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PARTE II. IL TREVIGIANO NELL’ETÀ MODERNA.

Capitolo 2. La fiscalità sotto il dominio veneziano.

2.3. Uno strumento fondamentale: l’estimo.

Una delle prerogative fondamentali che lo stato moderno con il tempo si è arrogato è stata quella di poter richiedere e incassare tasse per sorreggere una struttura di governo che si faceva via via sempre più articolata e come «termometro sensibilissimo del rapporto tra governati e governanti, il sistema fiscale si è evoluto» cercando strumenti e tecniche atti a stabilire una certa equità fiscale, «parametro e indice indiscutibile della modernità» statale. De facto, «era l’efficacia e la certezza del prelievo a spingere i governanti ad elaborare via via procedure sempre più affinate e complesse» perché la terra e il suo sistema di produzione restava «il capitale per antonomasia, e perciò la più sicura e la più accertabile delle basi per distribuire l’imposizione diretta». Lo strumento attraverso il quale si rendeva possibile la misurazione e la stima delle possessioni, quindi mediante il quale imporre le tasse, era l’estimo, ma in un’accezione più vasta di quella odierna; esso era lo strumento con il quale durante l’età moderna si stimava la proprietà fondiaria per utilizzarla quale base imponibile su cui ripartire le tasse. Si può ben immaginare quali fossero i tempi e i costi di un’operazione del genere su larga scala: le rilevazioni del XV e del XVI secolo erano durate diversi anni ed allo Stato avevano comportato una spesa non indifferente; tra l’altro, avevano innescato conflitti tra i vari gruppi sociali a causa delle disparità di imponibile che emergevano, dato che alcuni

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godevano di privilegi che costringevano altri a pagare anche per essi. Le rilevazioni si protraevano nel tempo anche perché quei corpi privilegiati non avevano alcun interesse a procedere con l’aggiornamento degli estimi, anzi, vi si opponevano per continuare a pagare una determinata cifra nonostante, magari, la loro proprietà si fosse ampliata. Bisognava altresì tenere conto del fatto che «i criteri di stima erano incerti e contraddittori, propri di una scienza estimativa ancora debole (...) in bilico tra una capitalizzazione della rendita e una stima del capitale»109, cosa che si sarebbe sistemata solo all’epoca della redazione del catasto napoleonico. Il territorio trevigiano era sottoposto a tre tipologie d’estimo in età moderna: l’estimo reale generale riguardava l’intera provincia e suddivideva in carati, cioè in quote, le imposizioni dette anche di mandato dominii, come la dadia delle lance.

La base imponibile era rappresentata dalla proprietà immobiliare, terriera e non, che veniva stimata generalmente sulla base di una capitalizzazione della rendita, attraverso una tariffa; il risultato di questa operazione era una cifra d’estimo, una sorta di coefficiente per calcolare la colta ducale, la quale serviva a sua volta come ulteriore parametro per imporre altre tasse110.

L’estimo reale particolare ripartiva invece il carato assegnato a una determinata zona amministrativa tra i diversi corpi contribuenti, e solitamente i suoi criteri estimativi erano differenti rispetto a quelli dell’estimo generale: si stimavano infatti i beni, non le entrate; tra l’altro in questo tipo d’estimo si calcolavano anche le case in città e le attività mercantili ubicate fuori le mura. In entrambi i casi, comunque, le procedure per la catasticazione erano le stesse: il contribuente era tenuto a presentare una denuncia mediante la compilazione di polizze in cui venivano descritti i suoi beni, polizze che poi venivano liquidate attraverso la stima compiuta da module di stimatori che si accertavano in loco della situazione effettiva insieme ai perticatori111, coloro i quali si occupavano della misurazione fisica dei terreni. Spesso le operazioni di perticazione e descrizione si

109 D. GASPARINI, “Il general dissegno” della campagna trevigiana, estimo e agrimensori fra

innovazione e tradizione (pp. 11-40), p. 11, in Montebelluna, storia di un territorio, a cura di D.

GASPARINI, Archivi, Venezia, 1992.

