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Capitolo 2. Oltre i confini nazionali: uno sguardo al mercato del lavoro danese

2.5 Flexicurity

Nel momento in cui viene preso in considerazione il modello danese, automaticamente si nota una straordinaria convergenza tra elevati tassi di occupazione, efficienza economica e una robusta coesione sociale. A tal proposito, il concetto di flexicurity si appropria e sintetizza quelle che sono le caratteristiche che contraddistinguono la regolazione del lavoro in Danimarca, ovvero la flessibilità nel rapporto di lavoro e la sicurezza nel mercato del lavoro lasciando, al tempo stesso, un ampio margine di decisione in autonomia da parte delle imprese.

Il termine flexicurity è un concetto coniato negli anni ’90 in riferimento alla deregolamentazione del mercato del lavoro condotta nel Nord Europa, parallelamente al rafforzamento del sistema di sostegno ai gruppi più deboli; si tratta quindi di una sorta di “compromesso storico” tra imprese, sindacati e Stato. Più nello specifico, si può definire infatti come una strategia integrata, che si pone l’obiettivo di conciliare al tempo stesso flessibilità e sicurezza nel mercato del lavoro: si propone, da un lato, di garantire agli employers quella flessibilità della forza lavoro di cui necessitano, obiettivo che si raggiuge grazie alla possibilità di licenziare senza particolari procedure, formalità o elevati costi; dall’altro persegue il bisogno di sicurezza sentito dai lavoratori, tutto questo all’interno di un contesto di elevata adattabilità tra i ritmi imprenditoriali e quelli dei singoli individui.

Figura 8, Survey: "Labour regolations (hiring/firing practices, minimun wages, etc) do not hinder business activities", on a scale from 1 to 10. www.investindk.com

In definitiva, il modello danese ruota attorno alla presenza di tre pilastri essenziali: 26

42 • Flessibilità: intesa in senso numerico ovvero come il numero di dipendenti che ogni anno cambia lavoro in quanto, come esposto in precedenza, in Danimarca si registrano alti tassi di mobilità sociale, questo perché il focus non viene posto sulla protezione del posto di lavoro, ma piuttosto sulla figura del lavoratore; elementi questi ben radicati nella cultura danese, in quanto vige la consapevolezza che un’eccessiva difesa del posto fisso e rigidità, non sono le condizioni ottimali per perseguire un clima di uguaglianza e benessere, piuttosto creano inefficienza, perdita di lavoro e di reddito. Alla flessibilità numerica, va aggiunta la flessibilità in termini di orario di lavoro, funzionale e organizzativa consentendo una consistente mobilità interna aziendale sia in senso orizzontale che verticale, oltre alla flessibilità salariale.

• Sicurezza: con questo concetto ci si riferisce all’esigenza di non produrre effetti eccessivamente negativi sulle condizioni di reddito dei lavoratori e quindi sugli standard di vita propri e della propria famiglia, derivanti da decisioni imprenditoriali ritenute legittime. Con sicurezza quindi si intende tutto quel sistema di sussidi di natura assicurativa o pubblica, attivati nel caso di disoccupazione. Alla base di questa corrente di pensiero vi è l’interesse economico nel riconoscere una maggiore libertà di iniziativa agli imprenditori, in modo che questi possano trovarsi nelle condizioni di creare innovazione, rischio d’impresa e anche migliori risultati economici con i quali la società, nel suo complesso, si può far carico del rischio di disoccupazione per i lavoratori.

• Riqualificazione continua dei lavoratori: l’obiettivo delle politiche attive è quello di aiutare i lavoratori in difficoltà nella ricerca e nel loro reinserimento nel mondo del lavoro; obiettivo che si persegue attraverso un consistente sistema di istruzione e addestramento professionale per la riqualificazione dell’individuo, volto a fornirlo di competenze continuamente aggiornate e in linea con le richieste del mercato, oltre a piani volti al monitoraggio della motivazione individuale.

