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2.1

La scelta cavalleresca.

Lunedì mattina, a dì venti, fu moço il chapo a messer Donato de·Richo e Feo coraçaio sul muro del cortile, e subito si levò i·romore gridando: «Viva Parte Ghuelfa» e «Muoiano e’ ghibelini» e corsono la città con tre insegnie di Parte Ghu[e]lfa, cho uno penoncello da tronba, uno peçço di panchale e uno drapelone da morto, perchè no·si trovò altra bandiera, e sança trovare nesuno contrario, tutto il popolo di concordia, corsono la città per ogni parte. Dopo nona, esendo tutta la città armata e’ ghu[e]lfi tutti in su la piaça, si cominciorono a fare i chavalieri novelli sotto i[n]segnia di Parte Ghue[l]fa, tutti ghuelfi e buoni cittadini, e’ quali furono questi apresso scritti:

Messer Michele di Vanni di ser Lotto Messer Vanni di messer Michele Chastellani Messer Matteo Corsini

Messer Tomaso di messer Iacopo Sachetti Messer Bello Mancini

Messer Baldese Turini Messer Cipriano delli Alberti

Messer Francescho d’Uberto delli A[l]bizi Messer Baldo della Tosa

Messer Michele di messer Fulignio de’ Medici Messer Rinaldo Gianfigliaçi

Messer Piero Laçari da Pistoia Messer Çanobi di Cione Meçola Messer Tomaso Soderini Messer Luigi Ghuicciardini

Messer Andrea di messer Benedetto delli A[l]berti Messer Filippo di messer Alamanno Adimari Messer Cristofano d’Anfrione delli Spini Messer Niccolò Tornaquinci

Messer Stoldo Altoviti

Messer Gherardo Buondalmonti Messer Donato Acciaiuoli

E fatti e’ cavalieri, e’ Signiori cho’ loro Colegi chiamorono e’ riformatori della terra e lessonsi i sulla ringhiera presente il popolo.

[…]

Martedì mattina a dì XXI s’armò l’Arte della lana e’ gentili uomini coloro e venono i Mercato Nuovo e finalmente vollono che andasono atterra le due arti nuove, e così si fe'1.

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Tra le primissime notizie presenti negli scritti dell’Anonimo Panciatichi compare la descrizione del conferimento della dignità cavalleresca a numerosi cittadini fiorentini. Questo passo racchiude in sé molteplici spunti di riflessione in merito alla fase storica che il Comune fiorentino si trovò ad affrontare e in relazione a un rinnovamento da parte della classe dirigente che dovette costruire un nuovo sistema organizzativo di gestione politica, economica, sociale e artistico-spettacolare.

I nomi dei neo-cavalieri sono tutti riconducibili ai membri delle famiglie cittadine più importanti: erano gli uomini di potere che ricevevano la dignità cavalleresca. A un primo gruppo di nobili che si era unito alla popolazione nel fondare il Comune, se ne aggiunsero altri che si dedicarono alle armi e alla politica, acquisendo potere e influenzando le usanze del Comune stesso.

Come è già stato evidenziato i nuovi ceti dirigenti del governo si mettevano in mostra non più o non solamente nelle assemblee, quanto piuttosto negli spettacoli cavallereschi. La scelta di un cerimoniale cavalleresco e cortese e il suo uso come strumento comunicativo acquista un significato importante proprio perché avviene in concomitanza con un avvicendamento al governo2.

