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Il corpo femminile: tra stereotipi e identità di genere

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea in Sociologia e Management dei servizi sociali

Tesi di Laurea Magistrale

Il corpo femminile: tra stereotipi e identità di genere

Candidata

Relatrice

Valentina Bartolomei Prof.ssa Rita Biancheri

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Indice

Introduzione 4

Capitolo 1 “La sociologia del corpo”

9

1.1 Il corpo nella sociologia 9

1.2 L’approccio Femminista 9

1.3 L’approccio di Foucault 12

1.4 La costruzione e la rappresentazione sociale del corpo 16

Capitolo 2 “Corpo femminile e Santa Anoressia”

18

2.1 L’ideale corporeo nella storia 18

2.2 L’anoressia: ieri e oggi 31

2.3 Le sante anoressiche 34

2.4 Storie di sante e di streghe 37

2.5 Dalla Riforma ai giorni nostri 45

Capitolo 3 “L’immaginario collettivo e L’influenza dei mass

media”

47

3.1 I mass media 47

3.2 Le condotte imitative 53

3.2.1 Testimonianze: vittime di anoressia 57

3.3 Identità mediate di genere 64

3.3.1 L’insoddisfazione corporea nell’adolescenza 66 3.3.2 Il body shaming: definizione e testimonianze 69

(3)

Capitolo 4 “I DCA (Disturbi del comportamento

alimentare)”

73

Premessa 73 4.1 L’anoressia 74 4.2 La bulimia 79 4.3 Il binge – eating 82 4.4 L’obesità 83 4.5 L’ortoressia 86

4.5.1 La vigoressia: un confronto con l’ortoressia 90

4.6 I fattori di rischio 91 Conclusioni 95 Bibliografia 99 Articoli 104 Sitografia 108 Ringraziamenti 109

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Introduzione

“Non è libero chi è schiavo del proprio corpo” (Lucio Anneo Seneca).

Traendo spunto da tale citazione, il presente elaborato ha come scopo di spiegare come i media influiscano sull’immaginario collettivo, in particolar modo sul corpo femminile, ripercorrendo tutti i suoi cambiamenti nel tempo e le conseguenze che tutt’oggi ci trasciniamo nella società contemporanea, per soffermarci poi in maniera particolare sugli stereotipi ad esso attribuiti.

Nel primo capitolo, si affronta il tema riguardante l’interesse della Sociologia per il corpo, che assume sempre di più un ruolo fondamentale nella costruzione teorica in questi ambiti. In questo lavoro emergono svariati fenomeni che hanno contribuito alla maggior attenzione per il corpo da parte della sociologia, quali i movimenti femministi di cui prenderemo in esame le prospettive più rilevanti, la crescente medicalizzazione, le nuove tecnologie biomediche e l’invecchiamento della popolazione. Nel paragrafo successivo, attraverso la riflessione critica del filosofo e sociologo Michel Foucault, si descriveranno i meccanismi tramite i quali le politiche del corpo agiscono e sorvegliano l’individuo, privandolo della sua naturalità e trasformandolo tramite la disciplina in un corpo controllato da una politica del dettaglio. Sempre nella sua riflessione, l’Autore francese ci fa notare il cambiamento rispetto alla sovranità di un tempo, affermando come queste nuove politiche del corpo entrino nella vita quotidiana, nel ruolo tra i sessi, nelle famiglie, tra i malati e i medici rendendo l’essere umano funzionale sotto ogni punto di vista.

Infine si prenderanno in esame i due oggetti principali della Sociologia del corpo: la costruzione e la rappresentazione sociale del corpo. Con costruzione si intendono i processi, i metodi, le strutture e i contenuti impliciti ed espliciti attraverso

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l’interazione dei quali essa agisce in modo organizzato e costante sulla fisiologia, sulla morfologia e sui comportamenti del corpo.

Le rappresentazioni sociali invece sono costituite dalle immagini mentali, categorie sociologiche a priori, quasi ovvie dello schema corporeo proprio e di quello degli altri, e dalle icone, le quali sono delle rappresentazioni concrete del corpo, esplicite, più accessibili e meno astratte.

Nel secondo capitolo si analizzerà lo sviluppo dell’ideale corporeo femminile nel tempo attraverso l’impiego di immagini, che spaziano dalla Venere di Willendorf di età Paleolitica, una delle rappresentazioni più antiche al mondo, alle figure femminili egizie, passando per la classicità e l’armonia dei corpi greci, fino alla bellezza pura e casta tipicamente medievale.

Particolare attenzione sarà data all’età rinascimentale, epoca in cui la descrizione dei lineamenti e delle fattezze è apprezzata, dove formosità, sovrappeso e rotondità erano viste e portate con fierezza. Approderemo all’età contemporanea, all’Ottocento e al Novecento, in particolare soffermandoci su quest’ultimo proprio per la molteplicità degli avvenimenti e dei fenomeni di costume avvenuti in questo secolo: le due guerre mondiali, le ideologie totalitarie, il boom economico, il Sessantotto, l’emancipazione femminile, eventi che hanno portato mutamenti sotto ogni profilo, sociale, economico, politico, coinvolgendo anche il ruolo e il corpo della donna.

La donna entra nel mondo del lavoro, attenuando le differenze di genere sempre esistite, di conseguenza si iniziano ad affermare visioni del corpo differenti, dall’ideale della maggiorata si passa all’ideale della donna grissino, una fisionomia androgina, snella, slanciata e muscolosa, perciò se prima l’esser sovrappeso era un sintomo di agiatezza e normalità, in particolare nel nuovo millennio viene visto come un difetto da eliminare.

Nei successivi paragrafi si prenderà in esame la “santa anoressia”, attraverso l’indagine condotta nel testo di Rudolph Bell, rilevando le analogie e le differenze con l’anoressia contemporanea, e riportando a testimonianza di ciò storie di sante anoressiche come Caterina da Siena e Chiara D’assisi, le quali ebbero un’influenza notevole fra le donne dell’epoca. Accanto alle caratteristiche della santa, viene

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accennata dallo studioso la figura della strega, due figure apparentemente opposte, con personalità differenti, ma entrambe attinenti al mondo della spiritualità.

Tra di esse emerge un profilo femminile degno di nota: la storia di Giovanna D’arco, la pulzella d’Orlèans, un modello difficile da collocare, ma avvicinabile a condotte appartenenti sia alle sante che alle streghe. Rudolph Bell conclude poi la sua analisi trattando come a partire dalla Riforma Protestante, la santa anoressia venga osteggiata da parte della chiesa per poi arrivare alla sua totale eliminazione.

Il terzo capitolo si apre con l’ampia descrizione dei contenuti mediali, il cui ruolo di agenzie di socializzazione, fa sì che essi stimolino sia l’immaginario collettivo che individuale, imponendo allo spettatore ideali, modelli a cui ispirarsi, fino ad innalzare la bellezza esteriore a chiave per accedere ad ogni contesto. Magrezza e perfezione appaiono essere le uniche doti necessarie per il successo e il prestigio sociale.

Si definisce così una realtà parallela, la quale viene trasmessa in maniera tanto efficace da trascinare la maggior parte della popolazione femminile ad adeguarsi a tali stereotipi, cosicché la nostra società è ossessionata e pressata dalla necessità di mantenere il corpo sottile, esile, tonico e giovane.

Oltre alla pubblicità, le riviste e i modelli dai quali i soggetti femminili prendono ispirazione, nei paragrafi successivi vengono menzionati altri contenuti mediali, quali ad esempio, i siti proana, blog, forum che cercano di far breccia sulle giovani, istigandole alla magrezza a tutti i costi, una rete terrificante se vi si cade, una realtà virtuale dove le ragazze si scambiano consigli, stati d’animo e diete a ridotto contenuto calorico, dando un enorme impulso all’anoressia. Questi siti hanno delle vere e proprie regole da seguire, comandamenti grazie ai quali, la malattia viene fatta passare come una compagna di vita, portando tantissime giovani a conseguenze terrificanti, in taluni casi letali. Si narreranno due testimonianze di anoressia: Carolina, una ragazza vittima di bullismo a scuola, e la storia della famosa modella francese Isabelle Caro.

La riflessione dell’elaborato sulle influenze mediali continua analizzando il contributo di vari studiosi, in primis il sociologo Bauman, a cui si deve

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l’introduzione del concetto di identificazione, ossia la costruzione identitaria dell’individuo che avviene attraverso il potere della narrazione, un “collante” che unisce l’uomo con il contesto culturale, per poi passare a Thompson, il quale definirà le relazioni che si vengono a stabilire nel momento in cui le persone finiscono con l’identificarsi nel materiale esposto dai media definendole come “quasi interazioni mediate”, dove le vittime per eccellenza sono le adolescenti.

