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Prove generali di una conclusione

Le elezioni nazionali rappresentarono un’ecatombe per il blocco liberale e il fronte interventista. All’interno di esso, i più entusiasti sostenitori di Fiume, i Fasci di Mussolini, si erano addirittura

595 Cit. in Gerra, I, op. cit., pp. 184-185.

596 La “Legione del Carnaro”, temporaneamente affidata a Giuriati, era formata da battaglioni di fresca fondazione:

un’immancabile compagnia di “Arditi di Sernaglia”, i “Fanti di Randaccio” e i “Bersaglieri di Fiume”. Giuriati, op. cit., pp. 82-83. Il comandante di questi ultimi, il capitano Corrado, compose per il corpo d’occupazione un inno da cantarsi sul motivo de “La Leggenda del Piave”. L’ultima strofa è significativa: “Eccoci, Zara, pronti/Con lo sguardo all’avvenire/Per te disposti tutti di morire./Pugnando sulle fronti/Della patria rinnovata/Sulla Dalmazia tutta liberata./Formiamo la legione del Quarnaro/E dell’Italia siamo il grande faro;/D’Annunzio ci comanda di seguire/L’orma di Ronchi con possente ardire./Lascia Giuriati qui per ravvivare/La fiaccola del cuore/La terra da salvare”. Il testo, diffuso a volantino, è in BNC, FFG, Misc. F./1/39.

597 Anche per queste elezioni, gli annessionisti istituirono un “Comitato d’agitazione elettorale”, cui Host-Venturi

assegnò sedici uomini tra i suoi volontari. Comando Legione fiumana a Comitato d’Agitazione elettorale, 10 novembre 1919, AVf, SM, b. 209 “Legione volontari fiumani. 1919-1921. Comando I° battaglione atti vari”, f. 6.

598 “Una volta prima della guerra e durante la stessa” Affermò Ziliotto: “noi, Zaratini, credevamo, ed eravamo perciò

orgogliosi, di tenere il primato dell’amore per l’Italia. Ma dopo il 30 Ottobre dell’anno scorso, dobbiamo convenire che il primato è di Fiume. Mai, però, un emulo vinto, ha guardato con più ammirazione e con più devozione al suo vincitore. Alla nostra generazione, che ha i capelli grigi, non rimane che morire. Morire ai confini della patria, finalmente raggiunta!” Cit. in Giuliotti, op. cit., p. 104.

trovati isolati dal resto del panorama combattentista599. Nitti otteneva una seconda vittoria contro la propaganda dannunziana, dimostrando che il paese premiava la sua linea di governo600.

Dopo l’esito disastroso delle elezioni, infatti, Giuriati e Sinigaglia decisero di trattare direttamente a Roma, ponendo sul piatto il ritiro della ribellione dannunziana in cambio dell’impegno governativo alla tutela di Fiume e della presenza italiana nell’adriatico. Queste trattative riservate iniziarono il 23 novembre e proseguirono per circa un mese, lasciando intravedere la risoluzione della crisi. Di conseguenza, si profilò una brillante conclusione anche per il poema dannunziano e la rassicurante ipotesi di un suo assorbimento nell’epopea patriottica. “Non sciupate la vostra impresa;” confidò Sforza a Giuriati il 24 novembre: “essa non vi appartiene più: è un patrimonio nazionale”601. Sforza toccava un tasto importantissimo per l’esito dei negoziati, toccando l’aspetto

