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figura dell’Imperatore.

[1] Conv. 4.3.6: Dico dunque: «Tale imperò», cioè tale usò l'officio imperiale: dove è da sapere che Federigo di Soave, ultimo imperadore delli Romani - ultimo dico per rispetto al tempo presente, non ostante che Ridolfo e Andolfo e

Alberto poi eletti siano, apresso la sua morte e delli suoi discendenti— domandato che fosse gentilezza, rispuose ch' era antica ricchezza e belli costumi.

[2] Rime 30.14: i' canterò così disamorato / conta 'l peccato, / ch'è nato in noi, di chiamare a ritroso / tal ch'è vile e noioso / con nome di valore / cioè di leggiadria, ch'è bella tanto / che fa degno di manto / imperïal colui dov'ella regna: / ell'è verace insegna / la qual dimostra u' la vertù dimora.

IMPETRARE v.

DEFINIZIONI: 1 Diventare duro e

impenetrabile. 1.1 Trans. Racchiudere dentro di sé come in una pietra.

FREQUENZA:

Commedia 3 (2 Inf., 1 Purg.). Altre opere 2 (2 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Commedia impetrai Inf. 33.49 (:);

impetrato Purg. 33.74; ‘mpetro

Inf. 23.27 (:).

Altre opere impetra Rime 46.3 (:); ‘npetra

Rime D. 62.3 (:).

VARIANTI:; Inf. 23.27: impietro Eg Ham La

Lau Lo Pa Po – edd.; Inf. 33.49: impietrai Mart Pa Triv Vat – Lanza, npietrai Po,

enpetrai Laur, minpetrai Ham, mi petria Mad;

Purg. 33.74: impietrato Ash Ga Ham Mart Pr Triv – Lanza, inpietrato Po; Rime 1.3:

impietra Mg13 – De Robertis.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

50 NOTA: Denominale da petra, antico per

‘impietrare’. Contini (Rime, p. 167) sceglie come primo signif. quello di ‘chiedere’, ‘ottenere’ considerando il verbo come latinismo da in-patrare (vd. Crusca (4) s.v. impetrare 1); tuttavia, egli ammette anche il signif. trans. di ‘racchiudere dentro di sé come in una pietra’ (cfr. Barbi-Pernicone,

Rime, p. 570). Capovilla (Dante, p. 83)

ritiene che, nei poeti prima di Dante, il v. abbia l’accezione di ‘racchiudere un signif. oscuro nelle proprie parole’ per cui vd. GDLI s.v. impetrare2 1. In questo caso, la

prima att. sarebbe la testimonianza di Schiatta Pallavillani 46a.12: «di folle amor mi par ch'è colmo. / Dunque, ämico, chi 'l suo dire v'impetra, / nonn è, di senno, suo corag[g]io, scolmo!». Con lo stesso signif. e indipendenti dalle rime dantesche (Menichetti, Chiaro, pp. 272-281) sono le tre occorrenze registrate nei sonetti di Chiaro Davanzati (son. 54.12, son. 55.1 e son. 61.15). Anche se in nessuno di questi quattro casi si può escludere che si tratti di latinismo, Capovilla crede che i v. siano denominali da petra ed «esprimano la volontà, da parte dei poeti, di conferire alle proprie parole una concreta forza asseverativa che comporti le nozioni di ‘asprezza’ e di ‘oscurità» (Dante, p. 80). Fubini (Metrica, p. 138) considera «la quale» di Rime 46.3 come oggetto e «maggior durezza e più natura cruda» come doppio soggetto posposto di «impetra» leggendo: ‘una crescente durezza e una natura sempre più spietata rendono [la donna] dura come pietra in modo sempre maggiore’. Tuttavia, una simile costruzione sintattica, per quanto coerente con la programmatica asprezza del dettato (Tanturli, Così nel mio parlar, pp. 19-20), limiterebbe il signif. del v.

impetrare alla def. 1 rendendo meno

puntuale l’allusione al rapporto di

convenientia tra la parola poetica che

racchiude un significato oscuro e la donna che cristallizza in sé la sua natura crudele con una corazza altrettanto dura; rapporto che sussiste fin dal signif. 3.1 di aspro (vd.) e che è reso plausibile dalle att. poetiche precedenti. Infine, la rima «petra/’npetra», pur trattandosi di latinismo, ricorre in un contesto dove la donna è messa in relazione con una pietra preziosa già in Panuccio del Bagno 15.30: «Considerando, sovra / di tutte l’autre è donne, / come ['n] pur òr v’è petra / che non già mai si sovra / d'ovra di pregio donne / quale maggie homo 'npetra» (vd. Capovilla, Dante, p. 86).

AUTORE: Giulia Pedonese.

