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Storie di sante e streghe

La storia di Caterina da Siena, una biografia composta all’incirca un decennio successivo alla sua morte da Raimondo Capua14, è un’ottima testimonianza di santa

anoressica nel contesto spirituale, inoltre raccoglie tutti i tratti descritti in precedenza e dimostra ancora una volta di come il corpo ne sia sempre il mezzo per eccellenza di espressione e di rappresentazione. Raimondo, il suo confessore dopo la morte della santa aveva raccolto i propri appunti e quelli dei precedenti confessori, oltre alle testimonianze di altre persone che l’avevano conosciuta.

Caterina nacque a Siena nel 1347 insieme a una sorella gemella, fin da piccola ebbe un rapporto molto competitivo e irruente con la madre, una donna molto rigida e decisa, tanto che passò tutta la vita a essere succube per ottenere l’approvazione della madre nelle sue scelte. Affrontò una dura battaglia contro la sua famiglia, al punto che tentarono anche di metterla in quarantena, per convincerla e farle cambiare idea, riguardo la sua scelta di farsi monaca e di scegliere la vita della castità, confermatasi però definitivamente dopo la morte della sorella maggiore durante il parto, per Caterina fu un colpo molto grosso, sua sorella era morta a causa del terreno principale della donna, quello riproduttivo, oltre che futuro dovere di una donna di quell’epoca, quello di allevare e crescere la prole. Caterina, la quale provava repulsione per tutto ciò che riguardava il mondo, rifiutò con determinazione di non prendere uno sposo che non fosse cristo e dette inizio alla conquista del proprio corpo. La santa vinse la tentazione della fame, del sesso, del sonno e di ogni genere di comodità materiale, piegando definitivamente la volontà dei suoi genitori e innalzando la sua, anche se aveva molto da imparare sulle preghiere, le adunanze, le pratiche penitenziali.

14«Raimondo fu con Caterina, più o meno come Freud, e il frate domenicano non mancò di

annotare con cura tutto ciò che aveva udito e osservato di essa nel corso dei lunghi colloqui. Dopo la morte di Caterina, Raimondo raccolse i propri appunti e quelli dei confessori precedenti e creò una Legenda, termine che per lui significa una testimonianza di molte altre persone che l’avevano conosciuta; voleva che fosse il documento autorevole della sua vita, per l’edificazione dei fedeli e in vista di una possibile canonizzazione di Caterina»

Le preghiere, come la messa erano in lingua latina, la quale non comprendeva, a seguito di ciò aveva chiesto allora a una consorella se poteva istruirla e aiutarla. Mentre si innalzava alle vette della contemplazione, si esercitava nella lotta al dominio della carne, con i digiuni, le flagellazioni, e altre mortificazioni di ogni genere. La flagellazione di Caterina avveniva con una catena, facendosi scorrere il sangue fino ai piedi, tre volte, una per sé, una per i vivi, una per i morti, per la durata di circa un’ora, vestiva soltanto abiti di lana grezza e invece di usare cilicio di stoffa, legava ai fianchi una catena di ferro talmente stretta che le provocava continue infiammazioni sulla pelle.

Superando questi gravi disagi, aveva vinto la stanchezza e aveva ridotto il periodo di sonno fino a trenta minuti ogni due giorni su una sdraia di legno, ridusse la dieta, andò oltre i severi e rituali digiuni, nei quali si sottoponevano usualmente gli asceti del suo tempo e spesso in diretto contrasto con le disposizioni esplicite dei suoi confessori, molti dei quali le ordinavano minor rigore (Bell, 1998).

Arrivò fino a bere un po’ di acqua fredda, masticava delle erbe amare e traeva nutrimento solo dall’ostia che riceveva nella celebrazione eucaristica. A soli ventisei anni Caterina era molto nota e conosciuta per la sua grande santità, in ogni sua azione era guidata dal suo sposo spirituale, non si faceva condurre né consigliare da nessun essere umano terreno.15Nella sua vita c’è stato un succedersi continuo di

esperienze mistiche e apparizioni, le quali narrano di come nei giorni di carnevale, mentre i suoi facevano festa e Caterina era dedita alle preghiere, le era apparso Cristo con la Vergine Maria, la quale le presenta il figlio, successivamente le prende la mano e la invita a sposarlo a sé nella fede.

Quando la visione era scomparsa Caterina si era trovata alla mano un anello che poi rimase per sempre con lei.

