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PARTE II. IL TREVIGIANO NELL’ETÀ MODERNA.

Capitolo 2. La fiscalità sotto il dominio veneziano.

2.4. La fiscalità nella Zosagna di Sotto.

Il Quartiere della Zosagna, come tutti gli altri, era sottoposto a una politica fiscale diversa rispetto a quella del centro urbano di Treviso, e la situazione in cui si trovava era differente: basti pensare, ad esempio, al fatto che si trattasse di territorio di campagna, ove le terre che non erano Beni Comunali (sempre più rade) erano di proprietà in massima parte fino al XVIII secolo dell’aristocrazia veneziana, che non era soggetta a molti oneri fiscali. Sui villici pesava quindi la maggior parte del carico fiscale, ed erano obbligati, oltre a pagare questo, a fornire le proprie prestazioni lavorative per far funzionare quelle che potremmo chiamare “aziende agricole” dei grandi possidenti (che soddisfavano le loro necessità, ma lavoravano altresì per la Dominante). Ciononostante, erano gli abitanti

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del contado a supportare maggiormente il governo veneziano, dal momento che la classe dirigente trevigiana per loro era sempre stata una sorta di fantasma che non si era mai occupato della loro condizione, e si erano ritrovati dunque a sopportare le angherie inflitte dai vari signori che si erano succeduti a Treviso. Si veda ad esempio la situazione creatasi in occasione di Cambrai, la quale ha fatto emergere che una componente abituale della relazione tra il centro e il contado, e dunque tra villici e cittadini, concerneva

il diverso atteggiamento nei confronti delle proprietà. L’appropriazione o il disinvolto uso delle proprietà dei cittadini da parte dei conduttori rurali era una consuetudine. Per combattere questa pratica la legge utilizzava i suoi strumenti repressivi. È evidente che una situazione come quella generata dagli sconvolgimenti bellici determinava un clima particolare, con i maggiorenti trevisani chiusi dentro le mura di Treviso, alcuni addirittura segregati dalla Repubblica a Venezia, altri fuggiti [...]. In questo contesto i rurali non potevano che sentirsi incentivati e giustificati a riprendere possesso di beni e redditi che in tempi normali sarebbero spettati ai proprietari cittadini,

tuttavia, emergeva invece «un quadro di infiniti piccoli abusi a cui sono sottoposti i contadini da parte degli ufficiali incaricati di incassare dazi, di produrre bollette, di registrare beni»117. Dal momento che, a quanto pare - secondo l’analisi di M. Knapton -

dell’aristocrazia di Terraferma non ci si poteva fidare, i villici si sono schierati dalla parte della Serenissima, in quanto una vittoria di francesi e imperiali avrebbe forse comportato, insieme a un altro dominio, maggiori libertà per i possidenti trevigiani, padovani e vicentini, e lo Stato doveva tenere conto di tutto questo. Ora, il borgo di Fiera, che si trovava tra la realtà cittadina e il contado, godeva dei privilegi riservati al centro urbano, in quanto faceva parte delle ville delle cerche; e il fatto che la classe dirigente locale controllasse tale meccanismo costituiva un elemento importante, dal momento che la città era un corpo contribuente a sé stante, che, insieme a quello degli ecclesiastici, non pagava

gli oneri personali, che gravavano [...] sui comitatini. Naturale dunque che il privilegium civilitatis o quanto meno la possibilità di essere iscritti tra i contribuenti cittadini, fossero mete ambitissime dagli abitanti del contado più ricchi e influenti che trasferendosi in città e ottenendo l’iscrizione nelle liste fiscali civili incrementavano ancor più lo spostamento della ricchezza all’estimo urbano118.

117 Questo è il quadro fornito da M. KNAPTON in La battaglia di Agnadello..., Op. Cit., pp. 57-58. 118 G. DEL TORRE, Il Trevigiano..., Op. Cit., pp. 73-74.

