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limite estremo in senso spaziale o temporale. [1] Rime 36.9: Destinata mi fu questa finita, / da ch'un uom convenia esser disfatto, / perch'altri fosse di pericol tratto.

[2] Rime 37.68: ché gli spiriti miei son combattuti / da tal ch'io non ragiono, / se per tua volontà non han perdono, / che possan guari star sanza finita.

FRALE agg.

DEFINIZIONI:1 Privo di forza fisica. 1.1 Senza

vitalità. 2 Preso da smarrimento (detto dell’animo). 3 Destinato a finire rapidamente, effimero.

FREQUENZA:

Altre opere 2 (1 Vn, 1 Conv.). 1 (1 Fiore).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere fraile Vn 4.1; frale Vn 23.21.29, 27.4.7,Conv. 3, canz. 2.60.

frali Fiore 113.8.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete; ED.

NOTA: Prima att. Segnalato come gallicismo

dal fr. ant. fraile (vd. DELI s.v. frale), Cella ne ipotizza invece la derivazione diretta dal lat. con riduzione fiorentina del dittongo discendente nel caso della forma

frale (I gallicismi, p. 3). A Conv. 3.8.14,

Dante precisa che nella canzone Amor che

nella mente, v. 60, egli vuole indicare

l’insufficienza delle capacità intellettuali davanti a «tanta eccellenza di biltade» in analogia, sul piano fisico, con l’impotenza di una vista debole davanti alla luce del sole (vd. TLIO s.v. fragile 2.2). Questa teoria riprende l’affermazione di Aristotele, Metafisica I, 993 b 7-9, secondo cui il nostro intelletto in rapporto alle realtà divine si trova nella stessa condizione degli occhi di animali tipicamente notturni esposti alla luce del Sole (Fioravanti,

Convivio, pp. 438-439). Il tema dell’ineffabilità come lode deriva da Cavalcanti (vd. ad es. Chi è questa che vèn, vv. 12-14) ed è supportato dalla stessa fonte filosofica citata a commento di Oltre

la spera, vv. 9-11 in Vn 41.6: «cioè a dire

che lo mio pensero sale nella qualità di costei in grado che lo mio intelletto nol può comprendere; con ciò sia cosa che lo nostro intelletto s’abbia a quelle benedette anime sì come l’occhio debole al sole: e ciò dice lo Filosofo nel secondo della Metafisica» (vd. De Robertis, Rime 2005, p. 58).

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1 Privo di forza fisica.

[1] Vn 4.1: onde io divenni in picciolo tempo poi di sì fraile e debole condizione, che a molti amici pesava de la mia vista.

1.1 Senza vitalità.

[1] Conv. 3, canz. 2.60: Elle soverchian lo nostro intelletto / come raggio di sole un frale viso; / e perch'io non le posso mirar fiso, / mi convien contentar di dirne poco.

2 Preso da smarrimento (detto dell’animo).

[1] Vn 27.4.7: mi tolle sì 'l valore, / che li spiriti par che fuggan via, / allor sente la frale anima mia / tanta dolcezza, che 'l viso ne smore.

3 Destinato a finire rapidamente, effimero.

[1] Vn 23.21.29: Mentr'io pensava la mia frale vita, / e vedea 'l suo durar com'è leggiero, / piansemi Amor nel core.

[2] Fiore 113.8: Il tempo, e' lor guadagni sì son frali.

FUMMIFERO agg.

DEFINIZIONI:1 Che produce vapore acqueo.

FREQUENZA:

Altre opere 1 (1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere fummifere Rime 43.53.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... . .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete.

