Dal poema patriottico al poema politico
I legionari che stanno a guardia del Quarnaro hanno chiara la coscienza d’esser partecipi d’una delle più grandi e significative manifestazioni dello spirito di libertà e giustizia, vittorioso di tutte le forme retrive del vecchio mondo. [...] Sarebbe grave danno se, con la dispersione materiale degli elementi preziosi adunati in Fiume, che seguirà inevitabilmente la conclusione dell’impresa, dovesse verificarsi pure la dispersione della forza collettiva che questi elementi rappresentano.621
Erano parole di un manifesto che il 10 dicembre circolò tra gli ufficiali del Comando di Fiume. Era intitolato Il Rinnovamento (ispirato alla testata del sindacalismo rivoluzionario), ed era sottoscritto da Alceste De Ambris, da Mario Carli e da altri 54 nomi622. In quest’elenco spiccavano i più noti e giovani ufficiali che avevano raggiunto Fiume. Erano aristocratici, pluridecorati, rampolli dell’alta borghesia e intellettuali. Tra di essi molti erano Arditi, fascisti, repubblicani e massoni. La maggior parte non era inquadrata in alcuno dei reparti “regolari” che occupavano Fiume, ma era confluita sul Carnaro spinta dalla militanza politica o dal rapporto personale con d’Annunzio. Per questi eleganti sbandati, il Comando aveva istituito due organi istituiti ad hoc: la “Segreteria speciale” e il “Battaglione ufficiali”. Pur essendo una minoranza esclusa dalla gestione del Comando, alcuni di loro, come Keller e Miani, avevano contribuito alla buona riuscita della marcia e sull’elevazione di d’Annunzio a “comandante”. Questo gruppo intensificò la sua attività intorno alla fine di ottobre, di concerto con le decisioni del GOI di Trieste e la ripresa delle attività dei repubblicani fiumani623.
621 Manifesto Il Rinnovamento, 10 dicembre 1919, AV, Fondo Viti, volume III.
622 Ibid. Il manifesto era sottoscritto da ufficiali che avrebbero avuto ricoperto ruoli importanti nei mesi successivi. Tra
loro c’erano Umberto Foscanelli, Giovanni Bonmartini, Antonio Masperi, Cesare Briganti, Guido Keller, Ludovico Toepliz e Fulvio Balisti. C’era Ulisse Igliori, l’ufficiale decorato il 20 settembre; i fascisti “triestini” Ercole Miani e Francesco Giunta; i principali esponenti del gruppo trentino Italo Lunelli, Giuseppe Piffer e Pier Filippo Castelbarco. Ibid. Serventi Longhi identifica alcuni di loro come fratelli del GOI: Igliori, Keller, Bonmartini, Briganti, Piffer, Toepliz, Balisti. Serventi Longhi, op. cit., p. 135.
623 Il 30 ottobre un rapporto del Commissariato Straordinario per la Venezia Giulia comunicava: “La Sezione
Repubblicana di Fiume svolge attivamente un’intensa propaganda fra le truppe per attrarle dalla sua parte [...]. Alle idee della Sezione hanno intanto aderito numerosi ufficiali di fede repubblicana, rivoluzionari accesi; fra essi si trovano quasi tutti gli ufficiali della Segreteria Speciale del Comandante D’Annunzio. Questi ufficiali, che formano in gran parte l’entourage immediato del Comandante, svolgono sottile opera per attrarlo dalla loro parte. Nel contempo lo tengono all’oscuro di tutto ciò che possa far trapelare le loro mire”. Cit. in Longo, op. cit., I, p. 325. La ripresa dell’
Una storia dei gruppi di potere che caratterizzarono l’impresa fiumana dev’essere ancora scritta. Ciò che qui importa rilevare, è come i firmatari del Rinnovamento trasformarono la “rappresentazione” dell’Impresa fiumana iniziando da un manifesto che reinterpretava la marcia su Fiume in chiave rivoluzionaria. Abbiamo visto come queste immagini avessero spinto molti idealisti e avventurieri a prendere il treno per Fiume. Allo stesso modo, abbiamo visto come il pericolo di una loro strumentalizzazione avesse imposto un controllo simbolico sugli Arditi. Con il manifesto del 10 dicembre il recinto cerimoniale eretto da Giuriati e Reina venne rotto, e le rappresentazioni della “rivoluzione nazionale” si rivoltarono contro chi le aveva evocate.