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Questo, però, appunto, riguardava solo gli abitanti più ricchi del contado, in tal caso di Fiera, in gran parte nobili e “borghesi” che avevano acquisito possedimenti: è difficile immaginare che i villici, per lo più contadini, livellari, barcaroli, mugnai o squeraroli, vivessero in una situazione agiata. Quindi, nonostante detenessero vaste possessioni nei Quartieri, tali abitanti, nobili o meno, non erano tenuti a pagare le tasse cui avrebbero dovuto essere sottoposti. Emergeva perciò un conflitto tra i residenti di Treviso e quelli dei Quartieri, perché il controllo sugli estimi da parte degli organi di governo si traduceva in un’aperta tutela degli interessi degli abitanti del centro urbano – fossero essi trevigiani o veneziani, anzi, questi ultimi erano ancora più tutelati119 - a scapito dei rurali. L’estimo del XVI secolo si era reso necessario in quanto, dopo Cambrai, l’accresciuto peso fiscale si era scontrato con un generale impoverimento, soprattutto delle campagne, che nel Trevigiano versavano in condizioni disastrose dopo il terremoto e l’alluvione di inizio secolo e le scorribande degli eserciti. Oltre a questo, molti autoctoni avevano venduto le loro possessioni per far fronte a questo aggravio, e le avevano vendute proprio ai veneziani, continuando quindi a pagare le tasse per esse come se non le avessero cedute. Ciò ha influenzato il rifacimento degli estimi e le vicende fiscali del luogo, tanto che se non ci fosse stata una nuova ripartizione dei carichi sarebbe avvenuta una rivolta. Si è proceduto quindi alla redazione di un estimo generale, compilato non più sulla semplice base delle denunce, ma attraverso commissioni di deputati che si recavano in ogni villa per controllare le dichiarazioni raccolte dal meriga. I possedimenti fondiari e i beni immobili venivano ora registrati a seconda del luogo in cui si trovavano, senza contare dove fosse la residenza del proprietario, contrariamente alla prassi applicata fino a quel momento; infatti, anche se si manteneva la suddivisione in corpi, «gli estimi generali fotografavano in un certo modo la distribuzione della proprietà fondiaria senza riguardo per il luogo di residenza dei proprietari e quindi anche per i privilegi dei cives»120.

Comunque, chi viveva fuori dalle mura cittadine aveva la possibilità di – almeno – provare ad opporsi a quel sistema, grazie ad alcuni organi di rappresentanza: i distrettuali erano infatti rappresentati dal Consiglio dei 32, i cui membri venivano scelti dai merighi degli otto Quartieri, che eleggevano quattro capi di colmello e otto deputati (e questi erano tenuti a difendere gli interessi del Distretto oltre che ad occuparsi di amministrazione,

119 Dagli estimi cinquecenteschi è possibile dedurre, ha detto Del Torre, che almeno un sesto degli immobili

censiti dall’estimo fosse di proprietà dei veneziani esenti, e tale percentuale era destinata ad aumentare.

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dell’esenzione da e dell’esazione delle tasse). Il punto è che all’interno di questi organismi, con l’andare del tempo, si sono formati gruppi di potere che sono riusciti a monopolizzare le cariche consiliari e amministrative, a danno, anche stavolta, degli strati svantaggiati della popolazione delle campagne; si trattava di una specie di “oligarchia rurale”, composta dai capi-colmello e dagli esattori, i quali sfruttavano il loro ruolo per arricchirsi e tessere rapporti con la città. In definitiva, la dominazione veneziana da una parte non aveva ancora persuaso l’aristocrazia locale che era venuto meno il suo ruolo, dall’altra non era riuscita a convincere i contadini delle conseguenze cui la trasformazione dell’assetto delle possessioni (la suddivisione delle terre tra poche famiglie, che non sapevano però praticare un’adeguata politica agricola) avrebbe ridotto le campagne. Anzi, i nobili pensavano di avere ancora un certo peso e di poter ristabilire le loro prerogative, mentre i rurali si illudevano che la situazione non ancora irrecuperabile – a metà del Cinquecento - del contado potesse essere migliorata. Ai loro occhi, ed a torto infine, Venezia era «il simbolo della speranza di poter regolare i conti con i signori»121.

121 E. BRUNETTA, Tarvisium Trevigi Treviso..., Op. Cit., p. 132. Egli ha affermato anche, a mio parere a

ragione: «certo la fedeltà fu premiata in specie con esenzioni fiscali concesse alla città o ai singoli; mentre il tradimento venne punito con la prigione o con il bando o comunque sottolineando la funzione subalterna della nobiltà cittadina, ma, per omogeneità di struttura politica e di interessi di classe, Venezia fu costretta a restaurare la primazia nobiliare anche in provincia. Quanto siamo venuti finora dicendo impresse alla città il volto che essa era destinata a mantenere a lungo, connotato nella struttura e nella mentalità da una profonda stratificazione di classe ritenuta come rispondente a una legge di natura, mentre il nuovo assetto urbanistico imposto dalla costruzione della fortezza formò il connotato fisico del medesimo concetto», Ivi, p. 133. Concetto che emergerà più chiaramente quando parleremo dell’aspetto urbanistico, ma che già si può ravvisare studiando la situazione fiscale.

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