• Non ci sono risultati.

Postilla geopolitica

Insomma, la lingua è un fenomeno complesso, sicché mille so-no le ragioni che dovrebbero indurre la Politica a occuparsene seriamente e a considerarla un capitolo fondamentale dell’a-zione di governo.

D’altra parte, se le qualità di uno statista consistono – come si dice – nel «sapere intuire ciò che si deve fare; espimerlo fran-camente, essere amante della patria …» pochi politici –

ovun-34 Sul punto, amplius, q. CAMERLENgO, «Istruzione universitaria, primato della lingua italiana, eguaglianza sostanziale (intorno ad un profilo della sentenza n. 42 del 2017 della Corte costituzionale)», www.forumcostituzionale.it.

que si guardi – potrebbero, oggi, a buon diritto, fregiarsi del titolo, che, invece, senza dubbio dev’essere riconosciuto a Sir Winston Churchill, figura che, con la sua immensa grandezza, ha riempito la scena del xx secolo. Nominato, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Primo Lord dell’Ammiraglia-to, diviene Primo ministro nel 1940 e guida senza incertezze la Gran Bretagna alla vittoria contro le c.d. Potenze dell’Asse.

Mentre infuria la guerra e l’impero coloniale di sua Maestà va-cilla, Churchill, il più inglese degli inglesi, intuisce lucidamen-te ciò che si deve fare per garantire la leadership mondiale al proprio Paese e al suo principale alleato:

il dono di una lingua comune è una eredità senza prezzo e può di-ventare un giorno il fondamento di una cittadinanza comune […]

Eccovi il piano […] attentamente elaborato per una lingua interna-zionale, capace di una vasta gamma di attività pratiche e scambio di idee. È composto da un totale di circa 650 nomi e 200 verbi o altri parti del discorso – non più comunque di quello che può essere scritto su un lato di un singolo foglio di carta. Qual è stata la mia gioia quando, l’altra sera, abbastanza inaspettatamente, ho sentito il Presidente degli Stati Uniti parlare all’improvviso dei meriti dell’In-glese Basic […] Questi piani offrono guadagni ben maggiori che portare via le terre o le provincie agli altri popoli, o schiacciarli con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro sono gli imperi della mente.

A distanza di poco più di settanta anni, il «piano Churchill» è realizzato: l’inglese è diventato la lingua delle relazioni interna-zionali, delle pubblicazioni scientifiche e, naturalmente, dell’e-conomia e della finanza, oltre che – ça va sans dire – un’indu-stria fiorente per i sudditi di sua Maestà… un vero impero35, quello della mente, appunto.

35 «Siempre la lengua fue compañera del imperio», scriveva Antonio de Nebrija, dedicando la prima «Gramática de la lengua castellana», il suo capolavoro, «A la mui alta et assí esclarecida princesa doña Isabel, la tercera deste nombre, Reina i señora natural de España et las Islas de nuestro Mar» … era il 1492 e la «princesa»

si preparava, buscando oriente, a gettare le basi di quell’impero – ispanofono, na-turalmente – sul quale non tramontava mai il sole: forse, solo casuali coincidenze o, forse una significativa sincronicità, intuita dall’acuto umanista spagnolo.

© Edizioni Angelo Guerini e Associati

Ora, dire impero significa dire egemonia36, che è innanzitut-to culturale37, specie quando oggetto immediato del dominio sono le menti. E così, quale che sia l’ambito al quale si guardi – moda, televisione, cinema, musica, letteratura, ricerca scienti-fica – l’inglese è divenuto, progressivamente, la lingua vincente e siccome abbiamo sempre avuto e continuiamo ad avere la necessità di comunicare e dunque di ricorrere a una «lingua di servizio», niente di meglio del Basic English, la cui diffusione era stata preconizzata dal geniale statista britannico. In fondo – si sarebbe tentati di pensare – è sempre andata così: il lati-no, dopo il greco, è stata a lungo la seconda lingua dei dotti e del commercio internazionale; anche l’italiano ha avuto un suo momento di gloria fra Cinquecento e Settecento per poi lascia-re il posto al francese, lingua dell’aristocrazia e della diploma-zia in un mondo ancora eurocentrico e oggi tocca all’inglese, la cui affermazione è stata favorita dalla conquista britannica dei mari, dall’espansione coloniale e dall’«imperialismo» america-no, per raggiungere l’attuale pervasività grazie ad Hollywood e alla Coca Cola – cioè alla cultura di massa –, nonché agli spe-cialismi dell’imperante tecnocrazia.