L’adolescenza è una fase determinante per la costruzione identitaria del Sé, da sempre descritta come un “momento di passaggio”, nel quale l’individuo ha una particolare attenzione alla forma corporea, attribuendogli una miriade di significati sociali, sentimentali, relazionali ed etici.

Il capitolo si conclude con il fenomeno del body shaming, la nuova tendenza che prende di mira la forma del corpo delle persone, una sorta di bullismo, che ben si addice all’età adolescenziale, ma che colpisce anche le donne adulte. Tale forma di derisione si è particolarmente sviluppata con l’avvento dei social network come Facebook, Twitter e Instagram; sono molte le testimonianze di body shaming. Due saranno oggetto di riflessione: la prima testimonianza riguarda l’influencer del momento Chiara Ferragni, la seconda invece proviene da una ex modella di Victoria’s Secret, uno degli show televisivi di moda più seguiti e invidiati al mondo, soprattutto per le loro caratteristiche fisiche che presentano le modelle di questo marchio. Le derisioni e le umiliazioni a carico dell’aspetto fisico, non sono mai esperienze piacevoli per nessun individuo, esse possono incrementare l’insorgere dei DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare). A tal proposito, il quarto ed ultimo capitolo descriverà in maniera dettagliata le caratteristiche e i fattori di rischio di queste patologie come l’anoressia, la bulimia e il disturbo dell’alimentazione incontrollata detto anche binge – eating. Tali disturbi verranno trattati sia dal punto di vista clinico che dalla prospettiva dei modelli culturali dominanti visti come determinanti di salute, a cui si aggiungerà anche lo studio di tutti quei disturbi correlati attinenti alla percezione corporea, all’alimentazione e alla salute come l’obesità, l’ortoressia e la vigoressia.

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Questo elaborato vuol essere un tentativo di dimostrare quanta attenzione richieda avvicinarsi a problematiche di questo tipo, data la complessità di fattori che incorrono e come sia estremamente difficile il riconoscimento e il trattamento di questi disturbi, di cui talvolta i segnali vengono trascurati, ma soprattutto vuol essere una presa d’atto di quanto la pressione dei mass media sia ormai una potente costante sull’identità femminile.

Spero che questa tesi possa offrire ulteriori spunti di riflessione e occasioni di confronto sull’argomento, e che possa essere di stimolo soprattutto per le nuove generazioni.

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Capitolo 1

1.1 Il corpo nella sociologia

L’interesse della Sociologia verso il corpo iniziò ad essere consistente a metà degli anni Ottanta del secolo scorso, quando nelle società industriali avanzate il corpo ha iniziato ad essere un soggetto nelle interazioni e relazioni sociali.

Inizialmente l’apporto nello sviluppo del filone fu scarso, di conseguenza egli rimaneva invisibile, ma col crescere della sua problematicità sociale, il corpo divenne il principale campo di attività politica e culturale, in maniera tale che le condizioni sociali hanno adottato il termine somatic societies.

In questa immersione nella Sociologia, svariati sono i fenomeni emergenti che possono aver contribuito a tale interesse: i movimenti femministi, le trasformazioni della famiglia e dei ruoli di genere, i movimenti gay, l’invecchiamento della popolazione, la pornografia, il doping, le nuove tecnologie biomediche e la crescente medicalizzazione, realtà e comunità virtuali, la cultura del narcisismo, ecc. (Borgna, 2005).

1.2 L’approccio femminista

Tra i vari fenomeni elencati nel paragrafo precedente, Borgna nel testo “Sociologia del corpo” si sofferma in maniera più accurata sul femminismo.

L’interesse sociologico riguardo il corpo è aumentato non solo per merito della sua crescente visibilità, ma anche grazie al grandissimo contributo di tale movimento, quindi non si può parlare di sociologia del corpo senza fare riferimento alla prospettiva femminista.

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Il nucleo di questa riflessione sta nell’affermare che il corpo femminile è un territorio “socialmente definito” e storicamente “colonizzato” e che quindi esso non è una forma puramente naturale: nonostante la biologia decida il sesso di un individuo, il risultato non può essere slegato dai condizionamenti della storia, esso è quindi indubbiamente legato alla cultura a cui si riferisce.

Il corpo femminile è sempre stato oppresso e imperniato sull’esclusiva esteriorità, sulla sua cura, sull’abbellimento o al sostentamento al corpo altrui, quindi la costruzione sociale della femminilità è sempre stata associata a caratteristiche ben definite, come espressione della delicatezza, dell’amore per la vita domestica, una rappresentazione ben disciplinata, difficile da scindere.

Il femminismo, quanto al secolare dibattito sulla differenza tra uomini e donne, si sofferma sull’importante distinzione tra la corporeità materiale del sesso e la socialità del generee su quest’ultima si pongono le basi del discorso sul corpo come luogo del potere in cui si instaurano i rapporti prevalenti di dominio e di subordinazione. A differenza del sesso che è biologicamente definito, il genere è un concetto più ampio il quale esprime quanto c’è di socialmente costruito nella disuguaglianza tra i sessi e aggiunge altre disparità alla relazione tra uomini e donne oltre quelle date biologicamente.

In questo dibattito però le posizioni femministe non sono assolute, e ci sono tre prospettive differenti fondamentali:

1) Il femminismo egualitario, sostiene che la mente di uomini e donne è sessualmente neutrale e che è solo il corpo ad essere sessualmente determinato e perciò solo i ruoli sessuali sono un ostacolo all’uguaglianza.

2) Il costruzionismo sociale, anche in questo caso il corpo è considerato biologicamente determinato e la disuguaglianza è dovuta ai modelli di genere diffusi nella società, a mutare quindi devono essere le credenze, le ideologie e i valori connessi al corpo, in modo tale da raggiungere l’eguaglianza.

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3) La differenza sessuale, sostiene l’irriducibilità della differenza tra i sessi in quanto il corpo è un oggetto inscindibilmente naturale e culturale e perciò campo di conflitti di diversa natura, economica, politica, sessuale, intellettuale (Borgna, 2005).

L’elaborazione teorica femminista passa attraverso la trattazione e il dibattito su temi come la relazione tra natura e cultura, essenzialismo e costruzionismo.

Questioni centrali, rilevanti, i quali definiscono e ridefiniscono il corpo, ma quello che a noi interessa in maniera particolare, è la concettualizzazione dei disturbi alimentari1, risultato della relazione natura-cultura.

Al tal proposito Susan bordo nel suo testo “Il peso del corpo” introduce la tirannia della snellezza e la cristallizzazione di questa prospettiva culturale dove ne evidenzia un ennesimo controllo sulla rappresentazione femminile senza dare spazio a un’autodeterminazione individuale:

«Nel caso dei disturbi del comportamento alimentare, le prove a favore della prospettiva culturale sono così schiaccianti al punto che i fattori culturali sembrano sovradeterminare, da soli, tali fenomeni – che la ricerca di spiegazioni biologiche può essere solo interpretata come cieca fedeltà nei confronti del modello medico. Tuttavia, benché sia convinta che l’anoressia e la bulimia (come fenomeni di massa, e non come casi isolati denunciati nel corso della storia) siano stati prodotti culturalmente» (Bordo, 1993, p. XLIX).

L’autrice nonostante sia fermamente convinta della propria opinione riconosce al filosofo Foucault il merito di aver descritto in maniera molto più analitica e precisa in che modo il corpo sia stato “disciplinato” dai rapporti di potere, argomento che verrà approfondito e trattato nel prossimo paragrafo.

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1.3 L’approccio di Foucault

«La storia del corpo, gli storici l’hanno avviata da tempo. Hanno studiato il corpo nel campo di una demografia o di una patologia storiche; l’hanno esaminato come sede di bisogni e appetiti, come luogo di processi fisiologici e di metabolismi, come bersaglio di attacchi microbici o virali: essi hanno mostrato fino a qual punto i processi storici erano implicati in quello che poteva apparire come il substrato puramente biologico dell’esistenza; e quale spazio bisognava accordare nella storia delle società ad avvenimenti biologici come la circolazione dei bacilli o l’allungamento della durata della vita. Ma il corpo è anche direttamente immerso in un campo politico: i rapporti di potere operano su di lui una presa immediata, l’investano, lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo costringono a certi lavori, lo obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni» (Foucault, 1976, pp. 28-29).

