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I fattori di rischio

Una volta descritti i disturbi alimentari, la loro insorgenza e le caratteristiche, è arrivato il momento di affrontare i fattori di rischio41 che contribuiscono nella nascita

di queste patologie. Possono esserci dei fattori di rischio generali o individuali, i primi sono condizioni immodificabili ed avendo come caratteristica la generalità possono aumentare il rischio in tutta la popolazione, quelli individuali sono condizioni che colpiscono in modo specifico gli individui e sono strettamente personali. È noto come il ruolo dei mass media, sia un fattore generale molto influente per le donne, ma è già stato ampiamente affrontato nel corso dell’elaborato, occorre perciò analizzarne altri per comprendere in maniera più approfondita l’esposizione ai disturbi alimentari.

A partire dal sesso, un’ipotesi sociale sottolineata da Dalla Grave, il quale sostiene che il fattore chiave sia la differente frequenza tra il sesso maschile e femminile nel fare la dieta, è risaputo che sono le donne a mettersi con maggior ripetitività a uno stretto regime alimentare, causato dalla pressione sociale verso la magrezza e sul basare il proprio valore nell’aspetto fisico, secondo l’Autore stando a dieta il rischio aumenta di otto volte nel cadere in disturbi dell’alimentazione.

È probabile che lo sviluppo di tali disturbi sia diffuso particolarmente nell’adolescenza e nella prima età adulta dall’interazione di fattori biologici

41 «Un fattore di rischio è una variabile associata a un aumento del rischio di sviluppare una

malattia. Un fattore di rischio non è un agente causale, la sua assenza non esclude la

comparsa della malattia, ma la sua presenza aumenta il rischio di malattia. I fattori di rischio dei disturbi dell’alimentazione conosciuti sono chiamati “potenziali” perché hanno un ruolo potenziale nello sviluppo del disturbo dell’alimentazione. Non conosciamo, purtroppo, nessun fattore di rischio “causale”, chiamato così quando la sua modificazione produce una riduzione del rischio di sviluppare il disturbo» (Dalla Grave, 2018, p.27).

(variazioni ormonali e cambiamenti fisici) e ambientali (le prime sfide, ambienti stressanti) ed anche qui la dieta può essere considerata come fattore rilevante, molte adolescenti utilizzano essa per dimagrire e arrivare al loro ideale estetico interiorizzato.

Spesso l’insorgenza di un problema alimentare proviene dalla famiglia d’origine, essi hanno un ruolo importante nella nascita dei fattori predisponenti sotto vari aspetti proprio per la loro complessità.

Le dinamiche familiari sono sempre state difficili da trattare e in esse sono avvenuti dei cambiamenti nel tempo, siamo passati da una famiglia patriarcale o etica dove vigeva istituzionalizzazione e la divisione dei ruoli era ben marcata, a una famiglia affettiva, dove l’obiettivo è il dialogo tra tutto il nucleo familiare, genitori e figli sono più o meno nello stesso piano, all’interno di una relazione simmetrica e orizzontale, dove prevale l’identificazione reciproca, la quale comporta un’enorme investimento emotivo nella prole. In tale senso questa relazione può assumere caratteri distorti e può tramutarsi in una vera e propria adorazione verso il figlio\a, formando un livello di narcisismo molto alto, inoltre le attese della famiglia nei confronti del figlio posso costituire una vera prigione per quest’ultimo, provocandogli mancanza di autostima e forti insicurezze col tempo. È stato riscontrato di come sia facile che se un genitore ha sofferto di un disturbo dell’alimentazione, molto probabilmente anche la figlia ne soffrirà, soprattutto se la malattia del genitore non è mai stata trattata.

A volte invece può semplicemente provocare una troppa attenzione sull’immagine corporea una preoccupazione o una critica esplicita dei genitori nei confronti del peso della figlia, quindi per “ripicca” quest’ultima può incominciare una dieta e col tempo perdere il controllo della situazione. (Gordon,2004).

La famiglia in certe situazioni può costituire la prima fonte di sofferenza del bambino\a, lasciando ferite che difficilmente guariscono negli anni, essa contiene svariati rischi individuali, per esempio un contesto di abuso su un minore, un’esperienza così traumatica da rendere una rottura alle emozioni del bambino nei confronti dei genitori, da una parte l’affetto incondizionato, dall’altra il disagio e la sofferenza causata dal trauma non gradevole e incomprensibile.

Esso prova vergogna per il proprio corpo e forti sensi di colpa, caratteristiche che si possono manifestare nei disturbi alimentari.

Esperienze di genitori affetti da alcolismo, tossicodipendenza, depressione, obesità o l’aver tratti perfezionistici e ossessivi, sono altri fattori di rischio individuali che comportano lo sviluppo della patologia nelle figlie circa dieci volte di più rispetto a genitori che non hanno mai avuto tali esperienze (Dalla Grave, 2018).