che più premeva a d’Annunzio. Contemporaneamente, Badoglio e il colonnello Siciliani incontrarono lo scrittore, sottoponendogli un modus vivendi il quale si traduceva, essenzialmente, con la trasformazione di Fiume in uno stato libero tutelato dall’Italia. D’Annunzio non si pronunciò sulla questione fiumana, concentrandosi sul destino dei suoi volontari dopo la partenza da Fiume. Iniziava così un lungo negoziato riservato tra Badoglio, il Comando e il Consiglio Nazionale, durante il quale ciascuno dei contraenti rivelò la sua concreta posizione di fronte all’impresa fiumana. Il Consiglio Nazionale, nonostante il rimpasto di fine ottobre, si trovò lacerato tra una maggioranza tendenzialmente favorevole al modus vivendi, e una minoranza intransigente guidata da Grossich, Gigante e Host-Venturi. Contando sul loro appoggio, Giuriati continuò a giocare “al rialzo” cercando di strappare maggiori concessioni circa la tutela italiana della città e della Dalmazia, l’accomodamento soddisfacente dei confini e le garanzie per i “disertori” all’indomani del ritiro. Su quest’ultimo punto si preoccupò particolarmente d’Annunzio, che per l’intera trattativa intervenne principalmente per garantire l’istituzionalizzazione della “comunità di Ronchi”602. Per accelerare i tempi della risoluzione, il governo ricorse alla misura draconiana del blocco per terra e per mare, sperando di giocare sulla stanchezza della città. Sulla stanchezza dei cittadini puntò anche il leader autonomista Zanella, unica figura apertamente contraria all’occupazione e dunque messa al bando dal governo cittadino. Entrato in possesso del testo del modus vivendi, Zanella lo diffuse immediatamente tra i cittadini, invitandoli a pronunciarsi e onorando, questa volta veramente, il culto “plebiscitario” dell’irredentismo fiumano603.

Il giorno successivo, il Comando ristabilì il suo controllo sul tessuto urbano con una parata di bersaglieri guidata dallo stesso d’Annunzio, che in quell’occasione ricevette una medaglia d’oro dai “fanti piumati”604. Fu una reazione alla manovra di Zanella, ma anche l’apertura di un ultimo programma di “iniziazioni” dell’“esercito fiumano” in vista di un possibile sgombero.

Così si potrebbe spiegare l’arrivo di un gruppo di alpini del battaglione “Morbegno”, che il primo dicembre vennero tempestivamente “battezzati” con il giuramento solenne in piazza Roma, davanti alla bandiera di Randaccio. La “Vedetta” commentò quanto Fiume fosse “ben lieta di questo

599 De Felice, Il rivoluzionario, cit., p. 572.

600 Sul dibattito di Fiume durante il ricambio delle Camere, Cattaruzza, L’Italia e la questione adriatica, cit., pp. 94-95. 601 Giuriati, op. cit., p. 103. Allo stesso tempo, tuttavia, era necessario che terminasse. Parlando con Sinigaglia il 4

dicembre, Sforza affermò: “persuadere d’Annunzio ad accettare il modus vivendi [...] è il solo modo di salvare la situazione. [...] D’Annunzio rappresenta in fondo, di fronte all’estero, l’avventura: un generale regolare, rappresenta la legalità. E di questa noi abbiamo assoluto bisogno per salvare la questione adriatica” Verbale colloquio tra Sinigaglia, Preziosi e Sforza in data 4 dicembre 1919, cit., Ibid., ap. III, pp. 213-214.

602 Quando Badoglio gli consegnò la prima proposta, lo scrittore non si pronunciò, affermando che avrebbe consultato i

suoi collaboratori. Si riservò tuttavia d’inserire dei punti relativi al futuro status dei volontari. Badoglio, op. cit., p. 113; Gerra, op. cit., I, p. 189.

603 Gerra, op. cit., I, p. 193.

604 Quest’intenzione fu malcelata persino dal commento della “Vedetta”, quando raccontò che la cittadinanza “vide ed

udì [...] nei canti, nei fraterni saluti a tutti i commilitoni, quale sia il cemento che unisce il Comandante ai gregari, e questi fra di loro” Il Comandante passa in rivista i Bersaglieri, «La Vedetta d’Italia», 3 dicembre 1919. La scelta di utilizzare i bersaglieri fu probabilmente dovuta alle pressioni del generale Ceccherini. Secondo un rapporto del Commissariato Militare del 24 novembre, il generale rimproverò d’Annunzio sull’eccessivo rilievo agli Arditi, e di fronte alle insistenze dello scrittore arrivò a gettagli addosso le sue decorazioni. Cit. in Longo, op. cit., I, p. 313