Attraverso questa citazione si introduce un tassello fondamentale della sociologia del corpo, nel quale si collega e contribuisce nella prospettiva femminista, la produzione Foucaultiana. Nel testo “Sorvegliare e punire” l’Autore cerca di spiegare i meccanismi con i quali le politiche del corpo riescono ad agire sugli individui e portino i loro corpi alla normalizzazione e omogeneizzazione2.

Egli lo fa attraverso un esempio di una pubblica tortura durante l’Ancièn Regime, dove il potere del sovrano veniva iscritto sul corpo del criminale in una maniera molto accurata e allo stesso tempo teatrale, analogamente il busto indossato dalle donne dell’Ottocento nonostante comportasse inabilità fisica, serviva da emblema del potere della cultura di imporre modelli ideali sul corpo femminile.

Ad oggi nonostante nessuno venga obbligato ad avere un’immagine snella, sono in molti a sottoporsi a diete rigorose, pur di adempiere e partecipare attivamente alla riproduzione della cultura della società a cui appartengono.

Nella terza parte del volume di Foucault è presente un capitolo fondamentale, mi riferisco ai cosiddetti “corpi docili”, come definisce l’intellettuale francese i corpi oggetto e bersaglio del potere, nel quale facilmente sono ravvisabili i “segni” del corpo manipolato, allenato, sottomesso e che risponde.

2«Se da un lato grazie a quelle tecniche il corpo diviene tramite ed espressione dei processi di

disciplina abbandonando così una del tutto presunta naturalità, dall’altro quelle stesse tecniche possono porre in atto gli strumenti attraverso cui diventa possibile per il corpo costruire un percorso di autodeterminazione» (Lazzarini, 2015, p.390).

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Egli lo fa attraverso la figura del soldato, il quale veniva descritto come una persona riconoscibile, perché esso porta segni naturali di vigore e coraggio, come delle impronte della sua fierezza3 (Foucault, 1976).

Nella seconda metà del Diciottesimo secolo il soldato diventò un qualcosa che si produce, da un corpo netto si è creata la macchina di cui si ha bisogno creando lentamente una costrizione calcolata per percorrere ogni parte del corpo impadronendosene totalmente, nel caso dei soldati, essi vengono abituati alle reclute:

«A portare la testa alta e dritta; a tenersi ritti senza curvare la schiena, a far avanzare il ventre, a far risaltare il petto e rientrare la schiena; e, affinché ne prendano l’abitudine, si darà loro questa posizione appoggiandoli al muro, in modo che i calcagni, il grasso delle gambe, le spalle e la vita lo tocchino, insieme al dorso e alle mani – girando le braccia all’infuori – senza allontanarle dal corpo… si insegnerà loro parimenti a non fissare mai gli occhi a terra, ma a squadrare arditamente quelli davanti a cui passano.. a restare immobili aspettando il comandante, senza muovere la testa, né le mani, né i piedi. Infine camminare con passo fermo, il ginocchio e il garretto tesi, la punta bassa all’infuori» (Foucault, 1976, pp.147-148).

Quindi l’uomo macchina viene iscritto in due meccanismi simultaneamente: quello anatomo – metafisico e tecnico – politico, due registri ben distinti poiché da una parte si ha la sottomissione e l’utilizzazione (corpo utile), dall’altra funzionamento e spiegazione (corpo intellegibile). Al centro governa la nozione di docilità, la quale congiunge corpo analizzabile e manipolabile, si parla di corpo docile quando egli può essere sottomesso, utilizzato, trasformato e perfezionato (Foucault, 1976).

Quindi la novità di questi schemi è che il corpo viene introdotto all’interno i poteri molto rigidi, i quali gli impongono costrizioni ed obblighi4, l’organizzazione

riguardante il corpo avviene attraverso l’esercizio, una coercizione costante, la quale veglia sulla sua attività più che sul suo risultato, un ininterrotto rapporto docilità –

3«I segni per riconoscere i più idonei a questo mestiere sono le persone vivace e sveglie, la testa

dritta, lo stomaco alto, le spalle larghe, le braccia lunghe, le dita forti, il ventre piccolo, le cosce grosse, le gambe sottili e piedi secchi, perché l’uomo con una simile taglia non potrà mancare di essere agile e forte» ( Foucault, 1976, p. 147).

4«Molte cose, tuttavia, sono nuove in queste tecniche. Prima di tutto, la scala del controllo: non si

tratta di intervenire sul corpo di massa, all’ingrosso, come fosse una unità indissociabile, ma di lavorarlo nel dettaglio; di esercitare su di esso una coercizione a lungo mantenuta, di assicurare delle prese al livello stesso della meccanica – movimenti, gesti, attitudini, rapidità: potere infinitesimale sul corpo attivo» (Foucault, 1976, p. 149).

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utilità, che possiamo racchiudere nel termine “discipline”, ancora l’Autore sostiene che:

«Il corpo umano entra in un ingranaggio di potere che lo fruga, lo disarticola e lo ricompone. Una «anatomia politica», che è anche una «meccanica del potere», va nascendo. Essa definisce come si può far presa sui corpi degli altri non semplicemente perché facciano ciò che il potere desidera, ma perché operino come esso vuole, con le tecniche e secondo la rapidità e l’efficacia che esso determina» (Foucault, 1976, p. 150).

Questa nuova anatomia – politica del dettaglio proviene dal basso ed è immanente, una disciplina complessa destinata a produrre nelle società delle forze, a farle crescere e a ordinarle, tutto questo si sarebbe consolidato a prezzo del corpo, del suo inserimento nella produzione e nella sua utilizzabilità.

Essa si esercita sulla vita, incomincia a gestirla e potenziarla, a moltiplicarla e ad operare su di essa controlli precisi e regolazioni d’insieme, perciò dal Diciassettesimo e Diciottesimo secolo il fine era di ottenere prestazioni produttive diventando un elemento indispensabile allo sviluppo del capitalismo.

Foucault ci invita a notare che i nuovi meccanismi di potere sono perciò diversi dalla sovranità col tempo agiscono nella vita quotidiana, nel rapporto tra i sessi, nelle famiglie, tra i malati di mente e le persone ragionevoli, tra i malati e i medici.

Dei nuovi regimi disciplinari fanno parte il nuovo codice penale del Diciottesimo secolo, che fa del corpo del condannato un bene sociale e punto di applicazione della pena, e il grande emergere di regolamenti militari, scolastici, ospedalieri, per i lavori delle grandi manifatture.

Tali discipline, sono tecniche per la regolamentazione, nate in risposta alla spinta demografica del Diciottesimo secolo e alla crescita dell’apparato produttivo, per dirigere l’accumulazione degli uomini e quella del capitale.

Nella tecnologia del potere è parte rilevante la tecnologia del sesso, nel Diciassettesimo secolo la sessualità viene in un certo senso repressa e racchiusa tra le mura familiari attraverso gli effetti coercitivi delle istituzioni religiose, delle forme pedagogiche, delle pratiche mediche e delle strutture familiari.

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Il sesso5 dà luogo quindi a tutto un micropotere sul corpo e a misure massicce

diventando il tema di operazioni politiche, interventi economici, campagne ideologiche di moralizzazione e di responsabilizzazione.

Quindi la sessualità è un punto di passaggio particolarmente denso per le relazioni di potere, il quale arriva a regolare i comportamenti individuali più minuti. L’isterizzazione del corpo della donna, la pedagogizzazione del sesso del bambino, la socializzazione delle condotte procreatrici, la psichiatrizzazione del piacere perverso sono tutte politiche del corpo guidate da rappresentazioni del corpo che lo definiscono e costruiscono socialmente. Ed è su questa base che possiamo guardare le politiche del corpo come politiche disciplinari. Esse producono e sorvegliano i corpi, rendendoli funzionali ai rapporti di dominio e subordinazione (negli apparati di produzione, nelle famiglie, ecc.) in ogni punto di vista (Borgna 2005).

5Sempre in riferimento al sesso: «dà luogo a sorveglianze infinitesimali, a controlli istante per

istante, ad organizzazioni dello spazio di un’estrema meticolosità, ad esami medici o psicologici interminabili, a tutto un micro-potere sul corpo; ma dà luogo anche a misure massicce, a stime statistiche, ad interventi che prendono di mira l’intero corpo sociale o gruppi presi nel loro insieme. E’ per questo che, nel Diciannovesimo secolo, la sessualità è inseguita fin nei minimi particolari delle esistenze; è braccata nei comportamenti, le si dà la caccia nei sogni, la si sospetta dietro le più piccole follie, la s’insegue fin nei primi anni dell’infanzia, ma la si vede anche diventare tema di operazioni politiche, d’interventi economici (attraverso incitazioni o freni alla procreazione), di campagne ideologiche di moralizzazione o di responsabilizzazione» (Foucault, 1976, p.129).

