PARTE III. LE VILLE DI FIERA
Capitolo 3. Le case padronali di Sant’Ambrogio e di Porto di Fiera.
3.1. Sant’Ambrogio durante l’età moderna.
3.1.2. Villa Cornaro.
Un modesto complesso forse risalente al XVII secolo (immagini 3.13) appartenuto, insieme agli squeri che esistevano lì vicino, al ramo della Ca’ Granda della famiglia Cornaro (che, ricordiamo, era proprietario della Commenda), ma tenuto a livello dai Pisani: oggi infatti lo conosciamo come villa Cornaro, ma in passato era denominato “casino Pisani”. Edificato in fondo al Prato, tra questo e il Sile, con l’odierna facciata minore orientata verso il fiume: in origine questo casino si ergeva isolato, mentre oggi è stretto tra la già citata villa Ninni (che è stata acquistata dall’Ospedale di Treviso) e altre abitazioni; inoltre, è parzialmente nascosto alla vista dal Prato a causa della vegetazione incolta del suo giardino – in ogni caso, è evidente il suo stato di abbandono.
La mappa del 1673, la quale mostra le proprietà della Commenda sul Prato, ha messo in evidenza che il casino si trovasse accanto alla località denominata “Squero”, che effettivamente, seppur non direttamente dipendente dalla “villa”, faceva parte dei beni dei Cornaro, i quali erano stati presi a livello dal Capitolo del Duomo. Inoltre, sull’altra sponda del Sile vi era la fornace di Ca’ Correr, o Corner (la calligrafia non è chiara): nel secondo caso costituirebbe una prova non solo per la presenza del succitato traghetto che la collegava al Prato, ma anche per il fatto che i Cornaro abbiano avuto in gestione altre fornaci negli anni successivi, sempre su quella sponda del Sile ma poco più avanti. Tra l’altro, quella fornace era di proprietà, di nuovo, del Capitolo del Duomo di Treviso, e i Corner (o Correr) ne erano solo livellari. Nel caso in cui però fossero i Correr i livellari, la cosa sarebbe altrettanto plausibile in quanto tale famiglia aveva già diverse possessioni a Fiera, tra cui un mulino sul Limbraga in consorzio con altri nobili; inoltre, nella mappa al numero 6 vi era una casetta con brolo recintato segnata come Ca’ Correr, e sulla stessa era posta anche una bandiera con uno stemma. Terzo punto: il casino Pisani sembrava già esserci, nonostante sia stato rappresentato molto sommariamente: potrebbe essere quello odierno, oppure una casa precedente, che è stata demolita per lasciare posto all’edificio attuale. Sta di fatto che si trovava nel medesimo punto in cui si trova oggi, e inoltre, davanti ma dall’altra parte del Prato, vi era un appezzamento su cui è espressamente scritto “terra Pisani”; altrettanto espressamente sono stati però segnati nella legenda i beni dei Cornaro, anche quelli che pagavano loro il livello, e tra questi non era annoverato il casino, che sembrerebbe quindi appartenere ai Pisani in maniera “indipendente”, come anche il terreno arativo alla sua sinistra, denominato “Pasqualato-Pisani”. Questa famiglia
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tra l’altro oltre ad avere diversi possedimenti sul Prato aveva anche (il ramo di Almorò, che probabilmente non era lo stesso) un mulino sulla foce del Limbraga in consorzio con la famiglia Regazzoni255, subentrata ai Correr256, e un palazzetto sulla Callalta, insieme ad altre proprietà in zona appartenute a Girolamo Correr, per lo più affittate ai locali. Un’immagine che può esserci più d’aiuto è quella che mostrata da una mappa del XVII257 secolo conservata nell’Archivio di Stato di Venezia, nella quale la villa è rappresentata in assonometria e il suo aspetto è piuttosto chiaro.
Purtroppo non abbiamo mappe relative agli estimi sei-settecenteschi: o meglio, la mappa degli anni ’80 del Seicento o non è mai stata disegnata, o è andata perduta, mentre la mappa del borgo della Madonna del 1713 è lacera proprio nella zona del Prato; quindi possiamo solo arguire dai dati riportati nei libretti di perticazione chi occupasse quella proprietà: per quanto riguarda l’estimo del 1681, probabilmente il complesso apparteneva a Giacomo Pisani (si parla alla particella 110 di un palazzo che avrebbe a “levante” il Prato, a “Sol’amonte” il Sile, a “tramontana” tale Ganzol curato di Musan e a “mattina” Giobatta Zambelli quondam Lunardo di Treviso), insieme ad altri fondi nelle vicinanze258.