110 Ibidem.

111 «Il termine pertica, spesso alternato con passo, usato per indicare e l’unità di misura delle superfici

agrarie e lo strumento, già noto ai Romani, è attestato per Treviso in un documento del 768. Saranno poi gli statuti a sancire la dimensione in pertiche del campo trevigiano e lunghezza della pertica stessa. Chiare le misure: il campo doveva misurare m. 51,01 di larghezza per m. 102,02 di altezza, pari a 5204 mq. (...) l’età moderna erediterà il sistema di misure medievali», Ivi, p. 29.

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integravano, e poi si procedeva all’esame e alla liquidazione delle polizze mediante la stima. Siccome il fine dell’estimo era quello di raggiungere, mediante un sistema che considerasse in maniera neutrale la proprietà fondiaria, un’equità fiscale di fatto, era naturale che la cartografia dovesse adeguarsi a tali esigenze, quindi essere riveduta nei suoi principi. Hanno iniziato ad essere usate tecniche grafiche che riproducessero in modo omogeneo e imparziale la realtà, escludendo quelle che privilegiavano una gerarchia informativa. L’estimo personale, invece, serviva a ripartire le fationi personali che la città richiedeva al territorio, cui «soggiacevano tutti gli abitanti del contado, proprietari e non, aggregati nel villaggio che risultava essere l’intestatario della partita fiscale espressa in fuochi»112, che erano i coefficienti utilizzati per ripartire gli oneri fiscali.

Gli ultimi estimi redatti con criteri che non potremmo definire troppo precisi risalgono al 1542-1561113, e più di un secolo dopo, dopo svariati conflitti, ne è stato infatti ordinato il rifacimento. Per quanto riguarda la prima fase (1679-1687), Nicolò Contarini e Pietro Valier, Provveditori sopra gli estimi della Terraferma, hanno tentato di capire quali motivi abbiano ritardato l’esecuzione degli estimi e hanno provato a fornire alcune soluzioni in merito, soprattutto per arginare le conflittualità che si erano create in tali occasioni tra i corpi contribuenti, e che erano il motivo principale per cui la procedura non giungeva mai a buon fine. Il 3 marzo 1680 venivano pubblicati dal podestà trevigiano Giovanni Grimani i Capitoli per l’inizio dei lavori, e questi determinavano si sarebbe proceduto con un estimo detto a pertica antica114, in cui la più grande novità sarebbe stata il disegno che avrebbe seguito l’operazione di perticazione, dopodiché ci sarebbe stata la presentazione delle polizze, esaminate da otto module e stimate in vista dell’imposizione della colta. Dal momento che si doveva produrre una sostanziosa mole di documenti

112 Ibidem.

113 Gli estimi precedenti al Cinquecento sono ancora più frammentari e imprecisi.

114 Il Trevigiano ha optato per il metodo della pertica distesa, ma non escludeva l’utilizzo della tavoletta e

di altri strumenti. Ma, «come misuravano e operavano materialmente? Cosa significava lavorare e camminare a pertica distesa e disegnare a bossola morta? (...) consisteva nell’impiego di un grande compasso, con uno snodo in alto che bloccava le due aste all’apertura stabilita, posta a cerniera come viene realisticamente disegnato in alcune mappe, con un’apertura pari alla misura della pertica, cioè pari metri 2,04. Quest’ultima, graduata in piedi, serviva come parametro e come strumento per misurare distanze inferiori. (...) Al perito, in queste operazioni, spettava generalmente il compito di traguardare gli angoli, di allineare con lo squadro gli estremi delle linee che poi gli aiutanti misuravano con il grande compasso. (...) Tutte queste particolari misure venivano poi rielaborate al termine della giornata stessa e perfezionate a Treviso ponendo i beni a bossola morta, cioè non calamitata, orientandoli in modo convenzionale, spesso con il Nord nella parte superiore della carta», D. GASPARINI, Angelo Prati: perito, fattore, agrimensore,

notaio..., (pp. 15-32), in AAVV, Il dissegno generale di tutta la Brentella di Angelo Prati, a cura di D.

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cartografici, si è reso necessario l’impiego di un numero sufficiente di periti agrimensori e aiutanti vari: i funzionari impegnati nella redazione dell’estimo erano i Deputati (otto, due per corpo) più i componenti delle module di stima (solo per la fase seicentesca), il

Cancelliere, il Nunzio (per le convocazioni), gli Agrimensori con i garzoni; poi vi erano

l’Esattore generale, il Quaderniero, il Depositario; i comandadori e il trombetta, il

bidello, lo stampatore e il libraio; infine i merighi e gli uomini di comun115.