È fondamentale in questo senso la lucidissima analisi offerta da Salvemini quando scriveva che «per Firenze, dunque, e pressappoco lo stesso per gli altri comuni, dobbiamo dividere la storia della cavalleria in due periodi: nel primo, che va dalle origini del Comune alla metà del secolo XIII, essa conserva in parte il suo primitivo carattere aristocratico; nel secondo, che incomincerebbe con la creazione del Capitano del Popolo e continua colla definitiva scomparsa del Ghibellinismo e con lo stabilimento degli Ordinamenti di Giustizia, e

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Già Burckardt mise in rilievo come le famiglie nobili preferissero mostrarsi proprio nelle giostre e nei tornei. Cfr. BURCKHARDT 1955. Cardini sintettiza «bisogna dire che giostra, torneo, spettacolo cavalleresco erano ormai nel XV secolo, non più soltanto un modo di organizzare il consenso, di mostrare (anche a scopo più o meno implicitamente intimidatorio) il fasto e la ricchezza di una parte della famiglia; non più soltanto un modo di far politica; ma anche un modo di esercitare un controllo sulle élites e, al tempo stesso, di far diplomazia»: CARDINI 1997, p. 117.

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porta al tumulto dei Ciompi e poi alla Signoria dei Medici, l’istituzione in quella società, in cui ogni avanzo di aristocrazia si trova a disagio, è costretta a sformarsi per adattarsi al nuovo ambiente, perdendo del tutto il carattere originario»3.

La scelta cavalleresca si inseriva dunque in una più ampia direzione seguita a livello europeo dalle altre corti, alle quali il ceto dirigente fiorentino sembrava volersi in qualche modo allineare.

Se nel corso degli anni si modificarono sia il sistema di privilegi legati al conferimento della dignità cavalleresca, sia il valore del binomio nobiltà-cavalleria, permase invece la valenza dell’atto di giuramento di fedeltà verso l’organo governativo, in particolare la Parte Guelfa, che conferiva la dignità. Già a partire dalla fine del 1382 la Parte Guelfa cercò di riguadagnare il terreno perso e di riacquisire una parte della propria autorità politica. I tentativi che essa fece di riconquistare il potere, attraverso un maggiore controllo sulla scelta degli eleggibili alle cariche pubbliche, fallirono definitivamente alla fine del 1383; ciononostante la loro leadership rimase ad ogni modo efficace4

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La cavalleria restava comunque uno status distintivo, forse il più facilmente ottenibile, rispetto al resto della cittadinanza; segno in grado di assicurare un prestigio sociale e una visibilità immediati. Tale distinzione si attuava non soltanto a livello interno per l’intento di autorappresentazione e di legittimazione del potere dell’oligarchia nei

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SALVEMINI 1972, vol. II, p. 116. Cardini concorda sostanzialmente con tali affermazioni, che restano ancora valide e attuali anche nel dibattito odierno tra gli storici: «In sintesi ci sembra che il processo sociopolitico dell’intera faccenda si possa riassumere in questi termini, validi nelle città italiane come nei regni europei: l’etica cavalleresca, un tempo egalitaria al suo interno e sostenuta dal principio della libera cooptazione, si era lentamente adattata, dal pieno XII secolo in poi, alle esigenze istituzionali di pubblici poteri in via di sempre più organica costituzione, i quali si erano andati arrogando l’esclusiva del diritto di gestione degli addobbamenti, con le relative “chiusure” e, il che è forse più significativo ancora, il relativo diritto di derogare a quelle “chiusure” medesime. Da allora l’etica cavalleresca si era avviata a ridursi a un’etica di fedeltà a una data corona o comunque a un dato potere costituito»: CARDINI 1997, pp.89-90.

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Salvemini scrive un interessante excursus sulle origini della Parte Guelfa riconducendole al 1248, anno in cui la Parte è nominata in un documento con i termini Capitanei Partis Ecclesie ai quali era contrapposta la Pars Ghibellinorum, citata in un documento del 1251. Cfr. SALVEMINI 1972, vol. II, pp. 151-152. Le posizioni di Tenenti, Tabacco, Brucker e Zorzi sono abbastanza concordi nel vedere la Parte come un nucleo intorno al quale si concentrano le posizioni oligarchiche. Cfr. TENENTI 1972, TABACCO 1979, BRUCKER 1981, ZORZI 2001.

