto conto sia di determinati tratti della natura umana determinatasi nel corso dell'evoluzione che della specificità di alcuni obiettivi comportamentali [supra, §5.3.].

Tra le tesi avanzate al riguardo, in ragione delle sue ampie prospettive esplicative tanto per l'economia che per il diritto si segnala in particolare quella relativa all'esistenza di una nozione inconscia di «giusto prezzo» sedimentatasi nel corso dell'evoluzione. In breve, tale nozione sarebbe alla base di molti comportamenti osservabili nella realtà contemporanea, quando

gli agenti si troverebbero mossi da un «sentimento interno» che induce a considerare come prezzo corretto di un bene quello pagato di solito. I casi citati vanno dalle isolate reazioni di un avventore al ristorante dinanzi a un conto particolarmente salato, fino a decisioni di politica economica in relazione alla fissazione di prezzi per beni ad alta rilevanza sociale, quali ad esempio determinate prestazioni sanitarie [cfr. Friedman 2004, pp. 18 ss.].

Secondo quanto rilevato da chi ha per primo introdotto tale tesi, «dal punto di vista della razionalità economica, una simile assunzione non ha senso. La maggior parte delle persone, infatti, non ha un'idea chiara di cosa determini i prezzi di ciò che acquista, dal momento che non hanno alcun modo di sapere se il prezzo di ieri fosse equo, o giusto, o giustificato rispetto ai costi, oppure se il più alto prezzo pagato oggi manchi uno dei criteri appena citati» [v. Friedman 2004, pp. 21]. E tuttavia, il fatto che gli agenti economici provino un tale sentimento – molto simile, si rileva per inciso, a quello già evidenziato dalla dottrina scolastica di Tommaso d'Aquino in materia di «communis aestimatio» dei salari – richiede una spiegazione plausibile, che l'approccio evoluzionistico ritiene di poter fornire.

Tale sentimento, dunque, troverebbe le sue origini in un contesto di società primordiale basata sulla caccia, dove la stabilità delle condizioni transattive giocava un ruolo fondamentale nelle strategie di sopravvivenza. Nella prospettiva dell'acquirente di un bene funzionale alla propria sussistenza, «essere emozionalmente programmati per risultare infastiditi da ogni aumento del prezzo usuale» sarebbe stata parte di un'efficace «Commitment Strategy» in grado di beneficiare tutti i suoi adottanti, semplificando gli scambi commerciali in un contesto particolarmente ostile alla specie umana [cfr. Friedman 2004, pp. 21 ss.]. Una volta combinata con la «razionalità temporalmente differita» richiamata in precedenza [supra, §5.3.], la latenza di una simile programmazione emozionale spiegherebbe, in effetti, molte condotte economiche contemporanee.

L'impressionistica ricognizione appena tentata di una delle tesi relative a nozioni di «Fairness» primordiali ancora operanti nelle interazioni sociali, porta chiaramente a registrare come tesi del genere siano esposte ai limiti propri delle spiegazioni di tipo «post-hoc», le quali, secondo una felice espressione polemica riferita a una similare tendenza riscontrata nella biologia adattamentista, finiscono per produrre al più un'ampia gamma di «Just-So Stories» [cfr. Nairne, Pandeirada 2008, p. 239]. Storielle, insomma, irrimediabilmente infalsificabili, e, come tali, di nessuna utilità per sostenere un robusto avanzamento della conoscenza, secondo i canoni di ricerca più condivisi.

Nel concordare con simili avvertenze, pare comunque il caso di rilevare la suggestione di studi del genere, capaci di tentare sintesi potenti di conoscenze fino ad ora rimaste sconnesse e separate, e che, perciò, non pare ragionevole dismettere a priori. Essi, infatti, presentano un'utilità ideale di ricerca da non trascurare, offrendo ampio sostegno a una «immaginazione teoretica» che da sempre rappresenta il primo motore della ricerca, e inquadrandosi, più in generale, nel contesto di quei «programmi di ricerca metafisici» che, se pur non risultano empiricamente controllabili, rappresentano comunque degli schemi di riferimento necessari al progressivo sviluppo di nuove teorie [sul punto v. utilmente Di Nuoscio 2006, p. 98]. Del resto, le stesse scienze dure, fisica in testa, hanno tradizionalmente fatto ampio ricorso a «Gedankenexperimente», ovvero esperimenti mentali volti a rendere possibili – perlomeno nell'immaginazione – studi irrealizzabili in pratica. Non si vede perché, dunque, non si possa riconoscere una corrispondente liberalità d'immaginazione anche alle ricerche delle scienze sociali.