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1.4 La costruzione e la rappresentazione sociale

del corpo

Dopo aver analizzato le politiche del corpo è opportuno approfondire gli oggetti di studio della Sociologia del corpo: la costruzione e la rappresentazione sociale del corpo, le quali insieme formano il corpo come costrutto sociale, campo necessario per un’indagine di sociologia del corpo.

Per costruzione sociale del corpo si intendono i processi, i metodi, le strutture e i contenuti espliciti e impliciti attraverso i quali una interazione o formazione sociale agisce in modo organizzato e costante sulla morfologia, la fisiologia e i comportamenti del corpo e/o di sue parti.

Si parla di costruzione sociale della morfologia quando il modellamento sociale riguarda caratteristiche come le mani, i piedi, il volto, ecc.

Si tratta di deformazioni legate al genere, allo status sociale, alla condizione socio-economica o professionale, all’alimentazione e ad altre variabili sociologicamente importanti.

La costruzione sociale della fisiologia riguarda il modellamento sociale del funzionamento interno dei corpi, si pensi ad esempio alle diversità sociali e culturali riscontrabili nelle modalità e nei tempi dei bisogni e funzioni fisiologiche cosiddette ‘primarie’ (l’appetito e il mangiare, l’attività sessuale, i processi cognitivi, ecc.) e alle correlate diversità nelle caratteristiche morfologiche e nel funzionamento degli organi corrispondenti.

Il modellamento sociale del comportamento riguarda invece i gesti, gli atteggiamenti, le posture, il lavoro, scelte proprie dell’uomo come attività di gioco e di tempo libero, le scelte sportive, ma che comunque rispondono a rigidi pattern sociali e generazionali (Pozzi, 1994).

Le rappresentazioni sociali del corpo sono costituite: dalle immagini mentali e le icone del corpo.

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Le prime sono categorie sociologiche a priori, quasi ovvie della percezione dello schema corporeo proprio e di quello degli altri, quindi tendono a essere invisibili. Le icone invece sono rappresentazioni del corpo concrete, esplicite, sulle quali è sicuramente più facile lavorare, sono più accessibili e meno astratte. Ma nonostante la loro visibilità, la costruzione sociale del corpo eccede maggiormente nel sistema delle rappresentazioni esplicite, tuttavia le immagini mentali, in quanto sono soprattutto implicite e preconsapevoli, intervengono nella costruzione sociale del corpo non solo come contenuti ma anche come modalità del suo processo, infatti anche se tutti sono esposti alle stesse rappresentazioni, in ognuno queste producono effetti diversi (Pozzi, 1994).

«Quel corpo liberato è assorbito, irretito, avvolto in una serie di interferenze sociali, che oggi agiscono soprattutto attraverso l’immagine e l’uso che l’immagine fa del corpo stesso. Un corpo-simbolo che riassorbe in sé anche l’alterità spirituale del soggetto, la sottomette e la rende funzionale al suo ruolo di emblema corporeizzato (…) in una società di massa in cui il soggetto stesso si è fatto superficie e il suo corpo-emblema sta divenendo tutto il “sé stesso”» (Cambi, 2004, p.27).

Ci sono però alcune difficoltà da non sottovalutare per quanto riguarda lo studio del corpo, innanzitutto l’obiettivo della Sociologia del corpo è molto vasto, è infatti supporto necessario di tutte le attività individuali: è base per l’avvio del processo di socializzazione e di acquisizione delle identità di genere ed è costantemente presente. Ma questi due oggetti appena analizzati, contribuiscono nell’affrontare l’attività individuale citata nei paragrafi precedenti riguardante le donne e la loro corporeità, ciò che a noi interessa è di sottolineare di come l’immagine del corpo femminile è sempre stata influenzata dalla cultura vigente, dalle descrizioni e dai parametri ideologici diffusi in tutte le epoche fino ad arrivare a stati di alterazione corporea, i quali con gli studi apportati dalla medicina sono stati denominati “ disturbi”.

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Capitolo 2

2.1 L’ideale corporeo nella storia

Da sempre la donna è considerata l’incarnazione della bellezza, ma è difficile stabilire cosa sia realmente la bellezza: potrebbe esser definita come una “proprietà dei corpi”, le quali vengono studiate da molto tempo ma che ancora non si è riusciti a comprendere a pieno e darne una definizione univoca.

La comunicazione per immagini si impone precocemente all’interno dell’evoluzione culturale dell’uomo, anticipando e confermando la funzione della parola e quindi una funzione fondamentale, perciò la riproduzione delle forme femminili ha assunto anche un carattere simbolico.

La bellezza è sempre stata associata a dei canoni estetici, ovvero le caratteristiche tipiche come linee morbide, rotonde, che possono essere ricondotte all’abbondanza e alla fertilità.

Figura 1 Venere di Willendorf

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Tutte queste caratteristiche sono evidenti nella Venere di Willendorf, una piccola statua che risale al Paleolitico (30.000-25.000 a.C.), una tra le più antiche rappresentazioni femminili.

Esse si diffondono in un’area vastissima dall’Europa occidentale alla Siberia, altre sculture antropomorfe scolpite in osso, pietra o avorio, rappresentanti sempre le “veneri”.

La figura 1 e la figura 2 presentano caratteristiche comuni che esemplificano con chiarezza un tipo di società patriarcale e vanno intese come simbolo di maternità e fecondità: i seni e i ventri abbondanti, i contorni rotondeggianti e l’abbondanza delle forme. L’ideale estetico tuttavia, non è un criterio assoluto, immutabile e universale valido in tutte le epoche, tempi e luoghi, è una costruzione socio culturale, la quale si genera, si modifica continuamente nel tempo e nella cultura entro cui si colloca.6

6 «In effetti i corpi femminili, sono stati storicamente molto più vulnerabili di quelli maschili

agli estremi di entrambe le forme di manipolazione culturale del corpo. Forse questo ha qualcosa a che fare con il fatto che le donne, oltre a possedere un corpo, sono associate al corpo, che è sempre stato considerato la “sfera” della donna nella vita familiare, nella mitologia, nell’ideologia scientifica, filosofica e religiosa» ( Bordo, 1993, p. 77).

Figura 2

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Sempre nell’età antica i Greci rappresentavano la donna come una divinità, attraverso delle statue come si può notare nella figura 3, raffiguravano il corpo come un insieme di forme geometriche, rigide, ma con proporzioni ottimali e armoniche.

Già la civiltà egizia aveva originato i concetti di eleganza, la cura del corpo, la cosmesi e i primi trucchi.

Le donne egizie avevano un corpo piccolo, dal volto simmetrico con una vita molto alta e le spalle strette, come si può notare dalla figura 4, dove è visibile la particolare attenzione data al trucco degli occhi, il famoso sguardo allungato, l’uso di rossetti, ciprie, profumi ed essenze particolari, una cura del corpo quasi maniacale, la quale è stata una prospettiva futura fino ai giorni nostri.

Quindi già al tempo degli Egizi il corpo veniva modificato, ornato di tatuaggi e unguenti come oggi, in maniera diversa e aggiornata, ma tante ricette sono state tramandate da questa cultura antica e remota (Bresciani, Guidotti, Menghini, 2006).

Figura 3 Venere di Milo, 130 a.C Museo del Louvre, Parigi

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Nel Medioevo, con il processo di Cristianizzazione si determina un cambiamento nel modo in cui viene percepito il corpo femminile, la sua figura, inizia ad essere considerata fonte di perdizione, per tanto l’austera morale medievale impone nuovi canoni estetici: il corpo della donna esile e acerbo, per dimostrarne castità e purezza, il seno misero, ma il ventre prominente.

Figura 4 Icona femminile Egizia Pinterest.com

Figura 5 Una signora della nobiltà con le sue

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La figura 5 evidenzia a partire dalle vesti anche il tipico incarnato bianco, proprio per sottolineare la natura virginale della donna, essa viene svuotata di ogni connotazione sensuale e ritratta esclusivamente nella sua sacralità.

In particolare la donna dipinta da Botticelli non si basa su un modello, ma è la personificazione della bellezza come lui la percepisce.

