• Non ci sono risultati.

La visione di chi comanda: Francesco di Tommaso Giovanni.

Francesco di Tommaso Giovanni costituisce una fonte di inestimabile valore proprio per il suo particolare punto di vista come memorialista, in quanto membro della classe dirigente che partecipò in

163

Raccolte nel volume curato da Nerida Newbigin Feste d’Oltrarno, Play in Churches in Fifteenth-

Century Florence, Firenze, Olschki 1996. In esso si trovano infatti quattro appendici documentarie: la

prima contenente le edizioni moderne dei testi di Feo Belcari, la seconda i documenti relativi alla festa dell’Annunciazione in San Felice in Piazza; la terza quelli relativi alla festa dell’Ascensione in Santa Maria del Carmine, infine la quarta quelli sulla Pentecoste in Santo Spirito.

164

Raccolti online all’interno del sito internet Gli anni della cupola dal 1417 al 1436; www.archivio.operaduomo.fi.it/cupola.

49

prima persona insieme ad altri componenti della sua famiglia, in particolare i fratelli Tommaso e Niccolò, agli eventi di cui narrò i fatti.

Il suo diario è articolato in tre parti; egli iniziò la stesura del primo libro di Ricordanze nel marzo 1432, partendo col narrare avvenimenti dal 1409 e arrivando fino al 1443. Tale volume si apre con le seguenti parole:

Al nome dello onnipotente Dio ecc… Comincio io Francesco di Tommaso di Francesco Giovanni, questo dì p.° di marzo MCCCC°XXII, il presente libro e quaderno di ricordanze segnato AG. In sul quale ordinariamente e dì per dì subsequentemente voglo fare ricordo et memoria d’ogni qualunque advenimenti, processi, contratti, convegne o pacti, et generalmente di ciaschuna opera o cosa degna di memoria, così delle picciole come delle grandi, prima d’alchune fatte già più tempo165.

Vi è cucito insieme un quadernuccio a modo di bastardello di 30 carte, intitolato Remuneratio, che comincia nel 1432166. Al termine della prima carta si legge:

Xbre. Al nome ecc. io Francesco di Tommaso Giovanni questo presente quadernuccio titolato Remuneratio in sul quale farò nota et memoria di tutti i piaceri et gratie degne di ritributioni che ricevessimo da alchuno et così come de’ piaceri et gratie cos’ de loro contrarii, non per prenderne vendetta ma per poterle ricordare, possendo vendicarsi, a chi l’avessi fatte e renderli disponendosi bene per male, a di che fare conforto me et qualunque ad chui ciò fare s’apparterrà167.

Vi è poi un secondo libro di Ricordanze con annotazioni e ricordi dal 1444 al 1458.

Si alternano in queste pagine le narrazioni relative agli Uffici sostenuti, le memorie domestiche, gli inventari e ricordi di vari affari. Anche gli avvenimenti pubblici sono narrati con una certa abbondanza di particolari, in uno stile chiaro, fresco e ricco di riflessioni personali e approfondimenti.

Al nome dello Onnipotente Iddio ecc. Comincerò adunque io Francesco di Tommaso Giovanni con l’aiutorio d’esso Omnipotente Dio e de’ suoi santi questo presente libro e quaderno di ricordanza segnato AB, questo

165

Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II 16, c. 1r.

166

Anche se scrive nel 1435.

167

50

dì XXV di marzo MCCCCLIIII. Nel quale ordinariamente e subcessivamente, dì per dì, secondo che achaderà, farò memoria e ricordanza d’ogni e ciaschuna nostra apartenentia e facenda degna di memoria168.

In tutti e tre gli incipit si rileva una forte volontà di scrivere per tramandare ai posteri, quasi un’esigenza profonda che non può essere ignorata: un’espressione della citata autoconsapevolezza della grandezza fiorentina, con il valore aggiunto dello sguardo di chi si muove all’interno e vuole dare la propria personale interpretazione dei fatti, riuscendo a mantenersi sempre dentro la cerchia governativa sia sotto il regime albizzesco che in seguito, con il cambio di gestione e l’avvento di Cosimo. Tale dato riporta alla peculiarità di questa documentazione, la quale possiede aspetti e dinamiche quasi del tutto assenti nelle opere degli altri scrittori fiorentini. Ad esempio, rispetto al Priorista Petriboni che pure risulta essere la fonte più affine, la voce di Francesco ha una sfumatura più autorevole, proprio perché riflette l’appartenenza a una famiglia che non ha dovuto affrontare le difficoltà incontrate da quella del Petriboni ma si è potuta muovere liberamente, forte di un lignaggio mai messo in discussione e senza necessità di riacquisire una posizione perduta.