Per quanto concerne l’estimo del 1713, possiamo supporre che il palazzo, ora di proprietà di Michiel Pisani259, fosse tenuto a livello da tale Domenico Dall’Aglio, il quale aveva diverse proprietà a Fiera alle sue dipendenze per conto di altri260: infatti alla particella 41 è registrata una casa dominicale con annesso del terreno, di fianco a uno squero tenuto a livello dallo stesso, che però lo subaffittava a tale Pelegrin Cagnato, il quale pagava il livello ai Corner. I numeri delle particelle dei due estimi non corrispondono, ma la cosa si spiega facilmente: basti pensare al crescente frazionamento delle proprietà dovuto al moltiplicarsi dei possidenti. Gli estimi del 1565-1572261, gli ultimi prima di quelli del 1681, non hanno menzionato per quanto riguarda il Prato niente più che case, casotti,
255 ASTV, Comunale, Estimi, b. 252, c. 409r.
256 ASTV, Comunale, Estimi, b. 243, c. 1r. Il passaggio era avvenuto grazie all’eredità di Isabella Correr
Pisani.
257 ASVE, S.E.A., Sile, rotolo 169/33 A, particolare.
258 Alla particella 10 vi è un “palazzetto con sette casette che affitta”, alla 13 e 14 idem, come anche alla
20: si veda ASTV, Comunale, Estimi, b. 243.
259 I cui possedimenti ora si trovavano alle particelle 13 (le prime sono di Almorò), 20 e 110: si tratta di
appezzamenti di terreno e casette in affitto.
260 Domenico Dall’Aglio compariva alle particelle 37 (come livellario di Santa Caterina di Treviso, del
quale ha affittato il fondo a tale Pavan), 39 (livellario della Scuola del Santissimo alla Fiera, della quale ha affittato la casa a tale Canzian), 40 (una casetta), 42 e 43 (subaffittate ad altri), si veda ASTV, Comunale,
Estimi, b. 252, c. 408r e sgg.
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fabbriche, terre, broli, orti e squeri. Da questo possiamo dedurre che con ogni probabilità villa Cornaro sia stata la prima costruzione “importante” della zona, insieme alla chiesa riedificata dopo Cambrai. Però vediamo, consultando le carte, che era già presente un Michiel Pisani, che possedeva un “casotto” e della terra, ma c’erano anche i fratelli Giacomo e Ottaviano Pisani, che avevano una casa vicino al Limbraga (forse gli avi di Almorò?); mentre alcuni locali gestivano degli squeri lungo il Sile: si trattava degli eredi di Bernardo Furlanetto, che lasciavano a livello casa e squero a tali Pasqualin Calafa, Zuanne Squeraruol, che aveva anche una casa con orto, e Alberto Calafa, che possedeva una casa oltre allo squero. Inoltre sono state menzionate alcune case tra il Prato e la restera: appartenevano a tale Domenego262 (che possedeva due case più una caneva) ed a Bernardin Burchier, che aveva una casa, un casotto e della terra.
Da ultimo abbiamo il Catasto Napoleonico263 e quello Austriaco264: in quest’ultimo la proprietà occupava le particelle 797, 798, 799, e mostrava gli stessi volumi odierni, a parte una fabbrica aggiunta sul retro (quindi fronte Sile) sulla sinistra del casino. All’epoca tutto ciò apparteneva alla Società Raffineria Zucchero di Giuseppe Vettorelli, che nel sommarione comprendeva una casa ed un orto. Non potendo visionare la mappa dobbiamo accontentarci dei dati del sommarione, che però non ci aiutano più di tanto: in quella zona figuravano come possidenti Laura Cornaro Mocenigo quondam Giovanni (l’ultima proprietaria della Commenda) e i suoi livellari, i fratelli di Giovan Antonio Coletti quondam Nicola quondam Sebastiano, che avevano il famigerato squero (alla particella 773), più gli altri livellari, i fratelli Giacomo e Pietro Masobello quondam Giuseppe e Valentino Masobello quondam Gaspare. Poi vi erano i Pisani, con un orto e una casa d’affitto, Elia Cazzaletti quondam Costantino che aveva una casa di villeggiatura (139) come pure Agostino Pasquali quondam Matteo (205), mentre Ferotti Giovanni quondam Giacomo aveva una casa di propria abitazione (779). Ora, è probabile, guardando il mappale, che la “casa di propria abitazione” di Giovanni Ferotti sia villa Cornaro, e se non era sua, probabilmente era dei Masobello265.