inatteso «completamento» dell’Esercito che ha giurato di difenderla”, e notò come fino allora mancasse una rappresentanza degli “arditi di frontiera”: “e sono arrivati all’improvviso quasi per effetto di magia”605. Tre giorni dopo, fu il turno dell’Artiglieria: nel giorno di Santa Barbara, le batterie fiumane furono schierate in piazza Battisti e celebrate con la consegna del gagliardetto e parata sul lungomare Rainer606. I diecimila volontari dannunziani completavano, così, il battesimo araldico che li trasformava in una comunità simbolica da consegnare all’epopea risorgimentale607. Queste celebrazioni, oltre a favorire la posizione dei negoziatori fiumani, soddisfacevano anche ciò che più premeva all’autore del poema: salvare tutte le immagini, i simboli e i valori dell’Impresa, preparandone la conclusione e la monumentalizzazione. L’intervento dello scrittore nelle trattative si concentrò sul riconoscimento ufficiale dei volontari e della decorazione di Ronchi608. Quando, ai

primi di dicembre, Giuriati e Rizzo ottennero un secondo modus vivendi più favorevole, lo scrittore chiese che il loro ritiro avvenisse gradualmente, e con tutti gli onori609.

Mentre negoziava con Badoglio i termini della smobilitazione dei suoi seguaci, d’Annunzio stava già progettando la cristallizzazione letteraria dell’impresa fiumana. Allo scopo, cominciò a raccogliere materiale per comporre un grande affresco corale da consegnare all’epopea risorgimentale610. Il 18 dicembre chiese ai comandanti di reparto “una relazione particolareggiata ed esatta” delle vicende dei loro uomini.

Nel libro che mi propongo di scrivere sull’impresa di Fiume io voglio illustrare tutte le azioni mirabili, tutti i sacrifici luminosi, tutte le manifestazioni [...] di devozione costante alla Causa che amiamo e serviamo. L’ho promesso e lo riprometto ai compagni che mi seguirono nell’opera di liberazione e che continueranno con me lo sforzo nazionale. Già il 16 novembre, in un proclama diretto ai miei legionari, affermai che nella mia prossima narrazione tutti i loro nomi sarebbero stati incisi «come in un marmo eroico, tutti, dal primo all’ultimo e celebrati dalla gratitudine popolare». [...] Non chiedo un

605 Il giuramento degli Alpini, «La Vedetta d’Italia», 3 dicembre 1919. L’incrocio dei rapporti informativi rivela che gli

alpini furono vittima di un “dirottamento” ferroviario, che sembra li abbia condotti “assopiti” a Fiume, dove trovarono una trionfale accoglienza. Longo, op. cit., pp. 293-295.

606 La festa di Santa Barbara, «La Vedetta d’Italia», 6 dicembre 1919; Giuliotti, op. cit., pp. 115-117.

607 Il numero dei regolari “defezionati” a Fiume è ricavato da un promemoria del ministero della Guerra al presidente

del Consiglio in data 25 dicembre 1919. Cit. in Rochat, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (1919-1925),

Bari, Laterza, 1975, pp. 170-171. Il documento parla di “9-10000” unità, ma è lecito approssimare per eccesso perché non calcola probabilmente i volontari irregolari inquadrati nella “Disperata” o nella Legione fiumana. In seguito il numero di questi effettivi “irregolari” divenne determinante di fronte al rientro nelle linee di molti regolari. In un promemoria del ministero della guerra del 2 marzo, gli effettivi a Fiume sono calcolati in 7.000 unità nonostante risulti un rinforzo delle truppe in Dalmazia. Ibid., p. 179, n. 111.

