Il 27 agosto, poche ore dopo aver terminato la costituzione sindacale, d’Annunzio incontrò Caviglia e gli regalò una copia del manoscritto. “Aggiunse che probabilmente dopo aver proclamato la Reggenza egli avrebbe abbandonato Fiume”, ricordò il generale, giudicandolo “un progetto che il suo ambiente non gli avrebbe mai permesso di effettuare”890. L’ambiente cui alludeva Caviglia
poteva riferirsi tanto ai nazionalisti che avevano eletto Fiume a base della penetrazione nei Balcani, quanto ai repubblicani e ai sindacalisti rivoluzionari che intendevano trasferire il movimento legionario in Italia.
Tra settembre e dicembre 1920, le vicende di Fiume si consolidano nell’immaginario di molti contemporanei, i suoi registi si moltiplicano, i suoi scenari si estendono al territorio nazionale e si affollano di nuove comparse. D’Annunzio continuò a trasfigurare le vicende di Fiume in una coreografia unitaria, cercando d’imprimere un indirizzo coerente a una narrazione che coinvolgeva buona parte dell’opinione pubblica. La proclamazione della “Reggenza” rappresentava un brillante espediente, che consentiva di adattarsi alle esigenze di rivoluzionari, militari e nazionalisti senza rinnegare la rappresentazione patriottica. Se il governo avesse riconosciuto la “Reggenza italiana” quale stato ufficiale di Fiume, la missione dei legionari sarebbe terminata pacificamente, e la marcia di Ronchi inclusa nel calendario patriottico istituzionale.
Questo capitolo affronterà la parabola dello “stato” dannunziano, seguendo come i numerosi registi del “poema in diretta” vissero il suo ultimo atto e prepararono il suo ingresso nella memoria pubblica. Il primo anniversario della marcia Ronchi rappresenta una svolta importante. Con questa ricorrenza la narrazione dannunziana diventa un mito politico da diffondere oltre Fiume. La celebrazione riunì tutti coloro che si sentivano ispirati dall’epopea legionaria, che declinarono il suo racconto pubblico secondo i propri valori e scopi. Con il trasferimento di questo racconto nel Regno, iniziò la contesa sotterranea tra i vertici dei movimenti combattentisti e tra chi intendeva sfruttare Fiume come pedina nello scacchiere balcanico.
L’anniversario di Ronchi: luoghi, celebrazioni e narrazioni
A New York la marcia di Ronchi ebbe una delle sue celebrazioni più emozionanti. Il rituale fu delimitato in un perimetro definito, ma fu imponente e coinvolse la comunità italiana, il fronte repubblicano e le figure chiave dell’alleanza durante la guerra. L’organizzatore era l’architetto Whitney Warren, uno dei più attivi collaboratori stranieri del Comando, che poté contare sull’appoggio del gotha repubblicano nella Grande Mela, come l’ex-governatore William Calder e il vicesindaco Fiorello La Guardia (figlio di triestina, aviatore sul fronte italiano e ammiratore di d’Annunzio). L’adesione di eminenti italoamericani come il senatore democratico Salvatore Cotillo, coordinatore della collaborazione bellica tra i due paesi, e il giudice John Freschi, diede all’evento un carattere culturale e politico. Circa settemila persone, tra civili, associazioni e veterani italoamericani, affollarono lo stadio del City College per partecipare al Fiume Day891.
Nel centro dello stadio, davanti alle bandiere delle provincie redente, sfilarono i veterani, le personalità pronunciarono i loro discorsi e il reduce garibaldino Palladini, in camicia rossa, orchestrò l’inno dei Mille e altri canti risorgimentali. Sul palco si alternarono altre personalità legate
890 Caviglia, op. cit., p. 186.
891 7000 celebrate Fiume Day here, «New York Times», 13 settembre 1920; per il contributo di Warren (nominato
delegato per gli Stati Uniti della Reggenza) nell’organizzazione della cerimonia e di altre iniziative pro-Fiume, v. J. T. Schnapp, Introduzione, in Vedette fiumane, pp. 19-21.