La figura 6 infatti rispecchia tutti i canoni estetici della bellezza femminile nel Rinascimento, la venere dalle forme abbondanti è simbolo di ricchezza in una donna e del ceto nobiliare di appartenenza. Questo significato sociale di benessere economico attribuito al corpo femminile, si ritrova nei secoli successivi, in cui la formosità assurge a simbolo di ceto sociale elevato. I dipinti rinascimentali immortalano ricche e nobili donne nelle quali il sovrappeso è orgogliosamente esibito come sinonimo di agiatezza e non visto come un riflesso di inadeguatezza. Nel Cinquecento viene così a delinearsi l’ideale della bellezza femminile, con un’ analisi particolareggiata della donna e con la descrizione dei lineamenti e delle fattezze piùapprezzate.

Figura 6

La Nascita di Venere, Sandro Botticelli, Galleria degli Uffizi, Uffizi.com

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La donna ideale doveva essere piena, con fianchi larghi, seno prosperoso e bianchissimo, collo e mani lunghe e sottili, piedi piccoli e vita flessuosa;

il viso doveva essere nitido e tondo, il naso diritto, la bocca piccola, la fronte altissima e la gola bianca e liscia; la pelle rigorosamente bianca, i capelli lunghi e biondi, le labbra e le guance rosse, le sopracciglia scure e gli occhi preferibilmente neri, intensi con un tocco di sensualità e malizia (Vigarello, 2007).

Attraverso la figura numero 7 di Maria Antonietta, viene mostrata invece la bellezza settecentesca riconosciuta dal caratteristico ‘vitino da vespa’, simbolo di seduzione e femminilità.

«La figura di Maria Antonietta per esempio, al salone del 1783, non dà questa immagine: la parte inferiore del corpo si perde una vasta ampiezza inferiore che illustra il tradizionale tema del busto e del piedistallo. Anche i vestiti semplici, ritenuti più liberi, si perdono in un’infinità di pieghe. Il proposito di restituire la natura, quello di modellare la seta con il corpo, si afferma sicuramente con una precisione inferiore del corpo a una indistinta ampiezza. È una visione del naturale ancora particolare, datata. La bellezza quotidiana non è ancora quelle delle linee del corpo» (Vigarello, 2007, p.112).

Figura 7

Maria Antonietta in un ritratto di Drouais Hotel Bristol, LeHameaudelareine.blogs.com

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Il busto ha ricevuto particolare attenzione dalla moda dell’epoca, utilizzato per allacciare le vesti e raggiungere la forma ideale, egli diventava parte integrante del corpo. Una bella donna doveva avere una circonferenza vita di diametro non superiore ai 40 centimetri, al punto tale da poter essere circondata da due mani di un uomo.

Dice Baudelaire: «La seduzione che si sprigiona dalla moda è una sollecitazione verso il bello quale ideale che muove lo spirito umano sempre insoddisfatto: ed è la donna che incarna per eccellenza questa seduzione legata all’ornamento e all’apparenza”. Si può presupporre che qui si pongano le basi moderne della concezione del “bel corpo” sia come “corpo rivestito”, sia come corpo di genere femminile. E quindi del ruolo di principali soggetti della moda assunto dalle donne» (Les Fleurs Du Mal, 2008).

Anch’esso vuole affermare come la donna e il suo corpo, siano la struttura perfetta del desiderio e della seduzione innescando il bel corpo e le basi della moda nel tempo. Nell’Ottocento si caratterizzano delle tappe rilevanti per la figura femminile come afferma Vigarello nel suo testo “Storia della bellezza”:

«Un cambiamento ancora più visibile, in quanto riguarda il simbolo stesso della bellezza, è legato a una graduale esposizione delle curve femminili: le linee

“immediate” del corpo trionfano molto lentamente nel corso del secolo, modellando abiti che fino a quel momento le nascondevano. Le forme femminili si animano, sfiorando le stoffe, arrivando a dettare, anche se tardivamente, le loro linee al tessuto» (Vigarello, 2007, p. 165).

I poli estetici cambiano, l’abito finalmente inizia a rivestire un ruolo determinante scolpendo le linee anatomiche del corpo, improvvisamente esposte alla vista, un modello che riflette un tono “emancipato”, si forma un lavoro sulla propria persona come principio fondamentale dell’esteriorità.

Ma in particolare è il Novecento il secolo sul quale occorre soffermarci di più, durante questo periodo si verificano importanti eventi storici che generano mutamenti sotto ogni punto vista politico, economico e sociale: le due grandi guerre,

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le crisi post- belliche, ma un notevole contribuito anche grazie all’emancipazione femminile e il suo successivo ingresso nel mondo lavorativo mediante il quale avviene un profondo cambiamento dello status della donna e del suo ruolo all’interno della società: la donna lavoratrice e non più solo allevatrice della prole all’interno delle mura domestiche. È il secolo dove avvengono i più repentini cambiamenti riguardo i canoni di bellezza alternandosi nel binomio magrezza – formosità, la donna piena, formosa, viene sostituita negli anni Venti dall’ideale di donna magra, androgina, con le gambe allungate, in un corpo mascolino col taglio dei capelli, essa ha un corpo asciutto, magro, con caratteri muscolosi, asessuati, con seno e vita adolescenziali e fianchi stretti. Le donne iniziano a condurre una vita più dinamica ed a praticare sport, sia per il benessere fisico che per migliorare l’aspetto del corpo7. Se

fino a questo momento nei canoni di bellezza femminile erano banditi i muscoli, indice di mascolinità o di lavoro manuale, e le forme dovevano essere morbide e rotonde, le linee femminili vengono ridisegnate, si comincia ad apprezzare il fisico atletico.

Con l’avvento del cinema, rinnovando l’immaginario collettivo attraverso la sua estrema riproducibilità di criteri di bellezza del primo dopoguerra, si conferma l’epoca delle star diffondendo una cultura con precisi punti di riferimento

«Una grande originalità di questo meccanismo consiste nell’aver affinato i criteri di bellezza esistenti. Il cinema ha giocato con il corpo, la luce, lo schermo, i sensi dello spettatore, innalzando le attese e i desideri dell’epoca» (Vigarello, 2007, p. 222).

Ma durante gli anni Quaranta si avvale un periodo di crisi e di ristrettezze economiche, connesse alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in cui il modello di bellezza femminile è quello della donna formosa.

7«I criteri di bellezza sarebbero alla fin fine ribaltati: più pragmatici, più familiari. E anche più

frammentati tra riferimenti collettivi e individuali. L’accesso ai criteri individuali è, a dire il vero, determinante: la ricerca della bellezza può personalizzarsi. Si potrebbe delinare un’estetica fisica in cui l’emancipazione avrebbe la sua parte»

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Durante questo periodo quindi è possibile evidenziare come il modello estetico costituisca una reazione alla grave carenza di cibo che aveva caratterizzato gli anni della guerra.

Al contrario in America nonostante il periodo post bellico, compaiono su molte riviste le prime pin-up, come simbolo della rinascita economica, sulla scia degli ideali vigenti.

I canoni estetici femminili prevedono una donna formosa, provocante e sensuale, con fianchi e seno abbondante, esse veniva denominate ‘maggiorate’, quali Brigitte Bardot e Marilyn Monroe presenti nelle figure 10 e 11, le cui misure seno-vita-fianchi 90-60-90 rappresentano l’esemplare formula della bellezza degli anni Cinquanta8.

8«Le ragazze della fine anni Cinquanta che imitano B.B. con le sue labbra dalle smorfie

imbronciate, i suoi pullover aderenti, la sua andature a “spirale”, hanno la sensazione di rinnovare il registro estetico. Così come hanno l’impressione di rinnovare i comportamenti, consacrando attraverso l’involucro corporeo della loro vamp un certo modo di vita. È qualcosa di più profondo che introduce quindi il brigidismo: una nuova visione del desiderio femminile e della sua libertà, ma anche una nuova visione della conquista estetica, più diretta più naturale, il contrario di un codice troppo faticoso o di un lavoro troppo fastidioso» (Vigarello, 2007, p. 243).

Figura 8

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L’ideale della “maggiorata” americana subisce tuttavia un drastico cambiamento negli anni Sessanta, in questi anni si verifica un’altra grande rivoluzione estetica, che si protrarrà per tutti gli anni Settanta: si riafferma un modello femminile in totale controtendenza rispetto a quello del periodo precedente, ormai sentito come obsoleto e costrittivo, si diffonde la cultura dello sport e il fisico femminile da morbido e delicato diventa sottile, longilineo, tonico e scattante, come all’inizio del secolo. Un’icona dell’epoca è Audrey Hepburn, la diva bon ton per eccellenza, che, con la sua eleganza contenuta e raffinata ed il suo fisico longilineo e filiforme, incarna tutti codici estetici e di classe degli anni Sessanta.