Ma un fattore generale determinante quanto quello familiare è l’influenza delle coetanee, il gruppo dei pari è formato da meccanismi che si instaurano sull’incontro e il reclutamento dove la variabile fondamentale è il riconoscimento. Essi si confrontano si scambiano argomenti sui cui parlare, interessi comuni come musica, fumetti e altri consumi mediali. Ma c’è un meccanismo opposto al riconoscimento, l’accettazione, se un soggetto non corrisponde ai canoni in base ai quali si è ammessi nel gruppo, può essere stigmatizzato e deriso, innescando nel ragazzo\ragazza un forte senso di isolamento. Da parte di molto soggetti sensibili, le esperienze di derisione sia dalla parte dei coetanei che dai familiari può essere vissuta come una drammatica esperienza personale generando una forte vulnerabilità nell’attenzione nel corpo e nel conseguente disturbo alimentare, in particolare nella bulimia.

Attraverso uno studio di Crisp, per quanto riguarda la religione, indica che le anoressiche per esempio provengono spesso da atteggiamenti chiusi, puritani, in particolare verso la sessualità femminile. Risulta evidente che ci potrebbe essere uno scontro tra un ambiente religioso severo e i costumi contemporanei più liberi e scoperti, inoltre tantissime religioni prescrivono il digiuno quindi non è insolito trovare persone che soffrono di disturbi dell’alimentazione, in alcune pazienti musulmane è stato riscontrato residenti in Inghilterra, degli episodi anoressici nati grazie alla partecipazione del Ramadan (Crisp, 1980). L’improvvisa esposizione al mondo e la cultura occidentale per donne con background tradizionale o culture non appartenenti all’occidente non è difficile che siano vulnerabili ai disturbi dell’alimentazione, a tal proposito in uno studio condotto da Mumford e colleghi mostrò la prevalenza della bulimia nelle studentesse asiatiche ( per lo più musulmane di origine pakistana, 3,2 per cento), rispetto alle coetanee bianche (0, 6 per cento),

perché esse enfatizzavano i valori culturali tradizionali e avevano genitori con molta austerità, severità e controllo nei loro confronti, quindi esse si trovavano in conflitti con l’ambiente britannico, il quale consentiva maggiore libertà di scelta. (Mumford,Whitehouse,Platts, 1991).

Conclusioni

Ad oggi i Disturbi del Comportamento Alimentare sono una vera e propria epidemia sociale. Pertanto data la molteplicità dei fattori di rischio e la complessità di aspetti da considerare, il trattamento di essi risulta ancora difficoltoso, nonostante i progressi fatti nel tempo.

Il corpo femminile è sempre stato oggetto di rappresentazioni e incarnazioni di ideali, ma nella storia ha subito notevolissimi cambiamenti culturali, portando alcune giovani donne ad essere esposte a incertezze e ambiguità.

Inoltre anche la definizione del nuovo ruolo sociale della donna non più basata sulla sottomissione e passività, bensì sulle sue capacità da super donna, che riesce a tenere sotto controllo ogni ambito della vita, capace, ambiziosa e sensuale, che non fa più parte solo del mondo domestico ma anche di quello lavorativo, ha provocato un cambiamento nelle differenze di genere.

Giunti alla conclusione di questo elaborato è opportuno approfondire due ulteriori riflessioni.

La prima riguarda il motivo per cui molte donne pur essendo sottoposte alle medesime pressioni culturali sulla magrezza non incorrano in un disturbo alimentare. In primo luogo è bene ricordare e tenere conto del fatto che fra una malattia e una condizione di salute esiste una scala di grigi, e non una netta divisione composta di pieni o di vuoti. Sebbene il soggetto abbia una profonda preoccupazione per l’aspetto fisico e per l’alimentazione, anche se taluni comportamenti diventano ossessivi e costanti, egli non può essere considerato affetto dalla patologia alimentare.

Il secondo elemento su cui riflettere si collega direttamente alle cause dei DCA: malgrado tutte le ragazze abbiano le stesse pressioni e rappresentazioni culturali attraverso i mass media, vi è una parte che subisce, e una parte che si colloca in una situazione intermedia, definita appunto “zona grigia”. Il disturbo alimentare si manifesta attraverso una serie di sintomi e fattori predisponenti biologici, psicologici e sociali, i quali contribuiscono notevolmente nella costruzione del substrato di

vulnerabilità e dunque all’insorgenza della malattia. In poche parole, non basta un unico fattore, ma tutti gli elementi che interferiscono e influiscono nel suo sviluppo. Questo ragionamento porterebbe alla conclusione che il ruolo dei media è marginale e non un fattore prioritario nella nascita di queste patologie, ma il nostro scopo non è di alleggerire le colpe ai contenuti mediali e metterci alla ricerca di ulteriori cause e motivazioni.