Tra la registrazione di fenomeni naturali come inondazioni, terremoti, nevicate straordinarie compaiono annotazioni di vendite, acquisti, affitti, oltre alla descrizione di avvenimenti della storia della città che si intrecciano con quella familiare, secondo un climax crescente: da quelli più strettamente privati a quelli di più ampio e chiaramente pubblico respiro. La volontà, sia essa più o meno legata a un intento consapevole delle finalità di questa forma di scrittura, è comunque quella di trasmettere un’immagine di grandezza familiare e cittadina ai posteri169.

168

Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II 16 bis, c. 1r.

169

«Grave errore sarebbe allora considerare come “oggettiva” e assolutamente rispondente al vero l’informazione contenuta nei nostri testi memoriali, un errore che neppure la storiografia rerum gestarum commette più per le sue fonti e che meno che mai commetteremo noi chiamati ad occuparci di testi letterari. Nel nostro caso, ammettendo che si tratti di “documenti”, siamo però di fronte a documenti di particolare e composita natura, a cui appartiene sempre anche l’intenzione di fornire un’immagine di sé,

51

Egli pose un’estrema attenzione nel riportare i nomi di coloro che parteciparono insieme a lui (e ai fratelli) alle giostre, alle brigate, alle armeggerie e alle accoglienze170.

Le informazioni che Francesco fornisce sul suo comportamento ci mostrano la maniera in cui un membro del patriziato cittadino gestiva la propria presenza nelle feste e nelle cerimonie pubbliche e le modalità con le quali si relazionava con gli altri, intessendo rapporti interpersonali con una dimestichezza e facilità proprie del ceto dirigente di cui faceva parte.

Il dono fu sicuramente una delle forme più ricorrenti usate dai signori nella gestione delle proprie relazioni: in questo contesto si collocò lo scambio di presenti tra Giovanni di Tommaso Giovanni, fratello di Francesco, e il principe di Salerno, Stefano Colonna, nipote di papa Martino V: Giovanni, vincitore della giostra tenutasi in onore del principe, lo omaggiò regalandogli l’elmetto della vittoria e Stefano Colonna ricambiò a sua volta donando a lui il cavallo Il Reale; l’animale fu poi regalato a messer Palla Strozzi dallo stesso Giovanni,

di trasmettere un messaggio parenetico ed esornativo, di selezionare nell’universo dei fatti quelli capaci di costruire e proporre un modello, dunque di costruire e tramandare una visione del/sul mondo assolutamente di parte; da questo punto di vista, l’informazione “vera” che i nostri testi ci forniscono (esattamente come accade per le autobiografie etc...) è allora anzitutto da ricercare nel grado della

deformazione, nel clinamen che lo scrivente introduce: è dunque un tale sguardo (deformante) ciò che i

testi di memoria anzitutto ci tramandano e ci testimoniano “oggettivamente”, è qui la loro verità storica»: MORDENTI 2001, vol. II, p. 16.

170

Nel 1422/23 prese parte all’armeggeria per Costanza de’ Bardi ed elencò tutti i nomi di chi partecipò insieme a lui: Venceslao de' Bardi; Piero di messer Torello Torelli; Piero di Jacopo Ardinghelli; Buono di Niccolò Busini; Carlo di Salvestro di ser Ristoro; Francesco d'Agnolo Baroncelli; Andreozzo tintore. Cfr. Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II, 16, c. 3v., doc. 289.

