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Fenomenologia e metafisica della luce

dell’esteriorità

2. Fenomenologia e metafisica della luce

Ogni discussione su Lévinas e sul senso della sua proposta fi- losofica deve comunque partire da una considerazione delle premesse fenomenologiche dalle quali Lévinas ricava il tema dell’alterità. E la ragione di ciò non sta solo nel fatto che Lé- vinas comincia la sua carriera filosofica come discepolo idea- le di Husserl.7Se si riesce a mostrare che già qui, nel suo in- contro con Husserl, Lévinas ha utilizzato strumenti concet- tuali originali, estranei al tessuto del discorso husserliano stesso, sarà poi più facile argomentare la tesi secondo cui la filosofia di Lévinas è latrice di una struttura di pensiero che la rende incompatibile con quella scena filosofica in cui ci muo- viamo oggi in quanto eredi e continuatori del moderno.

Una prima ipotesi potrebbe essere, per contro, quella di leg- gere nei primi testi levinassiani su Husserl il segno di un in- teresse genuino e autentico per la filosofia, che poi, in segui- to a una curvatura in senso esistenzialista del discorso feno- menologico (per altro tipica e frequente nella Francia di al- lora), si sarebbe trasformato in una sorta di mistica più o me- no secolarizzata dell’alterità. Tale ipotesi però non regge a un esame attento dei testi. Sin da subito, in realtà, è presente in Lévinas la volontà di curvare il discorso fenomenologico verso una direzione che non è quella a esso propria- o, che è lo stesso, la volontà di marcare con forza la distanza tra la propria posizione e quelle di Husserl e di Heidegger. Scegliamo come punto di partenza i saggi raccolti in En dé-

couvrant l’existence avec Husserl et Heidegger. Nel primo

di questi saggi, risalente al 1940 (quindi di dieci anni poste- riore al primo lavoro, intitolato La théorie de l’intuition

dans la phénoménologie de Husserl), Lévinas sembra limi-

tarsi a un’esposizione pura e semplice del pensiero di Hus- serl, condotta a partire dalle opere note allora. Pur essendo disponibile anche Formale und transzendentale Logik, del 1929, Lévinas non manifesta alcun interesse verso la teoria della conoscenza husserliana e verso i problemi che essa cercava faticosamente di risolvere (la filosofia come teoria delle varie forme di teoria, il rapporto tra evidenza e verità, il rapporto tra ontologia e teoria dell’oggetto).8Ciò che inte- ressava invece l’allora studioso e traduttore di Husserl era piuttosto la rilevanza etica della fenomenologia intesa come esercizio. Che significa ciò? Per Lévinas il guadagno teori- co acquisibile grazie alle nozioni centrali della fenomenolo- gia – come quelle di intenzionalità, di senso e di evidenza – consiste nello spostamento di accento che esse permettono di compiere rispetto a qualsiasi filosofia tradizionale orien- tata metafisicamente. Mentre per una filosofia di tipo meta- fisico (intesa nella sua accezione più vasta) il senso sta da qualche parte al di fuori del soggetto, per cui si tratta sempre

di chiarire in via preliminare come il soggetto pervenga a es- so, il discorso fenomenologico inaugurato da Husserl, con un gesto radicale e semplice assieme, pone l’origine del sen- so nel soggetto stesso- o meglio, nelle operazioni da questi compiute. Pur non concedendo nulla a una posizione di tipo psicologistico9, Husserl pone sin da subito al centro delle sue analisi il senso della verità, ovvero il modo in cui essa

vale per un soggetto. Trasformando l’intenzionalità brenta-

niana in uno strumento atto a svelare la complessità e la ric- chezza della vita della coscienza costituente, Husserl mostra come ciò che affetta il soggetto dall’esterno, pur senza per- dere nulla della propria assoluta esteriorità, non possa essere pensato se non all’interno di quelle operazioni di Sinnge-