15 «Entro a lavorare, cioè a pregare e soffrire, nella navicella della santa chiesa, e vi rimango così

fino a sera. Non vorrei uscire mai, né giorno e né notte, finché io non veda questo popolo un po’ placato e stabilito nella pace con il suo padre, il papa. Il mio corpo va avanti senza alcun cibo e senza neppure un goccio d’acqua, con tanti dolori e tormenti, quanti non ho mai avuti; al punto che la mia vita vi rimane per un filo» (Giorgi, 2007, p.98).

Col tempo la santa arrivò a non bere nemmeno più un goccio d’acqua, pregando che Dio la salvasse dalla chiesa, il 29 gennaio del 1380, dopo un grave collasso che portò Caterina al coma, dopo giorni di atroci dolori e tormenti diabolici, morì.

Alla sua morte ci fu una grandissima emozione popolare tale da rendere necessaria la difesa del suo corpo dai frati (Giorgi, 2007).

Sulla scena Italiana, la maggiore santa anoressica di cui si può parlare e ritengo inerente con l’elaborato è Chiara D’assisi, compagna di San Francesco D’assisi e fondatrice delle Clarisse povere, ordine ancora presente nel mondo cattolico.

Chiara è stato un modello innovatore di pietà femminile, umiliando sé stessa, richiamò attenzione dal popolo italiano e furono molte le donne che seguirono il suo esempio, in primis sua sorella Agnese, provocando molto scalpore e oltraggio nella famiglia. I parenti usarono la forza per tirarla fuori dal rifugio benedettino dove Francesco l’aveva collocata dopo che era scappata di casa la notte della Domenica delle palme del 1212, ma per la sua famiglia d’origine fu inutile scuoterla o convincerla, non bastarono perfino le minacce verbali e trascinarla, tornarono indietro a mani vuote.

Chiara e le sue sorelle se ne stavano chiuse tra le mura del convento di San Damiano, mentre Francesco e i suoi fratelli andavo in giro per il mondo a diffondere il messaggio di Madonna Povertà.

Molte testimonianze rivelarono che la santa per tanti anni non mangiava niente i giorni del Lunedì, Mercoledì e Venerdì, ma anche i restanti giorni della settimana non mangiava tanto più, finché si ammalò gravemente. Chiara alla fine si riprese dalla malattia provocata dal quel drastico digiuno e come molte altre anoressiche precedenti, esercitò talento ed energie notevoli come priora. Anche lei cominciò a dubitare della saggezza della severa austerità, nelle regole rigide, specificò che le restrizioni della quaresima dovevano essere controllare dalle sorelle ogni giorno dell’anno, eccetto a Natale.

Si potevano comunque fare delle eccezioni per i giovani, per i deboli e per coloro che servivano fuori dalle mura del convento, la dieta di Quaresima, era molto monotona e scarna, ma non nuoceva alla salute (Bell, 1998).

A differenza di Caterina da Siena, Chiara si rese conto del pericolo a cui andava incontro, dell’autodistruzione fatta al suo corpo e che questo digiuno doveva avere dei limiti, i quali non comportavano alla malattia o addirittura alla morte precoce, così Chiara rinunciò agli eccessi dei primi tempi, dimostrando a differenza di tante Sante di guarire dal digiuno. Il biografo di Chiara descrisse vivacemente la potente attrazione che esercitava la vita di questa donna, la fama della sua santità si diffuse di villaggio in villaggio, le donne accorrevano da ogni parte, le vergini ispirate dal suo esempio badavano a conservare il loro dono innato per cristo, le donne sposate invece tentavano di vivere più castamente.

Grazie a questi esempi di fortezza del sesso debole, nobili donne lasciavano i loro palazzi per vivere in maniera spartana nel cilicio, gli uomini giunsero a disprezzare le false lusinghe della carne e scegliere anche loro la vita della purezza, a seguito di ciò molte coppie strinsero promesse e patti di continenza, dove sia il marito che la moglie entravano in monasteri. L’insorgenza di un modello di pietà femminile chiaro, attraente incoraggiato dai Francescani come Chiara, portò la distruzione dei desideri fisici, essa fu presentata come un ideale che poteva essere emulato in casa propria, senza troppe eccezioni bizzarre, anche dalle donne con marito, vedove, donne di ogni classe o condizione.

La condotta della santa ebbe un’influenza notevole, riconosciuta fra le donne per la sua enorme ed eccezionale santità, un modello di santa anoressia che ha permesso a molte donne identificarsi in lei, scegliendo la via del convento e del ritiro spirituale. Emule delle grandi eroine della santità rinunciavano ai doveri e vincoli matrimoniali per la castità, il loro rifiuto di esser strumento dell’uomo si esprimeva attraverso questo, nella negazione della vanità femminile e dedicarsi solo esclusivamente alla cura dei malati e alla preghiera.

