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Herbert Simon e la razionalità limitata

Nel documento ELEMENTI DI ECONOMIA E DIRITTO COGNITIVI (pagine 40-46)

3. Nozioni e funzioni della razionalità in economia

3.4. Herbert Simon e la razionalità limitata

Herbert Simon parte da un contesto diverso rispetto alla teoria microeconomica neoclassica, e, sotto il profilo metodologico, l'impostazione assiomatica sin qui considerata, sostenendo nondimeno con grande convinzione l'approccio modellistico. In estrema sintesi, il poliedrico professore della Carnegie Mellon University – economista insignito del premio Nobel, sociologo, psicologo, tra i padri fondatori dell'intelligenza artificiale – ridisegna l'architettura cognitiva del soggetto agente in una prospettiva (non rigidamente comportamentista, al modo della teoria di Samuelson in materia di preferenze rivelate, bensì) comportamentale, soffermandosi su come funzionano nella pratica i processi decisionali.

Simon, si noti, non rifiuta la prospettiva della definizione di un «idealtipo» [su tale categoria weberiana, e i suoi rapporti con la nozione

corrente di modello, v. utilmente Di Nuoscio 2006, p. 50] da impiegarsi per teorizzazioni ad ampio spettro; ritiene, però, che tale definizione debba fondarsi su solide basi analitiche e sperimentali, tenuto conto di come le decisioni vengano adottate nella realtà dai diversi soggetti, che, tra l'altro, presentano caratteristiche decisionali distinte anche a seconda dei contesti operativi in cui rilevano.

La nozione di «razionalità limitata» («Bounded Rationality»), introdotta per la prima volta sul finire degli anni cinquanta, esemplifica nella maniera migliore il contrapporsi della nuova impostazione alla «razionalità olimpica» – la definizione è dello stesso Simon – fino a quel momento dominante. Essa, inoltre, rappresenta un tentativo pionieristico nel ristabilire un rapporto cooperativo tra economia e psicologia, in controtendenza rispetto alla sterilizzazione degli stati interni dell'agente avvenuta con il processo di formalizzazione matematica analizzato nelle pagine precedenti [cfr. Gigerenzer, Selten 2001, p. 1].

Secondo Simon, dunque, le limitazioni proprie della razionalità umana provengono, rispettivamente, dalle informazioni, dal tempo a disposizione e dalle capacità analitiche soggettive; sulla base dell'elaborazione di tali fattori limitanti, l'agente sviluppa processi cognitivi e simbolici, processi che Simon ha cercato di codificare in un ininterrotto e sostanzialmente omogeneo lavoro di ricerca, costellato di una lunga serie di scritti con cui ha inteso presentare e sostenere le proprie tesi. Tenuto conto della frequente trattazione dei medesimi aspetti teorici, e, insieme, della non comune chiarezza esplicativa dell'autore, si ritiene opportuno prendere qui in esame uno di questi contributi, in quanto particolarmente significativo [Simon 1972, pp. 161 ss.], provvedendo poi di seguito ad arricchire il discorso con altri riferimenti di contorno.

In primo luogo, secondo Simon, converrebbe parlare di razionalità al plurale, tenendo conto dei vari e diversi fattori sia soggettivi che ambientali di

volta in volta rilevanti. Di fatto, a differenza di quanto fino a quel momento avvenuto nel pensiero economico ortodosso, Simon si premura di distinguere una «razionalità degli individui» da una «razionalità delle organizzazioni», sottolineando come, nel secondo caso, siano ricorrenti possibili conflitti d'interesse tra obiettivi diversi.

Con riferimento alla razionalità delle organizzazioni, e in modo ancor più specifico alla teoria dell'impresa, Simon propone una serie di modifiche di rilievo alle assunzioni di fondo, introducendo fattori di rischio e incertezza ora nella funzione della domanda, ora nella funzione dei costi, ora in entrambe le funzioni, ciò che cambia completamente le loro modalità di calcolo e relative difficoltà. Soprattutto, viene sottolineato come nella realtà l'attore – impresa o individuo che sia – disponga sempre di informazioni incomplete, sia a proposito delle alternative decisionali disponibili che delle loro conseguenze. Infine, la razionalità può venire limitata «assumendo complessità nella funzione di costo o altre limitazioni ambientali così elevate da impedire all'attore di calcolare la miglior procedura d'azione» [Simon 1972, p. 164].

Tale precisazione, nell’attirare l'attenzione sui costi gestionali delle operazioni cognitive, aprirà la strada a tutte le successive elaborazioni dell'economia comportamentale in tema di strategie «euristiche» – termine derivato dal greco con un richiamo principale al significato di «scoperta di una soluzione per un problema» – messe in atto da parte dei soggetti agenti, di cui si dirà meglio a breve. A conferma della fertilità dell'ipotesi di Simon, e, per altro verso, del suo già accennato interesse per la modellizzazione, si possono citare ora le sue riflessioni circa le strategie decisionali impiegate nel gioco degli scacchi.