Quando Giuriati e Rizzo tornarono a Fiume con il secondo modus vivendi offerto dal governo, trovarono il Comando in subbuglio. I firmatari del Rinnovamento, appoggiandosi agli annessionisti oltranzisti, avevano innescato una mobilitazione contro la trattativa. Venne diffusa in città la voce di un’imminente cacciata di d’Annunzio, e lo stesso Reina fu arrestato con l’accusa di aver tramato contro il Comando624.
La rappresentazione dell’unanimità e il rito dell’Arengo furono il terreno su cui si giocò il golpe. Quando, il 15 dicembre, il Consiglio Nazionale approvò il modus vivendi, gli oltranzisti mobilitarono una rumorosa folla davanti al balcone di d’Annunzio. Il rito dell’Arengo, nato per inscenare il giuramento collettivo per acclamazione, in questo caso fu utilizzato al rovescio: quando lo scrittore apparve e lesse ad alta voce le clausole del trattato, fu interrotto da boati di disapprovazione625. Era un “rifiuto per acclamazione” che delegittimava pubblicamente la deliberazione del Consiglio Nazionale e il negoziato di Giuriati.
D’Annunzio, conteso tra le fazioni, convocò così un “vero” plebiscito affidando così alle urne la decisione sulle proposte del governo; le elezioni furono convocate per il 18 dicembre. Com’era avvenuto con gli altri appuntamenti collettivi, gli oltranzisti cercarono trasformare la consultazione elettorale in una celebrazione del “no”. La città fu tappezzata di manifesti che incitavano i fiumani a “non essere spergiuri” e persino la “Vedetta d’Italia” - il cui proprietario si era pronunciato per l’accettazione - vide la redazione occupata da attivisti e militari626.
D’Annunzio, certo della vittoria del “sì”, era seriamente preoccupato per i destini dell’”Impresa”; nelle ore precedenti alla votazione cambiò ripetutamente idea secondo le suggestioni che subiva. Nelle ore precedenti il plebiscito, scrisse a Siciliani annunciando di volersi spostare a Trieste per portare la bandiera di Randaccio a San Giusto e chiedendogli se fosse possibile mantenere una rappresentanza di volontari ad honorem “per non aver l’aria di essere cacciati”627. Questa preoccupazione agitava anche molti cittadini favorevoli all’accordo. L’ufficio propaganda dei volontari, assicurando che i fiumani “hanno immutata la loro fede nel Comandante e nei suoi legionari e non vogliono cacciarli dalla loro città” e “col più profondo dolore [...] saluteranno la loro partenza”, riferiva che
La maggior parte dei legionari è favorevole ad accettare le proposte del governo senza nascondersi le preoccupazioni per la Dalmazia e per l’esecuzione del trattato perché riconoscono che concessioni migliori non si potranno mai avere. Li addolora vedere che questi sentimenti nostri e di parte della popolazione non sono compresi da un gran numero di nostri compagni d’armi.628
attività politica si concretizzò il 2 novembre, con la fondazione della sezione fiumana del Partito repubblicano, Costituzione della Sezione Fiumana del P.R.I., «La Vedetta d’Italia», 4 novembre 1919.
624 Sul “pronunciamento” ha scritto De Felice, D’Annunzio politico, pp. 53-54. A sciogliere il nodo dei suoi
componenti, ha contribuito Serventi Longhi, op. cit., pp. 134-136, con la citazione del manifesto del Rinnovamento.
625 Giuriati lo definì “un fatto [...] strano e assurdo”, omettendo il suo ruolo fondamentale di regista dei rituali collettivi
nei mesi precedenti: “D’Annunzio si presentò alla balaustrata. Anziché spiegare da chi erano state promosse le trattative, come si erano svolte e la importanza dei risultati conseguiti, lesse, senza commentarli i documenti predisposti. Successe quello che era logico succedesse.” G. Giuriati, op. cit., p. 114.