a d’Annunzio e all’aeronautica, come il figlio dello scrittore, Veniero, e il suo principale, l’ingegnere e imprenditore Giovanni Caproni. Il crescendo di applausi culminò con l’arrivo di Enrico Caruso, in quei giorni in tournée negli Stati Uniti. Il tenore eseguì una variazione sull’aria tradizionale “Le ragazze di Fiume” e chiuse la cerimonia con l’inno americano, accompagnato da tutto il pubblico. Finita l’esecuzione, il pubblico invase lo stadio, circondando il palco con un’ovazione diffusa a Garibaldi, d’Annunzio e Caruso892. Il lontano simbolo di Fiume aveva promosso una manifestazione collettiva dove attivismo politico e cultura di massa si fondevano in un senso di riscatto sociale e identitario. Per Caruso, quel trionfo tra i suoi connazionali d’oltremare fu una delle ultime esibizioni. Per tutti i partecipanti, fu l’occasione di celebrare l’Italia ideale e idealizzata delle comunità migranti, il cui legame con gli Stati Uniti si materializzava nei valori del Risorgimento e dell’irredentismo, sanciti dall’alleanza dell’ultima guerra. Grazie alla distanza geografica e al suo significato particolare, la celebrazione newyorkese celebrò il “mito dell’Impresa” con un pathos invidiabile per le città italiane e per la stessa Fiume.
Ai primi di agosto, il capo della delegazione legionaria a Milano aveva assicurato il Comando che “il 12 di settembre ridesteremo tutti i paesi d’Italia al ritmo delle canzoni fiumane”893. Il capoluogo lombardo e la città quarnerina erano le sedi dei due leader che ambivano a riunire la base combattentista sotto le suggestioni del poema fiumano. L’anniversario di Ronchi trovò Milano e Fiume come le due capitali dei combattenti, da cui erano irradiati i valori del “Rinnovamento nazionale”. Fiume organizzò la giornata come una “celebrazione totale”, dove le cerimonie ufficiali furono affiancate da spettacolari eventi pubblici. Milano diresse la mobilitazione in tutta Italia, dove i Fasci e i loro alleati riprodussero quest’atmosfera in rituali coinvolgenti, che diedero ai loro partecipanti l’idea di essere baluardo contro l’indifferenza del paese e delle istituzioni. Lo “spettacolo santo” traduceva lo spirito della “nuova politica”, le cui manifestazioni ambivano a coinvolgere l’intero tessuto urbano e i suoi strati sociali intorno a valori considerati indiscutibili. Nell’anniversario di Ronchi si trovano elementi che caratterizzeranno l’utilizzo della memoria e del mito nel linguaggio della nuova politica combattentistica.
“Vedi di convincerti che di sinceri fiumani all’infuori dei fascisti, in Italia non c’è nessuno nessuno nessuno!” scrisse Mussolini a De Ambris nei giorni della pubblicazione della costituzione, protestando per la mancata esclusiva al suo giornale, “che si batte da mesi e mesi”894. Il direttore del
“Popolo d’Italia” ribadì pubblicamente questo concetto nell’editoriale dell’11 settembre:
Quelli che hanno in questi dodici mesi gelosamente custodita la fiamma del Carnaro sono pochi. Siamo noi. Il governo di Giolitti non fa che imitare Cagoia.
E allora Fiume si proclama indipendente. [...] Gli Statuti d’annunziani non sono un componimento letterario - di sapore arcaico - come si è detto da taluni. No. Sono Statuti vivi e vitali. Non soltanto per una città, ma per una nazione. Non soltanto per Fiume, ma per l’Italia!895
Queste parole anticiparono il leitmotiv che avrebbe caratterizzato le celebrazioni fasciste in tutto il paese: il 12 settembre doveva “segnare la ripresa di quelle forze pure, decise e consapevoli della Nazione, non disposte alla resa e alla tregua verso i sabotatori e gli schernitori della vittoria ed i disintegratori della vita sociale”896. Per merito dei Fasci, chiunque che si riconoscesse nell’Impresa