Il digiuno, rappresentava una sorta di mediazione biologica necessaria a produrre le distorsioni percettive e le alterazioni degli stati di coscienza dell’estasi mistica, donne in tenera età che privano il loro corpo di cibo, bevande e sonno, mortificando il proprio corpo16. Le punizioni corporali come descritte nelle storie sono delle

mortificazioni e privazioni per ottenere la padronanza su sé stesse, sui propri impulsi fisici costituirono la via verso la salvezza dell’amore divino, per liberarsi dell’autorità familiare, la quale si metteva nel mezzo con Dio. Sia gli uomini che donne intervenivano nel loro corpo dall’esterno mediante forme di sofferenza auto inflitta, intraprendendo regolarmente forme di auto tortura e flagellazione, ma le donne furono molto più inclini a questi procedimenti, nella vita di queste donne, definite sante, sono state individuate delle costanti quali preoccupazione per il cibo, vomito autoindotto e il terrore costante di perdere il controllo su tutto.

Esse controllavano completamente la propria corporeità, sia si trattasse di un piatto di cibo, che di una tormentosa flagellazione da parte dei diavoli nudi e bestie feroci, il dolore, la negazione e la frustrazione dei bisogni del corpo si manifestò come un rifiuto alla normalità di vivere e come un agire eccezionale teso alla ricerca della verità (Bell, 1998).

Va specificato però che questa attitudine fu influenzata anche da un altro elemento e non solo le vicessitudini delle eroine come Chiara e Caterina: la società ha sempre inquadrato la figura della donna come coinvolta nella cura del corpo altrui (assistenza ai moribondi, cura ai bambini, malati, assistenza durante i parti) e molte di esse trasferirono questo ruolo nelle proprie esperienze religiose più profonde e intime, la qualità somatica dell’esperienza visionaria fu la continuazione della loro consueta responsabilità sociale.

16«La soppressione delle necessità fisiologiche e delle sensazioni fondamentali come fatica,

pulsione sessuale, fame, dolore, permette al corpo di compiere imprese eroiche e all’anima di comunicare con Dio. Tale particolare sistema di compensazione, una volta innescato, diventa poi autoindotto e autoperpetuantesi, un caso classico di circolo tra stimolo e risposta. Ma una straordinaria attività fisica e il digiuno non possono coesistere molto a lungo. Giunta al punto critico, la santa anoressica è disposta non a rispondere al consiglio di un abile medico ma di una autorità più alta. La morte diventa una logica, dolce e totale liberazione della carne» (Bell,1998, p.16).

Col tempo, solo una piccola parte di queste donne, caratterizzate da tanto carisma e di una grossa fiducia in se stesse, riuscì a convincere famiglie e il clero che il loro agire era ispirato e voluto da Dio, diventando oggetto di riverenza in quanto capaci di portare a compimento le opere di Dio e a conoscere la sua volontà.

Sempre in questo paragrafo tratteremo brevemente la figura opposta alla santa, descritta minuziosamente nel testo della Giorgi, la strega: a differenza delle sante, le streghe non essendo riconosciute dal clero e la società andavo incontro a un’orribile morte. Altra difformità era che le sante dialogavano con dio, le altre col diavolo, ma entrambe attinsero al mondo degli spiriti, quindi si affermò il fatto di come questi due mondi anche se hanno avuto esiti diversi, sono stati comunque vicini, spesso da confonderli e sovrapporli, rimanendo unicamente distinti dall’origine sociale e di contesto in cui si svilupparono le loro personalità.

Le sante nonostante seguissero dei meccanismi psicologici analoghi alle streghe, a differenza delle ultime non rifiutarono mai l’imposizione ecclesiastica, ma solo parzialmente, superavano l’autorità maschile dei sacerdoti o quella familiare intrattenendo un rapporto diretto con Dio, ma si limitavano a quello, non andando a svolgere profezie o fare previsione come era solito delle streghe17.

Per questo motivo le sante sono state riconosciute e accolte nella chiesa pur con qualche diffidenza e dei rigidi controlli, mentre le streghe restando naturali e ribelli nei loro ambienti vivendo uno stile di vita completamente diverso, col passare del tempo fu represso totalmente.

