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comportare incostanza e volubilità).

[1] Rime 33.5: l’una ha in sé cortesia e valore, / prudenza e onestà in compagnia; / l'altra ha bellezza e vaga leggiadria, / adorna gentilezza le fa onore: / e io, merzé del dolce mio signore, / mi sto ai piè della lor signoria.

[2] Rime 10.20: Le parolette mie novelle, / che di fiori fatto han ballata, / per leggiadria ci hanno tolt'elle / una vesta ch'altrui fu data.

[3] Rime 15.10: Or ecco leggiadria di gentil core, / per una sí selvaggia dilettanza / lasciar le donne e lor gaia sembianza.

2 Grazia e piacevolezza di modi, gioia di dare

e avere.

[1] Par. 32.109: Ed elli a me: Baldezza e leggiadria / quant' esser puote in angelo e in alma, / tutta è in lui; e sì volem che sia, / perch'elli è quelli che portò la palma / giuso a Maria.

[2] Rime 30.92: Sollazzo è che convene / con esso Amore e l'opera perfetta: / da questo terzo retta / è vera leggiadria e in esser dura, / sí come il sole al cui esser s'adduce / lo calore e la luce / con la perfetta sua bella figura.

LIMA s.f.

DEFINIZIONI: 1 Strumento di artigiano

utilizzato per lisciare e sagomare. - Dolore che logora (fig.).

FREQUENZA:

Commedia 1 (1 Inf.).

Altre opere 1 (1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Commedia lima Inf. 27.9 (:).

Altre opere lima Rime 1.22 (:).

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … .

Commenti danteschi:

Vocabolari: Crusca in rete; ED.

NOTA: Benvenuto da Imola nel commento a

Inferno 27.7-15 intende lima come «opera

artificiosa» (DDP). In modo analogo, anche Francesco da Buti, c. 27, 7-15, interpreta «artificio». Il termine compare in

Serventese romagnolo 3 insieme all’agg.

«surda» e, in Dino Compagni, Cronica L. 1, cap. 19, «sorde» è attrib. di «lime», ad indicare la tipica silenziosità e forse anche la lentezza del lavorìo dello strumento (vd.

sordamente). Per Arnaut Daniel, modello

centrale nelle Petrose dantesche (vd.

bianchire), la lima è lo strumento del poeta

che riesce a forgiare versi adatti all’immagine da rappresentare: «En cest sonet coin’e leri / fauc motz e capuig e doli, / que serant verai e cert / qan n’aurai passat la lima» (X, vv. 1-7). Per quanto il contesto di Rime 46.22 si riferisca all’azione della donna e non alla composizione poetica, la corrispondenza tra l’asprezza dell’amata e quella delle rime è stabilita fin dal v. 1 (vd. aspro).

AUTORE: Giulia Pedonese.

1 Strumento di artigiano utilizzato per lisciare

e sagomare.

[1] Inf. 27.9: Come ‘l bue cicilian che mugghiò prima / col pianto di colui, e ciò fu dritto, / che l'avea temperato con sua lima, /

56 mugghiava con la voce de l'afflitto, / sì che, con tutto che fosse di rame, / pur el pareva dal dolor trafitto.

- Dolore che logora (fig.).

[1] Rime 46.22: Ahi angosciosa e dispietata lima / che sordamente la mia vita scemi, / perché non ti ritemi / sí di rodermi il core a scorza a scorza / com'io di dire altrui chi ti dà forza? MAGGIORMENTE avv.

DEFINIZIONI: 1 In misura maggiore, sempre

più. 1.1 In modo più appropriato, con maggiore chiarezza, meglio. 1.2 A maggior ragione, per motivi più validi.

FREQUENZA:

Altre opere 9 (8 Conv., 1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere maggiormente Conv. 1.1.10,

1.1.16, 1.2.7, 2.10.4, 3.13.8, 4.5.16, 4.18.6, 4.26.12, Rime 7.24.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: Crusca in rete; ED.

NOTA: L’uso dantesco, concentrato nella

prosa di Conv., rispecchia l’andamento delle att. precedenti, principalmente non liriche, anche se la prima occorrenza dell’avv. è in Rinaldo d'Aquino 9.22: «Quando l'aloda intendo / e rusignuol vernare / d'amor lo cor m'afina, / e

magiormente intendo / ch'è legno d'altr'affare / ché d'arder no rifina» e la sua frequenza in poesia aumenta a partire da Guittone, vd. ad es. Lettere in versi 15.17:

«E ben merta salute / e onor e amore omo che bene / religion mantene / intra religïosi in chiostro assiso; / ma, sì com'io deviso, / onor merta e amor via maggiormente / om che non secular nel secul stae».

AUTORE: Giulia Pedonese.

1 In misura maggiore, sempre più.

[1] Conv. 1.1.10: per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale alli» occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho fatti maggiormente vogliosi.

[2] Rime 7.24: E certo la sua doglia più m' incende, / quand' i' mi penso ben, donna, che vui / per man d' Amor là entro pinta sete: / così e voi dovete / vie maggiormente aver cura di lui.

1.1 In modo più appropriato, con maggiore

chiarezza, meglio.