Figura 9

Marilyn Monroe, Panorama.it

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Ma con l’ascesa e il successo della modella inglese Twiggy, magra ai limiti dell’anoressia, nasce la “donna grissino”9 (Ladogana, 2006).

Come illustrata nella figura 11, la prima top model di fama internazionale dal viso adolescenziale, dal capello corto, dai tratti minuti senza curve e non marcati, capovolge i simboli tradizionali della femminilità.

Gli anni Ottanta vedono un rinnovato amore per le forme: ritornano le canoniche misure 90-60-90 e si ha un nuovo boom di seni esuberanti e di curve procaci, ancora una volta abbinati ad un giro vita sottile (Capecchi, Ruspini, 2009).

Di questo periodo, simbolo incontrastato delle forme rotondeggianti del corpo è Cindy Crawford, la quale ha sfilato per i più importanti stilisti al mondo.

9 «Il corpo diviene un luogo in cui l’identità femminile entra in contrasto per via della

molteplicità di significati che su di essa vengono costruiti: l’ideale di magrezza si allontana dal senso tradizionale di femminilità, da quel corpo formoso e materno che per secoli era considerato come l’essenza della donna» (Gordon, 2004, p.135).

Figura 10

Audrey Hepburn, Corriere.it

Figura 11

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Tuttavia, a partire dagli inizi degli anni Novanta si assiste ad un riaffermarsi della magrezza come ideale estetico in assoluto, a cui vengono attribuiti qualità e significati psicologici, ovvero il corpo esile e scattante come espressione privilegiata di autoaffermazione sociale e sicurezza di sé.

Se prima l’avere qualche chilo di troppo era positivo, adesso viene visto come un enorme difetto, in tal senso, si crea un’associazione tra le forme del corpo filiforme ed il cambiamento del ruolo sociale della donna che, da madre e moglie, inizia ad impegnarsi maggiormente nella carriera professionale, alla ricerca del potere economico e del successo.

Questa associazione tra magrezza ed emancipazione sociale femminile si afferma in maniera ancora più stabile nel terzo millennio in cui, nella società globalizzata, i mass media diffondono per molto tempo il concetto di bellezza equivalente a magrezza, costruendo un intenso quanto deleterio “bombardamento mediatico” focalizzato sui temi riguardanti immagine corporea, mediante l’ossessiva pubblicità di corpi perfetti ma irrealistici.

Figura 12

Cindy Crawford, vogue.com

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Negli anni duemila le industrie dell’alta moda puntano sempre più attorno al tema della magrezza, un modello di donna sempre più esile e slanciata, probabilmente in relazione alla necessità di far risaltare il vestito rispetto alla modella: dopo le carismatiche top-model degli anni Ottanta, le modelle diventano sempre più scheletriche e stereotipate

In tale contesto storico-culturale, dunque, le icone di bellezza femminile sono le modelle, le quali altissime magrissime e imbronciate, diventano famose come le grandi attrici hollywoodiane, ammirate e imitate dalle adolescenti.

La grave magrezza e il rigido controllo del peso vengono apertamente “osannate” mentre la formosità è bandita al punto da essere definita non salutare, immorale e brutta.

Attraverso tali rappresentazioni, divenute sempre più precise e accurate, i modelli ideali femminili sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo, sono stati interiorizzati nella maggioranza degli individui.

Figura 13

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Quindi spesso le ragazze pervengono alla conclusione che le proprie difficoltà personali e sociali sono inequivocabilmente collegate al loro peso corporeo, tentano di modificarlo e correggerlo cercando di raggiungere gli standard dominanti.

(Capecchi, Ruspini, 2009).

2.2 L’ Anoressia: ieri e oggi

Da un’indagine condotta da Rudolph Bell raccolta nel suo testo “La Santa Anoressia” su centosette sante italiane nel medioevo, la metà presentava e soffriva di Anoressia Nervosa10, la ricostruzione dell’autore oltre ad essere molto interessante sottolinea il

comportamento anoressico quattrocento anni prima delle prime diagnosi mediche (Bell,1998).

L’Anoressia nervosa è un’avversione del cibo dovuta a qualche disturbo della personalità, questa definizione incompleta e con termini impropri, non accenna che il comportamento anoressico consiste necessariamente nell’opporsi al cibo, ma anche in una crisi della personalità, legata all’autonomia, la quale nelle antiche leggende non è trattata. Spesso associata c’è una forte depressione, un conflitto interiore che porta queste donne al regredire in ogni senso, sopprimendo ogni bisogno fisiologico, mettendo a repentaglio la loro vita. Bell, cerca di mettere in risalto le somiglianze, le differenze e le cause dinamiche e psicologiche dell’anoressia di un tempo a quella contemporanea, spiegando che nonostante il nome e i tratti siano gli stessi di oggi, il corpo ne è sempre il mezzo principale per eccellenza, ma le motivazioni, sono ben diverse.

10«Anoressia, dal greco an (privazione, mancanza) e orexis (appetito) è un termine usato per

indicare una diminuzione dell’appetito o un’avversione al cibo. Tutti hanno sperimentato temporaneamente l’anoressia; qualche trauma emotivo, un semplice raffreddore ha diminuito il senso dell’odorato, un evento stressante. Spesso gli studenti vicino a un esame possono perdere l’appetito, o gli atleti possono non aver appetito in vista di una gara importante. Anche una quantità di squilibri ormonali possono essere cause dell’avversione del cibo in generale, le donne incinte hanno frequentemente delle preferenze alimentari che non debbono essere mal interpretati come capricci» (Bell, 1998, p. 3).

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Una è causata dal desiderio di esser santa, una dall'essere magra, ma per entrambi i motivi accettano con gioia gli effetti del digiuno.

A tal proposito Feighner11, attraverso un’analisi dimostra una notevole somiglianza

tra la santa anoressia e l'anoressia nervosa, quando la santità era collegata alla magrezza, il rifiuto del cibo era un piacere e anziché raggiungere solamente una forma molto esile del corpo si leggeva un desiderio di estrema ribellione, perciò non veniva solo notato come un comportamento distorto nei riguardi del cibo (Bell, 1998).

Le donne per diventare sante si ispiravano a specifici modelli analogamente la magrezza contemporanea occidentale ricerca costantemente un'ideale di bellezza perfetto da seguire e imitare, con lo scopo di raggiungere apprezzamenti sia dai parenti in particolare i genitori, sia agli occhi di Dio.

Entrambe non tengono conto delle minacce, rimproveri o rassicurazioni riguardanti la malattia, a tal proposito occorre spendere una particolare osservazione, in relazione ai bisogni e ai desideri interiori. Le sante anoressiche detestavano i loro desideri corporali ed erano terrorizzate dalla possibilità che essi potessero emergere senza preavviso, per essere sante era necessario non avere bisogni sessuali, narcisistici o nutritivi, e qui si denota nuovamente la correlazione tra santità e digiuno, il rifiuto del cibo da parte di esse nel cammino per diventare santa.

11 «Il criterio generalmente accettato per la diagnosi dell’anoressia nervosa, pubblicato da J.P.

Feighner e dai suoi collaboratori nel 1972 è il seguente: 1. insorgenza anteriore all’età di 25 anni;

2. mancanza di appetito accompagnata da una perdita di almeno il 25% del peso corporeo normale;

3. atteggiamento distorto e avverso nei confronti del cibo, del mangiare o del peso, che non tiene conto né della fame, né dei rimproveri, degli incoraggiamenti o delle minacce; (…)

4. nessuna malattia che possa essere la causa dell’anoressia e della perdita di peso

5. nessun altro psichiatrico, in particolare disturbi di ordine affettivo, schizofrenia, disturbi ossessivi compulsivi e nevrosi fobica

6. almeno due delle manifestazioni seguenti a) amenorrea, b) lanugo (capelli fini e morbidi) c) bradicardia (battito cardiaco rallentato) d) periodi di iperattività , e) episodi di bulimia ( fase insaziabile, f) vomito ( può essere auto-provocato)»

(J.P. Feighner, E. Robins e S.B. Guze, Diagnostic criteria for use in Psychiatric Research,« Archives of General Psychiatry » 26, 1972, pp. 57-63 ).