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confronti dei propri cittadini, ma anche a livello esterno: si trattava di inviare un messaggio attraverso una scelta di linguaggio chiaramente comprensibile alle corti italiane ed europee, con le quali la città di Firenze, grazie agli stretti rapporti commerciali che aveva saputo tessere, aveva assidui contatti.

Proprio questi fattori resero Firenze una città diversa dalle altre, caratterizzata da una precocissima apertura in senso “globale” tale da determinare un linguaggio artistico-spettacolare ben definito. In questo senso la scelta di una cerimonialità di stampo cavalleresco chiariva la posizione politico-istituzionale della città e permetteva alla classe dirigente di attingere ad un linguaggio evidentemente ‘parlante’, conosciuto e adatto al tipo di comunicazione desiderata. Inoltre tale forma cerimoniale garantiva il passaggio da una investitura ‘borghese’ del potere ad una nobilitazione, della quale il conferimento dello status di cavaliere e il combattimento ritualizzato - inteso in tutte le sue declinazioni - rappresentavano la formalizzazione5.

Nel periodo storico esaminato si trovano numerosi esempi di conferimento della dignità cavalleresca sia a singoli individui che a gruppi di illustri cittadini; significativo quello inserito in apertura di paragrafo che illustra il coinvolgimento anche di diversi esponenti del nuovo governo.

Un episodio particolarmente interessante fu quello della cerimonia legata alla figura di Giovanni di messer Roberto d’Ascoli:

Martedì a dì XXV6 fu fatto chavaliere di popolo messer Giovanni di messer Ruberto d’Ascholi, Podestà di Firençe, e fello chavaliere messer Antonio di messer Nicholaio delli Alberti, e donògli il Comune il penone ella targia de l’arme del popolo, e targia e penone gli donò la Parte Ghuelfa. E va Podestà di Pistoia. E fecie in questo dì messer Antonio il

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Questo aspetto è stato messo in evidenza dagli studi di Paola Ventrone, la quale offre lo spunto per riflettere sulla necessità da parte del Comune fiorentino di trovare una propria legittimità, quando scrive «Non ratificata dall’investitura ufficiale di autorità sovranazionali quali potevano essere il papa o l’imperatore, questa oligarchia preposta alla guida del Comune era pertanto costretta da un lato a nobilitare la propria immagine con la creazione di rituali collettivi simbolicamente legittimati (le feste patronali e le altre feste di valore civico) e dall’altro a controllare continuamente la formazione di coalizioni di opposizione, limitando le occasioni di pubblica esibizione che avrebbero potuto aumentarne il credito presso la cittadinanza»: VENTRONE 1990, p. 42.

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desinare al Paradiso, cho molti cittadini, ed ebevi sei chavalieri a spron d’oro. Altre novità non ci à ogi, la gente pure sotto l’arme7

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Roberto d’Ascoli venne insignito del titolo di cavaliere da Antonio degli Alberti, il quale sarebbe stato successivamente esiliato nel 1401. La festa per il cavaliere venne tenuta nella proprietà degli Alberti, detta Il Paradiso, dove erano soliti riunirsi uomini di lettere come Coluccio Salutati e Pievano dell’Antella8.

La stessa cerimonia si ripetè sei anni più tardi quando nel 1388 vennero fatti cavalieri Giovanni di messer Giovanni e Bandino di Bandino de’ Panciatichi di Pistoia. In quel caso però, essendo essi coinvolti all’interno di un gruppo consortile, l’ospitalità venne offerta dagli Strozzi e dagli Altoviti, e la dignità cavalleresca conferita dalla Parte Guelfa, con una sovrapposizione tra famiglie ospitanti e gruppo politico.

Sabato a dì XXV d’aprile MCCCLXXVIII9

venne i·Firenze Giovanni di messer Giovanni e Bandino di Bandino de’ Panciatichi da Pistoia per farssi chavalieri per le mani del Comune di Firenze. Fecesi l’aparechio per Bandino in casa gli Stroççi, e per Giovanni i casa gli Altoviti.