Per quanto concerne gli affari della Commenda, dal momento che la villa faceva parte dei suoi beni, sappiamo che Federico Cornaro (1531-1590), cardinale nipote di
262 Il cognome è illeggibile.
263 ASVE, Catasto Napoleonico, Sommarioni, b. 1071, Sant’Ambrogio di Fiera, 1811. 264 ASVE, Catasto Austriaco, Sommarioni ed Estratti Catastali, b. 1071.
265 Dallo stesso catasto deduciamo anche che Cazzaletti, Ferotti e Coletti erano proprietari rispettivamente
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Giorgio il Grande che era imparentato con i Pisani266 e i Morosini, ha acquistato la Commenda e il suo patrimonio nel 1588 dal nobile veneziano Andrea Arimondi267, poco dopo che Francesco Pisani (1484-1570), il cugino, Francesco (1547-1571) e Giorgio Cornaro (1524-1579) erano stati vescovi di Treviso. Tra l’altro, il loro fratello Alvise (1517-1584) è stato amministratore perpetuo a Treviso dei loro beni e Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano di Cipro, cui la Commenda era stata accorpata. Giorgio Corner (1658-1722)268, cardinale e vescovo di Padova, già nel 1667 ricopriva il ruolo di commendatario, mentre nel 1687 comprava da tale Berti i cosiddetti Squero di Sopra e di Sotto269: quest’ultimo verrà dato nel 1704 dal Podestà di Treviso Giovanni Cornaro – il fratello, che aveva molte proprietà sul Prato - a livello ai Dall’Aglio, e poi passerà alla facoltosa famiglia Coletti270, che nel 1811 diverrà anche livellaria della Commenda. Quindi, forse, proprio nella seconda metà del XVII secolo è stato eretto il palazzetto. Intorno al 1725 livellari sono divenuti anche i Masobello271, numerosa famiglia risiedente
da tempo a Sant’Ambrogio, che abbiamo trovato tra i dati del Catasto Napoleonico: Valentino Masobello quondam Gaspare figura come livellario e aveva casa di propria abitazione, e questa proprietà si trovava proprio tra quella dei Coletti e una casa d’affitto con orto di Michiel Pisani. Quando con la morte di Giovanni Cornaro questo ramo della famiglia nel 1799 si è estinto, il tutto è passato, tramite l’ultima discendente con prole maschile, Laura Cornaro, al suo sposo Alvise I Mocenigo (1760-1815)272, e la Commenda ha mantenuto da quel momento il nominativo Corner-Mocenigo.
266 I benefici situati in Treviso sono diventati di proprietà di Giorgio Cornaro dopo essere stati di Andrea
Pisani, che era suo zio (fratello della madre Maria): si veda il testamento di Zuanne Corner (suo padre) del 15/3/1590, ASVE, Notarile, test. not. Secco, b. 1190 n. 187. Questi dato sono stati estrapolati dal saggio di G. LIBERALI, Le «dinastie ecclesiastiche» dei Cornaro della Chà Granda, a cura della Biblioteca del Seminario Vescovile di Treviso, Editrice Trevigiana, Treviso, 1971.
267 La Commenda era sempre stata in mano al patriziato veneziano, cominciando da Angelo di Rossi (1403-
1426), e continuando con Antonio Morosini (1427-1452), Ludovico Marcello (1471-1524), Andrea Vendramin (dal 1524) e infine ad Andrea Arimondi. Vendramin era proprietario anche di un mulino sul Limbraga, che affittava a Francesco Bembo ed era denominato “Mulino Rosso”, poi passato ai Cornaro.
268 Un appunto: in un documento del 1673 da me ritrovato nelle buste parrocchiali dell’Archivio Vescovile
di Treviso è riportato invece che in quell’anno a reggere la commenda vi fosse “Ferigo” Corner (AVTV, b. 174/A, Sant’Ambrogio di Fiera, documento 5 in appendice).
269 ASTV, Notarile I serie, bb. 2080 e 2239. 270 AVTV, Cavalieri di Malta, bb. 5 e 8. 271 AVTV, Cavalieri di Malta, b. 10.
