Forse non basta nemmeno il debole richiamo all’italiano lin-gua «ufficiale» contenuto nell’art. 1 della legge 15 dicembre 1999 n. 482. In fondo è stato inserito lì per il rotto della cuffia, nel momento in cui si pensava di risolvere la questione delle lingue di minoranza posta dall’art. 6 della Costituzione. L’ita-liano poteva sembrare ai Costituenti usciti dal fascismo, e for-se anche ai legislatori del 1999, una lingua autoritaria, dotata di immenso potere rispetto alle minoranze. Oggi i rapporti si sono rovesciati. Le Regioni si affannano a dichiarare «lingua»
una congerie di varietà locali prive di standard, come ha fatto la Regione Lombardia nel settembre del 20164. La disaffezione
4 Cfr. P. d’AChILLE, «La ‘salvaguardia della lingua lombarda’ in una legge re-gionale», in I temi del mese (2012-2016), di C. MARAzzINI (a cura di), Accademia della Crusca, Firenze, 2016, pp. 91-94. Per il Piemonte possiamo citare la L.R. 10 giugno 1990, n. 26, modificata e integrata dalla L.R. 17 giugno 1997, n. 37, che ri-conosce e promuove la «lingua piemontese» come una delle quattro lingue minori-tarie autoctone del Piemonte, insieme al walser, all’occitano e al franco-provenzale;
e ancora si veda l’Ordine del giorno, il 118 del Consiglio Regionale del Piemonte, approvato all’unanimità il 15 dicembre del 1999. In rete si trovano molte tracce del disegno di legge d’iniziativa provinciale intitolato Tutela e valorizzazione della lingua napoletana approdato al Consiglio Regionale della Regione Campania nel 2008.
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all’italiano aggredisce in due modi: attraverso il culto dell’in-glese e attraverso il culto delle parlate locali. Riemergono anti-chi particolarismi, riemerge l’antico desiderio di buttarsi nelle braccia di chi sta oltre i confini della penisola, secondo un’an-tica tradizione ben nota agli studiosi della storia del Cinque-cento e del SeiCinque-cento. In passato, però, il particolarismo campa-nilistico italico trovava un contrappeso sufficiente nell’identità culturale e letteraria nazionale, profondamente astratta, ma non per questo meno efficace. Oggi il legame sembra essere costituito tuttalpiù dalla cultura culinaria e dallo stile di vita piacevole, detto appunto «italiano», e non è certo che questi siano collanti sufficienti per tenere unita una salda coscienza civile e nazionale.
Si osservava poco fa che la Costituzione all’art. 3 richiama la parità dei cittadini indipendentemente dalla lingua (concetto evidentemente diverso da quello della «lingua che ci fa eguali»
di marca donmilaniana) e all’art. 6 richiama la tutela delle mi-noranze linguistiche, ma non menziona in alcun luogo la digni-tà o funzione della lingua italiana. Tra le costituzioni europee, alcune non fanno cenno alla lingua, altre sì: tra quelle che han-no disposizioni relative alla lingua nazionale e ufficiale (queste sono due categorie spesso usate) possiamo ricordare l’Austria, il Belgio, la Finlandia, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Spagna, la Svizzera. Ho lasciato da parte i casi che ho trovato più originali e interessanti, quello delle costituzioni di Francia e Portogal-lo. Ho trovato interessanti queste due costituzioni per ragioni opposte: la Francia è l’unica nazione che non ricorra alla di-stinzione sottile tra «lingua nazionale» e «lingua ufficiale», con la quale gli altri (e anche l’Italia nel 1999) hanno provveduto a graduare il peso dell’idioma principale del paese. L’art. 2 del
me si vede, non si muovono solo le regioni del Nord, anche se la regione Campania ha usato, più correttamente, l’espressione «lingua napoletana», e non «campana».
Alla base di queste invenzioni legislative più o meno dilettantesche sta, come ovvio, l’incapacità di approfondire il concetto di «lingua» e «dialetto», e anzi la certezza che il dialetto si una realtà disdicevole e negativa. Non sanno costoro che tra lingua e dialetto non c’è nessuna differenza tipologica, e che la differenza sociolinguistica e storica non sarà mai colmata da una legge, per quanto perentoria.
Titre Ier della Costituzione francese recita nettamente: «La lan-gue de la République est le français» (seguono i riferimenti alla bandiera, all’inno, al motto «liberté, fraternité, égalité», e al principio del governo del popolo, dal popolo e per il popolo).
La lingua è collocata dunque in posizione di grandissimo rilie-vo. Ma, lo si sa, questo è tipico dei francesi, e gli italiani sono soliti sorriderne benevolmente, come di fronte al comporta-mento di un minus habens. Quanto ai portoghesi, è interessate che la loro Costituzione collochi la menzione della lingua non tra i simboli dello Stato, come la bandiera e l’inno, alla maniera francese. Per i portoghesi, all’opposto, la lingua non sta tra i simboli, ma tra i compiti fondamentali dello Stato, tra le sue funzioni primarie. I compiti dello Stato elencati dalla Costitu-zione portoghese sono otto, contraddistinti da lettere alfabeti-che. Riguardano valori come la garanzia dell’indipendenza na-zionale, le libertà fondamentali, il benessere e la qualità della vita, la parità tra uomo e donna, lo sviluppo armonioso della nazione. La lettera f) introduce tra questi compiti anche «As-segurar o ensino e a valorização permanente, defender o uso e promover a difusão internacional de la lingua portughesa»5. L’inserimento della lingua tra i compiti dello Stato, anziché tra i suoi simboli, è un tratto di notevole originalità, forse la scelta più vivace e moderna possibile, dalla quale anche noi potrem-mo trarre utilmente ispirazione.
5 «Garantire l’insegnamento e la valorizzazione continua, difendere il suo uso e promuovere la diffusione internazionale della lingua portoghese».
Lingua Madre: decadenza o rinascita?
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L’ITALIANOdI fRONTEAICAMBIAMENTIdIOggIEdI dOMANI
Nicoletta Maraschio
sOMMARIO: 1. Breve storia di una lunga controversia – 2. Una nuova fase della storia linguistica italiana – 3. Per una nuova politica linguistica.