1 Diventare duro e impenetrabile.

[1] Inf. 33.49: Io non piangëa, sì dentro impetrai: / piangevan elli; e Anselmuccio mio / disse: «Tu guardi sì, padre! che hai?». / Perciò non lagrimai né rispuos' io / tutto quel giorno né la notte appresso, / infin che l' altro sol nel mondo uscìo.

1.1 Trans. Racchiudere dentro di sé come in

una pietra.

[1] Inf. 23.27: S' i' fossi di piombato vetro, / l'imagine di fuor tua non trarrei / più tosto a me, che quella dentro 'mpetro.

[2] Rime 46.3: Così nel mio parlar voglio esser aspro / com'è ne li atti questa bella petra, / la quale ognora impetra / maggior durezza e più natura cruda, / e veste sua persona d'un dïaspro.

INCRESPARE v.

DEFINIZIONI:1 Piegare fittamente, arricciare.

FREQUENZA:

Altre opere 1 (1 Rime). 1 (1 Fiore)

51 LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere increspa Rime 46.64. increspata Fiore 150.12.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: Crusca in rete; ED.

NOTA: Prima att. Il v. descrive i capelli della

donna amata e richiama crespo (vd.) di

Rime 44.15 anche se, a differenza del sost.,

il v. non ha trad. lirica esclusa l’att. di

Poes. an. sen. 63, p. 20: «vostri cape' increspare, / di mirare a le finestre: /

vostre prodezze son cheste, / di mirarvi a le calcagna». Il part. pass. «increspata» è presente in Fiore 150 con il valore di ‘rugosa’ (vd. crespo 1): «Quand'i' vedea que' giovani passare, / E ciaschedun parea che mi schernisse. / Vec[c]hia increspata mi facean chiamare» con trad. di R. 12854: «vieille ridee me clamaient» (Formisano, Il

Fiore, p. 233).

AUTORE: Giulia Pedonese.

1 Piegare fittamente, arricciare.

[1] Rime 46.64: ché tosto griderei: «Io vi soccorro»; / e fare'l volentier, sí come quelli / che ne' biondi capelli / ch'Amor per consumarmi increspa e dora / metterei mano, e piacere'le allora.

INFORCARE v.

DEFINIZIONI:1 Prendere come tra i due rebbi

di una forca (afferrando con le braccia o con le gambe).

FREQUENZA:

Commedia 3 (1 Inf., 2 Purg.).

Altre opere 1 (1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Commedia inforca Purg. 8.135 (:);

inforcar Purg. 6.99;‘nforco Inf. 22.60 (:).

Altre opere ‘nforca Rime 43.5. CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete; ED.

NOTA: Prima att. A Inf. 22.60 «lo 'nforco» è interpretato da Buti (Inf. c. 22, 55-63) in modo ambivalente, come «mentr'io l'afferro con le braccia, o vero col forcone del ferro ch'avea in mano» a riprova della natura fraudolenta di Barbariccia, che dichiara di voler inforcare Ciampolo di Navarra con il suo forcone così da allontanare gli altri diavoli e invece lo «'nforca» sì, ma tra le sue braccia, in modo da trattenerlo e permettere a Virgilio di parlargli. Sembra perciò quest’ultimo il signif. dell’atto di Barbariccia e in questo senso va probabilmente interpretato anche il passo di Rime 43.5 dove il Sole prende alle spalle Venere e la «'nforca». Infatti, immaginando che Venere passi davanti al Sole, il verbo «rende l’idea dei raggi luminosi che si divaricano e si chiudono su di lei» in modo da abbracciarla e renderla invisibile dalla Terra (Fenzi. Le Rime, pp. 284-285) sebbene nella realtà si trattasse di congiunzione superiore con allineamento Venere-Sole-Terra, possibilità esclusa dalla cosmologia tolemaica dove Venere è posta al di sotto del cielo del Sole. Sembra da respingere l’ipotesi, avanzata da Maffia Scariati (Dante, pp. 170-173), che siano i

52 raggi della Luna a offuscare Venere sul modello ovidiano delle Metamorfosi: per quanto essa sia trad. più luminosa di Venere (vd. Met. 2.722-23) e collegata alla freddezza del clima invernale per cui non si può escludere che il «pianeto che conforta il gelo» di Rime 43.7 sia la Luna e non Saturno (Fenzi, Le Rime, p. 282), basti osservare che la Luna potrebbe casomai coprire il pianeta nella sua fase piena, ma, per un osservatore posto sulla Terra, essa non potrebbe inforcare Venere con i suoi raggi per di più smorzati da una fase crescente o calante, le uniche situazioni in cui la Luna è effettivamente dotata di ‘corna’ come nei passi di Ovidio cit. da Maffia Scariati a sostegno della sua lettura (cfr. Fenzi, Io son venuto, p. 60).

Autore: Giulia Pedonese.