Le operazioni catastali si sono comunque interrotte per mancanza di fondi nel 1687, e sono ricominciate nel 1703 per terminare nel 1719: per questa seconda fase il tutto era stato affidato al Magistrato dell’Adige e a tre Provveditori, Cornelio Corner, Alvise Badoer e Marco Contarini. Il cancelliere della comunità trevigiana era Giulio Alberti, coadiuvato da alcuni deputati, un nunzio, vari agrimensori, un esattore generale, un quaderniero e un depositario. Quest’ultimo rilievo era il primo di tipo geometrico

particellare e probatorio (quindi, attraverso gli atti si determinava lo stato giuridico della

proprietà). Nel catasto particellare, metodo più vicino a quello del Catasto Napoleonico che a quelli precedenti, l’unità di base era composta da un’unità di terreno avente la medesima proprietà e destinazione d’uso,

ed è composto da mappe dei beni censiti corredate da registri che contengono i dati relativi ai beni [...]. Il catasto settecentesco interessa inizialmente soprattutto le proprietà fondiarie del territorio, in quanto maggior fonte di gettito fiscale116.

Gli atti d’estimo prodotti per la conservazione erano le mappe, raccolte in otto libri; i libretti di perticazione, che racchiudevano la descrizione dei beni di ogni villaggio e particella; le quattro vacchette dei corpi con l’indicazione per ogni ditta della località, del tipo di bene, casa o terra, dell’estensione e dell’importo di stima; i 36 libri dei corpi in cui era trascritto il mappale e la descrizione tratta dal libretto di perticazione, corpo per corpo, divisi per le otto aree e per villaggio; i 32 ristretti, divisi per area e per corpo, con l’indicazione per ogni ditta del villaggio, del mappale, della qualità dei beni,

115 Gasparini ha puntualizzato che le ricerche a proposito degli agrimensori della podestaria trevigiana sono

ancora in corso, e che i risultati ottenuti finora sono da ascriversi allo studio dei libri Extraodinariorum dell’ASTV, fondo del Comune.

116 Estimi e catasticazioni descrittive, cartografia storica, innovazioni catalografiche. Metodologie di

rilevamento e di elaborazione in funzione della conoscenza e dell'intervento nell'ambiente urbano. Risultati dell'attività di ricerca, coordinamento scientifico di E. CONCINA, a cura di E. MOLTENI, Regione del

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dell’estensione, della stima e a volte dell’importo della colta; i quattro libri mare per segnare le volture e aggiornare la situazione del contribuente.

La successiva catasticazione è stata quella del Censo Provvisorio, risalente al 1805- 1808, che ha gettato le basi per la redazione del Catasto Napoleonico. In questo caso i possessori di immobili erano tenuti a fornire le notifiche riguardanti i loro beni, i catastini (verifiche d’ufficio su base comunale), i partitari (registrazioni d’aggravio e sgravio d’estimo relative a ogni ditta intestata) e le petizioni (richieste di trasferimento di beni immobili): queste erano utili per rintracciare gli atti notarili relativi alla trasmissione delle proprietà. Tra il 1807 e il 1816 si è proceduto alla stesura del Censo Stabile, ossia la redazione delle mappe e dei sommarioni (le descrizioni delle mappe, indicanti per ogni unità particellare un numero d’ordine progressivo o mappale – più l’eventuale

submappale, qualora il bene fosse gestito da un livellario -, il possessore, il toponimo e

la destinazione d’uso del terreno). Nel 1840/41 è stato poi elaborato un ulteriore aggiornamento, che ha preso il nome di Censo Stabile Attivato, detto anche Catasto

Austriaco o Austro-Italiano. Il punto che avevano in comune le catasticazioni

ottocentesche era l’asse portante del loro sistema, che prevedeva non fosse il soggetto il contribuente, ma l’unità catastale anzitutto, contrassegnata in modo specifico sulla mappa, ora redatta secondo criteri geometrici e indicante solo l’estensione dei possedimenti.