Questa volta, non si tratta, tuttavia, del semplice avvicen-darsi di una lingua «seconda» a un’altra.

Il predominio dell’inglese, secondo il «piano Churchill», se-gna, infatti, da un lato, lo spostamento del baricentro geo-poli-tico dal vecchio continente all’emisfero occidentale, con le due sponde anglofone dell’Atlantico che rinsaldano l’antico lega-me e, dall’altro, il culmine del processo di neutralizzazione dei diversi ambiti della vita culturale, ormai arrivato alla tecnica38. In effetti, anche il Basic English altro non è che una tecnica, in

36 Sul punto, il riferimento obbligato è, tra i tanti, a h. TRIEPEL, Hegemonie. Ein Buch von führenden Staaten, Stuttgart, 1938, trad.it. L’Egemonia, Sansoni, Firenze, 1949.

37 V. A. gRAMsCI, Quaderni del carcere, a cura di f. PLATONE, Einaudi, Torino, 1948-1951, Q.19 § 24.

38 Così, C. sChMITT, «L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni», in Id., Le categorie del «politico». Saggi di teoria politica, il Mulino, Bologna, 1972, pp. 167 ss.

quanto tale utilizzabile da tutti, con gli ovvii vantaggi derivanti dall’apparente neutralità dei «tecnicismi» rispetto all’essenzia-le proball’essenzia-lematicità delall’essenzia-le questioni metafisiche, economiche, na-zionali e sociali, che hanno dilaniato l’Europa moderna.

In realtà, proprio in quanto mezzo, pronto a tutto e «cultu-ralmente cieco», la tecnica – e, come tale, il Basic English – non è affatto neutrale, se non nel senso che non è possibile preve-derne gli obiettivi effetti politici: può infatti servire alla causa della libertà quanto a quella dell’oppressione; allo sviluppo quanto all’imbarbarimento, alla pace come alla guerra.

Da questo punto di vista, il fatto che – si badi – non l’inglese ma il Basic English venga presentato come la lingua propria del progresso scientifico e tecnologico è, più che una coincidenza, la conferma dell’ipotesi di partenza: quella di Churchill, ap-punto, ovvero quella di un mezzo linguistico che poco o nulla ha a che vedere con la cultura, mirando programmaticamente ad essere mero strumento di dominio di massa.

Stupisce che, oggi, siano le università a farsene portatrici, equivocando sul rapporto mezzo/fine e trascurando l’impor-tanza della lingua madre per l’elaborazione del pensiero e per la sua trasmissione alle generazioni future.

Tuttavia, poiché non tutti i mali vengono per nuocere, quan-do il Senato Accademico del Politecnico di Milano ha deciso di escludere la lingua italiana dall’insegnamento nelle lauree magistrali e nelle Scuole di dottorato per imporre quella ingle-se, la questione della (nostra) lingua o meglio il fenomeno della sua progressiva omologazione e mortificazione è diventata og-getto, oltre che della vicenda giurisdizionale culminata con la sentenza della Corte costituzionale che oggi celebriamo, anche di un dibattito pubblico, che si interroga – finalmente senza tabù – sulla necessità di una politica linguistica attiva e demo-cratica: l’astuzia della ragione genera sogni!

© Edizioni Angelo Guerini e Associati

monolinguismo omultilinguismodi scambio? Maria Luisa Villa

Se il linguaggio della scienza servisse solo per comunicare, un’unica lingua potrebbe bastare.

Ma il pensiero, l’immaginazione, la fantasia e la critica richiedono una molteplicità di universi verbali che non si lasciano racchiudere nei confini stretti di un singolo vocabolario.

sOMMARIO: prima parte: comunicare: – 1. La scienza e la co-struzione del discorso teorico – 2. Il linguaggio della scienza non nasce spontaneamente: la lezione di Cicerone – 3. Parole chiare per mettere ordine nel disordine delle cose – 4. Dall’abbandono del latino al collasso nel monolinguismo anglofono – seconda parte: pensare: – 1. La necessità di comunicare e l’urgenza di pensare: la lingua e l’impronta della storia – 2. I vantaggi del cervello multilingue – 3. Qualche riflessione sui futuri possibili:

monolinguismo o multilinguismo di scambio – 4. Il problema dei corsi universitari svolti esclusivamente in lingua inglese.

primaparte: comunicare