608 Questa richiesta fu avanzata in allegato alle controproposte, sotto minaccia di chiudere le trattative. Giuriati, op. cit.,

pp. 108-109; Badoglio, op. cit., p. 120

609 Anche questa era una richiesta specifica dello scrittore. Il 7 dicembre, parlando con Sforza, Rizzo e Giuriati

affermarono il loro dissenso dalla cosa. Rizzo arrivò a sostenere che dovesse esserci una punizione almeno per i capi. Giuriati, op. cit., p. 111. Badoglio tenne in piedi la trattativa con lo scrittore puntando sull’aspetto rituale e simbolico, sperando così di aggirare le posizioni di Giuriati. Il presidente della Trento Trieste arrivò a protestare con il suo collaboratore Coceani, parlando di un “triplo gioco” del governo: mentre a lui chiedeva di avanzare controproposte, al CN sottoponeva il primo modus vivendi, mentre “a d’Annunzio, a parte, egli scrive che manterrà le promesse fatte nei suoi colloqui per quanto riflette i militari che presero parte all’impresa di Fiume”. Lettera di Giuriati a Coceani in data 4 dicembre, in Coceani, op. cit., p. 164.

610Comisso, che partecipò a un rapporto in cui d’Annunzio aggiornò gli ufficiali sulle trattative, raccontò che in chiusura

avanzò una richiesta: “era suo desiderio avere, di nostro pugno, una descrizione degli avvenimenti ai quali avevamo partecipato per la presa di Fiume. «Tu» si rivolse a un colonnello che comandava un reparto di arditi, “dovresti descrivere il momento quando mi sei venuto incontro a cavallo alla testa dei tuoi arditi e ti sei posto ai miei ordini.” Gli occhi del colonnello brillarono di gioia e di turbamento, si sentiva dal più grande poeta d’Italia invitato a fare un’impresa che ancora non gli era toccata nella vita”. Comisso, op. cit., pp. 29-30. L’episodio è senza data, ma i riferimenti fanno pensare che sia avvenuto durante i negoziati per il modus vivendi. L’emozionato ufficiale di cui si parla è Repetto il quale, come si ricorderà, anche dopo l’ingresso a Fiume tenne l’effettivo comando della colonna di Ronchi.

freddo rapporto, ma un racconto vivace, e dirò così familiare, come ognuno farebbe attorno al focolare domestico, in un crocchio di amici, all’osteria”.611

D’Annunzio esigeva una degna uscita di scena che valorizzasse l’immagine sua e dei suoi “personaggi”, così come il 12 settembre aveva preteso da Prodam un’entrata trionfale. Una coreografia così faticosamente plasmata sui sentimenti collettivi non poteva chiudersi bruscamente. Giuriati sostenne le richieste di d’Annunzio perché probabilmente consapevole di quanto ciò fosse politicamente importante. Dietro la rappresentazione dannunziana, troppi volontari avevano accantonato le reciproche differenze tra lealisti, nazionalisti, repubblicani e rivoluzionari interventisti: una cattiva chiusura avrebbe scoperchiato il vaso di Pandora.

Segnali di una crisi

Il successo elettorale di socialisti e popolari mostrava quanto il paese fosse sensibile alle istanze di rinnovamento sociale, ma preferisse affrontarle lasciandosi alle spalle l’esperienza della guerra e l’atmosfera di radicalismo che caratterizzava la cultura combattentista. Nitti affrontò le questioni sollevate dalle elezioni con un intervento a Montecitorio, il 20 dicembre. In esso, il governo affermò la propria vicinanza agli alleati e confermò la propria fermezza di fronte alle minacce di sovvertimento delle istituzioni, tanto in senso militarista quanto bolscevico612.

Simili preoccupazioni agitavano la massoneria di palazzo Giustiniani, che aveva convogliato verso Fiume i mezzi, uomini e simboli della tradizione mazziniana. Abbiamo visto come questo patrimonio ideologico fu sfruttato da Giuriati sul piano della “rappresentazione” (e fosse riuscito ad attirare giovani come Nino Daniele o Kochnitzky) ma come, in realtà, esso non influenzasse la politica di quell’”Impresa di regolari” il cui scopo era manifestare il dissenso dell’esercito e affermare il dominio sull’Adriatico. Tuttavia, il 27 ottobre, il Grande Oriente decise di ristabilire l’equilibrio.

