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Capitolo 3. Le implicazioni delle caratteristiche del modello danese nello HRM

4.1 Struttura flat

Nel capitolo 2, in riferimento alle caratteristiche distintive della cultura lavorativa in Danimarca, si è anticipato come sia molto comune trovare un ambiente di lavoro informale, con una struttura organizzativa orizzontale che favorisce la comunicazione e il confronto tra i vertici e i dipendenti. Si preferisce riprendere questi concetti in quanto costituiscono la base dei ragionamenti che verranno fatti successivamente in merito alle tematiche di work-life balance (WLB), formazione ed inclusione. Quando si parla di informalità, ci si riferisce alla tendenza, negli ambienti di lavoro danesi, di chiamarsi per nome tra dipendenti e manager, questo per una sostanziale mancanza di gerarchia, o perlomeno l’assenza della percezione di essa.

Questi elementi si ripercuotono ad esempio in un coinvolgimento considerevole dei lavoratori nelle dinamiche aziendali, attraverso la presa di decisioni organizzative in forum dove tutti hanno la loro possibilità di esprimersi a riguardo, oltre all’opportunità di lavorare in un ambiente rilassante, che permetta di focalizzarsi sui propri obiettivi e responsabilità e allo stesso tempo consenta lo sviluppo degli individui in senso personale e professionale; in Danimarca, i dipendenti sono rappresentati inoltre anche all’interno dei Consigli di Amministrazione, così da rafforzare la voice di essi, il loro potere contrattuale, e favorire relazioni di cooperazione, permettendo loro di partecipare alle scelte strategiche dell’impresa. Una delle conseguenze di questo tipo di struttura è anche il senso di uguaglianza che si percepisce all’interno dei luoghi di lavoro: la debole distanza dal management permette la costruzione di relazioni tra vertici e dipendenti, difficili da trovare in culture gerarchiche. Se il lato positivo di questo tipo di struttura flat consiste in un elevato grado di comunicazione e di responsabilizzazione all’interno dei luoghi di lavoro, potrebbe al contempo risultare un punto di debolezza e una sfida, specialmente per i lavoratori internazionali, capire a chi spetta l’ultima parola su determinati problemi o faccende; inoltre, in contesti di questo tipo, potrebbe esserci il rischio di un ridotto riconoscimento dei risultati e dei traguardi raggiunti autonomamente.

Di conseguenza, l’assetto organizzativo tipico degli ambienti di lavoro danesi, ricopre un ruolo strategico nel perseguimento del vantaggio competitivo di lungo periodo, in quanto determinante dei comportamenti assunti dalla popolazione aziendale.

67 Non deve comunque del tutto sorprendere l’adozione di questo tipo di struttura, in quanto tra le tendenze recenti in tema di analisi e progettazione organizzativa, si riscontra un comune interesse verso quelle strategie basate non solo sulla riduzione dei costi, ma anche e soprattutto sulla velocità, la flessibilità, l’innovazione, che a loro volta si traducono nell’adozione di modelli microstrutturali efficienti, ma soprattutto capaci di affrontare un ambiente dinamico, livelli elevati di incertezza, e interdipendenze complesse.43 Per queste ragioni, ciò che si osserva negli ultimi anni è un progressivo allontanamento, a livello di soluzioni intra-impresa, dal modello burocratico – taylorista, in favore del modello ricomposto (Jones 2007, Kreitner e Kinicki 2004).

43 F. Isotta (2010), “La progettazione organizzativa”, Cedam

Quando si trattano questi due modelli, significa che si sta lavorando a livello di microstruttura, ovvero dove l’unità di analisi è costituita dal compito, e cioè dall’insieme di attività umane elementari necessariamente collegate fra di loro, per motivi tecnologici o di significato minimo del lavoro. Oggetto di progettazione organizzativa sono le mansioni (job design), e quindi la definizione dei confini delle mansioni. (Comacchio, Isotta, Scapolan 2010); una volta che queste sono state definite ed è stata individuata l’interdipendenza tra esse, si procede a stabilire i meccanismi attraverso i quali si realizza il coordinamento tra le mansioni stesse.

Tra gli assetti microstrutturali, o modelli di organizzazione del lavoro applicabili all’interno delle imprese, quello burocratico – taylorista si distingue per la massima divisione del lavoro, sia in senso orizzontale che verticale; questo modello si caratterizza per un elevato livello di gerarchia, che implica una netta divisione tra le attività di direzione, spettanti ai vertici aziendali, e le attività di esecuzione, adempiute dagli operativi. Tipicamente, ad ogni mansione corrisponde un solo compito, e i meccanismi di coordinamento si concretizzano solitamente in attività di supervisione diretta e dalla standardizzazione dei processi di lavoro. In questo modello quindi il grado di formalizzazione è elevato, e viene posta una particolare enfasi sul controllo e sull’efficienza. Date le sue caratteristiche, questo sistema funziona in presenza di una strategia centrata sui costi, di un ambiente stabile, di una tecnologia rigida e di compiti caratterizzati da economie di specializzazione elevate, incertezza limitata, interdipendenza non complessa, bassa insostituibilità e criticità delle risorse umane, potenziale di opportunismo elevato, assieme ad una elevata conoscenza delle azioni necessarie al raggiungere i risultati e da un’elevata osservabilità delle azioni effettivamente intraprese.

