Prima dell'ingresso sulla scena pittorica veneziana sappiamo di alcuni interventi decorativi commissionati a Battista Zelotti nell'entroterra veneto. Tra le più importanti commissioni risalenti a quest'epoca emergono le imprese realizzate nel palazzo vicentino di Giuseppe da Porto, nella villa dello zio Francesco da Porto a Thiene e nella dimora di Alvise e Benedetto Soranzo a Treville di Castelfranco.85 In tutti e tre i casi i cicli pittorici sono andati perduti e nelle circostanze più favorevoli sopravvive qualche frammento avulso dall'originario contesto che li ospitò. Palladio e soprattutto Vasari ci consegnano notizie preziose, seppur sintetiche, relative all'opera del pittore in questo primo periodo.
Le imprese in questione si caratterizzano in quanto attività di compartecipazione: Zelotti e Caliari rappresentano un sodalizio artistico affiatato e produttivo. Vasari infatti descrive Battista e Paulino uniti da un medesimo impegno e da un continuo susseguirsi di commissioni. Significativo è il fatto che egli inserisca il profilo di questi e di altri artisti veronesi, nella Vita di Michele Sanmicheli. Menzionando villa Soranzo, Vasari cita esplicitamente questo legame privilegiato che unisce l'architetto ai due pittori:
[Zelotti] Col medesimo [Caliari] lavorò molte cose a fresco nel Palazzo della Soranza a Castelfranco, essendovi amendue mandati a lavorare da Michele San Michele, che gl'amava come figliuoli.86
Nel cantiere della villa di Alvise Soranzo lavorò anche Anselmo Canera, un pittore veronese appartenente alla stessa generazione e allo
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Per quanto riguarda le vicende architettoniche, cfr. Puppi, 1971, pp. 83-87; Hemsoll, 1995, pp. 92-100.
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stesso ambito figurativo di Zelotti e Caliari.87 Come si vedrà in seguito, l'architetto esercitò una funzione fondamentale nel proporre gli artisti veronesi a quanti entrarono in contatto con lui: le notizie archivistiche recentemente acquisite non fanno altro che confermare questo ruolo di ''committente secondario''.88
Vasari rileva il fatto che essi in quell'occasione abbiano realizzato ''un infinito numero di figure che acquistarono all'uno e all'altro credito e riputazione''.89 Lo studio di figura costituiva il soggetto più interessante per i manieristi centroitalici, dei quali lo stesso Vasari faceva parte. Durante il suo soggiorno veneziano, agli inizi del settimo decennio, egli prestò particolare attenzione alle novità penetrate nell'ambito pittorico veneto affini al suo orientamento stilistico.90 A confermare la fervente attività pittorica di quegli anni sopravvivono rari frammenti provenienti dalla villa di Alvise Soranzo, demolita nel 1818.91 Seguendo la testimonianza di Carlo Ridolfi si può provare a ricostruire l'impresa scomparsa: il ciclo decorativo avrebbe compreso una loggia, una sala e due camere. La loggia sarebbe
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Luciana Crosato Larcher solleva qualche dubbio sulla presenza e l'intervento di Anselmo Canera nella Soranza a Treville di Castelfranco. Soffermandosi su una frase di Vasari suppone che l'artista possa aver lavorato per i Soranzo, ma in qualche altro edificio: ''Lavorò molte opere a olio e a fresco alla Soranza sul Tesino e Castelfranco nel palazzo dei Soranzo'', Vasari, 1568, (1878- 1885), VI, p. 455-456. Crosato Larcher, 20084, p. 519.
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Spetta a Paul Davies e Devid Hemsoll questa felice espressione. Efficacemente i due studiosi definiscono Sanmicheli ''committente secondario'' e arbitro del gusto: essi rilevano il peso del suo intervento nel proporre tutta una serie di artisti veronesi al milieu veneziano. I suoi rapporti col patriziato lagunare possono essere connessi alla sua principale attività di architetto militare della repubblica di Venezia. Cfr. Davies – Hemsoll, 2004, p.60-61.
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Vasari, 1568, (1878-1885), VI, p. 369. 90
Brugnolo Meloncelli, 1992, p. 13. 91
La villa, edificata da Sanmicheli per il nobiluomo veneziano Alvise di Vettore di Giovanni Soranzo, fu demolita intorno al 1817. (Cfr. Bordignon Favero, 1958, p. 12). Prima della sua distruzione il conte Filippo Balbi fece strappare gli affreschi trasportandoli su tela. I pezzi recuperati erano più di cento e il conte li radunò in un ''palazzetto''. Alcuni frammenti li tenne per sè, altri li donò al Duomo di Castelfranco Veneto, altri ancora li donò ad amici. Nel 1830 i frammenti appartenuti al conte Balbi figuravano già in Inghilterra. Del centinaio di affreschi strappati da Balbi, giungono ai nostri giorni una quantità davvero esigua ovunque dispersa, tra Castelfranco, Bassano del Grappa, Venezia, Vicenza, Budapest, Parigi. Cfr. Crosato Larcher, 20084, p. 515.
stata intervallata da ''colonne'' e, lungo le pareti, ornata da ''paesi''. Inoltre sarebbero state raffigurate Stagioni e Fanciulli con i frutti in mano.92 Nelle volte sarebbero state rappresentate ''in mezzalune Marte e Venere, Giove e Giunone e altre divinità''. Nella sala ''nel mezzo del soffitto finse un cielo di dee e figure nel girar della volta'', mentre ''nei muri, invece, erano poste historie e sacrifici recinti da donne a chiaroscuro e altre sovraporte''. ''In una delle due camere'' continua Ridolfi ''appare a guisa di tribuna una naturalissima vite con augelli e negli archetti sono finte teste di bronzo. Nelle pareti è Alessandro che taglia con il ferro il nodo gordiano e le donne di Dario dinanzi al medesimo Alessandro e Virtù colorite sopra le porte''.93 I temi rappresentati a villa Soranzo erano tutti già stati sperimentati nelle grandi decorazioni a fresco nate nella prima metà del secolo fuori dall'area veneta, dalla Farnesina a Roma, a Palazzo Te a Mantova, dalla villa Imperiale di Pesaro,94 alla Galleria di Francesco I a Fontainbleau, ma come nota Luciana Crosato Larcher, a Treville furono rielaborati in un programma iconografico visto in rapporto allo spirito di una dimora campestre, sorta senza intenti celebrativi dei committenti.95 Stando alla data apposta sul cartiglio che compare nella Storia,96 gli affreschi risalgono al 1551. Difficile è stabilire la paternità dei frammenti in nostro possesso essendo entrambi gli artisti, a quell'epoca, accomunati dalla stessa formazione e dallo stesso orientamento stilistico. La situazione è ulteriormente complicata dallo stato di conservazione degli affreschi, strappati in modo empirico quasi due secoli fa e più volte restaurati.
92 Ridolfi, 1648 (1914), I, p. 302. 93 Ridolfi, 1648 (1914), I, p. 302. 94
Non bisogna scordare la presenza di Michele Sanmicheli presso la corte urbinate, i contatti con Francesco Maria I Della Rovere e gli interventi archettonici realizzati alla villa Imperiale di Pesaro. Davies – Hemsoll, 2004, p. 29-30.
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Crosato Larcher, 20084, p. 516.
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Nonostante tutto essi sono importantissimi perché rappresentano la prima testimonianza di villa affrescata da Zelotti e Caliari: di qui prenderà le mosse la grande fioritura dei cicli a fresco nelle dimore campestri venete della seconda metà del secolo.97
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