[1] Conv. 4.5.16: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paulo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire.

1.2 A maggior ragione, per motivi più validi.

[1] Conv. 4.26.12: nel contrario, non puote avere la senettute, per la gravezza sua e per la severitade che a lei si richiede; e così lo senio maggiormente.

MANDUCARE v.

DEFINIZIONI: 1 Mangiare. - Distruggere con i

denti (fig.).

FREQUENZA:

Commedia 1 (1 Inf.). Altre opere 1 (1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM: Commedia manduca Inf. 32.127 (:).

57 VARIANTI: Inf. 32.127: manuca Co Laur Po Tz, mand>uca< La.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete.

NOTA: Forma popolare toscana (vd. ED s.v.

manicare) parallela al francesismo

mangiare (Castellani, Gramm. stor., p.

102) che Dante sceglie e mette in rima per scopi espressivi (Contini, Rime, p. 168). «Manduca» di Rime 46.32 è ritenuto da Mengaldo termine non poetico (L’aspro

parlare, p. 31) per cui vd. anche brucare.

Sebbene in ambito diverso dalla poesia amorosa, il v. è impiegato con il signif. fig. di ‘distruggere’ in Bartolomeo da San Concordio, dist. 29, cap. 1, par. 4: «[La 'nvidia] mangia il senso, arde il petto, tormenta la mente, e 'l cuore come pistolenzia si manduca».

AUTORE: Giulia Pedonese.

1 Mangiare.

[1] , Inf. 32.127: Noi eravam partiti già da ello, / ch' io vidi due ghiacciati in una buca, / sì che l'un capo a l'altro era cappello; / e come 'l pan per fame si manduca, / così 'l sovran li denti a l'altro pose / là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca. - Distruggere con i denti (fig.).

[1] Rime 46.32: Che più mi triema il cor qualora io penso / di lei in parte ov' altri li occhi induca, / per tema non traluca / lo mio penser di fuor sì che si scopra / ch' io non fo de la morte, che ogni senso / co li denti d'Amor già mi manduca: / ciò è che 'l pensier bruca / la lor vertù, sí che n'allenta l'opra.

MESSIONE s.f.

DEFINIZIONI:1 Elargizione di denaro, spesa.

FREQUENZA:

Altre opere 3 (2 Conv., 1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere messione Rime 30.26, messioni

Conv. 4.11.14, 4.27.14.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete; ED.

NOTA: Provenzalismo secondo il DEI s.v.

messione2.Il termine compare nel contesto antifrastico di Conv. 4.27.14 come parte dell’invettiva contro i tiranni: «Non altrimenti si dee ridere, tiranni, delle vostre

messioni, che del ladro che menasse alla

sua casa li convitati, e la tovaglia furata di sull'altare, colli segni ecclesiastici ancora, ponesse in sulla mensa». Con la stessa sfumatura di ‘apparente liberalità’, a Rime 30.26, il signif. contestuale indica l’eccesso di coloro che non possiedono la virtù della leggiadria (vd.) con rovesciamento puntuale di Bonagiunta 3.62, che si scaglia contro chi non elargisce doni: «e tant'è da blasmare (l’uomo) / quant'ha potensa / e intendensa / e non fa

messione / per venire in orransa, / in

lontana contansa, / e per potere / tra i bon capére» (Fenzi, Sollazzo, p. 212 e Menichetti, Riletture, pp. 358-359). Un attacco contro la falsità delle «messioni» è invece in Monte Andrea, tenz. 48.4: «Tanto folle[g]giare, alcuno, com' pote / de l’altrui doni, e se ne mostri largo, / paiono

58 a me ben cortesïe vòte: / chi tal messione fa, bel tengno pargo». Pernicone (Le prime

rime, p. 514) interpreta i vv. 27-28 di Rime

30 come rel. all’avarizia in quanto eccesso opposto alla prodigalità, intendendo: «perché altrimenti andrebbe considerata cosa saggia, cioè azione virtuosa, anche l’eccesso opposto di serbar denaro, come fanno gli avari» (vd. Giunta, Rime, p. 339). Tuttavia, ciò presupporrebbe una costruzione fortemente ellittica (Decaria,

Poscia ch’Amor, pp. 100-101 e De

Robertis, Rime 2005, p. 147). Inoltre, il parallelismo con Tresor 2.97.5 (vd Beltrami, Tresor, pp. 564-565) dove si consiglia ai prodighi di «retenir et garder» le loro sostanze sembra chiarire il senso di «tenere» al v. 27 come invito a non disperdere i propri averi in elargizioni senza criterio coerentemente con l’aggiunta di «e fuggiriano il danno» al v. 28.

AUTORE: Giulia Pedonese.

1 Elargizione di denaro, spesa.

[1] Conv. 4.11.14: Quando delle loro messioni si fa menzione, certo non solamente quelli che ciò farebbero volentieri, ma quelli [che] prima morire vorrebbero che ciò fare, amore hanno alla memoria di costoro.

[2] Rime 30.26: Ma lor messione a' bon' non pò piacere, / perché tenere / savere fora, e fuggiriano il danno, / che si aggiugne a lo 'nganno/ di loro e de la gente / ch’hanno falso iudicio in lor sentenza.