NOTA:Prima att. Latinismo. Secondo la teoria

scientifica esposta in Quaestio 83, le acque sono vapori che, passati allo stato liquido per un improvviso cambiamento di temperatura, sgorgano dalle sorgenti. Tale

principio deriva da Seneca, N. Q. 3.15.8: «ex magnis caveis magnisque conceptibus excidunt amnes, nonnumquam leviter emissi, si aqua pondere suo se tantum detulit, nonnumquam vehementer et cum sono, si illam spiritus intermixtus eiecit» (cit. in Contini, Rime, p. 154). L’agg. è «parola virgiliana» (Giunta, Rime, p. 473) che, in lingua volgare, compare soltanto a

Rime 43.53 e, senza riferimenti alla teoria

senecana, in Boccaccio, Teseida, L. 7, ott. 40.3: «Li fuochi dieron lume vie più chiaro / e diè la terra mirabile odore, / e'

fummiferi incensi si tiraro / a l' imagine lì

posta ad onore / di Marte». Tra gli es. virgiliani si ricordano Aen. 8.254-255: «faucibus ingentem fumum (mirabile dictu) / evomit involvitque domum caligine caeca, / prospectum eripiens oculis, glomeratque sub antro fumiferam noctem commixtis igne tenebris» e Aen. 9.522: «parte alia horrendus visu quassabat Etruscam / pinum et fumiferos infert Mezentius ignis» (vd. EV s.v. fumus). Tuttavia, mentre in Virgilio l’agg. compare sempre in un contesto legato al fuoco, Lucano, Phars 7.192 utilizza «fumifer» per indicare i vapori dell’acqua che fuoriesce dal sottosuolo: «Euganeo, si vera fides memorantibus, augur / colle sedens, Aponus terris ubi fumifer exit / atque Antenorei dispergitur unda Timavi, / venit summa dies, geritur res maxima’ dixit». AUTORE:Giulia Pedonese.

1 Che produce vapore acqueo.

[1] Rime 43.53: Versan le vene le fummifere acque / per li vapor' che la terra ha nel ventre, / che d'abisso li tira suso in alto.

GEMINATO agg.

DEFINIZIONI: 1 Rel. alla costellazione dei

45 LOCUZ. E FRAS.:per geminato cielo vd. cielo.

FREQUENZA:

Altre opere 1 (1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM: Altre opere geminato Rime 43.3.

VARIANTI: Rime 9.3: germinato B2 McZ As3 t

Hv Mc8 R735 triv.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … .

Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete; ED.

NOTA:Prima att. L’agg. è sempre riferito alla costellazione dei Gemelli tranne in Boccaccio, Esposizioni c. XII (i), par. 53: «la qual cosa Ercule con grandissima fatica fece, e così, essendo vincitore del

geminato corso d'Acheloo, ebbe

Deianira». Le att. successive, pur non essendo commenti a differenza di Boccaccio, dipendono in diversa misura dal testo dantesco. Si vd. in particolare la ripresa parodica di Cecco d'Ascoli, Acerba L. 2, in cui si riverbera anche il concetto del partorire (cfr. Rime 43.3): «Sette ricetti per ciascun pianeta / son nella madre, però sette nati / nascere posson, come vidi a Leta. / Questo addivenne per lo molto seme / Ed anche per i segni geminati / Quando li lumi s'avvincono insieme». LOCUZ. E FRAS.: Per l’espressione notevole.

geminato cielo vd. cielo.

AUTORE:Giulia Pedonese.

1 Rel. alla costellazione dei Gemelli.

[1] Rime 43.3: Io son venuto al punto de la rota / che l'orizzonte, quando il sol si corca, / ci partorisce il geminato cielo.

GENTILEZZA s.f.

DEFINIZIONI: 1 Valore morale intrinseco

dell’animo nobile (anche in opposizione alla sola eccellenza di rango).

FREQUENZA:

Altre opere 22 (3 Vn, 18 Conv., 1 Rime). 1 (1 Fiore).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere gentilezza Vn 16.4, 26.11.8,

Conv. 2.2.2, Conv. 4, canz. 3.16 (:), Conv. 4, canz. 3.21, Conv. 4, canz. 3.50, Conv. 4, canz. 3.67, Conv. 4, canz. 3.79, Conv. 4, canz. 3.101, Conv. 4.2.1, 4.3.6, 4.3.7, 4.9.15, 4.9.16, 4.14.5, 4.14.7, 4.14.8, 4.15.19, 4.16.3, 4.19.1; gentilezze Vn 23.17.2, Rime 33.6. gentilez[z]a Fiore 71.7 (:). CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete; ED.