E ʼl sabato sera alberghorono i Sancto Giovanni, e quivi si feciono eʼ fornimenti delle letta per loro e fessi Giovanni chavaliere bagniato e ʼn San Giovanni si fe’ il bagnio.

La domenicha mattina a dì XXVI i·sulla terça venono i su la piaça de’ Signiori, e quivi era fatto uno palcho alla ringhiera. E’ Signiori discesono del Palagio, e quivi messer Agniolo, Chapitano del Popolo, e sindacho del Comune di Firenze, gli fecie chavalieri: messer Giovanni chavaliere bagniato, e messer Bandino chavaliere armato.

E quivi, fatto il parlamento, i Signiori donorono loro due grossi palafreni coperti di drappo e due targe e due penoni cho l’arme del popolo e due bacinetti elle sbande e gli sproni. E di qui partendosi, n’andorono a visitare i Capitani della Parte Ghu[e]lfa con tutta la chavaleria.

E’ Chapitani donorono loro due targe e due penoni de l’arme della Parte Ghu[e]lfa. E di quivi partiti, n’andorono a Sancto Giovani ad offerere. Poi tornorono a desinare co’ Signiori Priori, aconpagniati da molti chavalieri ed orevoli cittadini.

E’ Signiori feciono loro uno magnio ed orevole disinare. I lunedì seghuente feciono la loro corte in Santa Maria Novella, grande e orevole,

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ANONIMO PANCIATICHI 1986, rubrica 12, p. 40.

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Cfr. ivi paragrafo 1.1. La villa e soprattutto gli eventi che vi avevano luogo sono descritti nell’opera Il

paradiso degli Alberti di Giovanni Gherardi da Prato.

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In nota Molho e Sznura hanno segnalato l’errore nell’indicazione dell’anno: «sabato: in corrispondenza della parola, nello spazio bianco tra le due colonne di scrittura, di altro inchiostro, 1387, corretto su altre cifre illeggibili»: ANONIMO PANCIATICHI 1986, p.79.

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a molti cittadini, e molta fu te[n]uta orevole e magnia, e molto si donò a’ buffoni. Il martedì si tornorono a Pistoia achonpagniati da molta gente, fiorentini e pistolesi10.

L’evento è narrato anche nella cronaca di Naddo da Montecatini la cui descrizione mette in rilievo la sistematicità con cui veniva razionalizzato il susseguirsi delle azioni previste dal cerimoniale cavalleresco: l’arrivo e l’accoglienza, l’offerta di doni-simbolo da parte delle Istituzioni politiche, la notte trascorsa in San Giovanni con la presenza di molte persone in attesa a vegliare. Il cronista non offrì particolari sulla cerimonia del conferimento, ma ricordò il banchetto che seguì, organizzato in Santa Maria Novella e segnalò che vi presero parte almeno 250 cittadini:

Nota, che a’ dì 26 d’Aprile in Domenica si fece Cavaliere di popolo in Firenze Nanni, che fu figliuolo di Ioanni Panciatichi, ed un figliuolo, che fu di Bandino di Mess. Ioanni Panciatichi, il qualfanciullo è di età di quattro anni, o poco più. Fu donata loro l’arme del popolo, e della Parte Guelfa, e fu fatto loro molto onore. Albergarono la notte con molta gente in San Giovanni, e quine si fecero sette belle, ed orrevoli letta; poi fecero il lunedì un grande e ricco mangiare a Santa Maria Novella, ove furono 250 cittadini, e più11.