626 È significativo che la testimonianza sui manifesti è data da un Ardito partigiano del “rifiuto”. Giuliotti, op. cit., p.
134. Sull’occupazione della “Vedetta”, P. Alatri, D’Annunzio, cit., p. 439.
627 Gerra, op. cit., I, pp. 205-206.
628 Ufficiale di collegamento P al Comando di città sez P, Relazione sul servizio P, 18 dicembre 1920, AVf, SM, b. 195
Ma in quelle ore apparve un manifesto di d’Annunzio che affermava: “Se il popolo crede che le nostre vite e le nostre armi non sieno necessarie a garantire l’esecuzione dell’impegno, bisogna che lo dica senza ambiguità e senza indugio”629. La pubblicazione era forse dovuta al fatto che lo
scrittore fosse circondato dagli ufficiali del Rinnovamento, che durante l’elezione lo portarono addirittura lontano dal Palazzo630. Nonostante il “ricatto morale”, il clima d’intimidazione e la propaganda martellante, la schiacciante maggioranza degli elettori votò per l’accettazione. L’esito sembrò confermare ufficialmente il termine dell’impresa patriottica, al punto che il Fascio triestino di combattimento inviò un messaggio di plauso a d’Annunzio e ai legionari “la cui opera fulminea e devota ha raggiunto lo scopo agognato di associare per sempre Fiume e Trieste Città sorelle”, dove auspicava che lo scrittore “compiuta ormai l’intrapresa generosa che pone finalmente termine al lungo sacrificio delle terre redente” portasse la bandiera di Randaccio a San Giusto631.
Quando si diffusero le prime proiezioni dello spoglio, il centro cittadino fu invaso da una rumorosa manifestazione di oltranzisti borghesi e militari. Quando Giuriati protestò con d’Annunzio per i numerosi episodi d’intimidazione, lo scrittore emanò un proclama dove, prendendo abilmente a pretesto “irregolarità connesse da entrambe le parti”, annullò la votazione632. L’annullamento del processo elettorale fu seguito da un’altra manifestazione dell’Arengo, durante il quale d’Annunzio cercò di dimostrare retoricamente come il risultato della votazione fosse inficiato dal voto contrario di tre illustri membri del Consiglio Nazionale, ovvero Grossich, Gigante ed Host-Venturi633.
Nei tre giorni successivi, Giuriati tentò ancora di mediare con d’Annunzio, coinvolgendo il 22 dicembre persino l’esponente nazionalista Foscari. Durante una pausa della trattativa, tuttavia, venne mobilitato ancora l’Arengo; lo scrittore, inaspettatamente, improvvisò un discorso in cui condannò aspramente gli “ambasciatori”634. Ciò convinse Foscari, Giuriati e Rizzo a partire da Fiume, nella speranza di poter meglio gestire la politica adriatica lontano dall’incandescente clima creatosi attorno a d’Annunzio.
In quei giorni, il conflitto ai vertici aveva privato di regìa l’intera rappresentazione. Senza una direzione unitaria, i rituali collettivi misero drammaticamente in mostra l’irrazionalità e le contraddizioni che sopravvivevano sotto la scenografia dannunziana635. “I pazzi hanno il
629 Alatri, D’Annunzio, cit., p. 439. Inoltre, chiese a Gigante di aggiungere espliciti riferimenti a lui e ai suoi volontari
nella domanda del plebiscito.
630 Incrociando le testimonianze disponibili, si ricava che lo scrittore attese effettivamente i risultati delle urne presso
l’”Ornitorinco”, un locale di periferia dove si riunivano i membri della “Segreteria speciale”. Longo, op. cit., I, p. 336; Kochntizky, op.cit., p. 119; Comisso, Le mie stagioni, cit., p. 33.
631 Fasci italiani di Combattimento - Sezione di Trieste a G. d’Annunzio, 19 dicembre 1920, AVf, SM, b. 209 “Legione
volontari fiumani. 1919-1921. Comando I° battaglione atti vari”, f. 6.