MICIDIALE agg.

DEFINIZIONI: 1 Che è causa di rovina

materiale e spirituale, che provoca tormento (detto di una donna o del suo sguardo) (fig).

FREQUENZA:

Altre opere 3 (3 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere micidiale Rime 46.58, 20.49,

D. 71.12.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … .

Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: Crusca in rete; ED.

NOTA: La parola è utilizzata nel suo signif.

etimologico di ‘omicida’ dal lat. tardo

homicidialis. A Rime 46.58 l’agg. è rif. alla

donna in quanto scherana (vd.) in connessione con latra (vd.), mentre a

Rime 20.49 è rel. agli «occhi» dell’amata

in accordo con la trad. siciliana per cui vd. Rinaldo d'Aquino 7.34: «per li sguardi amorosi / che, savete, sono ascosi / quando mi tenete mente; / che li sguardi micidiali / voi facete tanti e tali / che aucidete la gente» (cfr. Fenzi, E’ m’incresce, p. 159). La corrispondenza di sguardi a Rime 20.15-23 sembrerebbe avere ascendenza cavalcantiana (cfr. Donna me prega, vv. 57-58), ma in Dante la situazione comporta l’impressione della «vittoriosa vista» dell’amata nella mente del poeta (vd.

vittorioso). In un tale contesto, gli «occhi

micidiali» sembrano appartenere alla donna in quanto figura indipendente dalla volontà dell’io poetico, dando spazio a un protagonismo della figura femminile che secondo Fenzi (E’ m’incresce, pp. 173- 174) costituirebbe un tratto anti- cavalcantiano.

AUTORE: Giulia Pedonese.

1 Che è causa di rovina materiale e spirituale,

59 del suo sguardo) (fig.) || Propr. che causa la morte di una persona, omicida.

[1] Rime 46.58: poi non mi sarebbe atra / la morte, ov'io per sua bellezza corro: / ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo / questa scherana micidiale e latra.

[2] Rime 20.49: e alza li occhi micidiali, e grida / sopra colei che piange il suo partire. MONTANINO agg.

DEFINIZIONI: 1 Composto in montagna (detto

di un testo poetico) (estens.).

FREQUENZA:

Altre opere 1 (1 Rime).

LISTA FORME E INDEX LOCORUM:

Altre opere montanina Rime 53.76.

CORRISPONDENZE:

Testi italiani antichi: … . Commenti danteschi: ... .

Vocabolari: TLIO; Crusca in rete; ED.

NOTA: L’agg. vale generic. ‘di montagna’ in

Tesoro volg., L. 5, cap. 12: «Lo terzo

lignaggio son falconi montanini» e in Folgóre, Mesi 9.2: «D' agosto sì vi do trenta castella / in una valle d' alpe

montanina». Tra i commentatori, il

termine riassume le caratteristiche negative dei Fiorentini a Inf. 15.61: «Ma quello ingrato popolo maligno / che discese di Fiesole ab antico, / e tiene ancor del monte e del macigno», cfr. Ottimo, Inf., c. 15, p. 289.9: «il quale popolo tiene ancora di quello luogo duro e montanino» e Francesco da Buti, Inf., c. 15, 55-78: «cioè superbo, aspro e duro, in quanto tiene di quella natura montanina e fiesolana». In

Ottimo, Purg., c. 31, p. 549.17 si fa cenno a Rime 53 attribuendo però l’agg. alla donna (vd. sbandeggiata) e non alla canzone: «E dice che nè quella giovane, la quale elli nelle sue Rime chiamòe pargoletta, nè quella Lisetta, nè quell' altra

montanina, nè quella, nè quell' altra li

dovevano gravare le penne delle ale in giù». In Dante, il lat. montaninus compare come agg. in De Vulg. 1.11.6 ed è sost. in

De Vulg. 2.1.6: esso comporta in entrambi

i casi l’accezione negativa di ‘rozzo’, indicante o le parlate rustiche da escludere nella ricerca del volgare illustre oppure gli argomenti che si convengono a tali parlate, in contrasto con i tria magnalia (vd. Gorni,

La canzone, p. 140 e Tavoni, De Vulgari,

p. 1373). In Amor, da che conven non sembra che l’agg. abbia valore spregiativo, indicando semplicemente il luogo d’origine della canzone, senza rif. allo stile (Tonelli, La canzone, p. 34). Per questa ragione, il contesto dantesco non risulta del tutto sovrapponibile con il topos del testo rozzo che si inurba riscontrato da Allegretti (La canzone, p. 43) sulla base di Ovidio,

Tristia 1.1.1-4: «sine me, liber, ibis in

urbem». Inoltre, bisogna tenere presente che Dante, a differenza di Ovidio, non sembra indirizzare il suo componimento a Firenze, bensì dedicare alla città soltanto un cenno (vd. il «forse» del v. 77) senza che perciò vi siano apparenti contrasti con l’invio del prosimetro a Moroello (Carpi,

La nobiltà, p. 762 e cfr. Tonelli, La canzone, p. 16).

AUTORE: Giulia Pedonese.