L’importanza di tale descrizione non sta tanto nella scelta di narrare una specifica forma di cavalierato conferito12, quanto piuttosto nelle indicazioni, peraltro già evidenziate, relative all’ospitalità privata

10 ANONIMO PANCIATICHI 1986, pp. 79-80. 11 NADDO DA MONTECATINI 1785, p. 99. 12

La bibliografia in merito ai tipi di cavalierati possibili è davvero molto estesa. Già Salvemini ne aveva individuato una classificazione partendo dalla novella del Sacchetti, nella quale l’autore riassume le diverse tipologie di addobbamento aggiungendovi tuttavia un’ apostrofe sulla morte della cavalleria: «In quattro modi son fatti cavalieri, o soleansi fare, che meglio dirò: cavalieri bagnati, cavalieri di corredo, cavalieri di scudo e cavalieri d'arme. Li cavalieri bagnati si fanno con grandissime cerimonie e conviene che siano bagnati e lavati d'ogni vizio. Cavalieri di corredo son quelli che con la veste verdebruna e con la dorata ghirlanda pigliano la cavallería. Cavalieri di scudo sono quelli che son fatti cavalieri o da' popoli o da' signori, e vanno a pigliare la cavallería armati e con la barbuta in testa. Cavalieri d'arme son quelli che nel principio delle battaglie o nelle battaglie si fanno cavalieri. E tutti sono obbligati, vivendo, a molte cose che serebbe lungo a dirle; e fanno tutto il contrario. Voglio pur aver tocco queste parti, acciò che li lettori di queste cose materiali comprendano come la cavallería è morta. E non si ved'elli, che pur ancora lo dirò, essere fatti cavalieri i morti? che brutta, che fetida cavallería è questa! cosí si potrebbe fare cavaliere un uomo di legno, o uno di marmo, che hanno quel sentimento che l'uomo morto; ma quelli non si corrompono e l'uomo morto subito è fracido e corrotto. Ma se questa cavallería è valida, perché non si può fare cavaliere un bue, uno asino, o altra bestia che hanno sentimento, benché l'abbiano inrazionabile? ma il morto non l'ha né razionabile né inrazionabile. Questo cotal cavaliere ha la bara per cavallo, e la spada e l'arme e le bandiere innanzi come se andasse a combattere con satanasso. O vana gloria dell'umane posse!»: SACCHETTI 1970, Trecentonovelle, novella n. 153. Cfr. SALVEMINI 1972, Vol. II, pp.153-169.

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fornita e ai ruoli della rappresentatività civica: i Signori offrirono doni preziosi quali due palafreni adornati con gualdrappe, due pennoni con il simbolo del popolo e altre suppellettili. Anche i Capitani parteciparono donando targhe e pennoni con l’arme della Parte Guelfa, che i neo cavalieri andarono a offrire in San Giovanni, luogo simbolo della rappresentatività civica ed ecclesiastica. Ritornarono quindi per cenare con i Priori. Il giorno successivo venne organizzato un grande banchetto in Santa Maria Novella.

Luoghi pubblici e privati appaiono dunque collegati in una trama di sovrapposizioni d’intenti nella quale le singole famiglie dell’aristocrazia cittadina sembravano voler mettere in mostra innanzitutto il proprio spazio privato e familiare in aggiunta ad uno spazio pubblico sempre a loro riconducibile, quale fosse anch’esso parte di una loro proprietà da sfoggiare.

Risulta evidente come nei primi anni del regime albizzesco ci fosse un intreccio continuo tra pubblico e privato sia nell’organizzazione delle onoranze che nell’accoglienza e nell’ospitalità delle persone. Ciò faceva si che anche i luoghi fossero scelti in maniera ambivalente a seconda degli eventi che si dovevano rappresentare, i quali potevano svolgersi in sedi pubbliche o, come nel caso di banchetti e intrattenimenti, essere organizzati nei palazzi privati, proprio in virtù del fatto che il governo stesso era costituito dalle famiglie, il cui prestigio, dovuto allo status, cioè alla ricchezza e alle finanze, trovava il suo consolidamento nell’appartenenza al reggimento, importante e necessaria al fine di conservare la propria posizione sociale e il proprio patrimonio.

Maso degli Albizzi fu fatto cavaliere a Rodi nel 1389; nel 1401 venne insignito del titolo di conte palatino con i relativi privilegi da Roberto imperatore di Germania in cerca dell’alleanza di Firenze contro

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i Visconti. Nel 1402 fu la volta di Rinaldo Gianfigliazzi, che ricevette il conferimento sempre per mano di Roberto13.