632 Sull’annullamento della votazione, e in generale sui tumulti cittadini, v. i rapporti informativi riportati da Longo, op, cit., I, pp. 335-340.
633 L’Urna inesausta, (cit. in Gerra, op. cit., I, p. 211) è forse uno dei più deboli esempi della retorica dannunziana. In
esso si nota la composizione improvvisata e la stessa confusione dell’oratore, che annulla di fatto il giudizio popolare nel parere contrario di tre uomini e, sopratutto, arriva a distorcere la posizione di Rizzo e Giuriati (“sono anch’essi tristi”).
634 Il resoconto dell’episodio, epurato dal discorso, è riportato in Il Comandante, acclamato dalla folla, delibera la resistenza, «La Vedetta d’Italia», 24 dicembre 1919.
635 Un’informativa per il comando dell’esercito in data 20 dicembre 1919, riferiva: “Stà di fatto che ora la popolazione
non sa spiegarsi perché, tenuto conto della predetta dichiarazione, non siano stati accettati i patti del Governo. Gli ambienti civili cominciano a ritenere che il D’Annunzio e il suo entourage siano in mala fede”. Cit. in Longo, op. cit., I, p. 338. Lo sgretolamento dell’impalcatura propagandistica accompagnò la parabola dell’entusiasmo di tutti coloro che vi erano coinvolti. Persino tra i seguaci più entusiasti c’era chi, come il volontario adolescente Renato Schettini, scriveva al padre il 23 dicembre: “Qui avvengono cose dell’altro mondo. Nitti ha fatto al governo di D’Annunzio delle proposte che sono accettabilissime. Il Consiglio Nazionale di Fiume, il popolo stesso con un plebiscito e perfino Rizzo hanno dichiarato di accettarle, solo D’Annunzio, o per ambizione o per quale mai ragione, le ha rifiutate dichiarando di non voler andarsene. Io non ci capisco più niente”. Cit. in Ercolani, La fondazione..., p. 9. Queste sensazioni erano condivise anche ai vertici. “Ti confesso che non ci capisco niente” fu l’esordio con cui Sinigaglia chiedeva spiegazioni a Giuriati: “...non riesco a capire come si possa essere mandato tutto all’aria, [...] se non si esce da questa situazione, si fa il giuoco dei nostri nemici, dei nemici della Patria, e si rovina Fiume: di fronte a questo pericolo, tutto il resto non
sopravvento e ci avviamo verso la tirannia” scrisse Giuriati a Sinigaglia636. La sua complessa impalcatura si era dissolta, lasciando il campo a quel combattentismo eversivo che aveva cercato di piegare ai propri fini. In questo vuoto di potere, i firmatari del Rinnovamento ottennero il Comando: il 21 dicembre d’Annunzio in persona scriveva a De Ambris, invitandolo a Fiume637.
Quest’ultimo, assieme al presidente degli Arditi Carli, fu candidato a sostituire Giuriati. Il ballottaggio tra i due maestri della “nuova politica” durò fino al 9 gennaio, quando la scelta cadde definitivamente su De Ambris638.
Il sindacalista era, come abbiamo visto, il prescelto dal GOI per valorizzare la componente democratica dell’Impresa di Fiume; in questo modo, sarebbe stato possibile creare una valvola di sfogo per il combattentismo eversivo e una roccaforte dell’anti-socialismo. Carli era una figura troppo compromessa con l’estremismo paramilitare, troppo vicina al futurismo e inoltre ammirava troppo lo stile di Lenin639. Inoltre, la sua presenza ai vertici avrebbe potuto adombrare la necessaria elevazione di d’Annunzio a “capo” degli Arditi. Carli rimase dunque ai margini, continuando pazientemente a trasferire i valori dell’arditismo sui volontari e ricavandosi - come si vedrà - un ruolo di primo piano nella costruzione del mito.
