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Tecniche di Imaging biomedico

Nel documento ELEMENTI DI ECONOMIA E DIRITTO COGNITIVI (pagine 84-88)

5. Scienze cognitive: un'introduzione

5.1. Mente, cervello e neuroscienze cognitive

5.1.2. Tecniche di Imaging biomedico

I dispositivi impiegati nelle ricerche neuroscientifiche, cui solitamente ci si riferisce con il termine di «Imaging biomedico», si possono distinguere sulla base di alcune tecnologie principali, tutte comunque volte a tracciare le attività cerebrali nella prospettiva di uno «studio oggettivo delle funzioni mentali» [Maffei 2011, p. 29]. In sostanza, queste tecniche consentono d'individuare e monitorare le aree del sistema neurale che si attivano – singolarmente, ovvero in composizioni più o meno complesse – durante lo svolgimento di determinate attività [cfr. Jones et al. 2009, p. 4].

La prima, e più risalente, tecnologia impiegata a tali fini corrisponde alla elettroencefalografia («Electroencephalography», o, secondo la più comune abbreviazione, «EEG»), basata sulla misurazione elettrica delle attività neuronali rispetto a specifici eventi di stimolo, a mezzo di elettrodi applicati al cuoio capelluto del soggetto osservato. Di tale tecnica esistono numerose varianti, alcune delle quali, come si vedrà, hanno da ultimo trovato significative – e controverse – applicazioni anche in ambito forense [infra,

§8.3.2.]. La qualità di tale tecnologia in velocità di registrazione delle reazioni – nell’ordine di poche decine di millisecondi rispetto a quelli effettivamente impiegati dalle trasmissioni sinaptiche neuronali, mai superiori a cento – viene però persa in termini risoluzione e profondità spaziale rispetto alla massa cerebrale. Per ovviare a tali limiti sono state sviluppate due più nuove tecnologie, la tomografia a emissione di positroni («Positron Emission Tomography», o «PET») e la risonanza magnetica funzionale («Functional Magnetic Resonance Imaging», o «fMRI»).

La PET consente di visualizzare il flusso ematico nell’encefalo, e, con ciò, di stimare quali siano le aree cerebrali da ritenere più rilevanti per lo svolgimento di determinate attività. In sostanza, tale tecnologia si basa sull’assunzione che un aumento di attività neuronale comporti un maggior dispendio di ossigeno nelle aree interessate, le quali richiedono pertanto una corrispondente maggior irrorazione sanguigna e diventano visivamente distinguibili. I dispositivi PET, dunque, localizzano ed evidenziano specifiche attività segnalate dall’aumento di tale flusso, distinguendo di conseguenza tra le aree «mute» e quelle attive del sistema cerebrale rispetto a un determinato stimolo (es. la richiesta al soggetto testato di svolgere una determinata attività, oppure «pensare» qualcosa). Dal canto suo, la fMRI traccia il flusso ematico nel sistema cerebrale secondo le proprietà magnetiche registrabili nell’ossigenazione del sangue. Le anzidette limitazioni operative della EEG sono qui rovesciate, poiché, nel caso di PET e fMRI, a un'eccellente capacità di localizzazione degli incrementi di attività neuronali corrisponde un’abilità temporale ancora insoddisfacente, nell’ordine – allo stato attuale della tecnologia di riferimento – di alcuni secondi.

Con specifico riferimento alla fMRI, tenuto conto della centralità che ha ormai assunto sia nelle sperimentazioni dell'economia cognitiva, sia, da ultimo, a fini probatori in ambito forense, merita provvedere qualche informazione supplementare. Tale tecnica, in effetti, offre immagini

«funzionali», e non anatomiche, del sistema cerebrale: ciò significa che tali immagini non sono l'esito di una fotografia, bensì vengono costituite in maniera statistica. In sostanza, da una pluralità di registrazioni effettuate in successione viene realizzata una sintesi visiva facendo ricorso a particolari elementi di volume («Voxel») rappresentanti valori d'intensità di segnale o di colore in uno spazio tridimensionale.