Nella giostra della brigata degli scudieri, organizzata nel febbraio del 1429/30, i giostranti furono Pazzino di Palla Strozzi, Piero di Neri Ardinghelli, Piero di Chino, Bartolomeo di Ser Benedetto, Martino Macigni e altri di cui si è persa la scrittura. La stessa minuziosa attenzione è evidente anche quando Francesco annota l’organizzazione dei festeggiamenti per l’arrivo di Francesco Sforza, nell’ottobre 1435: «Ricordo che adì [vacat] d’ottobre 1435 io Francesco in compagnia con Antonio d’Amerigo de’ Medici, Iacopo di Cino Rinuccini et Bartolomeo di ser Benedetto Fortini, fumo diputati da nostri signori sopra ordinare una festa per honorare il magnifico conte Francesco Sforza. Ordinamo uno ballo in sula piaza de’ Signiori et inducamo a vestirsi di zetani chermisi a una divisa 17 giovani cioè: Filippo di Francesco della Luna, che fu il signiore, Piero di Cosimo de’ Medici, Piero d’Andrea de’ Pazi, Piero di [vacat] Panciatichi, Antonio di Lorenzo della Stufa, Adovardo di Giovanni Portinari, Nerozo di [vacat] degl’Alberti, Nofri di Nicholò Busini, Bonsignore di [vacat] Foraboschi, Francesco di Benedetto di Lippaccio de’ Bardi, Nicholò di Piero di messer L. Ghuiciardini, Iacopo di Giovanni Teghiacci da Siena, Francesco di [vacat] Quaratesi, Francesco di Iacopo Baroncelli, Ruberto di Giovanni Altoviti et [vacat] di Giovanni Luigi dal Fiesco»: Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II, 16, c. 11v, doc. 304.

52

la cui scelta non fu certo priva di ricadute positive per l’immagine della propria famiglia.

Un’ulteriore conferma di quanto sopra enunciato ci giunge dal resoconto sulla giostra dell’aprile 1429, nel quale Francesco scrisse che vi partecipò anche:

Cola di [vacat] da Civita compagno del conte Carmignolo171 al quale donai di poi una coverta di taffetà azurro piena di diamanti d’oro con rasi che fu quella avevo mandata sotto il mio stendardo172.

Il rito dell’omaggio costituiva dunque una modalità fondamentale per creare delle unioni e cementarne la solidità; esso si ripeteva in molteplici occasioni e forme.

Il dono poteva anche essere espresso sotto forma di lascito testamentario a un istituto ecclesiastico; tuttavia le famiglie desideravano essere sicure che esso si fissasse nel ricordo perpetuo del proprio clan e per questo Francesco e i suoi fratelli nel settembre del 1425 donarono alla Compagnia della Croce, che si riuniva nella Pieve di Ripoli, una pianeta con la loro arme, insieme a numerosi altri oggetti di valore:

Una pianeta di drappo vermigl(i)o con fiori di più colori con fregio con agnoli d’oro soppannata di valescio rosso con l’arme nostra et di nostra madre et degli Ubartini. Ancora demo con essa uno camicio bruscato di velluto nero et uno sciugatoio picholo di velo con una † per il calice. Ancora uno amitto con uno fregio d’oro in su velluto nero et una stola et uno manipolo di drappo rosso con croci et uno corporale di velluto allesandrino frangiato et fornito di tutto173.

L’occasione si ripetè nell’ottobre del 1429 quando di nuovo Francesco donò una pianeta con l’arme della sua famiglia. Essa fu realizzata addirittura con la coperta con la quale aveva giostrato:

Io Francesco Giovanni detti per l’amor di Dio a’ frati del Paradiso una pianeta di drappo bianco con fregio con vergine Maria d’oro in campo

171

Si tratta del condottiero Francescoda Bussone, detto il Carmagnola. Cfr. Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II 16, c. 11v.

172

Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II 16, c. 4v.

173

53

azurro e con uno scudo de l’arme nostra, fu della coverta quando giostrai. La detta pianeta consegnai a frate Benedetto medico. Et di poi avevo datoli 2 candellieri di legno dorati et dipinti da tener in sull’altare maggiore disse di farne ricordo174.

Ritroviamo questa modalità di gestione del potere anche nella circostanza della sua nomina a Podestà di Cortona: le dinamiche già descritte si riproposero nell’accoglienza, nell’organizzazione di feste e di balli che costituiscono scelte di auto-rappresentanza e nell’ospitalità che diventava omaggio e garantiva gratitudine. Nell’espressione «sonnogli obligato» è possibile rintracciare tutta la valenza di questi rapporti, la portata del loro peso politico e il ruolo fondamentale che essi ricoprivano all’interno della classe dirigente.