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Le attuali anoressiche sono diffidenti del proprio corpo e preoccupate delle loro necessità fisiche, son ben coscienti che mangiare è importante ma esse provano sentimenti repulsione contro il cibo anche nei confronti del sesso e sono disgustate dall'egoismo, la magrezza significa assenza di desideri ed estrema privazione, la purezza e la pulizia fisica è indispensabile per questa unione così vivificante e appagante. Inoltre le anoressiche odierne sono incapaci di mantenere rapporti con le altre persone, il loro vero rapporto intimo, privato e personale è con la loro dieta, dove non esiste nessun intermediario, esse preferiscono mantenere un rapporto apparentemente distante, indipendente e autosufficiente.

Quindi la purezza nutrizionale e fisica in generale permette alle anoressiche di mantenere questo stretto rapporto con la sua dieta, se questo rapporto viene a mancare, esse si sentiranno incomplete, come se mancasse una parte di loro stesse, che neanche un essere umano può completare e sostituire.

L'anoressia al giorno d'oggi presenta il tasso più alto di mortalità tra le malattie psichiche12, il percorso terapeutico è molto difficile e tortuoso, i confessori di un

tempo delle sante, equivalgono a parallelismi con i professionisti terapeutici di oggi, dove ascoltano, cercano di comprendere e proporre soluzioni tentando di condurre a comportamenti idonei, anche pochi uomini all’epoca erano in grado di comprendere tale atteggiamento e coglierne il vero significato.

L’anoressia, attualmente si rivela una minaccia molto presente, in particolare nelle giovani ragazze, molte di esse guariscono e riescono a condurre una vita appagante e produttiva, ma nonostante i progressi riguardanti le cure e le terapie da intraprendere molte donne non ne escono mai, diventa una disperata sopravvivenza senza lieto fine.

12In Italia sono circa 3 milioni i giovani che soffrono di disturbi del comportamento alimentare

(DCA), di cui il 95,9% sono donne e il 4,1% uomini. Il numero di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggirano tra il 5,86 e 6,2%, tra 1,57 e 1,93% per bulimia nervosa e per gli altri disturbi tra 1,81 e 1,92% (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica, Ansa.it).

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2.3 Le sante anoressiche

Una volta identificate le somiglianze e le differenze della santa anoressia e quella odierna occorre scendere più nel dettaglio nelle caratteristiche delle sante anoressiche, per comprendere l’evoluzione e il cambiamento della malattia nel tempo. Queste donne non presentano perdite di appetito, semplicemente non si nutrono come dovrebbero, che esse siano affamate o no, soffrono la fame e mettono a serio rischio la loro salute. In tutte le sante anoressiche la loro infanzia è descritta come idilliaca, i genitori le adorano, in particolare le madri: fanno loro credere di essere speciali, elette sugli altri ad essere amate.

Queste bambine sono di carattere allegro, espansivo, forse un po’ esuberante e prepotente, più adatto a un bambino che una bambina, ma pur sempre entro i limiti di un comportamento accettabile e perfino accattivante. Di conseguenza anche nelle prime vicissitudini religiose esse sembrano nella norma: spesso era sempre la figura materna a trasmettere e leggere racconti fantastici magici, meravigliosi di eroi del presente e del passato in modo tale che apprendessero valori e credenze tipiche di quel tempo sulla riguardante la chiesa e Dio. La Santa anoressia nasce dall’intreccio di due elementi, le dimensioni psicologiche del digiuno volontario ma anche gli imperativi attuali della santità medievale, questo binomio ha in comune il corpo, sempre protagonista e vittima di ogni azione e reazione psicologica dell’uomo. Nel caso delle sante ha inciso notevolmente, il racconto di Gesù nel deserto, quando egli digiunò per quaranta giorni e quaranta notti il messaggio che egli voleva trasmettere attraverso questo atto era il rifiuto di Satana, la figura di Gesù nella Bibbia è descritta affamata, cosa che le sante anoressiche difficilmente ammettono.

«La spinta alla distruzione del corpo – perché la carne non può essere domata perciò deve essere annientata – è particolarmente importante fra le sante anoressiche che sono state sposate, ma è presente in tutte. Siccome vergini o pie vedove non hanno rapporti sessuali, il cibo è l’unica cosa che entra nel corpo di queste anoressiche per la loro spontanea volontà o perché sono costrette e prenderlo per ordine dei confessori» (Bell, 1998, p. 134).

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Il digiuno era una punizione controllata, intrapresa per depurare il corpo dalle impurità e per equilibrare lo spirito alla battaglia in difesa della fede, spesso le sante hanno perso il controllo nonostante ricevessero l’ordine di mangiare, ma rispondevano sempre di non poterlo fare, erano convinte che i loro corpi non potessero essere purificati e si sforzavano attivamente di annientarli, arrivando anche alla morte. Il digiuno è presente e comune come preparazione cerimoniale in varie religioni; ma l’auto-negazione è sempre limitata.

Bell riporta nella seguente citazione un disperato appello alla moderazione del digiuno da parte di un prete per una santa anoressica, ricordando che il corpo può risentirne e cadere facilmente in fragilità.

«Siccome però, non abbiamo un corpo di bronzo, né la nostra è la robustezza del granito, anzi siamo piuttosto fragili e inclini a ogni debolezza corporale, ti prego e ti supplico nel signore, o carissima, di moderarti con saggia discrezione nell’austerità esagerata e impossibile, nella quale ho saputo che ti sei avviata affinché il tuo sacrificio sia sempre condito al sale della prudenza» (Bell, 1998, p. 145).

Ma occorre aggiungere un altro punto non ancora affrontato: le sante anoressiche hanno utilizzato il digiuno come canale di opposizione, non solo per non cedere a tutte le pulsioni e tentazioni che la vita può dare per una purificazione del corpo, ma anche per ottenere un’autonomia per imporsi nella società, perché un tempo le donne erano considerate come minoris iuris, vigeva l’idea indiscussa della superiorità dell’uomo, fondata anche essa su dati biblici13 e ciò legittimava forme di

strumentalizzazione consone alla logica sociale dell’epoca.

Esse dovevano rispondere alla famiglia e alle devozioni del marito, spesso non scelto per loro volontà, difficilmente le erano concessi altri ruoli.

13 «L’idea dell’indiscussa superiorità dell’uomo si fondava in primo luogo sulla presentazione

biblica della creazione: al momento della formazione del corpo l’uomo era venuto prima della donna, l’uno era fatto direttamente della terra e l’altra invece era stata formata dalla costola del primo» (Giorgi, 2007, p. 23).

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«Per tutte, di nascita elevata o meno, l’istituto matrimoniale si poneva come una obbligatoria soluzione esistenziale, configurandosi anche con mezzo di coesione delle politiche familiari in cui le donne, spesso giovanissime erano poste come oggetto di scambio» (Giorgi, 2007, p. 27).

Giorgi nel suo testo “Donne sante, donne streghe”, accentua il ruolo che spettava a ogni donna dell’epoca perciò scegliere la via della monacazione, del divenire santa e l’apparente routine di preghiere, pasti comuni, meditazioni, a loro forniva una stabilità fisica e psichica, riuscendo a trovare la pace interiore tanto ambita.

«Alla santa anoressica non veniva mai in mente di aver fatto sacrifici eccessivi; così le punizioni corporali e le privazioni diventavano simultaneamente mezzi simbolici ed efficaci di conoscenza. Il suo catechismo, le storie che aveva udito, le immagini che aveva guardato, le severe penitenze imposte dal suo confessore, tutto ciò le diceva che la sofferenza era la via della salvezza, dell’amore eterno. Ed essa credeva pienamente a questo messaggio» (Bell, 1998, p. 69).

Per le sante la scelta di farsi monaca era una via per la salvezza, l’Autore evidenzia nuovamente il corpo, protagonista e allo stesso tempo vittima di tutti questi processi, attraverso digiuni, flagellazioni e torture di vario tipo, ha portato alcune donne alla loro realizzazione, alla scoperta e predominanza di loro stesse.

Arrivati alla conclusione non resta che accennare l’argomento del prossimo paragrafo, racconteremo le testimonianze di queste sante, del loro distacco dall’imposizione familiare, dell’intrapresa del loro percorso e di come poi sono diventate un simbolo per le donne di quei tempi e dei secoli successivi.

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2.4 Storie di sante e streghe

La storia di Caterina da Siena, una biografia composta all’incirca un decennio successivo alla sua morte da Raimondo Capua14, è un’ottima testimonianza di santa

anoressica nel contesto spirituale, inoltre raccoglie tutti i tratti descritti in precedenza e dimostra ancora una volta di come il corpo ne sia sempre il mezzo per eccellenza di espressione e di rappresentazione. Raimondo, il suo confessore dopo la morte della santa aveva raccolto i propri appunti e quelli dei precedenti confessori, oltre alle testimonianze di altre persone che l’avevano conosciuta.