892 Ibid.
893 F. Balisti a G. d’Annunzio, 3 agosto 1920, AVf, SC, f. “Balisti Fulvio”. 894Cit. Serventi Longhi, op. cit., p. 157.
895 B. Mussolini, Celebrazione, «Il Popolo d’Italia», 11 settembre 1920.
896 “Il Comitato Centrale dei Fasci Italiani di Combattimento ha testè stabilito che l’anniversario della epica marcia di
Ronchi - il gesto più maschio e superbo dell’Italia guerriera e vittoriosa - sia solennemente commemorato in tutta Italia, mediante pubbliche manifestazioni nelle quali l’occupazione e la indomita resistenza di Fiume siano degnamente rievocate e glorificate”. Per l’anniversario dell’occupazione di Fiume, «La Vedetta d’Italia», 13 agosto 1920. Per una cronaca dei preparativi e dello svolgimento nelle singole città, v. Fasci Italiani di Combattimento per il 12 settembre, «Il Popolo d’Italia», 1 settembre 1920; La celebrazione della marcia di Ronchi, «Il Popolo d’Italia», 15 settembre 1920;
fiumana poté trovare un circolo commemorativo nel proprio capoluogo, in collaborazione con nazionalisti, repubblicani o combattenti897. Nel canovaccio di queste celebrazioni “rivoluzionarie”, tuttavia, s’intravedevano già i segni di un ripiegamento della dirigenza fascista su posizioni d’ordine. Nei resoconti della giornata, i toni infiammati degli oratori contrastano con il carattere “civile” e il costante richiamo all’ordine. Il loro allestimento sembrò riavvicinarsi allo stile “borghese” delle celebrazioni pro Dalmazia favorite da Orlando. La rievocazione dell’Impresa fiumana rimase racchiusa nei teatri e nei circoli, e in più di un’occasione i relatori rimarcarono la volontà di non voler turbare l’ordine cittadino. Le coreografie marziali di Fiume arrivarono in Italia sotto forma di un’eco lontana, rievocata in assemblee dove il cittadino “patriota” poteva entrare in contatto con uniformi, decorazioni e gagliardetti. Questi segni indicavano che le “forze vive e feconde” del paese erano presenti, e che la commemorazione di Ronchi rappresentava l’occasione di ritrovare nuova “potenza d’azione”898. La presenza di testimoni e oggetti non doveva riprodurre il clima fiumano, ma alludervi, come a un momento passato da cui prendeva origine la militanza politica e civile dei Fasci. I resoconti del “Popolo d’Italia” sulle manifestazioni provinciali danno l’idea di un’organizzazione determinata a valorizzare l’associazionismo locale, ma convogliandolo in una griglia di linguaggi e valori. Essi dovevano incorniciare “di coesione, di forza, di vivo entusiasmo” quella che lo stesso quotidiano definì la “prima dimostrazione nazionale del Fascismo”899.
Il Comitato centrale dei Fasci fece propria la memoria della marcia di Ronchi, diffondendone l’apparato simbolico dal centro alla periferia. La celebrazione di Milano riassunse tutti gli aspetti di quest’apparato simbolico; nella narrazione fascista, se la vera “capitale d’Italia” era Fiume, Milano doveva essere la sua roccaforte e depositaria nel Regno. Per questo motivo Mussolini, invece di recarsi alla “corte” fiumana, rimase nel capoluogo lombardo, presiedendo la rievocazione nel “suo” teatro Lirico.
Il teatro era addobbato da una grande fascia tricolore che correva lungo la balaustra della prima galleria, mentre bandiere nazionali, bandiere di Fiume, della Dalmazia, di Trieste e di Trento pendevano dai palchi [...]. Sul palcoscenico, presso il tavolo dei relatori, spiccava un grande ritratto del Comandante; sullo sfondo facevano corona le bandiere delle associazioni aderenti alla manifestazione.
C’era la bandiera nera degli Arditi intervenuti in gruppo con il capitano Vecchi. [...] E c’erano anche le bandiere: del Fascio Milanese di Combattimento; dei Fasci italiani; del Comizio Veterani; della «Dante»; della Liberale Popolare; della Trento Trieste; del Partito del Rinascimento; della Liberale Milanese; della Liberale Giovanile; dei Garibaldini; della Democratica Lombarda; della Lega Padri dei Caduti; del Comitato onoranze ai Caduti; dell’Unione Liberale Democratica; del Gruppo Nazionalista; del Gruppo Giovanile Nazionalista; della Lega Azione Patriottica fra Impiegate; delle “Sorelle Legionari”; dell’Unione Generale Insegnanti, e altre.