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Fonte: Isotta F. (2010), “La progettazione organizzativa”, cap. 4, Cedam

Tra i vantaggi della struttura flat si segnalano:

• Flessibilità e semplicità di risposta alle esigenze di cambiamento e innovazione: nel

momento in cui si devono prendere delle decisioni, una struttura di questo tipo non richiede l’intervento di molti livelli su aspetti parziali del problema, evitando quindi un allungamento dei tempi di risposta.

Opposto a questo modello, si trova quello ricomposto, assetto microstrutturale che si propone di offrire un sistema più flessibile e motivante rispetto a quello burocratico, attraverso tecniche di ristrutturazione del lavoro (job redesign), le quali comprendono: il job enlargement, il job enrichment, e il job rotation.

Il primo prevede l’allargamento delle mansioni, aumentandone la varietà attraverso l’aggiunta di compiti dello stesso livello di autonomia e di responsabilità; una delle implicazioni è l’allungamento del tempo di ciclo della mansione, riducendo in questo modo la monotonia: l’operatore infatti, nello svolgere la propria mansione nell’arco della giornata, ripeterà lo stesso compito a intervalli meno frequenti. Il job enrichment si propone di arricchire la mansione, attribuendo al lavoratore maggiori discrezionalità e responsabilità.

Il job rotation è quell’intervento che si prefigge di prevedere una diversa rotazione delle mansioni, e di conseguenza agisce sul legame temporale uomo/mansione, non intaccandone l’assetto. La rotazione può essere semplice o complessa a seconda che si chieda al lavoratore di ruotare su mansioni caratterizzate dallo stesso grado di autonomia e responsabilità, o il contrario, ovvero su mansioni che richiedono un livello di autonomia e responsabilità diverso.

Questo tipo di modello si adatta maggiormente a quelle aziende la cui strategia è orientata alla qualità, flessibilità, e all’innovazione più che sui costi, e che si trovano ad operare in un ambiente instabile. Inoltre risulta maggiormente efficace, efficiente ed equo laddove i compiti siano caratterizzati da: economie di specializzazione limitate, elevata incertezza e interdipendenza, manifestazione da parte dei lavoratori della preferenza per la varietà, dell’identità, del significato e dell’autonomia.

69 • Il sostenimento di costi di struttura non eccessivamente onerosi: in questi sono compresi

anche i costi di transazione44, che vedono una riduzione della loro entità;

• Si evitano problemi di comunicazione, anzi se ne facilita lo svolgimento: questo perché con un numero di livelli ridotto, diminuisce la distanza organizzativa tra gli individui;

• Potrebbe riscontrarsi un miglioramento nella qualità delle decisioni: il confronto e la comunicazione favoriti dalla struttura flat permettono che l’affronto del problema non sia solo formale, evitando quindi scarichi di responsabilità tra i vari livelli;

• Aumenta la motivazione e la responsabilizzazione dei dipendenti, grazie al rapporto diretto con i vertici senza sopportare la pesantezza di una gerarchia troppo definita.

L’adozione di una struttura di tipo orizzontale è dettata anche dalla presenza di diverse variabili nell’ambiente esterno all’impresa: l’intensificazione delle forze che spingono al cambiamento richiede una continua rivisitazione dell’organizzazione interna in ottica di flessibilità e innovazione, e che incorporino la capacità di adattarsi ai cambiamenti esterni, repentini e difficilmente prevedibili. Un elemento che gioca a favore di questo tipo di tendenza, è insito sicuramente nella cultura aziendale, la quale risulta essere l’espressione del modo in cui si percepiscono i problemi e come vengono risolti, anche quelli di coordinamento, come si attribuiscono i significati, cosa si valuta positivo e cosa negativo, come si definiscono i comportamenti corretti e i non corretti; ad essere quindi “regolate” o standardizzate sono le norme riguardanti un’organizzazione affinché tutti operino in base a uno stesso insieme di convinzioni, valori e credenze (Mintzberg, 1989,101).

La cultura aziendale riveste un importante ruolo nei confronti del coordinamento, e le implicazioni derivanti da questo legame sono apprezzabili in riferimento a tre aspetti45:

• Nel momento in cui il coordinamento implica trasmissione di informazioni, la cultura può facilitare questi processi e quindi favorire il coordinamento, attraverso la creazione di codici di comunicazione condivisi;

• In relazione ai suoi contenuti, la cultura organizzativa può avere effetti positivi nel funzionamento di altri meccanismi di coordinamento;

• In certe situazioni, la cultura rappresenta il meccanismo determinante per raggiungere il coordinamento. Allineare fin dall’inizio gli obiettivi e i modelli di comportamento attraverso la cultura, risulta essere il meccanismo di coordinamento necessario in quelle situazioni di

44 I costi di transazione sono l’espressione dei costi di governo delle relazioni interne all’impresa e che quindi

comprendono i costi decisionali, quelli distribuitivi e i costi di cambiamento; secondo Williamson i costi di transazione sono l’equivalente economico delle frizioni e degli attriti nei sistemi fisici.

70 ambiguità nella conoscenza e misurabilità degli output, nei processi di trasformazione e nelle caratteristiche degli input da impiegare.

Ecco quindi che la Danimarca risponde ad un’epoca ricca di grandi e rapide trasformazioni sociali ed economiche come quella attuale, attraverso l’adozione di un modello generale di struttura aziendale che riesca ad ammortizzare e adattarsi a questi mutamenti nel tessuto economico. Si avrà modo di individuare le implicazioni di questo orientamento verso una flebile gerarchia aziendale, specialmente nel momento in cui datore di lavoro e lavoratore si incontrano per accordarsi su determinati elementi contrattali, pratica molto comune e diffusa nei luoghi di lavoro in Danimarca.