Un simile processo di ricerca, viene da rilevare, si mostra pure in linea con una nobile tradizione di pensiero economico, che, perlomeno dalla Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith in avanti, risulta incentrata sulla

considerazione degli istinti dell'uomo come origine, e, poi, forza principale del comportamento economico. In proposito, studi eterodossi di economia istituzionale hanno già opportunamente segnalato il ruolo giocato nelle condotte economiche dai «sentimenti», secondo la terminologia originaria del grande scozzese, richiamando per di più la lettura in termini adattivi – dunque, di fatto, evoluzionistici «ante litteram» – sottostante gli stessi [cfr. Arruñada 2008, p. 83]. Per altro verso, una ricerca economica improntata a maggior sensibilità circa i profili evoluzionistici del comportamento può da ultimo trovare supporto nella disponibilità di tecniche quali quelle di Imaging biomedico, che, almeno in prospettiva, offrono sempre maggiori possibilità di approfondimenti sperimentali lungo direttrici finora inedite, sia rispetto a strutture cerebrali che apparati cognitivi dell'uomo [supra, §5.2.2.].

Recenti esperimenti di economia cognitiva sono già richiamabili in tal senso. Gli esiti di una serie di studi condotti con osservazioni magnetiche funzionali delle attività cerebrali di soggetti impegnati in giocate di Ultimatum Game mostrano infatti significative affinità con ipotesi quale quella del giusto prezzo, posto che i ricercatori hanno riscontrato nei giocatori aspettative stabili di «equità» nella ripartizione delle somme in gioco [cfr. Tabibnia et al. 2008, pp. 339 ss]. Tali aspettative, pur se almeno in parte influenzabili dai contesti socio-culturali in cui le interazioni di gioco si svolgono, risultano essere inconsce e universalmente condivise, in linea con le posizioni della biologia comportamentale già espresse in precedenza [supra, §5.2.].

Anche altri esperimenti, condotti a mezzo di più tradizionali osservazioni comportamentali, hanno indotto i ricercatori a sostenere l'esistenza di norme sociali operanti in maniera inconscia negli individui, tra le quali, di nuovo, la Fairness svolgerebbe un ruolo preponderante [cfr. Fehr, Fischbacher 2004, pp. 63 ss.]. Tali esperimenti, più nello specifico, hanno riscontrato una predisposizione comportamentale a punire condotte ritenute

contrarie a norme sociali condivise, secondo meccanismi riconducibili al già noto caso dell'altruismo reciproco e conseguenti strategie di punizione del soggetto irrispettoso dell'equilibrio cooperativo [v. di nuovo supra, §5.2.].

Vedremo infine, in una successiva sezione dedicata alle ricerche d'impronta evoluzionistica dedicate al diritto, come studi recenti stiano tentando i limiti del discorso tradizionalmente riservato al tema della giustizia, incentrato su nozioni puramente filosofiche, sulla base di ricerche neuroscientifiche volte a evidenziare predisposizioni cognitive comuni in tal senso [infra, §8.4.1.].

Al termine della sommaria ricognizione qui tentata delle avventure dello spirito vissute dal pensiero economico nel corso del secondo Novecento, e, più ancora, del tumultuoso decennio appena trascorso, dopo aver così tracciato una carta auspicabilmente verosimile del territorio intellettuale appena traversato risulta finalmente possibile tentare un passaggio a quello, confinante ma ben distinto, del diritto. Ponte prescelto per traversare il fossato disciplinare sarà il complesso di studi sinteticamente individuato con le etichette di «Law and Economics», o, secondo una definizione più orientata a un uso normativo dell'economia, «analisi economica del diritto» [cfr. Renda 2011, p. 101], alla cui considerazione – insieme ad alcune variazioni sul tema di tipo comportamentale – ci si dedicherà nelle pagine seguenti.

Nel documento ELEMENTI DI ECONOMIA E DIRITTO COGNITIVI (pagine 105-111)