Caterina nacque a Siena nel 1347 insieme a una sorella gemella, fin da piccola ebbe un rapporto molto competitivo e irruente con la madre, una donna molto rigida e decisa, tanto che passò tutta la vita a essere succube per ottenere l’approvazione della madre nelle sue scelte. Affrontò una dura battaglia contro la sua famiglia, al punto che tentarono anche di metterla in quarantena, per convincerla e farle cambiare idea, riguardo la sua scelta di farsi monaca e di scegliere la vita della castità, confermatasi però definitivamente dopo la morte della sorella maggiore durante il parto, per Caterina fu un colpo molto grosso, sua sorella era morta a causa del terreno principale della donna, quello riproduttivo, oltre che futuro dovere di una donna di quell’epoca, quello di allevare e crescere la prole. Caterina, la quale provava repulsione per tutto ciò che riguardava il mondo, rifiutò con determinazione di non prendere uno sposo che non fosse cristo e dette inizio alla conquista del proprio corpo. La santa vinse la tentazione della fame, del sesso, del sonno e di ogni genere di comodità materiale, piegando definitivamente la volontà dei suoi genitori e innalzando la sua, anche se aveva molto da imparare sulle preghiere, le adunanze, le pratiche penitenziali.

14«Raimondo fu con Caterina, più o meno come Freud, e il frate domenicano non mancò di

annotare con cura tutto ciò che aveva udito e osservato di essa nel corso dei lunghi colloqui. Dopo la morte di Caterina, Raimondo raccolse i propri appunti e quelli dei confessori precedenti e creò una Legenda, termine che per lui significa una testimonianza di molte altre persone che l’avevano conosciuta; voleva che fosse il documento autorevole della sua vita, per l’edificazione dei fedeli e in vista di una possibile canonizzazione di Caterina»

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Le preghiere, come la messa erano in lingua latina, la quale non comprendeva, a seguito di ciò aveva chiesto allora a una consorella se poteva istruirla e aiutarla. Mentre si innalzava alle vette della contemplazione, si esercitava nella lotta al dominio della carne, con i digiuni, le flagellazioni, e altre mortificazioni di ogni genere. La flagellazione di Caterina avveniva con una catena, facendosi scorrere il sangue fino ai piedi, tre volte, una per sé, una per i vivi, una per i morti, per la durata di circa un’ora, vestiva soltanto abiti di lana grezza e invece di usare cilicio di stoffa, legava ai fianchi una catena di ferro talmente stretta che le provocava continue infiammazioni sulla pelle.

Superando questi gravi disagi, aveva vinto la stanchezza e aveva ridotto il periodo di sonno fino a trenta minuti ogni due giorni su una sdraia di legno, ridusse la dieta, andò oltre i severi e rituali digiuni, nei quali si sottoponevano usualmente gli asceti del suo tempo e spesso in diretto contrasto con le disposizioni esplicite dei suoi confessori, molti dei quali le ordinavano minor rigore (Bell, 1998).

Arrivò fino a bere un po’ di acqua fredda, masticava delle erbe amare e traeva nutrimento solo dall’ostia che riceveva nella celebrazione eucaristica. A soli ventisei anni Caterina era molto nota e conosciuta per la sua grande santità, in ogni sua azione era guidata dal suo sposo spirituale, non si faceva condurre né consigliare da nessun essere umano terreno.15Nella sua vita c’è stato un succedersi continuo di

esperienze mistiche e apparizioni, le quali narrano di come nei giorni di carnevale, mentre i suoi facevano festa e Caterina era dedita alle preghiere, le era apparso Cristo con la Vergine Maria, la quale le presenta il figlio, successivamente le prende la mano e la invita a sposarlo a sé nella fede.

Quando la visione era scomparsa Caterina si era trovata alla mano un anello che poi rimase per sempre con lei.

15 «Entro a lavorare, cioè a pregare e soffrire, nella navicella della santa chiesa, e vi rimango così

fino a sera. Non vorrei uscire mai, né giorno e né notte, finché io non veda questo popolo un po’ placato e stabilito nella pace con il suo padre, il papa. Il mio corpo va avanti senza alcun cibo e senza neppure un goccio d’acqua, con tanti dolori e tormenti, quanti non ho mai avuti; al punto che la mia vita vi rimane per un filo» (Giorgi, 2007, p.98).

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Col tempo la santa arrivò a non bere nemmeno più un goccio d’acqua, pregando che Dio la salvasse dalla chiesa, il 29 gennaio del 1380, dopo un grave collasso che portò Caterina al coma, dopo giorni di atroci dolori e tormenti diabolici, morì.

Alla sua morte ci fu una grandissima emozione popolare tale da rendere necessaria la difesa del suo corpo dai frati (Giorgi, 2007).

Sulla scena Italiana, la maggiore santa anoressica di cui si può parlare e ritengo inerente con l’elaborato è Chiara D’assisi, compagna di San Francesco D’assisi e fondatrice delle Clarisse povere, ordine ancora presente nel mondo cattolico.

Chiara è stato un modello innovatore di pietà femminile, umiliando sé stessa, richiamò attenzione dal popolo italiano e furono molte le donne che seguirono il suo esempio, in primis sua sorella Agnese, provocando molto scalpore e oltraggio nella famiglia. I parenti usarono la forza per tirarla fuori dal rifugio benedettino dove Francesco l’aveva collocata dopo che era scappata di casa la notte della Domenica delle palme del 1212, ma per la sua famiglia d’origine fu inutile scuoterla o convincerla, non bastarono perfino le minacce verbali e trascinarla, tornarono indietro a mani vuote.

Chiara e le sue sorelle se ne stavano chiuse tra le mura del convento di San Damiano, mentre Francesco e i suoi fratelli andavo in giro per il mondo a diffondere il messaggio di Madonna Povertà.

Molte testimonianze rivelarono che la santa per tanti anni non mangiava niente i giorni del Lunedì, Mercoledì e Venerdì, ma anche i restanti giorni della settimana non mangiava tanto più, finché si ammalò gravemente. Chiara alla fine si riprese dalla malattia provocata dal quel drastico digiuno e come molte altre anoressiche precedenti, esercitò talento ed energie notevoli come priora. Anche lei cominciò a dubitare della saggezza della severa austerità, nelle regole rigide, specificò che le restrizioni della quaresima dovevano essere controllare dalle sorelle ogni giorno dell’anno, eccetto a Natale.

Si potevano comunque fare delle eccezioni per i giovani, per i deboli e per coloro che servivano fuori dalle mura del convento, la dieta di Quaresima, era molto monotona e scarna, ma non nuoceva alla salute (Bell, 1998).

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A differenza di Caterina da Siena, Chiara si rese conto del pericolo a cui andava incontro, dell’autodistruzione fatta al suo corpo e che questo digiuno doveva avere dei limiti, i quali non comportavano alla malattia o addirittura alla morte precoce, così Chiara rinunciò agli eccessi dei primi tempi, dimostrando a differenza di tante Sante di guarire dal digiuno. Il biografo di Chiara descrisse vivacemente la potente attrazione che esercitava la vita di questa donna, la fama della sua santità si diffuse di villaggio in villaggio, le donne accorrevano da ogni parte, le vergini ispirate dal suo esempio badavano a conservare il loro dono innato per cristo, le donne sposate invece tentavano di vivere più castamente.

Grazie a questi esempi di fortezza del sesso debole, nobili donne lasciavano i loro palazzi per vivere in maniera spartana nel cilicio, gli uomini giunsero a disprezzare le false lusinghe della carne e scegliere anche loro la vita della purezza, a seguito di ciò molte coppie strinsero promesse e patti di continenza, dove sia il marito che la moglie entravano in monasteri. L’insorgenza di un modello di pietà femminile chiaro, attraente incoraggiato dai Francescani come Chiara, portò la distruzione dei desideri fisici, essa fu presentata come un ideale che poteva essere emulato in casa propria, senza troppe eccezioni bizzarre, anche dalle donne con marito, vedove, donne di ogni classe o condizione.

La condotta della santa ebbe un’influenza notevole, riconosciuta fra le donne per la sua enorme ed eccezionale santità, un modello di santa anoressia che ha permesso a molte donne identificarsi in lei, scegliendo la via del convento e del ritiro spirituale. Emule delle grandi eroine della santità rinunciavano ai doveri e vincoli matrimoniali per la castità, il loro rifiuto di esser strumento dell’uomo si esprimeva attraverso questo, nella negazione della vanità femminile e dedicarsi solo esclusivamente alla cura dei malati e alla preghiera.

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