Nell’attesa, la folla canta gli inni della Patria ed applaude l’“Inno del Carnaro”, musicato dal maestro Cesare Rossi su parole di Carlo Merlin ed eseguito dal corpo musicale “Garibaldi”. Tra la folla, composta in gran parte di giovani, di professionisti, di soldati, di ufficiali e di non pochi operai - la parte sana, produttrice e intelligente del popolo, insomma - erano numerose signore e signorine.
Quest’atmosfera si ripeté in altri capoluoghi, con l’occupazione simultanea dei maggiori teatri, ormai votati a tradizionali santuari della nuova politica. Così come abbiamo notato per le
La celebrazione in Italia della Marcia di Ronchi, «Il Popolo d’Italia», 14 settembre 1920; Com’è stata celebrata la marcia di Ronchi, «Il Popolo d’Italia», 16 settembre 1920.
897Introducendo la lista dei centri e delle iniziative minori, il “Popolo d’Italia”annunciava: ”Ovunque funzionano i nostri
Fasci ed i nostri nuclei fascisti sia laddove essi rappresentano ormai una forza reale capace d’imporsi agli avversari, sia ove essi poggiano soltanto su modesti nuclei di fedeli e di audaci, ovunque si prepara con fede operosa la commemorazione della giornata che il Comandante ha scelto per coronare il suo maschio gesto”. Rubrica Movimento Fascista, La commemorazione del 12 settembre, «Il Popolo d’Italia», 2 settembre 1920.
898 Manifesto pubblicato dal Fascio milanese il 10 settembre, Ibid. 899 Viva il Fascismo!, «Il Popolo d’Italia», 15 settembre 1920.
manifestazioni del 1919, un pubblico eterogeneo veniva riunito in un perimetro carico di simboli dal forte impianto unificante. La stessa atmosfera sacrale che l’anno precedente aveva convogliato energie diverse verso la causa adriatica, ora metteva in scena la ripresa della lotta sotto la tutela del fascismo.
La legittimità di questo ruolo fu confermata dagli interventi dei legionari chiamati come oratori. La loro “testimonianza” servì a dimostrare la comunanza tra il combattentismo, l’Impresa fiumana e il fascismo nella prosecuzione dell’obiettivo della “Rivoluzione nazionale”. Il comizio del Lirico, celebrato da un trio di oratori fascisti (tra cui lo stesso Mussolini), si chiuse con un intervento del legionario repubblicano Fulvio Balisti. Suoi commilitoni di simili tendenze parteciparono alle manifestazioni di altre città, ripercorrendo la storia rivoluzionaria dell’Impresa fiumana ed esaltando la nuova costituzione sindacale900. Le loro testimonianze diffusero la versione politica del poema fiumano, accentuando la fusione tra fiumanesimo e fascismo auspicata dai capi del combattentismo. Il carattere rivoluzionario di questa fusione variò secondo gli orientamenti degli organizzatori locali. Dove poterono, i Fasci si appoggiarono all’organizzazione locale degli alleati nazionalisti e repubblicani, i due poli ideologici riuniti dalla rappresentazione dannunziana. La spartizione delle aree si manifestò nella scelta degli spazi, degli oratori e nella modulazione della continuità con l’epopea garibaldina e del valore rivoluzionario della costituzione fiumana. Roma, terreno delicato per i progetti a lungo termine della dirigenza fascista, fu affidata dai nazionalisti che celebrarono la ricorrenza nella loro “seconda Camera”, l’Augusteo901. Il carattere lealista e conservatore delle celebrazioni romane non sfuggì al caustico commento dell’“Avanti!” che notò “i soliti oratori e i soliti discorsi. Evviva al comandante, a Fiume e alla Dalmazia e, naturalmente, gridi di abbasso il Pus ed il bolscevismo. Propositi fieri contro i nemici di dentro e di fuori e... marcia reale”902. In un altro importante centro come Torino, il palco fu condiviso dall’esponente nazionalista monarchico De Vecchi e il sansepolcrista Tancredi, che pose l’accento sui motivi che contrapponevano la “rivoluzione di Fiume” ai “rivoluzionari ufficiali, tesserati”903. Una diversa atmosfera si respirava a Venezia, affidata alla regìa del fascista sindacalista Marsich. Il capo del fascio veneziano dedicò la rievocazione alla missione politica del fiumanesimo, affermando “che se l’Italia non compirà il suo dovere annettendo Fiume, Fiume saprà annettere l’Italia”904.