In tal senso ci si aggancia alla seconda riflessione, secondo la quale l’obiettivo non è la ricerca delle cause, ma l’investimento nella prevenzione col fine di ridurre l’insoddisfazione corporea nelle adolescenti e nelle donne adulte.

Siamo di fronte a un “male delle donne” dove la cura non basta, si rende pertanto opportuno un cambiamento sotto diversi punti di vista: occorre la correzione dell’assoluta importanza primaria che nell’attuale cultura viene data alla magrezza, occorre ampliare gli sforzi per promuovere una donna che abbia salute e muscoli nella giusta misura, invece che diete, pillole dimagranti e farmaci funzionali. Razionalmente i soggetti capiscono, comprendono, ma nella maggior parte dei casi prevale l’emotività e quindi non avviene nessun cambiamento.

I mass media, essendo mezzi potenti con strumenti educativi e di alfabetizzazione, dovrebbero porre più attenzione ai messaggi che veicolano, analizzandoli più nel dettaglio, evitando l’elogio verso la magrezza e la perfezione, senza costringere gli spettatori all’identificazione con tale messaggio e optare per un benessere psicofisico.

L’attenzione massmediale viene costantemente posta su corpi perfetti, immagini difficilmente riscontrabili nella realtà quotidiana, quindi occorre maggior attenzione perché molte donne ripongono fiducia nel modello vincente e nella promessa del raggiungimento, considerandola come vera. Si parte da semplici ritocchi in una fotografia a interventi chirurgici distanziandosi sempre di più dalla natura verso la perfezione eterna.

Ma ancora più importante bisognerebbe diffondere l’enorme criticità e il notevole aumento di questi disturbi alimentari, oltre che con campagne pubblicitarie, attraverso convegni o interventi nella scuola secondarie di primo e secondo grado,

anche attraverso dei test, questionari o focus group, con lo scopo di insegnare sia a genitori, agli insegnanti, ai ragazzi e alle ragazze, cosa sono i DCA, la loro insorgenza e classificazione, le somiglianze, di spiegare i meccanismi, di mostrare i servizi e i trattamenti, come riconoscerli in tempo, e le conseguenze a cui si va incontro.

Nella maggior parte dei casi, i genitori delle ragazze che soffrono di anoressia e bulimia se ne accorgono troppo tardi, quando ormai la malattia è avanzata, per cui è difficile un recupero totale, essi dovrebbero far attenzione ad astenersi da qualsiasi giudizio sull’aspetto e scoraggiare diete.

Quest’ultimo aspetto vale anche per persone che sono in sovrappeso, il giudizio dei parenti o delle persone esterne, può comportare disagio dentro il soggetto in questione, oltre che una profonda umiliazione.

Inoltre i genitori in queste situazioni trovano estrema difficoltà nel gestire e chiedere aiuto, in tal senso occorre una maggiore comunicazione tra le diverse istituzioni (scuola, famiglia e sanità) e creare le condizioni per facilitare la domanda di aiuti nei centri specialistici per queste patologie.

Infine si necessita una maggiore prevenzione per specifici gruppi ad alto rischio, come ad esempio le allieve delle scuole di danza e le atlete, che gareggiano in sport competitivi, con allenamenti duri e rigidi, dove è noto come gli allenatori o le allenatrici siano soliti pretendere la perfezione fisica e incentivare la dieta.

C’è bisogno di un messaggio forte, al fine di diffondere la realtà di questo problema in continua crescita, di far capire che un chilo in più non è un difetto, che ogni tanto concedersi qualche sgarro, non è un reato. Si impone per tante un’educazione al benessere. Siamo ben consapevoli allo stesso tempo, che questo è un cambiamento difficile e che richiederà tempi lunghissimi.

Quindi la mia ultima proposta è un’educazione all’autostima: non si può sapere come si evolvono le situazioni se non ci si mette in gioco, intraprendere dei cambiamenti è sempre complicato e all’inizio spaventa, ma tutto parte da noi stessi, perché il corpo ad un certo punto non ce la fa più, cede.

Il corpo non è un campo di battaglia dove sfogare le nostre insicurezze a paure, quindi oltre a tutte le possibili soluzioni che il nostro territorio può offrire al riguardo, o oltre ad una maggiore attenzione da parte dei media, degli spot e le riviste, della famiglia, dei coetanei o dell’allenatore, tutto deve partire dentro noi stessi.

Concludo, invitando personalmente tutta la popolazione femminile che almeno una volta nella vita si sia sentita a disagio con il proprio corpo, a saper distinguere quando un disagio è una semplice preoccupazione temporanea o quando esso si trasforma in ossessione, determinando la totale perdita di controllo della situazione. Nel caso è necessario mettere da parte il proprio orgoglio, trovare coraggio e senza vergogna chiedere aiuto, perché queste malattie, se prese in tempo, sono risolvibili.

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