bung che permettono la costituzione dell’oggetto in quanto

tale. Nell’intenzionalità si darebbe a vedere, dunque, tanto l’impossibilità di ridurre il mondo alla coscienza che lo pen- sa, quanto l’impossibilità di ridurre il senso a un’operazione autonoma della coscienza, slegata da quell’esteriorità a cui essa si riferisce in ciascuno dei suoi atti di pensiero. Corretta nelle sue linee di fondo, l’interpretazione offerta da Lévinas non manca però di colpire per la tendenza a porre l’accento su alcuni aspetti del pensiero husserliano a prefe- renza di altri. Esemplare in tal senso il modo in cui Lévinas interpreta la funzione dell’epoché. Una filosofia come quel- la husserliana perviene alla riduzione fenomenologica e alla scoperta della soggettività trascendentale che da essa conse- gue per ragioni metodiche ineludibili. Fortemente centrata sull’estetica trascendentale, sulla passività, sulla concretez- za delle operazioni soggettive che letteralmente permettono l’incarnazione del significato, la fenomenologia non può non presupporre una legalità del conoscere che si identifichi con l’istanza a cui si riconducono tutti gli atti di coscienza, posizionali e non. La posta in gioco in tutta questa faccenda consiste nella possibilità di tenere distinte la sfera trascen- dentale e quella empirica. Ora, se da un lato è vero che Hus-

serl per primo non manca di attribuire all’atto della riduzio- ne una valenza che potremmo definire esistenziale, dall’al- tro è anche vero che Husserl non cessa di sottolineare come l’epoché sia parte integrante della metodica fenomenologi- ca nel senso appena chiarito. Lévinas pare invece interessa- to solo all’aspetto che chiamerei esistenziale dell’epoché. Gesto libero e liberatorio, nella prospettiva di Lévinas l’e-

poché permette a chi la compie di cogliere se stesso in quan-

to soggetto donatore di senso. Grazie a essa si può così giun- gere a un definitivo superamento della tradizionale separa- zione tra pensiero e azione: il soggetto che liberamente compie l’epoché non solo mette a tema riflessivamente l’intenzionalità dei propri atti di volizione, di pensiero e di desiderio, ma riesce a far suoi questi atti, riesce a cogliere il nesso che li lega all’unità coscienziale complessiva. A partire da questa nuova idea di soggetto che la fenomeno- logia dischiude sono possibili due vie. Da un lato, si ha la via della chiarificazione virtualmente interminabile, dello sfor- zo incessante di analisi, avente come scopo finale la descri- zione di tutte le complesse ramificazioni della soggettività costituente, fino a comprendere, teleologicamente, la totali- tà della vita intermonadica. Dall’altro, si apre una via in cui al centro della riflessione si trovano piuttosto la complessità irriducibile della vita coscienziale e, di conseguenza, la sot- tolineatura dell’inevitabile intreccio tra coscienza costituen- te e coscienza costituita. Si potrebbe mostrare come in Hus- serl le due vie convivano l’una accanto all’altra, in un rap- porto a volte osmotico, a volte conflittuale e irrisolto.10Lé- vinas non ignora affatto questa compresenza di opzioni teo- riche dagli esiti potenzialmente anche assai distanti tra loro, ma di fronte a una fenomenologia intesa quale opera di chia- rificazione continua e incessante delle strutture della sog- gettività non riesce a nascondere una certa insoddisfazione. In un passo in cui si dà conto del senso dell’analisi intenzio- nale si può infatti leggere:

Ogni intenzione è un’evidenza cercata, è un tendere alla lu- ce. Dire che ogni rappresentazione sta alla base di ogni in- tenzione, anche affettiva o relativa, significa concepire l’in- sieme della vita spirituale sul modello della luce.11

Proprio contro questa luce, contro questo eccesso di lumi- nosità si rivolgerà poi la critica levinassiana alla metafisica - e sarà una critica che non potrà lasciare intatta nemmeno la fenomenologia.12 La fenomenologia di cui Lévinas al- l’inizio del suo cammino di pensiero tesse gli elogi, insom- ma, non è tanto lo strumento di cui la filosofia si serve per descrivere l’intrico delle operazioni su cui si regge la vita della ragione, ma è piuttosto la via di accesso a un mondo in cui l’intreccio tra soggettività costituente e costituita co- stringe a una sospensione della pretesa avanzata dalla ragio- ne di far luce su ogni singolo aspetto della vita umana. Non potrà allora stupire che la tematica della passività, il cui correlato è l’oscurità della vita coscienziale, divenga sin da subito il luogo privilegiato del confronto levinassiano con la fenomenologia. In un testo di qualche anno posteriore, Le

rovine della rappresentazione, incluso poi nella seconda

edizione della raccolta En découvrant l’existence avec Hus-

serl et Heidegger, Lévinas scrive:

Affermando che il pensiero è tributario di una vita anonima e oscura, di paesaggi dimenticati che bisogna restituire a quello stesso oggetto che la coscienza crede di possedere interamente, (...) inizia anche una nuova ontologia: l’es- sere non viene posto solo come correlato di un pensiero, ma come ciò che fonda già il pensiero stesso, il quale, tutta- via, lo costituisce.13

Anche qui va rilevato il fatto che Lévinas mette in evidenza un momento cruciale del discorso fenomenologico: è noto che Husserl lavorò con intensità attorno al tema della passi- vità almeno per un decennio, nel tentativo di definire i punti

di sutura tra sfera precategoriale e fissazione dell’oggetti- vità attraverso gli atti di giudizio.14Ma nella lettura di Lévi- nas sembra non rimanere alcuna traccia della motivazione profondamente erkenntnistheoretisch che anima il discorso husserliano. Husserl, infatti, è spinto ad accogliere nel seno delle sue analisi il paradosso di una coscienza costituente e costituita solamente dall’evidenza del dato fenomenologi- co, il quale permette così quell’ampliamento dell’estetica trascendentale che resta un compito primario della fenome- nologia in quanto luogo di fondazione della logica. Lévinas è invece interessato soprattutto a mettere in rilievo il caratte- re aporetico della soluzione prospettata da Husserl, come se proprio il venir meno della chiarezza nel momento in cui la riflessione sugli atti di costituzione raggiunge il suo apice dovesse rappresentare il punto di arrivo dell’impresa feno- menologica.

Nel presentare Husserl come colui che inaugura un nuovo pensiero della soggettività Lévinas non compie allora una riappropriazione originale di temi fenomenologici, desti- nati a trovare un’ulteriore estensione tematica nelle rifles- sioni coeve sull’insonnia, sul neutro, sul ciò che “c’è” ecc.15Lévinas intende piuttosto cancellare il fatto che di- scorso husserliano sulla passività dipende da una Erken-

ntnistheorie, legittimando in tal modo lo slittamento verso

l’etica intesa quale luogo di fondazione del pensiero. Se è indubitabile che il tema dell’intersoggettività acquista un peso sempre maggiore nelle ultime riflessioni husserliane, d’altra parte l’affermazione secondo cui «la condizione di verità può essere cercata nell’etica»16richiede un rivolgi- mento totale del senso dell’impresa fenomenologica. Per Husserl, infatti, la prima forma di alterità che s’incontra nell’esperienza è quella del mondo esterno, e per quanto valide siano le ragioni che inducono a dubitare che questa sia l’unica forma di esteriorità possibile17, resta centrale un preliminare confronto con essa per poter in qualche modo

definire i confini che separano ontologia ed etica.

Giunti a questo punto, mi pare giustificato affermare che solo una preliminare comprensione di questa curvatura del discorso fenomenologico permette di cogliere la portata del gesto di accusa che Lévinas compie nei confronti della filosofia intesa quale organon del conoscere. Certo, è so- prattutto in lavori come Le Temps et l’Autre e De l’exi-

stence à l’existant che Lévinas porta avanti un attacco vi-

rulento nei confronti di ciò che egli designa come ontolo- gia, aprendo la via a quella riflessione sull’altro che culmi- nerà in Totalité et infini. Ma i testi sulla fenomenologia- o di carattere fenomenologico, come quelli dedicati a descri- vere il soggetto imprigionato nella gabbia del “c’è”- van- no letti in realtà assieme a quelli nei quali Lévinas lancia i suoi strali contro il pensiero dell’Occidente teso a imporre la propria signoria violenta sull’essere attraverso la cono- scenza. Lévinas allora ha potuto leggere nella fenomenolo- gia l’anticipazione del proprio tema dell’esteriorità perché la decisione di porre l’etica come filosofia prima era già stata presa.18