De Ambris arrivò a Fiume con l’obiettivo di creare un movimento politico640. A questo scopo, intendeva imprimere ai volontari dannunziani un’educazione basata su un determinato patrimonio di valori: quelli del sindacalismo rivoluzionario, già propugnati anteguerra dall’Usi e dalle teorie di Agostino Lanzillo. La terza via suggerita dal sindacalismo rivoluzionario prefigurava una società corporativa, fondata sull’esaltazione dell’identità individuale e nazionale641. Di qui, derivava il
riconoscimento del culto della nazione e della guerra come processo di evoluzione collettiva. Era una visionaria prefigurazione del futuro che, trasmessa alla base e influenzando la cultura del combattentismo, aveva contribuito a creare il mito della “Rivoluzione nazionale”. Questo patrimonio ideologico era parte integrante della contraddittoria koinè dannunziana.
Tra gennaio e marzo, De Ambris ebbe numerosi colloqui con d’Annunzio, durante i quali si parlò lungamente della terza via e della sua adattabilità al contesto fiumano. Nacque così il progetto di realizzare un modello di costituzione fondata sui valori del sindacalismo rivoluzionario, da consegnare all’opinione pubblica e al mito come frutto dell’ingegno politico di d’Annunzio. Dopo aver saggiato l’entusiasmo dello scrittore, il leader sindacalista gli sottopose la propria bozza di costituzione, proponendogli di riscriverla in bella prosa e di promulgarla con il suo nome. D’Annunzio accettò con entusiasmo l’idea di arricchire il poema con un nuovo capitolo “rivoluzionario”, che sarebbe entrato nel mito come la Carta del Carnaro. De Ambris inaugurò così un nuovo modo di utilizzare la il “poema in diretta” dannunziano. Affidando il proprio ordinamento allo stile e alla firma di d’Annunzio, il leader sindacalista avrebbe ottenuto un manifesto politico in grado di riunire non soltanto il volontariato fiumano, ma tutto il mondo combattentista.
Mentre i negoziati internazionali rendevano sempre più vicina la proclamazione a “città libera”, il Comando avrebbe offerto a Fiume un ordinamento che ne avrebbe garantito l’italianità: così il Comando annunciò l’inizio di questo progetto all’opinione pubblica, ai fiumani e ai volontari, tacendo sul suo contenuto e alimentando una suspense che durò per tutta la primavera e l’estate del 1920. Il clima di attesa e le anticipazioni di una costituzione repubblicana furono il reagente che rivelò i gravi conflitti tra il Comando e la città. La necessità “civica” e patriottica della costituzione
vale niente”. La lettera si riferisce alla convocazione del plebiscito. O. Sinigaglia a G. Giuriati in data 16 dicembre 1919, in AMSF, FPF, b. 19, f. 5.
636 G. Giuriati a O. Sinigaglia in data 18 dicembre 1919, in AMSF, FPF, b. 19, f. 5. 637 Serventi Longhi, op. cit., p. 136.
638 Ibid., op. cit., p. 137.
639 Sull’orientamento estremista di Carli, v. Salaris, op. cit., 117-129.
640 Sui progetti di De Ambris, v. De Felice, Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel carteggio De Ambris-
D’Annunzio (1919-1922), Brescia, Morcelliana, 1965, p. 62; Id., (a cura di), La Carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e Gabriele D’Annunzio, Bologna, Il Mulino, 1973, pp. 18-19. Serventi longhi, op. cit., p. 142-146.
641 Sulle teorie di Agostino Lanzillo e la loro influenza su De Ambris, v. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista, pp.
fiumana divenne parte della grande rappresentazione, per giustificare la sua promulgazione davanti all’opinione pubblica e calmare gli oppositori.
Vedremo come nei comizi pubblici dedicati alla Costituzione, De Ambris si presentasse a fianco di d’Annunzio; così come aveva affidato il testo alla sua firma, così il sindacalista si servì del carisma personale dello scrittore per assicurarsi il sostegno dei volontari, degli attivisti e di tutti coloro che in d’Annunzio si riconoscevano.