Il sogno di un sovvertimento “fiumano” rinsaldava il legame del fascismo con gli antichi alleati repubblicani, che nelle loro roccaforti ebbero il monopolio della rievocazione. Così, mentre l’Anc di Ravenna dedicava il podio al legionario repubblicano Morea, che parlò della costituzione fiumana come dell’“inizio [...] di un nuovo patto sociale”905, Bologna organizzava un comizio attorno al sansepolcrista Ferrari e al gruppo dei bambini fiumani, nel contesto di un festeggiamento suddiviso tra le due ricorrenze repubblicane del 12 e del 20 settembre906.
I bambini svolsero un ruolo importante in alcune città, in particolare dov’erano presenti i comitati d’accoglienza più attivi. Comitive di piccoli “profughi” furono condotte ai comizi cantando canzoni patriottiche: la loro presenza provava l’impegno umanitario dei Fasci e metteva il pubblico in contatto diretto con il dramma fiumano907. Come gli oratori legionari e gli studenti dalmati d’inizio 1919, i bambini portavano la loro testimonianza.
900 Simili sono i casi di Morea a Ravenna, La Romagna per Fiume, «Il Popolo d’Italia», 1 ottobre 1920; Calosci a
Firenze e Marpicati a Brescia, La celebrazione della marcia di Ronchi, Ibid., 15 settembre 1920; di Sacelli a Venezia, La celebrazione in Italia della Marcia di Ronchi, Ibid., 14 settembre 1920.
901 Sul comizio all’Augusteo, Pref. di Roma a Dgps, 11 settembre 1920, ACS, MI, Ps 1920, b.8, f. 55. 902 L’aborto della celebrazione d’annunziana a Roma, «Avanti!», 14 settembre 1920.
903 Su Torino, Com’è stata celebrata la marcia di Ronchi, Ibid., 16 settembre 1920.
904 Su Venezia, La celebrazione in Italia della Marcia di Ronchi, «Il Popolo d’Italia», 14 settembre 1920. 905 La Romagna per Fiume, «Il Popolo d’Italia», 1 ottobre 1920.
906I repubblicani bolognesi per Fiume, «Il Popolo d’Italia», 14 settembre 1920.
907 A Ferrara, il pomeriggio fu interamente dedicato ai “bimbi stessi della Città santa col loro entusiasmo infantile e col
loro interminabile repertorio di canti patriottici”. La celebrazione in Italia della Marcia di Ronchi, «Il Popolo d’Italia», 14 settembre 1920; A Firenze e Genova furono condotti in comitiva ad assistere al comizio. La celebrazione della marcia di Ronchi, Ibid., 15 settembre 1920 Napoli Com’è stata celebrata la marcia di Ronchi. A Napoli, una bambina della comitiva salì sul palco per pronunciare un discorso di ringraziamento; «Il Popolo d’Italia», 16 settembre 1920.
L’esibizione della giovinezza fu un altro elemento di continuità con le manifestazioni dell’anno precedente, quando i più giovani furono incoraggiati a provocare piccole sommosse per scuotere l’opinione pubblica. Tuttavia le celebrazioni fasciste dispiegarono un pubblico di giovani inquadrati e disciplinati. La “prima dimostrazione nazionale del Fascismo” doveva mettere in scena un movimento capace di controllare la propria forza, che rassicurasse l’opinione pubblica senza rinnegare i propri principi.