272 AVTV, Cavalieri di Malta, b. 13. Si tratta del ramo di San Stae: «possiede inoltre la medesima il Jus
patronato familiare della Gran Croce dell’Ordine Gerosolimitano del Regno di Cipro, congiunto con la Commenda di S. Giovanni del Tempio in Treviso. Sua Maestà I.R.A. colle Sovrane Risoluzioni 18 dicembre 1817 e 9 ottobre 1819 le accordò la conferma dell’avita nobiltà, nonché la dignità e titolo di Conte dell’Impero d’Austria», F. SCHRODER, Repertorio genealogico..., Op. Cit., vol. II, pp. 22-23.
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Per quanto riguarda l’architettura della villetta, l’attuale facciata principale dà sul Prato, insieme a un corpo – una piccola casa d’abitazione - aggiunto perpendicolarmente in un momento successivo, con cui forma un complesso a “L”. Nello spazio di risulta vi è un giardino piantumato, e in asse con la facciata si apre il cancello d’ingresso. L’altro fronte dà su via Alzaia: qui vi è la facciata secondaria, arretrata rispetto alla strada, e la barchessa alla sua sinistra (di dimensioni maggiori rispetto al casino), la quale arriva ai limiti della proprietà affacciandosi sul fiume. La posizione di questa barchessa (che, insieme al villino, forma un complesso a “L” anche sul retro), probabilmente antica, potrebbe suggerire che in origine la facciata principale fosse quella verso il Sile. La sua presenza, di primo acchito, sembrerebbe inutile, ma bisogna ricordare che anticamente il Prato era terreno agricolo e di pascolo quando non vi erano le fiere, e lo stesso si può dire per le terre che lo circondavano: è normale quindi che vi fosse una barchessa, dal momento che in zona si poteva praticare l’agricoltura.
L’edificio possiede una facciata principale molto particolare: esempi del genere scarseggiano tra le case padronali extraurbane di Treviso273. Dominata da due larghe ali
che raccordano il piccolo frontone triangolare centrale con gli spigoli della fabbrica, mostra una superficie muraria priva di discontinuità che presenta poche aperture allineate: l’unico asse completo è quello al centro, dove si dispongono tre aperture diverse tra loro. Al piano terra vi è la porta d’ingresso, a sesto ribassato; al primo piano una monofora architravata sormontata da cimasa e protetta da un poggiolo di epoca successiva, mentre all’ultimo piano vi è una sola finestra rettangolare, quasi a filo con la cornice che delimita il frontone. Ancora più sobria la facciata verso il fiume, dove l’assenza di frontone mette in evidenza la parete timpanata coperta da un tetto a due falde; ad ogni modo, una tale organizzazione non suggerisce agevolmente come fossero e come siano distribuiti i vani interni, ma probabilmente dovevano ricalcare lo schema classico del salone passante con due stanze ai lati. Secondo C. Scantamburlo274, sono stati murati i punti luce a lato della porta d’ingresso, come anche altre aperture al primo piano; mentre la facciata sul Sile non presenta porte d’accesso – fatta eccezione per una, sbarrata – ed ha una sola finestra, in alto. Nella già menzionata mappa del XVII secolo è rappresentata proprio la facciata sul Sile, e da questa vediamo che all’epoca la villa, che sembrava d’aspetto più imponente,
273 La facciata di villa che più ci somiglia è quella della già citata villa Reali Sugana a Lancenigo, ma
probabilmente è frutto del restauro tardo ottocentesco.
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era formata da due livelli più una sopraelevazione, il tutto coperto a falde. Le aperture si disponevano regolarmente, ed erano presenti anche nell’abbaino; il volume della barchessa non sembrava superare quello del casino come accade attualmente, ma questo potrebbe essere perché all’epoca si poneva attenzione alla raffigurazione della casa, e non dei suoi annessi rustici. L’abitazione il cui lato minore dà sul Prato non ha nulla di particolare, e dal suo aspetto è difficile collocarla cronologicamente: consta di due livelli ed è caratterizzata da una disposizione forometrica regolare, le aperture sono architravate e solo quelle inferiori che danno sul Prato sono decorate con una cimasa piuttosto elaborata e davanzali sporgenti, inoltre sono sormontate da una fascia marcapiano; non vi sono altri elementi degni di nota. La barchessa, ora trasformata in abitazione, è stata molto rimaneggiata: a due livelli, quello inferiore in parte porticato, mostra un volume complessivo che occupa la metà sinistra di quello del casino.