Nel 1406 altri due signori vennero insigniti del cavalierato, all’interno dei festeggiamenti per la presa di Pisa: Piero Gaetani e Francesco Casali, signore di Cortona.

Questa medesima mattina si fece cavaliere in sulla piazza de’ Signori Piero Gaetani pisano, e fecelo cavaliere messer Vanni Castellani, ch’era gonfalonieri di Giustizia. Donògli il Comune uno bello e ricco pendente e una tazza de l’arme del populo di Firenze.

Poi dirieto a lui, la mattina medesima, si fece cavaliere il signore di Cortona in sul palco che si fece in piazza, dal Lione della ringhiera. Quando Piero Gaetani si andò incontro al signore di Cortona a Santa Maria Novella, dove tornava, con tutti i cavalieri di Firenze, e cavalieri pisani e una grande cittadinanza, e’ vennono con lui in sulla piazza. Quando furono giunti, il signore iscavalcò e andò a sedere co’ Signori di Firenze in su la ringhiera14; e stando un poco, si partì da sedere.

Il confaloniere della Giustizia, che era messer Vanni, e il detto signore, e’ andorono sul palco deputato a cciò; quivi, con quella solennità che far si debbe un cavaliere si ʼl fece: e cinseli la cintola de l’oro con la daga, e poi gli cinse la spada; poi li cavò fuori la spada e posegliela in mano; poi gli cavò la grillanda dello ulivo inarientato e messegli quella dell’oro. Messer Cristofano Spini e messer Niccolò Guasconi gli messono gli sproni dello oro.15

Poi, fatto questo, montò a cavallo con quella compagnia ch’era venuta e andorono a oferere insieme, egli e Pietro Gaetani, a Santo Giovanni; e inanzi a loro andorono quegli armegiatori verdi e bianchi, e azuri e bianchi, ch’è detto di sopra, che furono venti; e giunti a San Giovanni, iscavalcorono e andarono all’altare a offerire; poi montorono a cavallo e andarono a Santa Maria Novella; e il signore rimase, e gli altri si partirono per allora16.

La cronaca mette in evidenza ancora una volta come ogni passaggio della cerimonia fosse sancito da un coinvolgimento e da un riconoscimento nei confronti dell’autorità costituita, nelle figure di Vanni Castellani, Cristofano Spini e Niccolò Guasconi, personalità chiave del cerchio del potere.

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ARRIGHI 2000.

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I Priori del bimestre Settembre-ottobre 1406 erano: «Antonio di Iacopo Biliotti / Piero di Castello da Quarata / Niccolò di Bernardo Sannella, Brigliaio / Filippo di Ghesè, Legaiuolo / Guido di Ramondino Vecchietti / Bartolommeo di Francesco de’ Nobili / Antonio d’Alessandro degli Alessandri / Filippo di Lorino Buonaiuti / Mess. Vanni di Michele de’ Castellani, Cavaliere, / Gonfal. di giust. Quart. S. Croce / Ser Ugolino Peruzzi (al. Pieruzzi) lor Notaio / Quart. S. M. Novella» : SALVIATI 1784, p. 266.

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DEL CORAZZA 1991, p. 23. Le informazioni sono tratte dal Magliabechiano XXV 638 e coincidono con l’Estense  M 5 4, pp. 43-44.

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Nel 1404 con solenni celebrazioni che durarono per diversi giorni fu fatto cavaliere del popolo Iacopo Salviati. Anche in questo caso la Parte Guelfa e i Signori intervennero attivamente, come del resto fece il gonfaloniere di Giustizia, messer Lotto di Vanni Castellani, che partecipò seppur indisposto:

Quivi trovai un cavallaro che mi appresentò lettere de’ nostri Signori Priori, che contenevano, come essi Signori con loro Collegi, et con Consiglio del Popolo, et del Comune havevano deliberato per onore di