Secondo il Gran Maestro, era necessario “evitare la grande avventura della rivoluzione italiana pur valorizzando al massimo l’impresa fiumana” e, al contempo, evitare la deriva ultrareazionaria613. Il poema di d’Annunzio doveva assorbire il combattentismo repubblicano, trasformandolo in un contrappeso per il massimalismo socialista, per il militarismo conservatore e il tecnicismo governativo. Nella stessa riunione triestina del GOI, Oddo Marinelli rilevò che per ottenere questo risultato, era necessario modificare gli equilibri dell’entourage di d’Annunzio. Il primo passo per la “conversione” del poema fiumano era svincolare il comandante-scenografo da Giuriati e Reina, portandolo a maggior contatto con i numerosi ufficiali repubblicani, fascisti e fratelli del GOI presenti a Fiume. Marinelli quindi suggerì d’inviare a Fiume Alceste De Ambris, carismatico esponente del sindacalismo rivoluzionario, dell’Usi e del gruppo di San Sepolcro614.

De Ambris si recò per la prima volta a Fiume l’8 novembre, nello stesso giorno in cui al Teatro Verdi era celebrata la candidatura simbolica di Rizzo. I suoi ricordi ben delineano lo spirito dell’uomo e della svolta radicale che egli avrebbe impresso al canovaccio fiumano:

611 Comunicato ai reparti in data 18 dicembre 1919. AVf, SM, b. 195 “Diario storico e polizia militare”, f. 1. Il

proposito rimase anche dopo il rimpasto del Comando, evolvendosi nel progetto di un “Archivio storico” sotto il controllo della Segreteria particolare di Eugenio Coselschi. In questo secondo progetto, la scelta degli episodi sarebbe stata cura esclusiva della segreteria, che attraverso la selezione dei diari storici avrebbe stabilito la narrazione ufficiale. Segreteria particolare del Comando ai comandanti di reparto, 25 dicembre 1919, Ibid.

612 Cattaruzza, L’Italia e la questione adriatica, cit., pp. 363-366.

613 Dichiarazione di D. Torrigiani durante i lavori della Loggia Oberdan di Trieste in data 27 ottobre 1919. Cit. in

Serventi Longhi, op. cit., p. 130.

614 E. Serventi Longhi, op. cit., p. 131: “[O. Marinelli] cominciò a pensare a chi nel movimento operaio potesse

credibilmente modificare gli assetti del movimento fiumano, avendone il prestigio e la personalità e rappresentando un punto di convergenza tra ambiente militare, massonico e rivoluzionario. De Ambris sembrava essere la persona più adatta, rappresentando anche il ponte che poteva unire Giulietti ai combattenti repubblicani e fascisti”.

Ero partito dal regno per non sentir più parlare d’elezioni [...], e arrivavo a Fiume in pieno periodo elettorale. Ignoro anche adesso chi avesse avuto la bella idea di far eleggere, in un momento così poco indicato per simili esercitazioni, un deputato di Fiume, che non avrebbe poi potuto sedere in parlamento neanche un minuto.615

De Ambris, scrivendone a distanza di anni, probabilmente sapeva a chi attribuire l’idea; ciò giustificherebbe l’affondo polemico verso l’uomo di cui avrebbe preso il posto. La candidatura, come si ricorderà, era uno dei “diversivi” di Giuriati per trattenere “i bravi scavezzacolli” e mantenere l’entusiasmo tra i cittadini616. De Ambris, che assisté al comizio dell‘8 novembre da un palchetto, trovò tutto ciò rigido e noioso. Tuttavia, notò che

il pubblico delusissimo, composto in buona parte di legionarii [...] cercava invece ansiosamente ogni pretesto di dare sfogo alla sua passione, che non aveva niente di elettorale. Si veniva così formando, malgrado gli oratori, uno stato d’animo collettivo d’una incandescenza crescente e contagiosa, che guadagnava poco poco anche me.617

Il leader sindacalista aveva colto i due aspetti fondamentali di tutte le manifestazioni dell’”Impresa di regolari”: l’allestimento di celebrazioni che rappresentassero in modo esaltante l’”unanimità” e, al tempo stesso, il controllo delle emozioni dei partecipanti attraverso un rigido cordone cerimoniale. De Ambris aveva compreso in pochi minuti che la conquista “rivoluzionaria” della rappresentazione dannunziana si sarebbe combattuta sul terreno dei riti.