La descrizione del suo ingresso a Cortona è piacevolissima e deliziosa per i particolari con i quali viene narrata: Francesco desiderava riportare ogni dettaglio dell’evento, curando anche le informazioni relative alle preziose stoffe scelte per l’occasione, «drappo», «valescio», «bocaccino», «velluto», «taffettà». Le persone che conversero intorno a lui furono numerose; i nomi degli ufficiali e dei notai furono annotati con rigorosa precisione:

Ricordo come martedì adì ·xxiiii· di marzo 1443 io Francesco di Tommaso Giovanni entrai et col nome di Dio presi l’Uficio del Capitanato di Cortona et assai honoratamente, cioè con due stendardi et il pennone della giustizia et 4 bandiere quadre et uno stendardo reale et 2 pennoncelli uno del cavalier di drappo et uno di valescio da fanti. Et con 9 coverte grandi da cavallo cioè 4 di panno 2 frangiate et 2 di bocaccino giallo con l’arme nostra et una di velluto et una di taffettà et uno di panno azurro con scudi ricamati con l’arme et uno par di barde di chuoio ebbi dal signore Simonetto. Et mandai da prima ·xii· some di forzeretti et balle con tapeti et panni a divisa coperte et 2 cavalli grossi a destro con coverte da beverare a divisa mia. Ancora oltre a miei famigli ebbi 30 fanti a piede armati et con targoni, palvesi et rotelle di mia divisa. Ancora con 9 tra trombetti, donzelli et ragazzi, con giornee et calze a divisa. Scambiai Nicholò di Gentile degli Albizi. E’ miei uficiali son messer Girolamo di Giovanni da Prato, ser Martello di ser Giovanni Martelli, ser Piero di ser Iacopo da San Gimignano notaio di guardia, ser Nicolò di Batista da Todi notaio a malifici175.

174

Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II 16, c. 4v.

175

54

Fecivi molti conviti in modo che tra più volte ebbi quasi tutti i cittadini di stima et ogni uficio di priori una volta et per Sancto Giovanni ebbi tra donne et huomini la sera et mattina 40 et fecesi bellissima festa con suoni, balli et canti. Ancora adì 30 d’agosto da sera ebbi e priori et 22 cittadini de principali et molti giovani per servire el proveditore cioè Giovanni Masi et ser Giuliano Lanfredini, notaio de’ danni, ebbi moltissime volte in detti conviti176.

Ricordo che Giovanni di ser Tommaso Masi, essendo provveditor delle gabelle di Cortona, volle in ogni modo che io con la donna et tutta la brigata tornassimo con lui nel palazo di gabella et quegli 3 dì ci fecie grandissimo honore quasi come nozze. Sonnogli obligato177.

Il ricordo delle numerose feste che coinvolsero Francesco è sintomo di un cerimoniale noto e preciso al quale riferirsi; vi partecipavano e vi si ripresentavano con continuità le medesime famiglie, come se esso fosse diventato una sorta di amabile consuetudine. L’annotazione dei festeggiamenti per San Giovanni mostra invece quanto la festa, al di là dell’indiscutibile valore religioso, avesse acquisito una valenza civica non più solamente all’interno di Firenze, ma anche nel contado come forma di manifestazione e di compartecipazione: presa consapevole di coscienza dell’appartenere a un’entità più grande, quale la Repubblica fiorentina. Firenze in tal modo esportava le proprie tradizioni religiose, artistiche e spettacolari nel territorio, secondo quella volontà di consolidamento piuttosto che allargamento dei confini, che è riscontrabile nella politica medicea di questo periodo.

Francesco, una volta insediatosi nel Palazzo del Podestà, intraprese una serie di ammodernamenti e di migliorie che cambiarono profondamente l’architettura dell’edificio. Egli annotò i motivi e le idee che lo guidarono e, attraverso le sue parole, è possibile riallacciare il filo che univa le dinamiche del potere e collegava gli eventi spettacolari a quelli storico-artistici e in definitiva a quella costruzione di un’immagine identitaria che identifica i propri passaggi chiave in questa circolarità.

176

Francesco di Tommaso GIOVANNI, Strozz. II 16 bis, c. 2v.