L'adozione degli scacchi come una sorta di specchio riflettente alcune proprietà dei processi decisionali impiegati nel mondo reale era già stata proposta da von Neumann e Morgenstern nel loro lavoro congiunto in

materia di teoria dei giochi, ma con conclusioni ben diverse da quelle avanzate da Simon. Quest'ultimo, infatti, lungi dal ritenere gli scacchi un gioco «triviale» in ragione della possibilità teorica di definire un albero di tutte le giocate possibili, sottolinea il fatto che, sia sulla base di esperimenti controllati che di osservazioni dal vero, i giocatori si concentrano regolarmente su un numero molto minore di strategie rispetto a quello possibili a ogni mossa.

Più precisamente, «i giocatori di scacchi non considerano ogni possibile strategia e selezionano la migliore, ma generano ed esaminano un numero relativamente piccolo, compiendo la loro scelta appena ne trovino una che essi considerino soddisfacente» [Simon 1972, p. 166]. La generazione e l'esame di alternative spesso avviene sulla base di processi dettati dalla consuetudine, nella ripetizione di procedure decisionali che potrebbero anche portare a risultati sub-ottimali, ma non per questo vengono abbandonate, poiché dipendenti da credenze o abitudini profondamente radicate nella «programmazione cognitiva» del soggetto.

Le considerazioni tattiche di corto raggio appena richiamate, così come le possibili limitazioni cognitive esistenti su base personale, sarebbero le stesse che si verificano nel complesso dei processi decisionali: quando gli agenti decidono, insomma, non sono in grado di considerazione tutte le alternative possibili, oppure per ragioni di tempo ed energie da impiegare non vogliono farlo, ricadendo così sotto il rasoio operativo di quelle che la letteratura psicologica definisce livelli di aspirazione («Aspiration Levels»), o soglie di sub-ottimalità decisionale.

Per tale rasoio, peraltro, passa anche la più importante nozione introdotta da Simon nella nuova teoria della decisione incentrata sulla soluzione di problemi («Problem Solving»). La nozione è quella di «Satisficing», un termine di origine scozzese ripreso in onore alla tradizione filosofica derivata da David Hume e impiegato – in contrapposizione

all'ottimizzazione tipica della teoria della razionalità perfetta – per riferirsi a procedure con cui l'esistenza di alternative decisionali soddisfacenti è resa possibile da meccanismi dinamici di aggiustamento dei livelli di aspirazione alla realtà, sia sulla base delle informazioni disponibili relativamente all'ambiente che tenuto conto delle risorse di tempo allocabili per tali operazioni [cfr. Simon 1972, pp. 168 ss.].

A fronte degli elementi raccolti nelle righe precedenti, emergono evidenti numerosi profili di novità del discorso simoniano in materia di teoria della decisione. Qui interessa, soprattutto, attirare l'attenzione sul rilievo prima sconosciuto che acquisiscono, da un lato, gli elementi di spazio/ambiente decisionale e tempo, dall'altro i limiti delle soluzioni raggiungibili dagli agenti, i quali possono ben adottare decisioni sub-ottimali (solo «abbastanza buone», insomma), o, addirittura, fortemente divergenti rispetto alla massimizzazione prescritta dalla teoria standard della razionalità perfetta.

Tale revisione metodologica porta a dedicare un'attenzione inedita agli aspetti cognitivi dei processi decisionali, in netta controtendenza rispetto alle precedenti posizioni del pensiero economico ortodosso che, invece, una volta assiomatizzata la capacità d'agire del soggetto, riteneva di non doversi più preoccupare delle concrete capacità d'intendere e di volere dello stesso. Al proposito, in dottrina è stata proposta una revisione terminologica al fine di evidenziare, più che i limiti della razionalità, le qualità del nuovo approccio alla stessa, sostituendo dunque l'aggettivazione «bounded» con «intelligent» [cfr. Castellani 2009, p. 25].

Con la diversa aggettivazione si vuole intendere, in sostanza, che l'approccio sviluppato a partire da Simon non si contrappone tanto a un'impostazione razionale assunta per completa («unbounded»), quale sarebbe la teoria della scelta razionale, ma, piuttosto, che le limitazioni fanno parte tanto degli elementi di contesto, ambientali delle decisioni, che delle

dotazioni cognitive dei soggetti agenti. É propriamente a partire dalla consapevole assunzione di simili aspetti dell'architettura cognitiva del soggetto e del suo ambiente di riferimento, ottenuta in primi luogo con uno sforzo descrittivo della realtà osservabile, che si può tracciare il percorso del nuovo approccio comportamentale nell'economia del secondo Novecento, e, insieme, misurarne la progressiva distanza dall'impostazione assiomatica di tipo normativo-prescrittivo.

Nel documento ELEMENTI DI ECONOMIA E DIRITTO COGNITIVI (pagine 40-46)