La colorazione degli Scanning cerebrali ottenuti con fMRI, dunque, è convenzionale, e dipende da una scelta dell'operatore. Secondo quanto è già stato meglio chiarito da altri, «la fMRI non registra colori nel cervello. Le immagini fMRI impiegano colori (…) per rappresentare i risultati di un test statistico», pur esistendo particolari convenzioni secondo cui la maggior luminosità del colore indica un'attività cerebrale particolarmente intensa. La conclusione è che «nessuna immagine cerebrale fMRI ha un significato automatico e autoevidente», richiedendo sempre un'opportuna, e informata, attività interpretativa al riguardo [Jones et al. 2009, pp. 9-10].

In ambito giuridico, come si vedrà, sono già state formulate legittime preoccupazioni circa la necessità d'impiegare in maniera trasparente le immagini derivanti da Scanning cerebrale. Torneremo sull'argomento [infra, §8.3.1.]. Più in generale, piuttosto ricorrenti risultano le obiezioni alle ricerche neurocognitive incentrate sui rischi di eccessiva semplificazione – ai limiti, viene paventato, di un pericoloso neo-scientismo dai toni lombrosiani – che il ricorso disinvolto alle tecniche sopra citate comporterebbe [in proposito v. per tutti Legrenzi, Umiltà 2009, pp. 30 ss.]. Nel concordare con tali obiezioni per la parte in cui invitano a un impiego rigoroso degli strumenti messi a disposizione dalla tecnica, non si può nondimeno tacere come, spesso, le critiche siano eccessivamente severe rispetto ai limiti operativi esistenti nell'impiego dei dispositivi citati.

Al riguardo, infatti, va tenuto conto dello sviluppo in corso di nuovi, promettenti dispositivi e relative tecniche: è il caso della stimolazione

magnetica transcraniale («Transcranial Magnetic Stimulation», «TMS»), che, nell’applicare campi magnetici pulsati e mirati a determinate aree cerebrali, ne inibisce temporaneamente le attività, consentendo così modalità di ricerca ablative non più invasive. Altra innovativa tecnica di Imaging è quella di diffusione tensoriale («Diffusion Tensor Imaging», o «DTI»), basata sulla visualizzazione dei flussi d’acqua attraverso gli assoni neurali mielinizzati del sistema nervoso centrale, dalla quale si ottengono proiezioni di attività neurali esistenti tra una regione all’altra dell’encefalo.

Sempre in tema di sviluppi tecnologici vanno poi ricordate le più recenti ricerche di «optogenetica», per molti versi la nuova frontiera delle tecniche di Imaging. Tale innovativa tecnica, al momento non ancora testata sull'uomo, prevede l'inserimento di traccianti ottici mirati all'interno della massa cerebrale e il successivo innesco del loro potenziale d'azione, ciò che consente di tracciare le attività di singoli neuroni all'interno di circuiti neurali perfettamente intatti. I tempi di rilevamento, nell'ordine di millisecondi, inoltre, sono finalmente idonei a comprendere le modalità di elaborazione e trasformazione delle informazioni tra neuroni in tempo reale [su tale ultima tecnica v. Zhang et al. 2010, pp. 439 ss.].

Tanto considerato rispetto ai nuovi dispositivi in corso di definizione, va pure ricordato che i ricercatori ricorrono da tempo a numerose e ingegnose combinazioni delle diverse tecniche di neuroimmagine già esistenti, ottenendo così uno spettro informativo sempre più ampio e composito in relazione alle attività cognitive oggetto di studio. Soprattutto, si ritiene, le critiche sopra richiamate non tengono conto dell’ordinario e diffuso impiego di una serie assai maggiore di metodi sperimentali e strumenti di ricerca rispetto al solo Imaging biomedico. Al proposito, si possono ricordare lo «Eye-Tracking», che dal tracciamento dei movimenti dell’occhio rispetto a un dato stimolo visivo inferisce le operazioni cognitive sottostanti, o, ancora, le registrazioni di un'ampia serie di reazioni fisiologiche (dilatazione della

pupilla, sudorazione palmare, conduttanza epidermica, risposte ormonali), tutte volte a rilevare le reazioni involontarie dei soggetti sottoposti a osservazione.

Nel documento ELEMENTI DI ECONOMIA E DIRITTO COGNITIVI (pagine 84-88)