177

55

Ancora per cagione che nel palagio del capitano non erano stanze in tereno et per gli sterminati caldi di state non si può abitare i palchi diliberai farvi una sala et essendo la stalla quasi nell’entrata del cortile diliberai levarla et feci le stalle le quali sono in volta di sotto e di sopra, sotto la prigione et parvemi ancora da levare quella di prima per dubio del fuoco inperò che era in palco et basso et uno famiglio poteva una notte ardere il palagio et essendo circha braccia 2 più bassa che la corta. Feci conducervi dalla Mesericordia tanto ripieno che la paregiai. Di poi levai il palcho il quale non s’abitava e rimase il palco della sala di sopra el quale feci imbianchare et dipigner nel mezzo dove son istuoie ingessate, 2 tondi grandi col giglio e con †, e tutte le mura da torno, che in assai luoghi era guaste, feci rintonacare et imbiancare, et appresso al palco feci dipigner intorno una festa all’anticha e nella testa della sala feci fare San Giovanni Batista grande con uno gonfalone dentrovi la croce. Et nelle 2 facce dal lato feci fare 3 tondi cioè178 in ciaschuna con giglio, libertà et carocio et nell’altra Parte Guelfa 6 d’Arezo et Cortona et nel centro dei 3 tondi uno scudetto con l’arme mia et dal lato a detti tondi la fama, cioè trombe con pennoncelli alla divisa mia et uno brieve da piè che dice “extollo dignos”. Da piè feci da 2 lati fare muricoli et con panconi d’olmo isprangati et di sopra una spalliera alla mia divisa et con tondi, dentrovi †, giglio, Parte Guelfa, carrocio, 6 d’Arezo et Cortona et l’arme mia et son lavorate in fresco ogn’altra cosa et secho. Ancora vi feci uno aquaio semplice perché non ebbi tempo. Et disfeci la stalla che andava nel palco disfatto et feci uno uscio grande per l’entrata di detta sala terrena con cardinale et bechatelli di macigno et con l’arme mia intagl(i)ata, et nella faccia di sopra a detto uscio feci 2 tondi: nell’uno l’arme, l’altro la divisa et in mezzo una colonna suvi il mio cimier, cioè una dama con uno scudo et spada etcetera et dal lato 2 trombe con alie, cioè la fama. Ancora feci per piano di detta sala uno smalto di calcina et ghiaia et mattoni et in uno canto della sala feci uno uscio che va per una schala nuova che feci di legname agl’abituri sotto la saletta et camera del capitano. Ancora, parendomi che la stanza dei famigli non stessi bene sotto il capitano, ordinai d’aconciargli sotto il giudice et cavaliere che è in volta sotto et sopra et sentono più destri al bisogno. Et feci una tramezza che divide la cella del vino da le stanze pe’ i famigli. Non potei finirla perché non ebbi tempo. Feci d’ogni cosa tener conto da ser Tommaso di Cristofano da pregio ?179. Et spesesi in tutto circha fiorini 25 i quali trassi di legname et priete di cose disfatte et l’opere di manovali trassi dalle ghuardie dei passagi et di lor con sentimento ònne di tutto scritture180.

Si intuisce dal testo che fu Francesco di Tommaso in persona a stabilire le modifiche edilizie al Palazzo. Il suo intervento mirò alla realizzazione di una sala e allo spostamento delle stalle in altro luogo: sia per il rischio di incendi che ciò rappresentava, sia perché esse erano “quasi nell’entrata”, mentre un palazzo signorile di una città importante

178

Nel testo sono disegnati tre piccoli cerchi con una croce al centro.

179

Parola di incerta lettura.

180

56

e alle dipendenze di Firenze doveva trovare forme e distribuzione degli spazi più adeguate e consone alla sua autorevolezza.

Le immagini dipinte sulle pareti dei palazzi come quello podestarile, acquisivano un valore simbolico fondamentale: erano sempre scelte in modo non casuale, e si inserivano in una tradizione che risaliva almeno a due secoli prima181. La sala centrale fu resa consona alla presenza di un alto funzionario fiorentino: imbiancata, venne dipinta inserendo due tondi con il giglio e con la croce; l’intonaco rovinato venne restituito al suo antico splendore con l’inserimento di un festone “all’anticha” e nella parete frontale fu fatto dipingere un grande San Giovanni Battista con un gonfalone con la croce. La scelta dunque ricadde prevalentemente su simboli di comunicazione “pragmatico- strumentale” all’interno di contesti politici e storici in cui era necessario