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Innanzi tutto dobbiamo tenere a mente che non esiste “IL TOOLKIT”. Ciascun toolkit va sviluppato su misura per l’argomento che si vuole indagare.

Il creare un toolkit che adeguato è un fattore chiave per il successo della ricer- ca. Ugualmente importanti sono le istruzioni che vengono date ai partecipanti e come questi vengono coinvolti dal facilitatore.35

In generale i toolkits costituiti da forme astratte portano le persone ad esprime- re più facilmente processi, mentre l’utilizzo di fotografie aiuta l’espressione di

31 “In introducing the concept of convivial tools, we are not necessary talking about people making their own products although that may be an example. The concept of convivial tools is much broader than that.” Sanders, E., Stappers J.B, 2012, Convivial Toolbox, pg. 7.

32 “Convivial tools are those which gave each person who uses them the greatest opportunity to enrich the environment with the fruits of his or her vision” Illich I., Tools for Conviviality, pg.

21.

33 Sanders E., Scaffolds for building everyday creativity, pg. 8.

34 ibid.

35 “creating a toolkit that is fit for the study is a key skill and a key factor to success. Equally important as the physical toolkit is the instruction that is given to the partecipants, and the way the partecipants are involved by the facilitator” Sanders E., Stappers J.B., Convivial Tool- box, pg. 70.

emozioni e memorie. Quando invece si utilizzano mappe concettuali associate a parole si evidenzieranno principalmente le relazioni tra concetti.36

Le variabili principali qui sono: la dimensionalità (2d o 3d), il contenuto (di tipo cognitivo, piuttosto che emozionale), il tempo preso in analisi (una sequenza di avvenimenti o un’esperienza singola).

Tra le tipologie di “ingredienti” usati per creare toolkits, Sanders consiglia l’uso di foto, di testi, di pupazzi o manichini, di simboli e forme, di espressioni stile fumetto, di materiali grezzi per il fai da te, di forme 3d ricoperte di velcro, set con scale di espressioni e prodotti come il Lego per gli schizzi 3d.

Per capire quale genere di toolkit è adatto ad uno specifico momento progettua- le possiamo utilizzare la tabella fornita da Sanders37 che riporta in ascisse i vari momenti della co-creazione (probe= test del partecipante, prime=immersione del partecipante nel dominio di interesse del progetto, Understand= capire le loro esperienze e generate=generare idee e design concepts, ovvero co-design nel senso letterale del temine)

36 Stappers J.B., Sanders E., Generative tools for context mapping: tuning the tools, Third International

Conference on Design & Emotion, Loughborough, Taylor & Francis, 2003, pg. 3. 37 Sanders E., et alii , A Framework for Organizing the Tools and Techniques of Participatory Design,

Nello stesso documento Sanders fornisce anche un’indicazione di quali sono le migliori tecniche di applicazione di ciascun tool, specificando che comunque, in linea di massima, le attività relative al probing, priming e understanding sono da sviluppare preferibilmente a livello individuale con ciascun partecipante, mentre la parte di lavoro in gruppo, individuale o collettiva, porta migliori risultati nella fase di generating.

tab. 3 Toolkits: gli strumenti e le tecniche da preferire in casi specifici.

Perché il toolkit sia efficiente si raccomanda invece: - che ci sia una buona variabilità di contenuti;

- che ci siano strumenti più o meno astratti per esprimersi; - che ci siano vari livelli di ambiguità negli elementi;

- che ci siano elementi con estetiche diverse in modo che ogni utente possa tro- vare ciò che gli piace;

- che ci sia una buona variabilità di forme.

I toolkits devono essere proporzionati al tempo a disposizione (es, il toolkit per un collage di 15 minuti deve essere composto da circa 100 parole e 100 foto) Quando si lavora con i toolkits bisogna inoltre tenere conto che:

- Le persone per essere creative hanno bisogno di sentirsi a proprio agio in un atmosfera familiare.

- Le persone sono molto brave ad immaginare storie successe ad altri, molto più che a fare pensieri astratti. Questo accade anche per la risoluzione di problemi (se sono tradotti in termini pratici sono più semplici da risolvere). In questo modo le persone troveranno più facile immaginare una situazione in cui viene utilizzato un oggetto per definirne i requisiti. Per questo sono fondamentali gli scenario, gli storyboard e le personas.

Anche in questo caso, quando si fa uso di toolkit per indagare le esigenze ed i desideri degli utenti, le tecniche del DO/SAY/MAKE si intrecciano: un collage rientra nel MAKE, ma se poi vene spiegato dal creatore si unisce al SAY.

In generale Sanders identifica nel DO la tecnica adatta ad osservare il presente, nel SAY quella per indagare opinioni ed interpretazioni, e quindi permettere una ricerca più vasta che vada oltre al “qui e ora”. Le tecniche di SAY si limitano comunque l’espressione della persona a ciò che è in grado di esprimere con le parole e a ciò che è consapevole di sapere. Il MAKE tools va più a fondo permet- tendoci di capire anche il sapere tacito e latente dei partecipanti. I MAKE tools sono inoltre fondamentali per incoraggiare le persone al iniziare un processo associativo e bisociativo, nonché a stimolare il pensiero creativo. Per questo mo- tivo i MAKE tools sono i migliori per agevolare l’immaginazione volta al futuro e basata sulla profonda interpretazione delle esperienze passate.

Inoltre diari per l’osservazione e l’autoanalisi vengono spesso forniti ai parte- cipanti affinché questi possano focalizzarsi sulle proprie abitudini ed i propri sentimenti relativi all’argomento in esame anche a casa loro: in un contesto a loro confortevole e con il tempo necessario a disposizione.

I diari solitamente sono veri e propri quaderni in cui i co-designer sono tenu- ti ad annotare le loro esperienze quotidiane relativamente ad un certo evento/

prodotto/servizio. Questa annotazione può avvenire tramite la scrittura, l’uso di immagini pre confezionate dal designer/ricercatore, l’uso di immagini libere ricercate dal co-designer, ma anche tramite l’uso di macchine fotografiche fornite al co-designer per documentare direttamente le esperienze e le situazioni della giornata.

Alcune possibili forme in cui si possono presentare i kit di sensibilizzazione, usati con successo in passato da Sanders, oltre che ai diari sopra citati, consistono in: fogli di carta singoli, mazzi di carte con le istruzioni per l’uso, scatole con com- ponenti ed istruzioni per l’uso, telefoni cellulari a cui inviare messaggi occasionali che fungano da innesco per determinate osservazioni, serie di e-mail con compiti da portare a termine, macchine fotografiche con istruzioni per l’uso.

I risultati, in termini di scoperta dei cosiddetti “latent needs” sono notevoli e portano alla luce una grande quantità di informazioni che i partecipanti non pen- savano nemmeno di conoscere.38

Nel cap. 2.2.4 l’argomento dei toolkits verrà approfondito in relazione alla sua applicabilità all’interno del “progetto stampelle”.