• Non ci sono risultati.

Filosofia ed epistemologia della ricerca

Nel documento Ai miei genitori (pagine 53-56)

METODOLOGIA DELLA RICERCA

4.2 Filosofia ed epistemologia della ricerca

La considerazione del contesto come fattore qualificante l'esperienza di simulazione incarnata, affermata anche in relazione alla definizione del processo di insegnamento‐ apprendimento, conduce a una doppia implicazione metodologica: in primo luogo impone la scelta di epistemologie e filosofie di ricerca, prima ancora che di strategie e metodi, che siano in grado di valorizzare la centralità delle variabili contestuali e, a differenza delle ricerche condotte dalle neuro‐scienze e dalla narratologia, di assumerle come fattori euristici in grado di contribuire alla comprensione dei fenomeni indagati: si fa riferimento anzitutto alla scelta di lavorare in un setting naturale, e dunque ad una epistemologia della ricerca naturalistica. In secondo luogo, e a livello dei metodi di ricerca, è richiesto l'utilizzo di strumenti di raccolta dati che possano restituire da differenti angolature e punti di vista i fenomeni oggetto di studio: benché la ricerca risponda ad una domanda rivolta specificatamente all'esplorazione del lavoro degli insegnanti, diviene importante predisporre tecniche di indagine che consentano di documentare – oltre alla pratica didattica – la rielaborazione concettuale degli studenti delle esperienze di simulazione incarnata realizzate. Seguendo tale prospettiva, i prodotti realizzati dagli studenti e la rielaborazioni (in forma scritta o orale) da loro compiute sono da utilizzare dal ricercatore e dagli insegnanti nella fase di trasposizione didattica come

ulteriore materiale di ricostruzione dell'esperienza. In questo modo la centratura sul contesto e la conseguente necessità di dettagliare le numerose variabili che ne definiscono la qualità, è resa possibile da uno sguardo interpretativo multi‐prospettico, caratterizzato da posizioni fortemente complementari: gli studenti da un lato, il ricercatore e gli insegnanti dall'altro, portatori a loro volta di punti di vista conoscitivi differenti e non sovrapponibili.

In relazione alle implicazioni contestuali sul disegno metodologico della ricerca è utile evidenziare alcune precondizioni di quanto si è appena affermato e che Mortari (2009) definisce con il termine di 'pratiche epistemiche'; queste suggeriscono che nella fase preliminare del lavoro vi sia un coinvolgimento prolungato del ricercatore nel contesto (in questo caso in una classe seconda di scuola secondaria di I grado) e che si compia un'osservazione continuata “in modo da costruire uno sguardo sensibile ad ogni dettaglio” (p. 70). La valorizzazione dei fattori contestuali e la correlata necessità di far riferimento a una pluralità di sguardi interpretativi per realizzare una descrizione accurata del fenomeno oggetto di indagine sono strettamente connesse alle implicazioni metodologiche che derivano dalla centralità attribuita in sede definitoria alle interazioni tra insegnanti e studenti. In maniera analoga, infatti, la considerazione della prospettiva dei diversi soggetti implicati – insegnanti e studenti – diviene un elemento metodologicamente rilevante e che si traduce, in questo caso, in un'attenzione specifica alle interazioni discorsive tra insegnante e studenti e alle rispettive rielaborazioni concettuali. Diviene dunque utile, benché le domande di ricerca siano circoscritte all'attività di progettazione degli insegnanti, documentare sistematicamente le azioni e i processi messi in atto dagli studenti, sia durante l'accadere dell'esperienza di simulazione incarnata, sia nelle successive fasi di concettualizzazione per poter avere una restituzione dell'esperienza multi‐prospettica, e quindi una pluralità di strumenti euristici, nel lavoro di trasposizione messo in opera dagli insegnanti.

Considerare le competenze e le conoscenze specifiche degli insegnanti in un contesto di ricerca significa attribuire valore scientifico a ciò che è stato definito “sapere dell'esperienza” (Shon, 1983), “competenza di attore in contesto” (Giddens, 1987) e, da altre prospettive, “teorie pratiche dell'insegnare” (Sanders & MacCutcheon, 1986) oppure “saggezza educativa della pratica” (Shulman, 1987). È da una traiettoria di ricerca che nasce dagli anni '80 con i contributi di Schön (1983, 1987) sull'epistemologia dei saperi professionali e, allargando lo spettro storiografico, da una valorizzazione del magistero deweyano che si propone di raccordare la ricerca teorica con le esigenze pratiche dei contesti educativi attraverso le cosiddette 'tentative hypothesis' (Dewey, 1974) e la teorizzazione dell'inquiry approach, che il

sapere degli insegnanti diviene un elemento cruciale nella comprensione dei fenomeni didattici indagati dal mondo accademico. Come afferma Catelli (1995), l'idea di una ricerca in ambito didattico di tipo partecipativo nasce ancor prima, negli anni '60 e '70, con i lavori pioneristici di Schaefer (1967), Joyce (1969, 1972) e prosegue negli anni '80, tanto in ambito nord‐americano quanto in diversi paese europei, con l'emergere di progetti di ricerca attivati da equipe di insegnanti che, in collaborazione con ricercatori universitari, hanno elaborato modalità inedite finalizzate allo sviluppo professionale. A livello terminologico è stata più volte sottolineata la presenza di una pluralità di categorie per definire la ricerca partecipativa: ricerca collaborativa; ricerca partecipante; ricerca‐azione; ricerca‐azione collaborativa; ricerca in partenariato (Desgagné, Bednarz, Lebuis, Poirier e Couture, 2001; Mortari, 2007, Nigris, 2016). Tra queste diverse definizioni, diviene fondamentale specificare le scelte terminologiche adottate in questa sede, che, come già affermato, fanno riferimento alla proposta di Mortari (2007): con il termine ricerca partecipativa si fa riferimento a una filosofia di ricerca, intesa come uno tra i diversi orientamenti epistemici propri del paradigma ecologico della ricerca pedagogica, che ha come tratto fondamentale quello “di configurarsi come ricerca dialogica fra tutti coloro che

prendono parte all'esperienza epistemica” (Mortari, 2007, p. 137). Le caratteristiche ora riportate consentono di fornire un’ulteriore specificazione al modello di ricerca‐formazione messo in atto e a considerarlo nei termini di una service research, ossia di un percorso di indagine basato su un dialogo tra insiders (gli insegnanti) e gli outsiders (il ricercatore universitario) che si pone l'obiettivo di elaborare una teoria locale in grado di produrre una trasformazione delle pratiche oggetto di studio. Come è stato messo in evidenza poco sopra, una condizione necessaria della service research è quella della co‐interpretazione dei dati raccolti e della successiva elaborazione dei risultati. Tale principio dialogico messo in opera in ciascuna fase della ricerca favorisce lo sviluppo di un sapere significativo per insiders e

outsider, valido anzitutto nel contesto della sua elaborazione e pertanto definibile come una teoria locale; teoria che mira a produrre un sapere utile nella pratica e che viene validata nel suo contesto specifico di applicazione (Friendman, 2001, p. 159). In questo modo il criterio della rilevanza scientifica assume un valore di rilievo rispetto al criterio del rigore scientifico, dal momento che presenta una maggiore adeguatezza nella valutazione di una ricerca che mira ad “essere utile” e cioè a fornire “strumenti cognitivi che concorrono alla trasformazione del reale verso nuove strutturazioni” (Mortari, 2007, p. 143).

Schema 2: Service research (mutuato da Mortari 2007)

Nel documento Ai miei genitori (pagine 53-56)