NOTA: La prima att. è rel. ai pregi dell’amata

con il valore di ‘nobiltà’, ‘virtù’, vd. Giacomo da Lentini 37.4: «e di grandezze, / di senno e d'adornezze - sete ornata, / e nata - d'afinata – gentilezze» (Antonelli,

Giacomo da Lentini, p. 544). La semantica

46 che lo rif. alla nobiltà interiore della donna (Rea, Cavalcanti, p. 304). Con questa accezione, il concetto viene recepito da Cavalcanti (che, però, come si può vedere dal Corpus OVI, non utilizza il sost.

gentilezza) e da Dante in Vn 23.17.2:

«Donna pietosa e di novella etate, / adorna assai di gentilezze umane». Al di fuori della lirica amorosa, il termine indica il valore contrapposto alla viltà nella discussione sulla natura della vera nobiltà con implicazioni morali sul ruolo della ricchezza, come ad es. in Bonagiunta Orb. 5.63: «più fie ricco per rasione / di quella riccheza, / onde nasce grandeza / e tal

gentileza / ch'è diritta e vera» e in Brunetto

Latini, Tesoretto 1707: «son persone / d'altra condizïone, / che si chiaman gentili: / tutt' altri tegnon vili / per cotal

gentilezza; / e a questa baldezza / tal

chiaman mercennaio / che più tosto uno staio / spenderia di fiorini / ch'essi di picciolini». In modo simile a quanto avviene in Poscia ch’Amor per la def. della

leggiadria (vd.), nella canzone Le dolci rime la gentilezza è considerata nella sua

attuazione, per cui l’oggetto della ricerca è in realtà la def. dell’uomo gentile (v. 13), le cui qualità morali sono esemplificate nell’ultima parte del componimento (vd.

senetta). I sost. gentilezza e nobiltà,

sebbene dichiarati sinon. a Conv. 4.14.8: «Se la gentilezza o ver nobilitade (che per una cosa intendo) si generasse per oblivione», non sembrano essere del tutto sovrapponibili quanto piuttosto usati indifferentemente in virtù di alcune coincidenze semantiche non più valide per l’italiano moderno (Peirone, Significante, pp. 23-28). Infatti, mentre nobiltà si attesta principalmente con il valore di virtù personale, gentilezza può indicare senza ulteriori specificazioni anche il rango definito dalla nobiltà di sangue (vd. Carpi,

La nobiltà, pp. 22-23) come ad es. in Bono

Giamboni, Vizi e Virtudi cap. 58: «tutti poveri e brolli, di richiedere di battaglia i re e' baroni e tutta la gentilezza del mondo». Il valore di ‘nobiltà di sangue’ può essere implicato a Le dolci rime, v. 21 rel. alla def. attribuita a Federico II: «Tale imperò che gentilezza volse, / secondo 'l suo parere, / che fosse antica possession d'avere / con reggimenti belli». Tuttavia, il seguito della dimostrazione chiarisce che, per Dante, il sost. indica la nobiltà d’animo e non la nobiltà di schiatta, da cui la

gentilezza viene distinta evidenziando

prima l’impossibilità logica che essa venga influenzata dal possesso di ricchezze (vv. 49-60) e poi la contraddizione in termini implicata dal suo trasmettersi ereditario (vv. 61-73). Dunque, mentre nella prima parte della canzone gentilezza potrebbe ancora avere un signif. ambivalente in rif. alle tesi errate da confutare, al v. 101

gentilezza definisce la vera nobiltà come

qualità dell’animo che discende direttamente da Dio ed esclude come errore logico la nobilà data da ricchezza e rango. In particolare, dimostrando la maggiore estensione della predicabilità della gentilezza (vv. 96-99), Dante pone il concetto all’origine stessa della virtù, attribuendo al sost. un ruolo decisivo - quasi di termine tecnico- nell’ambito di una ridefinizione dei valori morali che passa anche per via semantica (vd. Borsa,

Le dolci rime, p. 97).

AUTORE: Giulia Pedonese.