L’elemento giovanile sembra essere protagonista solo nella controllata manifestazione romana, dove il comizio fu seguito da due cortei studenteschi scortati da carabinieri e poliziotti (“pareva guidassero una scolaresca a passeggio”, commentò l’“Avanti!”)908, e a Padova, dove all’uscita del teatro scoppiò un goliardico tafferuglio tra studenti manifestanti e contestatori con lancio di sedie del caffé Pedrocchi909. La mancanza di cortei dopo i comizi in teatro derivava probabilmente dalla necessità di comunicare ordine e disciplina. Uniche eccezioni documentate sono Napoli, dove una delegazione di Arditi depose una corona al monumento di Garibaldi davanti alla stazione910, e la “capitale” milanese. Qui, Mussolini e i dirigenti condussero un corteo “di cittadini e fascisti” che si lasciò convogliare dai cordoni di sicurezza tra il Lirico, piazza Duomo e la sede del Fascio, dove il vice segretario Morisi esaltò la “giornata di concordia” e terminò con l’invito a sciogliersi per evitare incidenti911.
Anche il bellicoso fascismo del confine orientale fu coinvolto in questo pacifico clima commemorativo. Grazie alla presenza di carismatici registi, l’attivismo paramilitare fu convogliato in rituali dall’aspetto marcatamente “borghese”. Il fascio militare di Pola, beneficiando della presenza di Michele Bianchi e dell’invio di omaggi da parte di d’Annunzio, organizzò un comizio al Politeama e un ricevimento all’Hotel Excelsior dedicato alla comunità italiana. Durante la serata, mobilitazione politica e civile si fusero con la consegna di medaglie di Ronchi agli attivisti benemeriti e la finale del concorso per il titolo di “reginetta del Carnaro”912. Anche il Fascio triestino di Giunta eseguì degnamente la volontà del Comitato centrale, mettendo da parte le bardature paramilitari e celebrando l’anniversario attraverso i canoni della commemorazione “borghese”.
Il fondatore dello squadrismo guidò una comitiva di attivisti in pellegrinaggio a Ronchi. La prima tappa fu il cimitero militare, dove le ragazze del gruppo sparsero ciclamini tra le tombe. Dopodiché la comitiva si portò davanti alla casa che aveva ospitato d’Annunzio, dove fu inaugurata una targa. In mancanza di muratori “disposti a lavorare per i fascisti”, fu Giunta in persona a murare la lapide che recitava:
La notte sul XII settembre MCMXIX - presente la grande ombra di Guglielmo Oberdan - Qui sostava - arso di febbre e di volontà eroica - Gabriele d’Annunzio - in attesa dell’alba radiosa - che vide - la marcia dei legionari - dietro l’ultimo volo - della vittoria.
Il piccolo edificio diventava, per la seconda volta, il luogo dove si materializzava l’invenzione di una continuità storica. Durante la notte del 12 settembre, d’Annunzio aveva raccontato che in quella casa era stato arrestato Oberdan perché i suoi compagni si sentissero fisicamente parte del cammino risorgimentale. Ora il Fascio fissava la propria targa in ricordo di quella notte perché i fascisti si sentissero i custodi dell’Impresa fiumana e della sua continuità con l’irredentismo.
908“I soliti oratori ed i soliti discorsi. Evviva al comandante, a Fiume e alla Dalmazia e, naturalmente, gridi di abbasso il
Pus ed il bolscevismo. [...] Forse D’Annunzio non poteva avere più indegna commemorazione: un corteo di cinquanta mocciosi ed i discorsi di un prete e di uno sfacciato crumiro al servizi del Governo”. L’aborto della celebrazione d’annunziana a Roma, «Avanti!», 14 settembre 1920. Sullo svolgimento dei cortei, Questura di Roma a Dgps, 12 settembre 1920, ACS, MI, Ps 1920, b.8, f. 55.
909 Pref. di Padova a Dgps, 12 settembre 1920. Ibid.
910 La celebrazione in Italia della Marcia di Ronchi, «Il Popolo d’Italia», 14 settembre 1920.
911 La celebrazione in Italia della Marcia di Ronchi. A Milano, «Il Popolo d’Italia», 14 settembre 1920; Pref. di Milano