Tra la santa e la strega emerge un profilo femminile molto netto, degno di nota caratteristico di quell'epoca, la storia di Giovanna D'arco, la pulzella D'orlèans,

17«Nella stragrande maggioranza le narrazioni pervenutici parlano di riti osceni e sacrifici col

diavolo, in luoghi bui e appartati, normalmente nel fitto di un bosco, che si concludevano quasi sempre con orge sessuali. Era una sorta di rito religioso alla rovescia, una deformazione della celebrazione sacra, da cui mutuava vari elementi come ad esempio un’ostia realizzata con una fetta di rapa, in cui il vero protagonista era il diavolo. Partecipavano a questo rito soprattutto donne. Occorreva però essere inizia. Il Malleus Maleficarum (martello delle streghe) descrive come avveniva quest’iniziazione: le donne che avevano deciso di aderire dovevano esprimere un voto di obbedienza durante la cerimonia del sabba, rinnegando la fede cristiana per consegnare al diavolo la propria anima e promettendo di portare al nuovo padrone maggior numero possibile di adepti» (Giorgi, 2007, p. 152).

racchiusa nell'ultima fase della Guerra dei Cento anni, un modello difficile da collocare, ma collegabile a condotte descritte nelle storie delle sante, come per esempio le visioni mistiche o l’atteggiamento ribelle.

Giovanna D'arco è nata nel 1412 nel villaggio di Domrèmy, essa non aveva le forme usuali delle ragazze di campagna di quel tempo: al posto di lavori casalinghi, cucire, filare, utilizzava quelli più impegnativi, come sorvegliare il gregge e custodire la mandria comunale. All'educazione religiosa di Giovanna se ne occupò la madre, la quale, con molto fervore, riuscì attraverso racconti esemplari, a legare l'animo della figlia al sentimento religioso con i valori civili (Giorgi, 2007).

Giovanna dimostrò un precoce interesse verso gli eventi politici di allora, incominciando a leggerli in chiave religiosa, come espressione dell'eterna lotta tra il bene e il male: secondo il pensiero della donna, il re era sottoposto a un calvario come cristo mentre gli Inglesi e Borgognoni rivestivano le sembianze del diavolo. Essa ebbe le sue prime visioni e con maggior frequenza udì voci riguardanti Santa Margherita, L'arcangelo Michele e Santa Caterina, tali voci insistevano sulla necessità di adempiere le volontà di Dio18, il quale emanava la liberazione del trono

di Francia dalla presenza degli invasori. A seguito di una visione Giovanna fuggì di casa vestita da cavaliere e mandò a chiedere al re il permesso di visitarlo, per portargli soccorso, dopo vari dubbi giunsero alla decisione di accordarle l'udienza, dopo aver spiegato di essere stata inviata da Dio per liberare la Francia, il re ordinò che le venisse dato tutto ciò che chiedeva, quindi Giovanna diede inizio con le attività belliche con lo scopo di compiere ciò che Dio le chiedeva, ma nel maggio 1430 fu catturata dai Borgognoni, e la sua cattura provocò due divisioni della popolazione: chi la accusava come strega, chi la venerava come vergine e santa eroina.

Nel 1431 iniziò il suo processo, col fine di estrapolare da Giovanna la confessione di aver ordito un inganno e che tutto il suo operato non era dovuto che a sortilegi.

18«Mio Dio, perché non mi hai fatta nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo

servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere» (Christine de Pizan, Livre de la Cité des Dames, XV sec.).

Le sue accuse erano poco dettagliate, grossolane ed esagerate, ma purtroppo la donna non ebbe il privilegio di alcun difensore. Giovanna non sapeva né leggere né scrivere, fu sostenuta solo dalla sua coscienza senza alcun aiuto umano, si mostrò sempre calma ed energica, sicura di ciò che diceva, perché aveva la piena sicurezza che Dio fosse sempre con lei, scatenando timore per la fama e prestigio nei giudici, nei quali nel corso degli interrogatori, aumentava sempre di più tantissima ammirazione ma allo stesso tempo paura, tanto che la sentenza fu la condanna a morte, precisamente al rogo:

«La fiamma avanzò, mentre il fumo formava una cortina tra lei e gli spettatori; durante l'esecuzione, fu ridotta l'altezza delle fiamme per far vedere al popolo, tutti i segreti che possono e dovrebbero essere in questa donna. Giovanna rivolse gli occhi al cielo e fu udita invocare Dio. Poi il corpo arse fino a carbonizzarsi senza che lei emettesse un grido» (Giorgi, 2007, p. 20).

La leggenda vuole che sul patibolo, il frate trovasse ancora il cuore della donna intatto, nonostante l'olio, lo zolfo e il catrame che le aveva applicato sul petto.

Lo stesso giorno della morte, il cardinale ordinò che il cuore e ceneri venissero buttati nella Senna, evitando, che i ricercatori di reliquie se ne impadronissero.

L'immagine della fanciulla guerriera entrò nel mito e quasi cinquecento anni dopo, Giovanna venne dichiarata venerabile, canonizzata da Benedetto Quindicesimo il quale la nominò anche patrona di Francia (Giorgi, 2007).

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