I segni di questa incomprensione rituale sembrano emergere durante le celebrazioni del 17 novembre, quando quell’elezione simbolica tanto deprecata da De Ambris venne chiusa trionfalmente alla presenza degli ospiti zaratini.

La cerimonia in municipio in onore del “deputato” Rizzo era terminata con un elegante ricevimento; tuttavia Ceccherini dovette lasciarlo di buon’ora per correre al palazzo del Comando. Infatti, nel frattempo, un corteo imprevisto sfilava per il centro cantando l’inno degli Arditi, e si adunò sotto il balcone di piazza Roma invocando d’Annunzio e Rizzo: era una chiara improvvisazione del rituale dell’Arengo del 20 settembre, culminante con il giuramento collettivo ai due “eroi”. Al posto delle due celebrità, apparvero al balcone Ceccherini e Reina, che salvarono la situazione improvvisando due discorsi di circostanza. La folla, dopo aver acclamato i due soldati, ritornò presso il monumento all’ancora, inneggiando a Zara618.

Quest’episodio rappresenta una svolta importante per il processo di costruzione del mito, e segna l’inizio della china che determinerà la fine del “primo atto” del poema. Se ne possono intravedere dei segni già il 4 novembre, con la decapitazione dell’aquila e il confronto indiretto Reina-Tancredi. Il cerimoniale istituzionale, scandito dalla scansione esclusiva “inaugurazione pubblica - convegno chiuso - ricevimento riservato”, subì l’innesto di una rumorosa manifestazione di strada culminante con l’invocazione coram populo del comandante e il ritorno sul monumento. In questo doppio canovaccio si avverte un’atmosfera di contrapposizione, che sembra sfogarsi nella diversità di linguaggio e nella riconquista degli spazi.

L’iniziativa sembra derivare da quell’“ossessione” per l’unanimità che abbiamo visto ricorrere nella vita pubblica fiumana fin dalle giornate del 29-30 ottobre 1918.

Prodam così raccontò la preparazione di quella prima mobilitazione di piazza:

615 A. De Ambris, Fiume (un tentativo di rinnovamento incompreso e vilipeso), opuscolo inedito cit. in Serventi Longhi, op. cit., p. 132, dove viene datato al 1934.

616 Il caso di Rizzo, candidato contemporaneamente a Fiume e Messina, è emblematico per la discrasia dei risultati. Nel

collegio regolare della sua città natale, l’”eroe di Permuda” e la lista dei combattenti furono battuti dai socialisti. Gerra, op. cit., I, p. 187.

617 A. De Ambris, Fiume, cit., opuscolo inedito cit. in Serventi Longhi, op. cit., p. 132. 618 La grande dimostrazione di iersera, «La Vedetta d’Italia», 19 novembre 1919.

Era ovvio che, in quei particolari momenti, la coesione di tutti dovesse rappresentare una necessità assoluta; era ovvio ancor più che la presenza di tutti coloro che pensavano italianamente dovesse verificarsi creando quei blocchi compatti di persone dai quali soltanto le idee rivoluzionarie si trasformano in virili coefficienti di azione. Così le telefonate, i richiami, i biglietti s’intrecciarono quella mattina [...].619

Per i partigiani dell’annessione, era necessario affermare la propria legittimità attraverso il rituale del “plebiscito” (e abbiamo visto come questo termine fosse elasticamente esteso a elezioni, assembramenti e cortei). Il bisogno di mettere in scena l’unanimità derivava dall’incontro tra le consuetudini civiche e il culto dell’autodeterminazione, e aveva plasmato lo svolgimento della lotta irredentista cittadina. Ogni momento di crisi poteva essere affrontato attraverso esplosioni collettive che mettessero in scena l’unanimità in modo commovente e indiscutibile. Prodam così ricordò il risultato della mobilitazione del primo plebiscito. Le sue parole ben traducono il tipo di suggestione che si voleva ottenere e lasciano immaginare il grado di spontaneo entusiasmo che lo spettacolo