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Figura 9, The Golden Triangle

Come anticipato, se si allarga l’orizzonte geografico, il termine flexicurity viene ampiamente utilizzato anche nei documenti della Commissione Europea: nel Libro Verde ad esempio, riguardante la possibile modernizzazione del diritto del lavoro, si adotta proprio questo concetto per esprimere l’esigenza di flessibilità e innovazione da parte degli Stati europei, oltre alla necessità di dare una risposta ai bisogni di protezione sociale, coesione sociale e solidarietà, perseguibili attraverso interventi che possano assicurare ai lavoratori, un grado di sicurezza sufficiente a pianificare la loro vita privata con quella professionale.

Dopo la recessione che ha colpito l’Europa dal 2007 e che ha richiesto l’adozione di misure di austerità e la sopportazione di alti tassi di disoccupazione, le organizzazioni Europee hanno sentito l’esigenza di superare questa situazione di stallo avvalendosi anche del supporto delle nuove tecnologie, muovendosi nella direzione di una maggiore flessibilità, in modo da essere pronte ad adattarsi ai cambiamenti economici e rispondere alle richieste di innovazione e competitività. A tal fine, è possibile individuare diversi modelli di sistemi sociali all’interno dell’Europa, ognuno con un grado diverso di enfasi nel rapporto sicurezza – flessibilità:

• Il modello Mediterraneo, il quale include Spagna, Italia e Grecia, fortemente incentrato sulla protezione dell’occupazione, e sul finanziamento degli schemi di pensionamento; secondo Sapir (2004), questo modello non è efficace né in riferimento alla creazione di lavoro, né in ambito di riduzione della povertà.

• Il modello Continentale, adottato da Francia, Germania e Lussemburgo, enfatizza in modo simile un alto livello di protezione dell’occupazione, assieme però ad un efficace sistema di

44 pensionamento e benefit assicurativi; questo modello viene considerato efficace nella riduzione della povertà, ma presenta dei limiti in merito alla creazione di nuovi posti di lavoro e all’arginamento del problema della disoccupazione di lungo periodo.

• Il modello Anglosassone, comprensivo di Irlanda, Regno Unito e Portogallo, si concretizza nella creazione di occupazioni con bassi profili salariali, un incremento della disparità di reddito e una bassa sicurezza del posto di lavoro; questo modello, da un lato, favorisce la creazione di nuove opportunità lavorative, dall’altro non è in grado di ridurre la povertà e le disuguaglianze di reddito.

• Il modello Scandinavo, adottato da Danimarca, Finlandia e Olanda, caratterizzato da un’alta tassazione, una robusta rete di sicurezza sociale, una scarsa protezione del posto di lavoro, ma una notevole sicurezza occupazionale; questo modello, per le caratteristiche che assume, può considerarsi come la personificazione del concetto di flexicurity, in quanto garante allo stesso tempo di creazione di lavoro e alti standard di vita.

Il modello danese viene preso come punto di riferimento dagli altri Paesi del nostro continente perché, anche durante la crisi finanziaria del 2008, momento in cui sono cominciati a nascere dei dubbi in merito alla sua sostenibilità, ha consentito alla Danimarca di potersi reggere su un pilastro non indifferente: durante la recessione, il Paese ha registrato un notevole picco della disoccupazione, ma la lunghezza dei periodi di questo fenomeno rimase breve, permettendo quindi di fronteggiare bassi tassi di disoccupazione di lungo periodo; inoltre, i tassi di turnover nel mercato del lavoro tornarono ai livelli pre-crisi in soli tre anni (Andersen, 2015).

È però da tenere in considerazione che, alla base del modello della flexicurity, vi è un ingente supporto da parte dello Stato – la Danimarca spende in media una quota del PIL pari all’1,5%27 a favore delle

politiche attive del lavoro, ed è stata infatti tra le più alte dei Paesi dell’OCSE nel 2013.