Il problema della sua applicazione non pare rispondesse né agli obiettivi politici di De Ambris, né a quelli letterari di d’Annunzio. La costituzione doveva essere il primo capitolo di un poema politico sospeso nella storia, che si sarebbe incastonato nell’epopea patriottica di d’Annunzio (così come la medaglia di Ronchi) e avrebbe sancito l’egemonia ideologica di De Ambris sulla comunità che s’ispirava all’Impresa fiumana.
Un progetto di “sospensione” è visibile già nelle dichiarazioni che precedettero la sua promulgazione. Il 18 marzo, facendo il punto delle loro discussioni, il sindacalista riassumeva a d’Annunzio la giustificazione dell’Impresa costituzionale:
Poiché la prepotenza e la viltà che dominano il mondo ci costringono a tanto, diamo al Mondo l’esempio di una Costituzione che in sé accolga tutte le libertà e tutte le audacie del pensiero moderno, facendo rivivere le più nobili e gloriose tradizioni della nostra stirpe. [...] Così Fiume perpetuerà la sua missione e rimarrà quale Tu l’hai voluta e fatta, un fare lucente nel tenebrore in cui brancolano le genti in cerca di una vita.
Un mese dopo, durante un’intervista, d’Annunzio la presentò come un progetto provvisorio, funzionale all’annessione, che tuttavia “potrebbe sempre rimanere come un esempio a tutto il mondo dell’aspirazione di un popolo e di un gruppo di spiriti”642; in un comunicato ufficiale di poco distante, annunciò che “esso non è da considerare se non come il documento severo di una esperienza vitale e come il coronamento di una impresa coraggiosa in servizio della giustizia e della libertà”643. Erano parole che avrebbe vincolato i volontari dannunziani alla “memoria” fiumana anche dopo la fine dell’Impresa. Queste prefigurazioni concessero a d’Annunzio il tempo di elaborare il testo della costituzione, dandole un registro rinascimentale e integrandola con passi riguardanti l’architettura, la religione e la musica644. L’opera lo impegnò duramente per tutta l’estate del 1920, al punto da surclassare gli impegni pubblici: “Non posso andare in piazza. Debbo, voglio finire. L'arte è lunga, e la vita è breve” scriveva alla segreteria del Comando, quattro giorni prima della pubblicazione645. Lo scrittore diede la sua arte e la sua firma al documento di De
Ambris perché consapevole del grande impatto che avrebbe avuto sulla creazione di una memoria patriottica e rivoluzionaria. E di questo era consapevole anche il “soggettista” De Ambris, che poté divulgare il suo programma presentandolo come un’“opera grande”, cui
Gabriele D’Annunzio si è accinto [...] con la stessa serena fiducia nelle sue forze che gli ha reso possibile di essere in ogni ora quel che ha voluto: poeta, romanziere, trageda, oratore, cavaliere, fante, marinaro, aeronauta, condottiero, capo di stato, vittorioso sempre, gloriosissimo sempre.646
642 Importanti dichiarazioni del Comandante a un giornalista ungherese, «Bollettino Ufficiale» [seconda serie], n. 16,
13 aprile 1920.
643 False voci sulla costituzione fiumana, «Bollettino Ufficiale» [seconda serie], n. 17, 21 aprile 1920. 644 De Felice, La Carta del Carnaro, cit., p. 13; pp. 71-75.
645 G. d’Annunzio a G. Piffer, 14 agosto 1920, MCRR, b. 892, Carteggio d’Annunzio-Piffer, n. 892/70.
646 La Costituzione di Fiume. Commento illustrativo di A. De Ambris, cit. in De Felice, La Carta del Carnaro, cit., ap.
2, p. 91. Quest’immagine circolava anche tra i principali esponenti dell’Impresa, se si prendono alla lettera i loro commenti. Mario Carli definì la costituzione come un “capolavoro dannunziano [...] ispirato e dettato dalla genialità superiore di Gabriele d’Annunzio, assistita dal senno politico e dall’esperienza sociale di Alceste de Ambris. Solo il popolo italiano è capace di esprimere il miracolo di un uomo-sintesi che sia artista e diplomatico, soldato e oratore, sportman e profeta, condottiero e legislatore”. M. Carli, Con D’Annunzio a Fiume, p. 82. Lo stesso accadde ai militari al